Omelia

Domenica   SS. TRINITA’   A         4  GIUGNO 2023

1.“Togliti i sandali dai piedi perché il luogo dove stai è suolo santo”. La solennità della SS. Trinità, fa da sigillo al cammino percorso fino ad oggi nell’anno liturgico, fino alla rivelazione suprema di Dio nel Mistero Pasquale. Sigillo e sintesi, perché se è pur vero che ogni celebrazione è incontro con Dio Trinità, oggi la Chiesa ci invita a fissare lo sguardo sulla vita intima di Dio, a partire dalla rivelazione a Mosè, fino ad arrivare a Colui che, fatto uomo, è Dio e ci rivela il Padre e lo Spirito. L’esperienza di Mosè, vuole ricordarci la trascendenza di Dio. Noi abbiamo la grazia di incontrarlo in Gesù, ma Dio è e resta trascendente, totalmente altro da noi. La nostra persona umana limitata, non potrà mai comprendere in fondo il suo Mistero qui sulla terra. Lo potremo vedere così com’è solo quando, dopo la morte, lo incontreremo “faccia faccia”. Dall’episodio di Mosè, comprendiamo certo la trascendenza di Dio e in essa noi ci rigeneriamo se ci immergiamo in Lui.  Questo stesso Dio trascendente, si rivela a Mosè come la sorgente dell’Essere: “Io sono Colui che sono”, si mostra  vicino, vicinissimo al suo popolo che soffre la schiavitù d’Egitto. Avere il senso della TRASCENDENZA di Dio, diremmo del rispetto, del Santo Timore di Dio, non significa che Lui è lontano, anzi per la sua trascendenza, Egli è vicino a ciascuno di Noi……

2.Il nostro Dio è unità degli opposti, è un unico Dio in tre persone che si amano si donano l’uno all’altro, sul modello di una famiglia umana. Le parole di Paolo sulle tre persone divine che vengono a noi tramite lo Spirito Santo che ci fa incontrare il Padre e ce lo fa chiamare “papà” e ci rende figli come è Gesù, mostrano a tutti noi la vicinanza interiore di Dio. Noi siamo emanazione della Trinità, e il nostro sentimento più profondo, quello che lo Spirito ci fa ascoltare, è quello della tensione all’unità, alla comunione, al trovare appunto una unità negli opposti. Questi opposti che sono le tre persone divine, sono unite dall’amore e sono da sempre un solo Dio. La definizione più bella di Dio la troviamo in San Giovanni : “Dio è amore”. Per questo motivo, nella vita è molto più difficile e complicato farci la guerra, perché noi non siamo stati creati da un Dio di guerra, ma da Dio che è armonia e pace nel suo in sé. Allora, quando dentro di noi e fuori di noi abbiamo delle realtà che sono opposte tra loro e rischiano di configgere, se ci ricordiamo da Chi veniamo, da Dio Trinità, allora sarà molto più facile anche se non privo di fatica, percorrere la strada dell’unire ciò che è opposto.

3.Tre consigli: valorizziamo spesso il segno di Croce su noi stessi e sugli altri, come atto di fede che afferma che la massima rivelazione di Dio Trinità è nell’offerta di se stesso per amore e per la salvezza eterna del genere umano. Facciamolo bene, insegniamolo ai bambini.

Secondo consiglio: reagiamo alla bestemmia. Se lo abbiamo come vizio, vediamo di estirparlo con la confessione e la meditazione del Padre nostro. Se c’è qualcuno vicino a noi che ha questa brutta abitudine, correggiamolo amorevolmente, dicendo che Dio è il Crocifisso che è morto per amore per noi e anche per lui. Estirpiamo la bestemmia dagli ambienti scolastici e giovanili.

Terzo nell’adorazione eucaristica silenziosa, esercitiamoci a contemplare la bellezza delle tre persone divine che lì sono insieme presenti.

Domenica VII  di  PASQUA   A         24  Maggio 2020

“Non  ardeva forse in noi il nostro cuore…?”

1.Carissimi,  questo cuore che arde d’amore per il Signore Gesù, che i due di Emmaus sperimentano, è la gioia della Chiesa che, accompagnando il Cristo nell’Ascensione, è in attesa dello Spirito Santo nella prossima Pentecoste. L’episodio famoso che abbiamo ascoltato è il simbolo della nostra vita è il segno del cammino che tutti noi facciamo lungo l’esistenza ed è il cammino dell’intera umanità alla quale Gesù Risorto viene incontro. Anzitutto lo scoraggiamento, la delusione e il fuggire dalla realtà della croce di questi due discepoli. Sono delusi di Gesù, non hanno capito nulla del mistero pasquale, della necessità della croce come atto supremo d’amore di Dio per giungere alla risurrezione, liberandoci dal peccato e dalla morte. Questo stato interiore tutti lo viviamo e siamo invitati a riconoscere questo atteggiamento, a dichiaralo: “Signore, spesso sono deluso per questa e quest’altra ragione…”. In questo momento vogliamo condividere il dolore di tante famiglie della regione Emilia Romagna che in pochi giorni hanno perso casa, affetti, fiducia nel futuro. In questo frangente , nelle nostre delusioni “Gesù in persona camminava con loro”. Questo è il dono che riceve l’umanità smarrita, questo è il compito della Chiesa e di ogni cristiano, questa è la Pasqua: Gesù in persona ci raggiunge nelle nostre delusioni. Questo suo essere vicino ci chiede il coraggio di ascoltarlo in tutte le S.Scritture per rileggere le nostre passioni negative alla luce della sua Passione salvifica. Gesù apre la mente all’ascolto della sua Parola nelle S.Scritture. Allora dove trovare una risposta nei momenti di delusione? Nelle Sacre Scritture poste nelle mani della Chiesa, Parole ispirate dallo Spirito Santo che ci ridona la Parola viva di Cristo in ambo i testamenti. Questo come dicevo è il compito, la missione della Chiesa e di ciascuno di noi. Affiancarsi a chi è deluso e provato dalla vita e semplicemente ASCOLTARE. Gesù fa così : li fa parlare, sfogare poi li rimprovera e spiega loro le Scritture. Una Chiesa in ascolto del mondo che però non perde il suo specifico fatto di essere portatrice di una Parola che rigenera interiormente. Tutti siamo chiamati nei confronti degli altri a un ministero di ascolto e consolazione.

2.”Quando fu a tavola prese il pane lo spezzò e lo diede loro..Allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero”. Si aprano dopo l’ascolto anche i ostri occhi perché il dono di Gesù che rinnova la sua Pasqua su questo altare, doni a ciascuno di riconoscerlo allo spezzare del pane. Quel corpo spezzato è Gesù che si offre per noi. Se così si riconosce Gesù allora anche ogni cristiano tutti potranno riconoscerlo se a imitazione di quel pane spezzato si dona con amare ai fratelli che lo cercano e hanno bisogno. Gesù pi sparisce, non vuole essere trattenuto perché la Chiesa deve vivere di fede, di quella Parola e pane spezzato che è Lui stesso. Lo Spirito Santo che attendiamo nella prossima Pentecoste è il dono che permette alla Chiesa di andare avanti incontrando ciò che lo Spirito Santo opera: la presenza di Cristo nei Sacramenti e la Parola di Dio centrata su Gesù morto e risorto.

Domenica  14 MAGGIO  2023  VI di Pasqua  A

1.“L’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio”. Carissimi, Gesù prepara i discepoli alla sua Ascensione al cielo che celebreremo giovedì. La sua ascesa al cielo del Padre corrisponde all’invio dello Spirito Santo sulla prima Chiesa. Voi sapete molto bene che questo dono non è stato solo per i primi discepoli, ma si rinnova in ciascuno di noi, per il sacramento del Battesimo e della Cresima. Giustamente San Paolo nella prima lettera ai Corinti, sottolinea che se si dimentica di essere abitati dallo Spirito Santo, non solo non si capiscono le cose dello Spirito cioè la vita spirituale, la lettura di fede degli avvenimenti della vita e soprattutto una dilatazione della nostra ragione, illuminata dalla fede, e l’attualizzazione delle parole di Gesù, ma si rischia di vivere male, impostando la vita in modo semplicemente materiale. Allora è importante, alla vigilia della solennità dell’Ascensione e della Pentecoste, domandarci: sono consapevole di essere abitato/a dallo Spirito Santo? Quanto mi esercito ogni giorno, con la preghiera, la meditazione delle parole della S.Scrittura a dare una lettura spirituale della mia vita della vita degli altri e del mondo?

Vedete, a volte noi riteniamo che la vita spirituale sia solo una parentesi della giornata o della vita, perché interpretare e vivere quello che dice il vangelo, ci sembra qualcosa al di fuori della realtà.  Senza esprimerlo a volte diciamo a noi stessi: “Si il vangelo è una bella cosa ma è irrealizzabile, la vita attuale è un’altra cosa!” L’interpretazione che ci dà la fede e quindi lo Spirito Santo della vita, ci pare a volte qualcosa di irreale e o qualcosa di vicino a una favola. Invece non è così, perché quello che ci suggerisce la Parola di Dio ispirata dallo Spirito Santo, è la vera realtà, quella autentica perché la più profonda. Siamo invitati a esercitarci nella lettura spirituale della vita e degli avvenimenti, e come comunità cristiana è bello farci il dono reciproco di ciò che lo Spirito Santo nella preghiera ci suggerisce, come chiave di lettura dei nodi più profondi della vita: le relazioni con gli altri, le scelte, la malattia, la morte. Ricordiamo la finale dell’epistola di oggi: Paolo dice : “Ora noi abbiamo il pensiero di Cristo”

  1. “L’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio”. Nessuno sia lasciato alle sue sole forze. Ci sono tante persone che vivono un lungo tempo di solitudine interiore, andando alla ricerca di rimedi solo umani che aiutano, ma non danno la pace. Noi stessi forse abbiamo sperimentato o sperimentiamo questa aridità spirituale, che si manifesta in una specie di freddezza interiore per le cose di Dio, anche per la S.Messa. Combattiamo questa tentazione e rendiamoci conto di essere abitati dallo Spirito di Dio. Non possiamo capire cosa ci accade sulla terra se prima non abbiamo il coraggio di salire al cielo. Vorrei terminare con ciò che la Madonna ha detto ai tre pastorelli di Fatima nella prima apparizione del 13 maggio 1917. Attraverso la richiesta di Maria, noi comprendiamo cosa significa che lo Spirito Santo ci porta verso le altezze della vita spirituale, mostrando il volto delle sofferenze come occasione di offerta a Dio per il bene di altre anime: “Volete offrire a Dio tutte le sofferenze che Egli desidera mandarvi, in riparazione dei peccati dai quali Egli è offeso, e per domandare la conversione dei peccatori?”

Sappiamo che quei tre bambini dissero Si. Chiediamoci: quale lettura spirituale simile necessita il momento attuale della nostra vita, per ascoltare da Maria un medesimo invito?

30  APRILE 2023     IV di  PASQUA    A

60ma giornata mondiale di preghiera per le vocazioni di speciale consacrazione

1.”Il buon pastore dà la vita per le pecore”.  Carissimi, mentre contempliamo il Cristo risorto, Lui stesso oggi ci viene incontro con l’immagine del pastore, che sta sempre con le pecore, anche quando viene il lupo. E’ disposto a dare la vita per ciascuna pecora, perché le ama una per una. Il mistero pasquale che celebriamo in ogni S.Messa, rinnova per noi il dono della vita di Cristo per tutta l’umanità, anche per le pecore che sono uscite dall’ovile. Riflettendo su questo dono di Cristo per ciascuno di noi, possiamo comprendere meglio oggi, che ogni vita umana è posta nel mondo dall’amore di Cristo, come un dono, e alimentata dal suo amore, riscopre la sua identità più bella e più profonda: quella di avere una vocazione. L’incontro con Cristo, ci aiuta a rileggere tutta la nostra vita come una chiamata a imitare questo dono d’amore di Cristo stesso agli altri, nella modalità che ci è consona: la vita matrimoniale, il sacerdozio, la vita consacrata e missionaria. Ma queste vocazioni fondamentali, si rinnovano ogni giorno, e negli snodi importanti della vita, si rafforzano e prendono altre fisionomie, a partire dall’esperienza che stiamo vivendo. Al centro di ogni vita come vocazione, c’è però sempre lo sguardo di Cristo Pastore, che conosce cioè ama una per una le sue pecore e le invita a dare la vita per la su Chiesa.

2.Guardiamo ad esempio alla prima lettura che ci descrive la vocazione dei primi sette diaconi. La chiamata di queste persone, avviene perché la comunità ha il problema del trascurare le vedove di estrazione greca dall’aiuto materiale quotidiano per il loro sostentamento. A questo punto, gli apostoli sottolineano la centralità dell’annuncio della Parola di Dio che non possono trascurare, e fanno discernimento e chiamando questi sette uomini di buona reputazione e pieni di Spirito Santo, per il servizio caritativo delle mense. Comprendiamo come la voce dei bisogni della comunità ecclesiale, genera nuove vocazioni. La voce del Signore ci raggiunge attraverso la voce della Chiesa. Ci domandiamo: ma oggi la Chiesa di chi ha bisogno? Nella 60ma giornata mondiale di preghiera per le vocazioni di speciale consacrazione, la Chiesa non può fare a meno dei sacerdoti, dei missionari , delle consacrate. Chi si consacra è un segno, anche per chi si sposa, dell’importanza di mettere Dio al primo posto e segno del futuro che ci aspetta nella vita eterna. Nello stesso tempo, gli sposati aiutano i consacrati, ricordando che l’atteggiamento sponsale è quello che un consacrato deve avere nei confronti del Signore e della sua comunità. Ma oggi, in modo urgente la Chiesa ha bisogno che ogni cristiano, laico o consacrato,  risenta la chiamata a vivere la propria fede in comunione con tutti, nella modalità della missione. Siamo chiamati oggi ad essere tutti missionari del vangelo, proprio perché la nostra società non è più cristiana e abbiamo bisogno di riscoprire la gioia di essere membri del gregge del Signore e comunicarlo con semplicità a tutti.

3.Santa Gianna Beretta molla di cui abbiamo celebrato venerdì la memoria liturgica, così si esprimeva a proposito della vita intesa come vocazione:

”Conoscere la nostra vocazione; in che modo? Interrogare il Cielo con la preghiera; interrogare il direttore spirituale; interrogare noi stessi, sapendo le nostre inclinazioni. Ogni vocazione è vocazione alla maternità materiale, spirituale, morale perché Dio ha posto in noi l’istinto della vita. Il sacerdote è padre, le suore sono madri, madri delle anime. Guai a quelle figliole che non accettano la vocazione alla maternità. Prepararsi alla propria vocazione significa prepararsi ad essere donatori di vita. Ci sono tante difficoltà, ma con l’aiuto di Dio dobbiamo camminare sempre senza paura, che se nella lotta per la nostra vocazione dovessimo morire, quello sarebbe il giorno più bello della nostra vita”.

16 APRILE 2023 domenica    II di PASQUA    A

1.”Erano chiuse le porte dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei” Carissimi, c’è aria di paura nel cuore dei discepoli che ancora non credono alla risurrezione. Paura dei Giudei, che possono far del male, e paura di se stessi, perché ciascuno è davanti alle sue incoerenze, ai rinnegamenti, alle fughe. Eppure Lui, il risorto, va in mezzo a loro,  da queste persone inaffidabili, va col dono della pace. La pace che è Lui stesso che ha sconfitto la morte, la pace che deve entrare nel cuore dei discepoli per poterlo accogliere vivo e risorto, questo dono è il dono del Risorto per l’intera umanità. Anche noi questa sera, vogliamo fare la stessa esperienza. Gesù, il vivente, ci viene incontro in questa Santa liturgia, e viene a noi conoscendo bene i nostri peccati, i nostri tradimenti. Viene e dice anche a noi:  “Pace a voi”. Viviamo la stessa gioia degli apostoli, accogliendolo vivo nel sacramento pasquale dell’Eucarestia. Riceviamo il suo Spirito e ringraziamolo, perché il dono della remissione dei peccati, ci ha raggiunto nel sacramento della Confessione, dono affidato agli apostoli, oggi ai vescovi e ai sacerdoti che hanno amministrato questo dono. Un fiume di peccati veramente imponente che Cristo, mediante il ministero affidato alla Chiesa, ha bruciato sulla sua croce, facendolo sparire per sempre.

2.”Otto giorni dopo”. Conosciamo tutti l’incredulità di Tommaso. Notiamo come Gesù non lo abbandona al suo scetticismo, ma gli va incontro dopo 8 giorni. Sembra questo episodio, il manifesto di una fede cieca, una fede tutta di testa, di cervello, di ragionamenti. In realtà Gesù, apparendo a Tommaso, che non crede nella testimonianza degli Apostoli suoi amici, è invitato da Gesù a “vedere, a mettere la mano nel costato, a toccare”. Notiamo: è Gesù che lo chiede, poi il vangelo non ci dice se Tommaso lo fa. Voi tutti sapete che  il pittore Caravaggio nel 1601, dipinge questa scena e, contrariamente al vangelo, rappresenta Tommaso col dito nella piaga del cuore di Gesù, ed ha alle spalle Pietro e Giovanni che guardano con attenzione. La fede è solo accettazione cieca o ha bisogno di segni? Certo, l’invito di Gesù viene incontro alla fatica del credere, e ci comunica che questo vedere, toccare, è anche necessario, non può nascere dallo scetticismo, ma dalla fede stessa. “Vedere per credere o credere per vedere?”. Io personalmente risponderei con la seconda opzione, perché mostra come Tommaso non ha visto nell’entusiasmo dei suoi amici il segno della risurrezione di Cristo. Noi ci illudiamo che una apparizione del Signore possa far venire la fede a qualcuno o aumentare la nostra? Può essere, ma occorre prima essere aperti ai segni di Dio, perché chi è scettico, dubiterà anche dell’apparizione stessa. Per questo, la Pasqua di Gesù ci invita a fidarci sempre di Lui e questa fiducia aprirà i nostri cuori ai segni che il Signore stesso vorrà inviarci, e non a quelli che magicamente vorremmo noi.

3.”Mio Signore e mio Dio”: che magnifica preghiera ci insegna l’incredulo Tommaso. La preghiera che fin da piccoli abbiamo imparata a dire, mentre nella consacrazione del pane e del vino, contempliamo e guardiamo, con gli occhi della fede, il corpo e il sangue di Cristo. Che questa preghiera piena di amore, sia sulle nostre labbra, oggi e in ogni santa messa, ma soprattutto dia forma e orizzonte alle nostre giornate.

 

9 APRILE 2023     S.PASQUA    A

1.”Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture fu sepolto ed è risorto.” Cari fratelli e sorelle, l’apostolo Paolo ci trasmette quello che è chiamato il kerigma, cioè l’essenza, il cuore della fede cristiana: Gesù è morto veramente ed è stato sepolto…ma è risuscitato. Si aggiunge “secondo le Scritture” cioè nel piano di Dio Padre, che ha predetto negli avvenimenti della prima alleanza, quanto doveva capitare a Gesù, per salvare l’uomo peccatore. Questa è la Pasqua: accogliere un fatto, un avvenimento preciso che, di generazione in generazione, fonda la vita , la morte e l’oltre la morte di ogni cristiano…Questa è la Pasqua affidata alla nostra testimonianza di fede, col compito di trasmettere alle nuove generazioni, non una semplice tradizione, ma un fondamento di vita. Questo fondamento è Gesù risorto, vivo oggi in mezzo a noi, che cammina con noi. Per questo la Pasqua non è un simbolo che dipende dalle vicende umane, così da assumerne diverse tonalità, bensì la chiave per leggere gli accadimenti e poterli vivere in modo cristiano. Ridurla a simbolo, significa cancellarla dal mondo o farne la festa di primavera. La Pasqua non è un simbolo, è un avvenimento che tocca tutta la storia, tocca ciascuno di noi, chiamati a “risorgere con Cristo”

  1. “Maria di Magdala stava all’eterno e piangeva”. Questa donna, ben conosciuta da Gesù, era ai piedi della croce, si è disperata. Il suo pianto riassume i nostri pianti e il pianto di questo mondo. La croce di Gesù, non cancella le croci della nostra esistenza, ma cancella l’assurdo, il vuoto di senso, il non senso. La Maddalena è la prima che riceve Gesù risorto in persona, ci deve mettere gli occhi della fede per non confonderlo col giardiniere. Lei, invitata ad annunciare agli apostoli la risurrezione, ritrova il senso della sua vita in quell’incontro. Maria Maddalena ha trovato, ritrovato il senso della sua vita. Nessuno vuol vivere cose inutili e senza senso; tutti vogliamo che la nostra vita abbia un’utilità alta, uno scopo nobile per cui spenderci fino al sacrificio. Ed ecco l’orizzonte della risurrezione, che apre a questo senso alto della vita terrena, che si gioca nel campo dell’eternità…La risurrezione, ci riconsegna questo orizzonte dove collocare tutta la vita, anche quei giorni che ci sembrano inutili.

3.Ma la Pasqua di Gesù, quale uomo e quale donna trova oggi? In quale cultura viviamo? Viviamo un tempo in cui la dilatazione dell’io individuale produce solitudine; l’individuo è diventato individualista; il senso della propria autonomia è talmente esasperato da rendere l’uomo  prigioniero di se stesso, privo di legami d’amore, incapace di donarsi. Donarsi, infatti, significa uscire, rinunciare per ritrovarsi più ricchi nel “noi”. Dio – in un certo senso – è uscito da se stesso, si è espropriato per farsi come noi e donarsi a noi. Gesù risorto rimane non solamente in mezzo al mondo, ma con il mondo, vuol fare la storia con gli uomini; ci offre la sua compagnia, la sua intimità d’amore. Ma noi? Siamo disposti a camminare fianco a fianco con Lui, ad ascoltare e seguire le sue parole che scaldano il cuore e danno luce? Nella tomba oscura che rinchiudeva il corpo del Signore, possiamo vedere le catene del nostro io, delle nostre presunzioni, dei nostri deliri di autonomia: è questa la nostra tomba. Ma se accogliamo Gesù risorto, anche noi risorgeremo con Lui e non avremo paura neppure delle nostre fragilità e cadute.  

Nella vita quotidiana, insieme alla gioia di vivere a fianco del Signore, troviamo le difficoltà della testimonianza cristiana: il mondo ci guarda con sorpresa, a volte con diffidenza, forse con ostilità. Dobbiamo andare contro corrente, ma non temere, non siamo soli: stiamo uniti nelle nostre comunità cristiane,  e guardiamo al futuro a partire dalla risurrezione del Signore.

 

 

 

Sabato Santo 8 Aprile 2023  ore 21,00 Basilica ore 21,00

1.”Cristo Signore è risorto” Carissimi, il culmine della nostra veglia è questa annuncio: cuore di tutto l’anno liturgico e della nostra fede. Dai tre lati dell’altare, che simboleggiano tutti gli orizzonti dell’universo, questa notizia si espande in ogni latitudine. Arriva a noi non come una comunicazione generica, ma come un evento che ha sconvolto coloro che stavano con Gesù. Arriva anche a chi nella passione lo aveva rinnegato, abbandonato, e sarebbe arrivata anche a chi lo ha tradito, se avesse accettato lo sguardo di misericordia che ha avvolto Pietro. Questa non è una notizia semplicemente verbale, ma un fatto che sconvolge in bene anche la nostra vita, troppo spesso mancante di speranza. Dio Padre l’ha preparata lungo il percorso del popolo d’Israele, poi , mandando il suo Figlio in tutto simile a noi, non lo ha abbandonato ai tentacoli della morte, ma lo ha risuscitato, perché il suo Spirito fosse con noi e ci fosse riaperta la porta del cielo.

2.Ma come possiamo sperimentare questa risurrezione adesso? Nel mistero dei due sacramenti che ci accingiamo ad accogliere, la pasqua di Gesù ci risuscita dentro e ci prepara alla risurrezione finale. Tra poco il piccolo Kevin, verrà battezzato cioè immerso nel Cristo risorto, che lo renderà partecipe della famiglia dei risorti. La Chiesa mette sulle labbra di tutti i genitori che chiedono il battesimo per i loro piccoli, la risposta alla domanda: “Cosa chiedete alla Chiesa di Dio?” La risposta è “La vita eterna”. Voi capite allora che per noi, già battezzati, la risurrezione di Cristo non è una notizia, ma un fatto che ci ha raggiunto nel profondo. Quell’unzione crismale sulla fronte, che è confermata nella Cresima, ci fa abitatori dello Spirito del Risorto. Allora ci domandiamo: Viviamo da risorti? Oppure siamo già morti nello spirito. La comunità ecclesiale nella quale oggi Kevin entra, è una comunità di risorti con Cristo…Questo è un grande dono: non si cammina da soli nella Chiesa, ma per il sacramento pasquale, siamo uniti gli uni gli altri…Siamo uniti dalla risurrezione di Cristo, che ci dà nuova vita: una vita diversa più aperta a quelli che sono i tesori del cielo: la speranza, la carità.

3.Allora incontriamo Gesù risorto da soli nella S.Comunione e uniti insieme da Lui: pane di vita eterna. Chiediamo lo stupore di chi ha accolto per primo questa notizia. Mi permetto, nel solco della tradizione della Chiesa non scritta nei vangeli, di invocare la fede e la bellezza di Maria, che rivede il suo figlio vivo e risorto. Riceviamo coi suoi sentimenti questa comunione pasquale. E riecheggiando una tradizione orientale da cui il nostro rito ambrosiano attinge, andiamo da lei complimentandoci perché il suo Figlio è risorto

Venerdì Santo 7 Aprile 2023

ore 15,00 Basilica ore 21,00 Carmine

1.”Per le sue piaghe noi siamo stati guariti”

Carissimi, contempliamo Gesù in quest’ora suprema e facciamo nostra l’espressione profetica di Isaia. Le cinque piaghe sul corpo di Gesù, che Egli porta con sé per tutta l’eternità, sono il segno dell’Amore per tutti noi. Il corpo fisico di Cristo, che è in cielo glorioso con le 5 piaghe, è il segno di un Amore senza confine, che valica la storia e tocca ogni creatura umana. Questa sofferenza così atroce, che i primi cristiani non hanno mai osato rappresentare perché la croce era vergogna, sulla croce morivano gli schiavi, i reietti gli scartati dall’umanità, questa croce  con Colui che vi è appeso, guarisce e salva l’umanità, non primariamente per il dolore, ma perché il dolore di Gesù è la conseguenza di un amore, quello di Dio, che vuole avvolgere e salvare per l’eternità, ciascuno di noi.  Il peso della croce è il peso di tutti i peccati, da Adamo all’ultimo uomo che vedrà la luce di questo mondo. E Cristo apre le braccia a tutto questo, e l’abisso di peccato lo dilania fino a strapparlo alla vita. «Al crimine contro l’Amore – scrive il romanziere francese Bernanos –, l’Amore risponde secondo il proprio stile e la propria essenza: con un dono totale, infinito. Dove si compirà l’unione del creatore e della creatura, della vittima e del boia? Nel dolore, che è comune a entrambi. Noi siamo nel cuore di questo dramma immenso, siamo nel cuore della Trinità». Cristo accetta questo dolore non per masochismo o per essere uno stoico fino all’ultimo, ma il dolore è una conseguenza dell’Amore. .”Per le sue piaghe noi siamo stati guariti”

2.Davanti a Lui, il Cristo sofferente, ci domandiamo: ma i nostri dolori, quelli grandi insopportabili, come sono connessi coi dolori di Cristo? E ancora: quanto la contemplazione del Crocifisso, può darci la forza di portare i nostri dolori? Noi sappiamo che Dio non è l’autore della morte e non ci manda castighi dal cielo. La visione cristiana che contempla la passione di Gesù esclude tutto questo. Se così fosse Dio, il Padre, sarebbe un Dio crudele. Ma a Gesù è chiesto di abbracciare la croce per Amore, e solo per amore della salvezza eterna dell’intera umanità. Poteva scegliere altre strade? Si certamente, ma in che modo noi avremmo osato dire che Lui, Gesù, è con noi nell’ora della prova, del dolore e della morte? Si è fatto in tutto simile a noi, uomo, umano come noi anche nella morte e nel dolore. Il dolore ci appartiene, noi apparteniamo al dolore. C’è un solo modo per esserne padroni: accettarlo, dire il nostro sì, perché è parte di noi, senza per questo essere il nostro destino, la parola ultima. Così ci insegna Gesù in questa misteriosa strada che dal Golgota porta al sepolcro vuoto. .”Per le sue piaghe noi siamo stati guariti”

3.Vorrei concludere, ricordando che la croce ci accompagna e non dobbiamo nasconderla, neanche dalle pareti delle nostre case, neppure nei tribunali o nelle scuole, men che meno dai nostri volti, dai nostri cuori. Nell’infinito dibattito italiano sul Crocifisso, siamo tutti convenuti che di Colui che è appeso per amore alla croce, abbiamo bisogno tutti. Ne abbiamo bisogno soprattutto nei luoghi in cui viviamo, negli ospedali, nelle scuole, nei luoghi dove ci troviamo per il tempo libero, in casa soprattutto. Nel 1955, nel romanzo “Il segreto di Luca”, Ignazio Silone scrive : «Luca, durante l’interrogatorio, guardava fisso sulla parete, al di sopra del presidente. “Cosa guardate?”, gli gridò il presidente. “Gesù in croce”, gli rispose Luca, “non è permesso?”. “Dovete guardare in faccia chi vi parla”, gridò il presidente. “Scusate”, replicò Luca, “ma anche lui mi parla; perché non lo fate tacere?”».

2 APRILE 2023    DOMENICA DELLE PALME    A

S.Messa  del giorno

1.”Si è addossato i nostri dolori” Cari fratelli e sorelle, entrando nella settimana santa o settimana autentica, il modello di ogni settimana per i cristiani, e santa perché è Santo il Cristo che patisce muore e risorge per noi, accostiamoci al mistero del suo amore profeticamente predetto da Isaia, che abbiamo ascoltato nel carme del Servo sofferente. Meditiamo davanti alla croce l’umiltà, la mansuetudine, la bontà e il suo amore per ciascuno di noi, nell’accogliere il piano del  Padre, che gli domanda di prendere sulle sue spalle i dolori e i peccati del mondo. Gesù, il servo di Dio, ancora oggi compie questo atto di salvezza: c’è tanto male nel mondo, ma non pensiamo solo alla guerra o alle malattie e ai terremoti, ma guardiamo dentro di noi. Ognuno di noi ha le sue ferite, le sue rabbie, i suoi peccati reiterati da anni…Gesù vuole che noi consegniamo a lui questa sporcizia, perché la possa bruciare col suo amore e indicarci una strada nuova. In questa settimana santa, vi invito a custodire il SILENZIO interiore, quel silenzio che contempla l’Amore fatto crocifisso nella passione di Gesù. Il silenzio che si fa ascolto delle parole che i vangeli ci comunicano di quell’ora triste e solenne. Un silenzio dove possiamo percepire l’amore di Dio per l’umanità, per arrivare ad esclamare che Lui, il Servo sofferente, ama questa umanità che si sta autodistruggendo e vuole celebrare la sua Pasqua con tutti.

2.Con il passaggio della lettera agli Ebrei nell’epistola ascoltata, siamo invitati al coraggio che nasce dall’amore di Cristo: “ Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo”. Il silenzio davanti al Crocifisso-Risorto, ci dia coraggio nelle prove della vita. Alcuni di noi, portano sulle spalle croci pensanti, che non hanno voluto né scelto. Il peso può diventare insopportabile se lo portiamo da soli, se non guardiamo a Gesù che ci manda dei Cirenei che sostengono questa croce. Ma guardando a Lui, comprendiamo che ci siamo anche noi su quella croce, che Gesù porta con noi. Nello stesso tempo vediamo in questa settimana santa, un invito a imitare Gesù, portando, come scrive l’apostolo Paolo “gli uni i pesi degli altri”.

3.Guardiamo infine Maria , la sorella di Lazzaro, che ispira tutta la Chiesa in questi giorni santi. Questo spreco di nardo assai prezioso, evoca il dono totale di Gesù sulla croce. E’ una risposta di amore all’Amore con la A maiuscola. Maria, da donna contemplativa, ricordiamola ai piedi di Gesù nell’episodio con la sorella Marta indaffarata per la casa, è la discepola che ascolta il Maestro. Il suo ascolto è così profondo, che riesce a intuire quello che Gesù vivrà tra poco nella sua passione. Maria anticipa l’unzione che si fa ai defunti. Questo gesto, ci comunica che l’incontro con Gesù, servo sofferente, può riconsegnarci la logica dell’amore, che è quella che tentiamo di attuare nelle nostre famiglie e con fatica, cerchiamo di vivere gli uni gli altri. La logica dello spreco, del dono di sé gratuito agli altri, è quello che può salvare il mondo malato di individualismo esasperato. Preparandoci alla Pasqua con una buona Confessione, mettiamo nelle mani di Gesù il cammino verso la piena riconciliazione con una persona che ci ha ferito e abbiamo allontanato. In questo modo, imiteremo anche noi il gesto di Maria, che unge i piedi di Gesù e li asciuga coi suoi capelli.

25-26 MARZO 2023    V DI QUARESIMA  A

1.” Signore se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto” La frase delle sorelle di Lazzaro, suona come un rimprovero a Gesù, quel rimprovero che anche noi forse, abbiamo rivolto al Signore, dopo la morte di una persona cara. Ma Gesù, volutamente non va da Lazzaro, perché afferma: ”questa malattia non porterà alla morte ma è per la gloria di Dio”. Gesù compie il settimo segno nel Vangelo di Giovanni e questa rianimazione del cadavere di Lazzaro, morto già da quattro giorni, evoca la sua risurrezione, quella pasquale, definitiva per tutti noi. Ormai al culmine del cammino quaresimale, anche per noi risuona la domanda di Gesù. “credi tu questo?”. Gesù rivolge questa domanda alle due sorelle Marta e Maria, dopo aver affermato “Io sono la risurrezione e la vita”. E’ nostro il compito di affermare nella vita quel “credo” che Gesù ci domanda, a due settimane dalla Pasqua. Credere che Gesù non si ferma davanti a una tomba, vada oltre le nostre morti interiori, è il segno che noi possiamo lasciare nel mondo, per gli altri che non credono. Lui è il Dio della vita, della Grazia: questo è il nostro cammino quotidiano: essere discepoli di un Dio vivo e vitale. Sia per la morte fisica che per le morti che il peccato produce in noi , Lui è vita, è risurrezione. Quel grido “Lazzaro vieni fuori!” si espande in tutta la terra, nel cuore di tutti gi uomini e le donne del mondo, che sono in un sepolcro interiore, prigionieri della guerra, della malattia, della depressione, del peccato. Crediamo al Dio della vita, che crea e ricrea, risuscita i morti. Noi siamo un popolo della vita e non ci possiamo rassegnare alla morte.

2.Come rispondiamo alla domanda di Gesù? Lui si aspetta da noi una fiducia totale nella sua promessa di risurrezione, anche davanti alla morte dei nostri cari. Anche per noi c’è una strada da percorrere per dare gloria a Dio, dopo aver affidato tutta la nostra vita a Lui. In secondo luogo la risurrezione interiore è data dal sacramento della Confessione che ha il suo completamento nel sacramento dell’unzione degli infermi. Dobbiamo ricordarci, che nel momento della malattia e della morte imminente, ciò di cui abbiamo più bisogno, oltre alle medicine, è la presenza del Signore nei sacramenti. L’assoluzione generale “in articulo mortis” (in punto di morte), con annessa l’indulgenza plenaria, è il conforto spirituale che dona la pace dell’anima col sacramento degli infermi e se possiamo, la S.Comunione come viatico, l’ultima comunione. Rispondere “Credo” al Dio della vita, significa passare da questa esistenza all’altra, con i suoi sacramenti che ci risuscitano dentro, in vista dell’eternità. Perché abbiamo smesso di chiamare il sacerdote al capezzale di un familiare morente? Di cosa abbiamo paura? Mi auguro che nessuno di noi sia responsabile della dipartita dei nostri cari, senza aver provveduto ad accompagnarli coi conforti della Chiesa. Il brano evangelico di Lazzaro, con la tenerezza e il pianto di Gesù, ci fa comprendere che nell’ora della malattia e della morte, abbiamo bisogno di questo amore del Signore. Pensiamoci e adesso che siamo sani, chiediamo ai nostri cari, a suo tempo, di provvedere senza paure.

18-19 MARZO 2023    IV DI QUARESIMA  A

Finché sono nel mondo sono la luce del mondo “. Carissimi, a metà del cammino della Quaresima, ci viene incontro Gesù che è la luce del mondo e tutta la Chiesa, ciascuno di noi, si identifica con questo cieco dalla nascita. Assistiamo certo a un miracolo straordinario, pensiamo a quest’uomo : non ha mai visto nulla, è così dalla nascita. In realtà, abbiamo nel cieco nato, una progressiva illuminazione interiore, diremmo una doppia guarigione, fino ad arrivare a quella visione piena di Gesù, riconosciuto come Figlio di Dio. “Credo Signore”: così si conclude il vangelo. Davanti a questo cammino graduale di illuminazione, ci accorgiamo però che coloro che vedono con gli occhi del corpo sono ciechi negli occhi dell’anima. I discepoli stessi, ad esempio, sono fermi a una visione retributiva di Dio: “Chi ha peccato lui o i suoi genitori?”. Con loro notiamo la cecità dei farisei che interrogano il cieco e si fermano alla legge del sabato, scartando e non vedendo il prodigio compiuto . La stessa cosa i genitori del cieco, che per paura non si coinvolgono. Alla fine il cieco viene espulso dalla sinagoga. Questo duplice processo interiore, riguarda tutti noi, sia nel dono della vista della fede, che nel completo accecamento. Ma ci domandiamo: com’è la mia vista interiore? Questa domanda è molto importante, perché il modo di vedere, direi, il filtro con cui vediamo, determina tutta la nostra vita e la salute del nostro cuore. La vista della fede, è una educazione progressiva, che ci fa vedere ciò che all’occhio non appare. La profondità con cui vediamo la vita, le vicende del mondo e le nostre, quelle della famiglia, è un dono e una conquista.

2.Ma come guarire i nostri occhi del cuore? E’ chiaro che l’incontro con Gesù, è determinante in quel gesto di creazione, che fa utilizzare a Gesù l’elemento della terra con cui il Padre ha creato l’uomo. Quella saliva,  che è l’essenza della vita, è lo Spirito di Dio che, è insufflato nelle narici, fa rinascere di nuovo. Come fare questa esperienza? Non andiamo troppo lontano a cercare, la troviamo qui su questo santo altare nel sacramento dell’Eucarestia. Questo misterioso incontro con Gesù che viene a noi, prendendo  l’iniziativa come ha fatto col cieco, è un incontro guaritore. Se veramente permettiamo a Gesù di giungere non solo sulla nostra lingua e nello stomaco, ma di penetrare nel cuore, si realizza anche per noi una vista nuova. Cosa può cambiare se riceviamo nelle dovute disposizioni il Corpo di Cristo? “Chi mangia di me vivrà per me” e noi aggiungiamo: “vedrà come vedo io”. Gli occhi di Cristo, il suo vedere le persone, i malati, il suo vedere la croce come salvezza…Quanto cammino abbiamo ancora da fare per amare come lui!. Non scoraggiamoci, ma invochiamo questo dono e curiamo molto la S.Comunione domenicale. Prepariamoci a riceverla già nella settimana e mettiamo come meta del nostro cammino spirituale, la comunione quotidiana o almeno settimanale. Vedremo anche in noi il miracolo di una vista nuova.

Domenica III  di  QUARESIMA   A          12 Marzo 2023

1.”La verità vi farà liberi” Carissimi, questo serrato dialogo tra Gesù e i Giudei che “avevano creduto in lui”, assomiglia molto a quei dibattiti moderni, dove si mette a tema la libertà personale, che si riduce spesso all’ubbidire al proprio “Io” e al sentimento o emozione del momento. San Tommaso d’Aquino, commentando questo testo scrive: “L’uomo libero è colui che appartiene a se stesso. Lo schiavo invece appartiene al suo padrone. Così, chiunque determina se stesso, agisce liberamente, mentre colui che è determinato da un altro, non agisce liberamente; pertanto colui che evita il male non perché è male, ma a motivo di un precetto del Signore, vale a dire, per la sola ragione che è proibito, costui non è ancora libero. Chi invece evita un male perché è un male, questo sì che è libero. Ora, proprio questo è quanto opera lo Spirito Santo, il Quale perfeziona interiormente il nostro spirito comunicandogli un dinamismo nuovo che noi chiamiamo Grazia, per modo che egli si astiene dal male per amore, e così egli è libero, non perché sia sottomesso alla Legge divina, ma perché il suo dinamismo interiore lo porta a fare ciò che la Legge divina prescrive”. Dio ci indica il cammino, ci fa vedere le strade giuste e quelle sbagliate, ma poi dobbiamo essere noi a capire quale è la strada giusta e quale quella sbagliata. Questo è il punto di arrivo! Bisogna che in questa Quaresima ciascuno di noi riesca ad arrivare a fare le cose giuste con convinzione e con autodeterminazione. “La verità vi farà liberi”. Nel colloquio dei Giudei con Gesù, vediamo una veemenza una cattiveria verso Gesù, che nasce da una “non accoglienza” di Lui. Ha ben detto San Tommaso che la libertà interiore si raggiunge non solo per aver creduto a dei precetti, ma per avere in noi lo Spirito Santo, che è quel dono che ci educa ad amare la legge di Dio e quindi Dio stesso…Se non si ama non si è liberi e per amare occorre fidarsi, affidarsi. Ecco perché Sant’Ambrogio scriveva “UBI FIDES IBI LIBETAS” dove c’è la fede c’è la libertà.

2.Per questo motivo vorrei richiamare a tutti voi il sacramento della Cresima, che tutti abbiamo ricevuto e che non è un fatto relegato nel passato, ma il dono dello Spirito Santo ci è stato dato in modo permanente. Lo Spirito Santo abita in noi. Il vescovo, ungendo la nostra fronte col  sacro crisma, ha pronunciato queste parole: “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono”. Il termine sigillo, (σφραγίςsfraghis” in greco) indica quel marchio indelebile che esprime una proprietà, è l’autenticazione fatta con l’anello impresso sulla ceralacca, che indica un documento ufficiale e importante. Questa appartenenza al Signore, che ci è donata con la presenza permanente dello Spirito Santo “Ospite dolce delle nostre anime”, ci aiuta in quel cammino di libertà da noi stessi che Gesù vuole ci sia in tutti noi. La libertà da noi stessi con il soccorso della Grazia divina, lo Spirito Santo, ci porta ad aderire con gioia alla Verità di Dio contenuta nei vangeli. Questa adesione, non è un obbligo, ma un atto di libertà che ci rende più umani cioè più simili a quel progetto di uomo e donna, che Dio Padre ha pensato nella creazione.

Coltiviamo un rapporto quotidiano con lo Spirito Santo, preghiamolo, invochiamolo mentre dobbiamo fare delle scelte piccole o grandi. In questo modo conosceremo la Verità “e la verità ci farà liberi”.

  Domenica II di Quaresima A          5 Marzo 2023

1.”La donna intanto lasciò la sua anfora e andò in città” Carissimi, fissiamo il nostro sguardo sul momento finale dell’incontro tra Gesù e la Samaritana. Questa donna, così preoccupata di prendere l’acqua, dopo l’incontro con Gesù va in città e si dimentica persino del contenitore così importante, che le serve per attingere al pozzo. Questo incontro con Gesù, le ha cambiato la vita, e va in città ad annunciare cosa le è accaduto e chi le ha toccato il cuore, dissetando quel desiderio di felicità che da tanto cercava. Noi stessi abbiamo la grazia di questo incontro nel nostro battesimo e in questo momento nel sacramento dell’eucarestia, ma abbiamo bisogno di andare in profondità, per gustare la grazia di essere adesso a questo pozzo che è l’Eucarestia, ed essere dissetati del Signore stesso che è l’acqua viva. In un passaggio del vangelo di Giovanni Gesù dice: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me.” (7,37) Per approfondire, faccio riferimento ad un opera d’arte contemporanea, un mosaico che rappresenta questo vangelo e si trova nella cappella dei Padri Dehoniani a Capiago in provincia di Como, un centro di spiritualità. La Samaritana è ritratta al pozzo con Gesù e ha ai suoi piedi una brocca che in realtà è un urna funeraria e rappresenta la morte che la Samaritana ha vissuto nei 5 mariti e nella sua morte personale. Il pozzo è pieno di sabbia, per sottolineare che lei andava ad attingere ormai da un pozzo di morte, un pozzo secco che non disseta. E’ forse anche la nostra esperienza, quando cerchiamo un senso nella vita allontanandoci dall’acqua viva che è Gesù. Al lato c’è Gesù,  che ha in mano un anfora che è appoggiata al suo cuore, a quella ferita del costato da cui esce la sangue ed acqua, segno dei sacramenti che continuano a diffondere nelle anime la vita divina e le dissetano per la vita eterna. Gesù poi è avvolto da un manto azzurro che avvolge anche la Samaritana. Azzurro come l’acqua: è Lui l’acqua viva che ci disseta, che dà senso alla nostra vita e apre la via del cielo. La Samaritana ha la sua brocca come caduta ai suoi piedi, ora non è più lei a dover attingere l’acqua di morte ma, è Cristo-Vivente a dissetarla.

2.Vorrei annotare che Gesù nel dialogo con questa donna, si imbatte in diversi fraintendimenti, per scavare ne profondo dell’umanità di questa donna. Si parla di acqua materiale, e Gesù conduce questa donna a un’altra acqua che dista per la vita eterna. Si pala del culto a Dio in un luogo fisico, e Gesù conduce a lodare e a rendere culto a Dio in spirito e verità. Infine Gesù porta questa donna a presentare la sua vera vita e non a nasconderla. Coi fraintendimenti Gesù conduce alla fede.

3.Infine consideriamo il Battesimo che abbiamo ricevuto. E’ quella la sorgente da cui attingere. Lì il Signore ha posto se stesso con il suo Spirito in noi. E’ da lì che dobbiamo ogni giorno attingere acqua viva. Consiglio di tenere un po’ di acqua santa in casa, non per usarla come gesto magico, ma per fare ogni giorno memoria del nostro Battesimo, tracciando su di noi lo stesso segno della Croce, che ci ha immersi nella morte di Gesù e ci ha fatto riemergere con la sua risurrezione. Nella liturgia delle ambrosiana (sul foglio il perdono invito a mettere l’applicazione su telefonino) nella preghiera serale del vespero, c’è sempre dopo il Magnificat, la commemorazione del battesimo. Vorrei terminare con una di quelle preghiere molto antiche e profonde: “col dono del battesimo ogni vecchiezza è vinta, in ogni età la gioventù fiorisce” poi la preghiera conclude: “I tuoi figli rinnovati al fonte battesimale custodiscano con cuore fedele la grazia dello Spirito Santo e ogni giorno la inverino nella vita con opere di giustizia”.

Domenica I  di  QUARESIMA   A          26 Febbraio 2023

1.”Fu condotto nel deserto per essere tentato dal diavolo” Carissimi, anche noi come Gesù, siamo condotti dallo Spirito Santo nel deserto della Quaresima, un tempo favorevole, propizio, per riprendere in mano la nostra vita, e lasciarci condurre alla Pasqua di Gesù, che può raggiungerci e rinnovarci. La lettera di Giacomo si esprime così: “ Beato l’uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promesso a quelli che lo amano”(1,12). La tentazione non è ancora peccato, ma ne è l’anticamera. La tentazione verso il male e il peccato, è ispirata da Satana, dal nostro egoismo, dal contesto in cui si vive. Gesù, alle tre tentazioni, risponde con la Parola di Dio, non strumentalizzandola, come fa il demonio, ma esprimendola nella sua purezza e nella sua scomodità. Anche noi, siamo tentati da mattina a sera, da infinite tentazioni. In questo tempo particolare, la tentazione di sfiducia, di rassegnazione, di negatività verso la vita e soprattutto verso Dio, attanaglia il nostro cuore. Per tutto questo, ci domandiamo se vale la pena credere, perché Dio non interviene con un miracolo, perché nonostante la tanta preghiera per la pace, siamo ancora in piena guerra e tanto altro. La quaresima, è il momento in cui siamo chiamati a marcare, a segnare le nostre distanze dal Signore, ad avere il coraggio di dire a noi stessi, che la tentazione che subiamo di più in questo momento, è questa o quest’altra… Scopriamo dalle tre tentazioni di Gesù, che c’è in gioco la proposta di Satana, di presentare un messianismo diverso da quello che Dio Padre ha voluto per il suo Figlio. Un modo di essere Dio che elimina la croce, che non si dona fino alla fine. Questo ci fa dire, che tutte le tentazioni che subiamo, ci portano lontani dal disegno di Dio che ci vuole come il suo Figlio Gesù: uniti a Lui con una solida preghiera, che abbia molto spazio all’ascolto della sua Parola e la dedicazione agli altri nell’amore fraterno. Il demonio, ci rinchiude in noi stessi, fino al punto che i bisogni degli altri, diventano un fastidio e non una opportunità di carità e di crescita nell’amore

2.Vorrei ricordare la medicina della Confessione frequente e l’esame di coscienza serale. Tra i sacramenti più belli, ma più difficili, c’è il sacramento del perdono. Molte volte, il colloquio spirituale nel sacramento, ci aiuta a comprendere i punti deboli dove siamo tentati dal demonio. Con l’assoluzione sacramentale e il proposito, riceviamo energia nuova per ricominciare. Siamo invitati a credere nella potenza di Dio, che mediante questo sacramento, risuscita ogni volta le nostre anime, attraverso il ministro della Chiesa, e le rende più forti nella battaglia contro il male. Darsi una regola personale per questo sacramento, ci aiuta molto a non dilazionare troppo questo atto di Cristo, che ci raggiunge col suo perdono. Vale la pena però, recuperare l’esame di coscienza serale a partire dalla Parola di Dio che la Chiesa ascolta ogni giorno. In questa quaresima, suggerisco a tutti di leggere quella parte del discorso della montagna che ascolteremo ogni giorno nella Messa. Da questa lettura, scaturisca l’esame della nostra giornata e della nostra vita, per comprendere la direzione verso la quale il Signore vuole condurci. Infatti oggi Gesù ci dice: “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

 Febbraio  2023   ultima dopo l’EPIFANIA detta “del PERDONO”   A

1.“Facciamo festa perché questo mio figlio è ritornato in vita” Carissimi, partiamo dalla fine della parabola, per focalizzare il nostro sguardo sul padre. A una settimana dalla quaresima, viviamo la domenica del perdono. Noi dovremmo esserne esperti, siamo la città del Perdono, il perdono è a Melegnano, dicono molti milanesi. Ma un conto è la tradizione, è facile scrivere sui cartelli “Melegnano città del perdono”, ma vivere e donare il perdono, è la cosa più difficile. Salvo l’accogliere il dono del volto di Dio, che si specchia in questo padre della parabola. “Facciamo festa”, così il padre interrompe il figlio che sta confessando le sue colpe. Qui non c’è un padre offeso e risentito che la fa pagare al figlio, ma un papà che abbraccia questo figlio che lo vede da lontano, che lo attendeva tutti i giorni. Papa Francesco, a proposito di questo atteggiamento del padre, richiama la tenerezza di Dio per noi, dove la sua misericordia è traboccante, è di una gioia incontenibile. L’abbraccio e il bacio a questo figlio, ci fanno capire che per il padre, quel figlio è rimasto sempre figlio. Questo è molto importante per noi, perché Gesù ci dice che l’Amore del Padre, che ci vede sempre come figli e figlie, non dipende dai nostri meriti o dalle azioni che compiamo, ma è un dono del cuore di questo nostro Dio che è padre. Il papa dice “neppure il demonio può toglierci questa dignità di essere figli”.  Questo ci incoraggia a non disperare mai nella vita, perché siamo infinitamente amati dal Padre, anche se ci allontaniamo da lui. Questo vale per tutti noi quando ci sentiamo sbagliati, quando pensiamo di aver buttato via la vita, o addirittura vediamo smarrirsi un figlio, rompersi una famiglia…Siamo figli amati, non dimentichiamolo!

2.Dopo aver contemplato questo dolce Padre, osserviamo il secondo figlio. Anche lui, come il primo, non ha vissuto da figlio, ma da esecutore, quasi schiavo, non considera di avere un fratello, perché non ha mai sperimentato la misericordia e l’amore del Padre. Un figlio questo, apparentemente integerrimo ma in realtà senza gioia. Questo altro figlio è dentro in ciascuno di noi, quando ci sentiamo giusti,  precisi nei nostri doveri, integerrimi nell’osservare i comandamenti, ma tutto questo è fatto per dovere e non come risposta d’amore al Padre. Anche noi abbiamo bisogno, come il secondo figlio, di sperimentare la misericordia del padre, di ricevere la gratuità dell’amore di Dio, che ci aiuta ad abbandonare la logica di chi si lamenta perché non viene ricompensato. Se accogliamo questo amore misericordioso, ritorniamo ad essere fratelli, facciamo festa per chi, dopo essersi perduto, è ritornato. In fondo, qual è la gioia più grande di un genitore? E’ quella di vedere che i figli si vogliono bene, sono veramente fratelli e sorelle. Ma questo dipende dalla loro capacità di accogliere l’amore gratuito dei genitori, vincendo quell’attaccamento al proprio io, che li fa diventare o dei mercenari, come il secondo figlio, oppure delle persone perennemente in fuga, alla ricerca di gratificazioni che prima o poi, non arrivando, fanno abbandonare la logica dell’amore gratuito. La parabola non ci dice cosa fa in seguito il secondo figlio, e questo è uno stimolo per noi, perché si apre un cammino per ciascuno, un itinerario che ci conduce al cuore del Padre, il nostro Dio, ricco di misericordia e perdono. Questo, ci permetterà di recuperare i legami fraterni, per essere misericordiosi come il Padre.

Domenica 12 Febbraio 2023  penultima dopo l’Epifania detta “della divina clemenza”  A

1.”Gesù si chinò ”. Carissimi, mancano due settimane alla Santa Quaresima e la liturgia ambrosiana ci prepara a questo momento centrale dell’anno liturgico, con la domenica della “divina clemenza” oggi, e quella del perdono, domenica prossima. Lo sguardo all’episodio dell’adultera, è rivolto a Gesù, rivelatore del volto del Padre. Davanti a questi perfidi scribi e farisei che lo vogliono “incastrare”, sfruttando la situazione di peccato di questa donna, Gesù compie due gesti: si china e sta in silenzio. In pratica, Gesù si avvicina a questa donna umiliata davanti a tutti, pur avendo commesso un peccato punibile con la lapidazione secondo la legge di Mosè, si avvicina chinandosi a terra e non pronuncia giudizi, ma tace. La grazia di questo incontro, ci comunica lo stile di Dio che è quello della clemenza, del comunicarci che ci ama, anche quando siamo colti dal peccato, “sorpresi in adulterio”. Il nostro incontro oggi nella Santa Messa, è la contemplazione di questa bontà e misericordia di Gesù, che non giudica il peccatore, ma gli si fa vicino. A chi giudica, Gesù pronuncia la famosa sentenza che è diventata universale: “chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei”.  Questo ci fa capire che quella donna che ha tradito il marito, siamo tutti noi. Chi di noi è senza peccato? Pur ritenendoci persone buone oneste, chi di noi è fedele sempre al Signore e all’amore ai fratelli? Nella categoria di chi tradisce il proprio coniuge, non ci sono poche persone! Quindi la clemenza del Signore sta con la capacità di rendersi conto dei nostri peccati, che peraltro non scandalizzano il Signore. “Guardati bene dal giudicare gli altri, ci dice Gesù, perché anche tu non sei da meno”.

2.Colpisce però il tipo di clemenza che Gesù usa nei confronti di questa donna senza nome: “Nessuno ti ha condannata..va e d’ora in poi non peccare più”. Questo monito di Gesù, ci aiuta a sbarazzarci di un concetto di misericordia divina, che si avvicina alla stupide ria, al buonismo. La misericordia di Dio, non è un colpo di spugna che disimpegna la libertà dell’uomo. La clemenza del Signore, è un esempio concreto di come si deve guardare al peccato e al peccatore: il peccato va condannato, il peccatore è amato e proprio per questo è spronato, con il dono della grazia divina, a cambiare vita….E’ sbagliata la concezione della misericordia divina, come qualcosa che permette di sbagliata mille volte, senza un minimo di impegno personale. L’esempio dell’adultera, ci dice che nessuna confessione può finire senza un proposito, altrimenti quella misericordia è data per nulla. Fare un proposito davanti al Signore, significa riconoscere che la sua misericordia è il motore di ogni cambiamento. La pedagogia della quaresima potrà in questo senso aiutarci.

3.Vorrrei concludere ricordando che questa scena evangelica è una delle più rappresentate nelle opere d’arte. Ne vorrei citare una del famoso pittore Tiziano Vecellio. Questo artista ha dedicato particolare interesse alla donna adultera e nel 1511 circa realizza un dipinto che si trova attualmente nel museo di Vienna, con una particolare interpretazione della scena, poiché i personaggi sono raffigurati con costumi propri dell’epoca, allo scopo di attualizzare l’episodio. Ma nel 1515 termina un secondo dipinto, in cui la donna è stretta tra i suoi accusatori: numerose mani sono su di lei; ella è afferrata e quasi serrata, senza alcuna possibilità di uscita. Tutti, eccetto lei, sono volti verso Gesù in attesa della sentenza; qui l’artista ha creato un gioco di sguardi: allo sguardo di tutti rivolto a Cristo, si contrappone il Suo sguardo verso la donna, che è ripiegata su se stessa, in un tentativo forse di presa di coscienza del proprio peccato e della propria dignità.

Che lo sguardo clemente e misericordioso di Cristo, attraversi sempre i nostri occhi, per poter guardare gli altri con la stessa intensità.

Febbraio  2023   V dopo l’EPIFANIA   A           45ma Giornata per la vita

1.“Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto”. Carissimi, la nostra preghiera oggi si arricchisce della testimonianza di quest’uomo pagano, funzionario del re Erode Antipa, che da Cafarnao percorre più di un giorno di cammino (26 chilometri) per raggiungere Cana di Galilea, dove si trova Gesù, per chiedere la guarigione del figlio malato gravemente. Ciò che colpisce, è la fede di quest’uomo, che accetta la semplice parola di Gesù: tuo figlio vive”. Il vangelo annota: “Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino”. La potenza della Parola di Gesù ridona la vita e la salute a questo ragazzo. E’ una sorta di miracolo a distanza. Possiamo proprio dire che è questa fede che Gesù  attende da noi: una fiducia totale nella sua Parola, nelle sue promesse, nel fatto della sua Pasqua che si salva. Pensiamo solo, per fare un esempio, al dono della vita eterna dopo la morte. Gesù risorto, ci ha detto che dopo la morte ci attende la vita eterna; ma quanti di noi sono fermi al dubbio, non credono totalmente? Entrando profondamente in questo episodio, osserviamo come la parola di Gesù genera la vita, restituisce alla vita questo ragazzo. Avviene  sempre così: se accogliamo tutta la parola di Gesù nel Vangelo, noi viviamo. Si, viviamo in pienezza la nostra esistenza, e diventiamo non solo difensori del dono della vita umana, ma addirittura guaritori della vita interiore di noi stessi e degli altri.

2.Questa realtà, ci aiuta a entrare in sintonia con la 45ma giornata nazionale per la vita, che oggi è richiamata in tutte le parrocchie d’Italia da noi stri vescovi. Il loro messaggio, ha un titolo provocatorio: “La morte non è mai una soluzione”. La sacralità della vita, l’educare le giovani generazioni al rispetto della propria vita e di quella degli altri, sembra smarrito soprattutto nella cronaca quotidiana. Certo, non siamo a livello degli Stati uniti d’America, dove è normale accedere alle armi, che poi vengono usate per sopprimere la vita degli altri, però anche da noi certi avvenimenti che ci informano sulla facilità nel togliersi la vita e dell’uccidere chi magari ha semplicemente detto una parola fuori posto, ci fanno riflettere. Ci domandiamo: che valore ha la vita? Quanto noi adulti ci impegniamo a educare i bambini e gli adolescenti al rispetto della vita altrui?  Eutanasia, aborto, sono segni di una deriva sociale, che propaga la morte e non la vita. Dare la morte non è mai una soluzione . Dare la vita, favorire la vita, implica un amore, una donazione più grande, un mettersi al servizio della creatura che nascerà e della persona che ha bisogno della cura, della nostra vicinanza e dedizione. Scrivono i nostri vescovi: “L’esistenza di ciascuno resta unica e inestimabile in ogni fase”

3.Ripenso all’amore di questo padre nel vangelo di oggi, e lo vedo come esempio di fede e di amore alla vita. La conversione che ne segue, sua e dell’intera famiglia, ci comunica il vero miracolo che porta alla vita vera. La famiglia di questo uomo pagano, funzionario del re, vive la beatitudine della fede. In particolare il capo famiglia, ribalta il rimprovero di Gesù non ha tanto fatto a lui ma a tutti coloro che aspettano a credere perché vogliono prima vedere. “Se non vedete segni e prodigi voi non vedete”. Queste parole, si ribaltano dopo l’atto di fiducia nella Parola di Cristo, perché diventano la beatitudine della fede, che Gesù elogia dopo l’episodio di San Tommaso al capitolo 20 del vangelo di Giovanni: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29)…Domandiamoci: com’è la mia fede? E’ totale fiducia nella parola di Gesù? Quanto la mia fede produce una difesa del valore di ogni esistenza umana?

Domenica 26 Gennaio  2023   Festa della Sacra Famiglia   A

1.” I miei occhi han visto la tua salvezza”. Carissimi, ci lasciamo ispirare dalle bellissime parole di preghiera del santo vecchio Simeone, che prendendo tra le braccia Gesù bambino, ci comunicano la gioia di una attesa che è giunta al suo compimento. Una gioia e un compimento che vorremmo sia oggi in tutte le famiglie, a imitazione della santa famiglia di Nazareth. La sorpresa di Maria e Giuseppe, è l’inizio di una consapevolezza che col tempo si salderà in loro: quel Figlio non è loro proprietà, ma è affidato alle loro cure perché possa a poco a poco, portare avanti la sua missione di Salvatore dell’umanità. Maria e Giuseppe sono genitori onesti, ubbidienti alla legge ebraica, ma già da subito, con questo bambino di 40 giorni, si accorgono che c’è un progetto a cui devono collaborare, quello che Maria aveva udito dall’angelo il giorno dell’annuncio. Questi santi genitori si mettono al servizio di questo progetto,  pur non capendo sempre il senso di ciò che accade. Sono nell’ ubbidienza di un cammino che è quello divino, vi collaborano fino in fondo. Pensando alle nostre famiglie, mi domando quanti genitori si pongono così davanti ai loro figli. Ad esempio quanti pregano per la vocazione dei figli, quanti hanno la percezione che i figli sono prestati alla cura dei genitori, ma poi devono seguire un progetto che è il loro, quello della volontà del Signore. 

2.E’ bello questo offrire di Maria e di Giuseppe al Signore il loro figlio, come prescrive la legge, ed è bello che ogni genitore faccia così dal primo giorno di nascita all’ultimo. Vi devo confessare che, ascoltando in questi anni molte storie di vocazioni sacerdotali e consacrate, capita a preti e suore di scoprire in età adulta che, le loro mamme, hanno fatto come Maria. Il giorno della nascita dei loro figli, li hanno offerti al Signore, perché li chiamasse alla vita consacrata. Le vocazioni nascono anche così: da cuori di genitori che  sanno, che ogni figlio e figlia è dono di Dio, non è proprietà privata. Pertanto, la gratitudine per una vita che sorge, è anche quella di offrirla totalmente al servizio del Signore. Sono capaci oggi le mamme e i papà di fare così? Cosa sognano i nonni per i loro nipoti? Sanno nonni e genitore offrire totalmente al Signore i loro figli e figlie? I genitori e i nonni, stimano ancora la vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata?

3.Ritorniamo al vecchio e fedele Simeone che competa il suo cantico dicendo di Gesù bambino: “Luce per rivelarti alle genti”. Questo stesso brano ascolteremo nella bella festa di giovedì 2 febbraio, presentazione al tempio di Gesù, festa chiamata dell’incontro, che già nei primi secoli a Roma e a Gerusalemme, iniziava con la benedizione e la processione delle candele accese, simbolo di Cristo e della Chiesa che cammina nella storia con la fiaccola della fede. Simeone, consegna a tutte le famiglie, il segreto e l’essenziale della vita: avere trovato Gesù, avvicinarlo al suo cuore e contenerlo per sempre. Simeone da una vita aspettava questo incontro e lo Spirito Santo lo ha guidato a riconoscere in quel Bambino di 40 giorni, il Salvatore, il Dio fatto uomo. Per chi conosce la musica classica la cantata di Bach che si intitola “questo mi basta”, la musica accompagna in tedesco le parole, in italiano suonano così: “Questo mi basta! L’ho visto, la mia fede ha impresso Gesù nel mio cuore”. Bach mette sulle labbra di Simeone queste parole. E’ l’invito a tutte le famiglie a tornare a Cristo per educare all’essenziale della vita, che sostiene una vita intera nella famiglia stessa. Che questa luce che è Cristo Salvatore, possa penetrare nella stanza più profonda di ogni componente della famiglia, perché l’esercizio quotidiano del volersi bene, prenda le mosse dal suo amore che sa donarsi fino alla fine, sa perdonare, sa accogliere e promuovere, sa sempre aiutare a ricominciare.

 

Domenica 22 Gennaio 2023  III DOPO L’EPIFANIA   A

 1.“Gesù Cristo da ricco che era si è fatto povero per voi”. Carissimi, l’espressione di Paolo nell’epistola tratta dalla seconda Corinzi, ci riporta al cuore del Mistero dell’incarnazione di Dio. Gesù si è spogliato delle prerogative divine, pur restando Dio,  si è fatto uomo per arricchire noi. Questa sua rinuncia, che si attua nel Mistero Pasquale, ci ha arricchito del dono più grande: la salvezza, il senso da dare alla vita. Sull’esempio di Gesù, ogni cristiano sa che è col dono di sé che si realizza, imitando la carità di Cristo, il suo amore. Paolo invita la comunità di Corinto alla generosità verso la Chiesa Madre di Gerusalemme, verso la quale organizza una colletta in tutte le comunità ecclesiali. Ma da dove nasce questa generosità nel cuore di un credente? E che differenza c’è tra il bene che fa un cristiano e quello di un filantropo, di una persona che pur non credendo, si adopera per gli altri? La risposta la troviamo nell’Epifania della moltiplicazione dei pani e dei pesci nella versione di Luca. Cosa fa Gesù per tutta questa gente? Chiede ai suoi discepoli di dar loro da mangiare. Abbiamo sentito che i discepoli li vogliono mandar via: “Congeda la folla”, dicono a Gesù. Ma il Signore Gesù vede questa occasione come un dono, per invitare al miracolo della condivisione dei 5       pani e due pesci. Il primo gesto da fare è quello di condividere, di mettere nelle mani del Signore ciò che siamo, ciò che abbiamo. Nelle mani del Signore quei pani e quei pesci, si moltiplicano e ne avanza. Ecco, un cristiano ha il Signore come motivazione di fondo per muovere passi di solidarietà e di dono di sé agli altri. Si, perché quel pane moltiplicato, è Gesù stesso che pone in atto un segno di quello che sarà il suo corpo donato per noi nell’Eucarestia. Gesù, in quel pane, si mostra a noi come dono totale d’amore, ci sentiamo uniti e abbracciati per quell’unica comunione che riceviamo con Lui, e in questo senso formiamo un unico corpo con Lui. Allora come si può sottrarsi al bisogno degli altri che sono parte de corpo di Cristo? Ecco il motivo della carità cristiana: l’amore di Cristo che si dona a noi in quel pane moltiplicato. Anche noi siamo invitati a imitarlo.

  1. Ricordiamo che questo miracolo, nasce dalla condivisione di quel poco che i discepoli avevano. Siamo invitati ad esaminarci sulla nostra generosità verso i bisogni degli altri. Siamo invitati a domandarci quanto, per il Signore che riceviamo nell’Eucarestia, il nostro cuore si allarga verso chi ha bisogno, verso la nostra comunità, nel sovvenire alle sue necessità. Penso anche al sovvenire alle necessità della Chiesa: diamo valore al gesto dell’elemosina fatto nella Messa, perché anche questo è segno di condivisione. Oltre a questo domandiamoci se combattiamo la cultura individualista che respiriamo ogni giorno, oppure ci adeguiamo. E ancora, come educhiamo i bambini e i ragazzi alla carità, allo sguardo nei confronti di chi ha bisogno. Che scelte facciamo come famiglia, quando arrivano le feste del Natale dei compleanni e di altro: cogliamo queste occasioni per fare gesti di generosità verso i poveri? Ecco, vedete questa epifania di Gesù nei pani che si moltiplicano, dice il cuore della Chiesa, di noi suoi discepoli: persone simili al loro Maestro, che non congedano quelli che han bisogno, che non pensano a stare bene da soli, ma hanno un cuore, un volto, delle mani aperte alla condivisione, sull’esempio di Gesù.

Concludo: nel luogo dove la tradizione dice sia avvenuto questo miracolo, Tabga sul lago di Tiberiade, è stata costruita una chiesa e i primi cristiani hanno elaborato un mosaico con due pesci e quattro pani. Vedendolo, ci si domanda perché 4 e non 5 come dice il vangelo? La risposta è semplice: il mosaico si trova ai piedi del tabernacolo : è il corpo di Cristo il quinto pane, quello che è il motore, la motivazione della carità, della solidarietà dei discepoli di Gesù.

Domenica 15 Gennaio  2023  II dopo L’EPIFANIA   A

1. Fu invitato alle nozze anche Gesù”. Carissimi, l’epifania delle nozze di Cana, si collega al Natale che abbiamo appena celebrato. Gesù, Dio fatto uomo, con la sua incarnazione, sposa la nostra umanità, diventa tutt’uno con noi. Questo matrimonio di Cana, è quanto mai simbolico delle conseguenze positive che il Natale di Gesù porta in noi e a tutta l’umanità. Dio ha creato l’uomo e non lo abbandona, col suo Figlio unito alla nostra carne mortale, vengono congiunti i due opposti: lo spirito e la materia, il cielo e la terra, l’uomo e Dio, l’acqua e il vino. Il Natale del Figlio di Dio, ha unito per sempre la nostra umanità alla sua, come avviene nel matrimonio, nell’unione di due opposti: l’uomo e la donna, che però sono complementari. Il filosofo danese Kierchegaard (1813-1855) ha descritto questo fatto in una fiaba di Natale molto semplice e significativa. C’è un re che vuole sposare una mendicante perché è innamorato di lei. Pensa a come fare perché quella ragazza non lo consideri un benefattore e lo senta sempre distante da lei. Arriva pensare di vestirsi da mendicante e non solo vestirsi, ma diventando realmente un mendicante, di modo che quella ragazza lo senta pari a lei. Ecco: Dio ha mostrato il suo amore per noi così per noi, si è fatto mendicante, bambino, perché non ci sentissimo troppo piccoli quando lui ci regala per sempre il suo amore divino. Ecco che nel segno di Cana tutto questo si rinnova!

2.”Non hanno vino”. Questa festa di nozze però non porta a termine tutte le sue promesse. L’amore non basta, non è sufficiente, finisce.  L’amore che finisce non è quello di Dio, ma il nostro. Nella vita quotidiana se degli sposi e nella metafora di Cana ciascuno di noi, pretendiamo di attingere il vino che mai finisce da solo noi stessi, ci sbagliamo. Il vino termina, l’uomo e la donna sono fragili. Quando nella vita di una persona manca l’amore divino, tutto diventa pesante e la fatica prima o poi prevale su tutto. I sei otri che vengono riempiti d’acqua per la purificazione, sono un numero imperfetto che richiamano al settimo otre che è il Cuore di Gesù, aperto sulla croce che riversa l’amore di Dio sugli esseri umani, per celebrare con loro le nozze eterne.   Ecco il punto di questo episodio, che è il primo segno che Gesù compie: si tratta di rendersi conto dell’acqua della nostra vita…Anche nel linguaggio semplice si dice “fa acqua da tutte le parti”. Riconoscere e farsi aiutare a riconoscere dove facciamo acqua. Pensiamo all’importanza di Maria in questo episodio. E’ lei che si accorge che c’è qualcosa che non va e lo riferisce. Molte volte è così anche per noi. Ci vuole un vero amico, una persona che ci vuole bene, che faccia notare che abbiamo bisogno di aiuto. Il passo importante è quello di consegnare la nostra acqua al Signore, perché da quell’acqua, dalle nostre fragilità, possiamo scoprire che l’Amore del Signore li sovrasta, va oltre ed è sempre più forte delle nostre fatiche. La nostalgia più profonda che si trova in ciascuno di noi, è quella di essere amati e amare. Allora occorre sempre bere il vino nuovo dell’amore di Cristo. Un vino che non fa ubriacare, ma come diceva Sant’Ambrogio, produce la “sobria ebbrezza dello Spirito”. Dà nuovo slancio per andare avanti. Questa Santa Messa, che è l’autentico momento in cui Cristo sposa la nostra umanità, possa essere quel dono che a Cana viene prodotto a dismisura: il vino nuovo dello Spirito Santo.

Domenica 8 Gennaio  2023  BATTESIMO DEL SIGNORE  A

1.“Conviene che adempiamo ogni giustizia”. Carissimi, il Padre Dio, vuole che il suo Figlio sia battezzato da Giovanni, per mostrare (epifania) il suo vero volto: un volto umile, che è vicino ai peccatori, che non abbandona l’uomo nel baratro del suo nulla, ma si fa compagno di viaggio, si mette in fila coi peccatori. E’ comprensibile la perplessità di Giovanni Battista, che non vuole battezzare Gesù: questo perché il Battesimo di Giovanni era per i peccatori, perché con la loro conversione il bagno nel Giordano lavasse i lori peccati. Ma Gesù non aveva peccati! Gesù insiste, perché questo è il piano del Padre su di Lui: che mostri il volto vero di Dio, quello del perdono, della salvezza, della misericordia. Al Battesimo di Gesù, abbiamo l’Epifania (manifestazione) della Trinità. Il trascendente mistero di Dio, si rivela nell’immersione nell’acqua del Figlio Gesù. Lo Spirito Santo discende e il Padre parla, si manifesta con la sua compiacenza, comunicando l’essenza del Mistero trinitario: l’amore, il compiacimento. Interiorizziamo questo volto così vicino di Dio per noi,  contempliamolo nella realtà del sacramento dell’Eucarestia, perché avviene la stessa cosa: lo Spirito discende, il Cristo si fa presente nel suo corpo e nel suo sangue,  il Padre ci dona suo Figlio, l’Amato, perché la nostra strada nella vita sia accompagnata da Lui.

2.”Oggi l’acqua genera Figli di Dio destinati alla vita eterna”. (così il prefazio). Se quella del Battesimo è l’Epifania di Dio per noi, il nostro Battesimo è la nostra Epifania personale del Mistero trinitario in noi. La liturgia di oggi, ci porta a questo evento sorgivo, dove il Mistero divino è entrato in noi con quell’acqua impregnata di Spirito Santo. Da quel giorno, non siamo solo creature umane, ma in noi scorre la vita divina del Risorto e c’è un legame che tutti ci unisce: la Chiesa ed è tolto il peccato di origine. Il Battesimo è come la radice di un albero nella terra: se manca, non cresce nulla e mai arriveranno i frutti. Oggi ci è chiesto di recuperare il nostro Battesimo come la dignità e l’identità che ci contraddistingue, prima di ogni altro titolo umano. Col Battesimo, noi siamo del Signore, gli apparteniamo. Egli ci ha dato una missione specifica da svolgere su questa terra, finché lo vorrà. Papa Francesco ha detto sul Battesimo : “Il Battesimo, permette a Cristo di vivere in noi e a noi di vivere uniti a lui, per collaborare nella Chiesa, ciascuno secondo la propria condizione, alla trasformazione del mondo”.  …Continua: “Sono sicuro, sicurissimo che tutti noi ricordiamo la data della nostra nascita. Ma mi domando io,  domando a voi: ognuno di voi ricorda qual’é stata la data del suo Battesimo? Alcuni dicono di sì, bene, ma è un “sì” un po’ debole, forse tanti non ricordano… ma se noi festeggiamo il giorno della nascita, come non festeggiare, almeno ricordare, il giorno della rinascita. Vi darò un compito a casa: coloro che non si ricordano la data del battesimo, domandate alla mamma, agli zii, ai nipoti: tu sai qual è la data del Battesimo? E non dimenticarla mai, e quel giorno ringraziare il Signore perché è il giorno in cui lo Spirito Santo è entrato in me. Tutti dobbiamo sapere la data del nostro Battesimo è un altro compleanno, è il compleanno della rinascita».

Mi domando: come cercare oggi di raggiungere quei numerosi genitori che non battezzano i bambini? Questo problema dipende dai genitori, ma dipende anche da noi, che dobbiamo essere missionari nei loro confronti. I genitori hanno una fede debole, pertanto la comunità cristiana è chiamata a diventare missionaria nei loro confronti. In parallelo, alla carenza di nascite oggi, la Chiesa in occidente patisce la carenza di Battesimi. Ciò che però preoccupa di più, è l’accompagnamento delle famiglie dopo il Battesimo. Ecco che l’Epifania del Battesimo di Gesù, diventa epifania della Chiesa, chiamata alla conversione missionaria della sua pastorale. Questo per non correre il rischio di avere i tesori della salvezza e tenerli per sé.

Giovedì 6 Gennaio  2023  EPIFANIA   A

1.”Per un ‘altra strada fecero ritorno al loro paese”. Carissimi, l’esperienza dei Santi Magi nel loro viaggio alla grotta di Betlemme, è il simbolo della nostra vita di credenti. Quante volte ci siamo messi alla ricerca di Dio, pensando di trovarlo là dove noi lo avremmo collocato! Invece Betlemme, il Bambino Gesù, la stalla, la mangiatoia, spiazzano questi nostri criteri a volte troppo mondani. Dio si fa trovare nel Bambino di Betlemme, si manifesta nella fragilità della sua carne mortale, nel nascondimento di una grotta adibita a stalla per gli animali. I Magi, segno di tutti gli uomini del mondo, intraprendono il viaggio più importante della loro vita, guidati da una stella. Con molti ostacoli, tra cui Erode che vuole sfruttarli per trovare questo bambino per eliminarlo, raggiungono la meta, si prostrano, adorano il Bambino e offrono i loro doni: oro ,incenso e mirra. Poi cambiano strada e tornano al loro paese. Non vi pare che questi movimenti dicano chiaramente cosa è la nostra vita? Ci sono dei segni nella vita che ci portano a trovare Dio, ma spesso noi li eludiamo, perché ci pare strano che questi segni siano una stella, una capanna, una stalla, un bambino. I Magi ci insegnano che Dio si fa trovare nei segni poveri, quotidiani, umanamente insignificanti. C’è un elemento però in questa ricerca che è importante e sono gli altri, le persone che camminano con noi, che viaggiano con noi. La ricerca di Dio è certo personale, ma necessita degli altri, della fede degli altri. Questo corpo di Cristo che è anche la stella che guida, è la Chiesa che siamo noi: il santo popolo di Dio. Una stella che a volte si spegne, perché in essa c’è la santità ma anche il peccato. Questa stella che non brilla di luce propria, ma della luce di Dio. “La gloria del Signore brilla sopra di te”, come abbiamo udito da Isaia. Fatti, avvenimenti, persone, vita della comunità, l’esempio dei santi (sto pensando a papa Benedetto XVI) ci spronano a cercare il Signore, a fare esperienza non teorica ma concreta col Signore. Incontrare Gesù, vivere l’esperienza concreta dell’essere amati da Lui, accogliere il mistero Natalizio come un incontro che ci trasforma: questa è l’esperienza dei Magi, questa è la nostra esperienza. C’è in ciascun di noi un fuoco che arde e rappresenta il nostro incontro forte con Gesù, che ha segnato la nostra vita: a questo occorre tornare spesso, perché da quell’incontro tutto cambia.

2.”Per un ‘altra strada fecero ritorno al loro paese”. Cambiare strada è possibile? Certo è possibile, anzi è la conseguenza di questo incontro. Se l’incontro con Gesù non ci cambia la vita, allora c’è da dubitare che l’abbiamo incontrato. Voglio concludere sottolineando che per i Magi il cambio della strada non è solo una prudenza per non incontrare Erode, ma una necessità spirituale che dice la verità di questo incontro. E’ un cambiamento gioioso quello dei magi, perché hanno trovato la meta del loro cammino. Dunque, cambiare è possibile se lo facciamo a partire da questo incontro. Il Signore ci fa sempre intuire, nel segreto dell’incontro con Lui, che c’è sempre un’altra strada, che è possibile tornare sui propri passi, con l’aiuto di una comunità che ci sostiene e ci stima nel suo nome. Preghiamo il Signore, perché in fondo tutti veniamo da lontano, siamo lontani…Avviniamoci al Signore che abita la sua Chiesa, ed Egli si avvicinerà a noi…Riandiamo alla grande gioia degli incontri significativi con Lui nella nostra vita, e continuiamo a camminare nella fede, nella speranza, nella carità non avendo paura di cambiare strada.

 

Lunedì  1  GENNAIO  2023  Ottava del S.Natale nella Circoncisione del Signore. 56° Giornata mondiale della pace

1.“ Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace”.                  

Carissimi, inizia un nuovo anno, con tutti i problemi che l’anno precedente ha portato con sé. Quello che preoccupa tanto il papa e la Chiesa, è la mancanza di pace nel mondo. In questa 56ma giornata mondiale della pace, il messaggio di papa Francesco è molto concreto, perché si domanda: cosa ci ha lasciato l’esperienza dolorosa e tragica del Covid 19? La prospettiva non è lo sguardo sul negativo, ma su ciò che è motivo di speranza, poiché è questa virtù che manca all’umanità intera. La lezione del covid 19 è che tutti abbiamo bisogno degli altri e che il nostro tesoro più grande è la fratellanza umana. Su dove si appoggia questa fratellanza? Per i non credenti sull’appartenenza alla stessa umanità. Se vogliamo, il principio latino enunciato dal commediografo Terenzio: «Homo sum, humani nihil a me alienum puto»  «Sono un essere umano, niente di ciò ch’è umano ritengo estraneo a me» in parole più semplici: «Nulla che sia umano mi è estraneo». Per i credenti: siamo tutti figli dello stesso Padre e ancor più, se cristiani, siamo uniti dallo stesso Battesimo. Questa radice di fraternità universale, è fondamento della pace. Voi direte : ma queste cose le sapevamo già prima del Covid. E’ vero! Però l’esperienza di quell’isolamento e della sofferenza di chi ha perso una persona cara, ci hanno aiutato a riscoprire una solidarietà nuova, una considerazione dell’altro meno come nemico o antagonista, ma figlio della stessa umanità e creato da Dio. Oggi, da poco usciti da questo tunnel e ancora non del tutto (penso alle tante morti di questo periodo) sembra di essere tornati indietro. Regna tra le persone molta rabbia, rassegnazione, poca speranza, nervosismo e poca pazienza nell’accettarsi e aiutarsi, anche fra le mura domestiche. Dobbiamo invertire la rotta, ci scrive il papa, non dimenticare la lezione di quel periodo: siamo sulla stessa barca, nessuno si salva da solo. Per recuperare questa fraternità e imparare a ragionare a partire non solo da se stessi ma dalla collettività, dal bene comune, è necessario un “benefico ritorno all’umiltà” di quei giorni, così scrive il papa nel  messaggio per la giornata odierna. L’umiltà di quei giorni, quando ci siamo sentiti tutti più fragili, più vulnerabili, più mortali, meno onnipotenti. Quei sentimenti ci aiutino oggi a guardare noi stessi e gli altri con più umiltà e realismo…Siamo tutti fragili: basta un invisibile virus per annientare l’umanità! Su questo aspetto scrive il papa: “Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un “noi” aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune”. Non c’è, scrive il papa, un vaccino per fermare la guerra, ma è possibile bloccare con le nostre scelte il virus dell’individualismo, cercando di lasciarci attraversare di più nelle scelte personali, dal vangelo di Gesù, che non è certo una proposta individualista. Col pensiero e la preghiera al papa emerito Benedetto XVI di cui commossi piangiamo la scomparsa, vorrei concludere con una sua frase sulla pace, pronunciata nel 2008 in occasione del meeting sulla pace di Cipro: “La pace è un dono ed un compito. Tenete alta la fiaccola della pace”

 

Sabato – Domenica  24-25 Dicembre  2022  S.NATALE

”Pace in terra agli uomini amati dal Signore”. Carissimi, la nascita del Figlio di Dio che noi riviviamo nel Mistero Eucaristico, ci invita in questo anno così difficile a concentrarci sul dono che Egli viene a portare: la pace, la sua pace. Il canto degli angeli che i vangeli ci comunicano attorno alla grotta di Betlemme è esplicito e chiaro: Gesù nasce e la pace è il primo dono che si espande nel mondo. Questo stesso canto, unito a quello degli angeli, è l’inno di lode che la Chiesa, che noi, innalziamo al Creatore in ogni S.Messa e col canto del “Santo”, ci uniamo alla lode perenne che angeli e creature umane elevano a Dio che, per “noi uomini e per la nostra salvezza“ oggi si fa uomo. Nella Sacra Scrittura, sono due i termini ce denotano la pace: il primo nell’antico testamento in ebraico, suona con la parola “schalom” ed ha la stessa radice dell’arabo ”salam”. Nel nuovo testamento il termine greco è “eirene”. Pesate che schalom ricorre 215 volte e eirene 99. Dunque una realtà importante.  Già il termine schalom non è la semplice assenza di guerra, ma si intende l’armonia generale, il benessere che tocca tutti gli aspetti del vivere. Il filosofo ebreo Spinoza (1670) lo specifica scrivendo “Schalom è una virtù, uno stato d’animo che dispone alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia”. Questa specificazione, ci invita a comprendere meglio quello che Gesù dice nella settima beatitudine: “Beati gli artefici di pace perché saranno chiamati figli di Dio”. Il termine artefici, operatori, costruttori di pace, risuona in greco col termine “eironopoioi” che ha dentro il secondo termine che indica la pace “eirene”. Per comprenderlo, è necessario porsi davanti alla stalla di Betlemme, un luogo fisico dove è nato il Salvatore. La condizione fisica in cui Gesù nasce, dovrebbe comunicare in realtà tensione, lo scoraggiamento dei genitori per una nascita così degradante. In realtà è proprio lì che si trova la vera pace, così come alla stesso modo la si troverà sul calvario. La pace ha un nome, è quel Bambino: Dio Salvatore fatto uomo per noi. Per questo motivo, si è operatori di pace se si accoglie come dono divino la pace che è Gesù stesso. Questo perché la pace è uno degli attribuiti personali di Dio, che si estende a tutti coloro che lo accolgono. Già Isaia nei testi profetici in cui prefigurava la venuta del Messia, lo descriveva come “Principe della Pace” (9,5). La sua venuta vuole, ripristinare l’umanità com’era prima del peccato originale. Davanti a questo dono grande, il nostro animo si fa pensieroso, perché dopo tanti Natali, infiniti Natali, l’umanità è ancora in guerra. Non esiste guerra giusta, perché “la guerra è il massacro di milioni di persone che non si conoscono, nell’interesse di poche persone che si conoscono ma non si massacrano” (Louis Ferdinad Céline in “Viaggio al termine della notte”, 1932). Naturalmente pensiamo e preghiamo per l’Ucraina, ma non dimentichiamo gli altri più di cento conflitti piccoli o grandi che insanguinano la terra: Etiopia, Yemen, Sael, Nigeria, Afghanistan, Libano, Siria, Sudan, Haiti, Colombia, Myanmar. Nello stesso tempo pensiamo ai nostri piccoli conflitti, deponendo alla grotta del Santo Bambino, il proposito di accogliere Lui che è la nostra pace, Colui che sa abbattere i muri di divisione, perché è nato , morto e risorto per tutti. Certo, Lui va accolto ma soprattutto va imitato! Concludo con le parole forti di santa Madre Teresa di Calcutta, con quelle espressioni che chiama “i cinque chicchi di riso per sfamare l’anima”:

Il frutto del silenzio è la preghiera.
Il frutto della preghiera è la fede.
Il frutto della fede è l’amore.
Il frutto dell’amore è il servizio.
Il frutto del servizio è la pace.

Domenica 11 Dicembre 2022          V di Avvento A

1.”Doveva dare testimonianza alla luce”. Carissimi, nel giorno di Natale, ascolteremo il prologo di Giovanni che scrive “Veniva nel mondo la luce vera quella che illumina ogni uomo”. Giovanni Battista, il Precursore , oggi ci viene incontro come testimone di questa luce che è Cristo, e in modo concreto ci invita a prepararci ad accogliere Gesù in un Natale nuovo. Quale modo più bello e impegnativo per preparasi al S.Natale, che curare l’incontro con Cristo nel sacramento della Confessione? Vorrei suggerirvi di preparare bene questo momento, aiutati da Giovanni Battista. Anzitutto la Confessione  un sacramento,  cioè un incontro con Cristo vivo che ci abbraccia, ci illumina con la sua luce, perdona tutti i nostri peccati. La confessione non è un esame, ma un abbraccio di misericordia. La vera illuminazione con fuoco dello Spirito Santo, che brucia tutti i nostri peccati, è l’atto sacramentale dell’assoluzione “IO TI SSOLVO”. Sappiamo bene che quell’ ”IO” è Cristo stesso, che ci assolve con la luce della sua Pasqua. Ha appeso alla sua croce tutti i nostri peccati, e li ha sconfitti versando il suo sangue per noi. Io suggerisco di partire con la luce che Giovanni testimonia: cioè la confessione di Lode. Inizio la Confessione con un piccolo ringraziamento: “Di cosa ti ringrazio Signore? Quali i doni che la sua presenza ha elargito a me in questo tempo?”. 

“Non era lui la luce” così dice Giovanni Battista. Certo che occorre davanti al Signore, in modo umile e sincero, avere consapevolezza di se stessi: “Chi sono io? Quali sono i peccati che offendono il Signore? In quali luoghi interiori ed esterni la luce di Cristo non risplende in me?” Ci fa bene, come dice spesso papa Francesco, essere veri con noi stessi davanti al Signore. I peccati, sono soprattutto la mancanza di amore al prossimo, la lamentela, la tristezza, la malinconia. Tutti fattori che paralizzano gli slanci dello Spirito Santo in noi. Una buona confessione a Natale ci ritempra l’anima e dona leggerezza al cuore.

Infine,  il vangelo di oggi termina così: “Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”. Giovanni Battista è testimone che Gesù è veramente Dio fatto uomo, è la Grazia riversata sulla terra. Per questo la Confessione non può terminare solo con i nostri peccati che vengono assolti, ma l’assoluzione sacramentale ci dona la Grazia sacramentale, cioè il dono di Cristo presente e agente nel sacramento. Gesù, consegna se stesso a noi, perché con la sua presenza, col suo Spirito, noi possiamo agire bene. “Con la tua santa grazia” diciamo nell’antica preghiera del “O Gesù d’amore acceso”. Per questo, la confessione non è solo dichiarazione dei peccati e delle grazie ricevute, ma è anche confessione di fede nella Grazia del Signore, che opera in noi.

Termino con un pensiero di un santo del secolo scorso che viene incontro al pensiero di chi dice “io non mi confesso perché tanto non cambia nulla sono come prima”.

 Guarda che viscere di misericordia ha la giustizia di Dio! —Nei giudizi umani si castiga colui che confessa la propria colpa: nel giudizio divino, lo si perdona. Sia benedetto il santo Sacramento della Confessione! (Cammino n 309)

Giovedì 8 dicembre 2022  IMMACOLATA

1.”Il serpente mi ha ingannata”. Carissimi, in questa bellissima solennità dell’Immacolata concezione di Maria, siamo invitati a comprendere cosa è il peccato originale, che tocca tutti noi nella sua inclinazione al male. Eva, prototipo dell’umanità di sempre, così risponde a Dio che gli domanda il motivo per cui non ha accettato il limite creaturale da Lui posto: “il serpente mi ha ingannata ed io ho mangiato”. Il peccato è in sostanza un inganno del demonio, e un inganno è un falsare la realtà, presentandone una visione distorta, allettante al momento, ma dopo aver aderito, è qualcosa che distrugge l’umanità. Questo inganno, si prolunga nella vicenda di ciascuno di noi e ci allontana da Dio. Ma il brano di Genesi, non termina in modo negativo, perché pur ricevendo la punizione di Dio, i nostri progenitori, non vengono maledetti. Maledetto da Dio è il serpente. Inoltre Dio mostra che in futuro ci sarà una persona della stirpe umana, e più precisamente  una donna, che sarà insidiata nel calcagno dal serpente infernale, ma lei le schiaccerà la testa. Questa umanità nuova è rappresentata da Maria. Lei non si è lasciata ingannare dal demonio, ma nella sua libertà, ha conservato quell’immacolatezza che, fin dal grembo di sua madre, Dio l’aveva preservata. Maria Immacolata, ci dice che è possibile vincere il peccato che ci inganna, se entriamo nel grande progetto di Dio che si è attuato in Gesù.

2.Questo progetto grande di Dio sull’umanità dopo il peccato dei progenitori, è descritto molto bene nell’inno cristologico di Paolo agli Efesini, che abbiamo ascoltato. Vi invito a farlo vostro, per respirare aria fresca e pulita, in un orizzonte di salvezza. L’inno ci comunica che la venuta di Gesù vuole attuare il piano del Padre, che ci ha scelti prima della creazione del mondo, come ha scelto Maria, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità. Il padre ha un disegno d’amore e di salvezza su questa nostra umanità. Come ha fatto con Maria, così inviando cui suo Figlio, ci ha dato tutto e in Lui, vuole fare nuove tutte le cose…Maria è l’esempio di come ci vuole il Padre: “santi e immacolati nella carità”. Dice papa Francesco: Anche noi, come la Vergine immacolata, da sempre, siamo stati scelti da Dio per vivere una vita santa, libera dal peccato”. 

3.Come la “Piena di Grazia” ci è accanto in questo cammino? Come il suo essere Immacolata ci è di aiuto? Mi pare che in Maria noi ammiriamo la purezza non solo fisica, che è la sua vera bellezza, ma anche la rettitudine interiore. Maria, plasmata dalla Grazia, è una giovane donna tutta in Dio, tutta preghiera, tutta carità, tutta vangelo. Tutta dunque! Questa totalità di bellezza interore ed esteriore, emergere nel suo essere Madre di ciascuno di noi, madre della Chiesa, che il suo Figlio le ha affidato. Pertanto lei ci è accanto spingendoci a quella totalità di dono di noi stessi, che riempie il cuore di Dio e il cuore degli altri. Certamente siamo fragili, lei o sa, è la nostra mamma celeste, per questo faccio mie le parole di Papa Benedetto, che ci invitano a confidare nell’Immacolata, soprattutto quando il peccato ci allontana da Dio:

“Che gioia immensa avere per madre Maria Immacolata! Ogni volta che sperimentiamo la nostra fragilità e la suggestione del male, possiamo rivolgerci a Lei, e il nostro cuore riceve luce e conforto. Anche nelle prove della vita, nelle tempeste che fanno vacillare la fede e la speranza, pensiamo che siamo figli suoi e che le radici della nostra esistenza affondano nell’infinita grazia di Dio”.

 

Domenica 24 Novembre 2022  II AVVENTO A

1.“I figli del Regno”: nel secondo passo di Avvento, in preparazione al vero Natale cristiano, la liturgia ci invita a diventare figli di quel Regno che Gesù è venuto a portare. Il Battista nel vangelo, con un linguaggio forte, sprona a spianare le strade interiori del cuore, perché arrivando possa avere posto il Signore Gesù. Concretizza questo invito l’apostolo Paolo, nella lettera ai Romani che abbiamo ascoltato. In particolare questo messaggio:  “Dio…. vi conceda di avere nell’animo gli stessi sentimenti sull’esempio di Cristo Gesù” . Mi ha incuriosito questa parola, sentimenti, in greco φρονεῖν,  che significa letteralmente le facoltà mentali, la saggezza, la capacità di conoscere a fondo la realtà, il pensiero, ciò che c’è nell’animo. L’apostolo suggerisce alla comunità cristiana di Roma, dove si respira una certa tensione tra ebrei-cristiani e pagani-cristiani, di entrare nell’animo del Signore Gesù, di avere una intimità di conoscenza di Cristo Gesù, fino ad assumerne l’anumus. Assumere in sé quella che viene chiamata nel greco del Nuovo testamento la σοϕία ossia la sapienza, il sistema di pensiero di Gesù. Questo entrare nel mistero di Gesù per accoglierlo, non significa semplicemente in modo intellettuale venire ad apprendere le idee di Gesù. E’ qualcosa di più profondo: i sentimenti, cioè la ragione profonda per cui Gesù si muove, fa delle scelte, va di qui piuttosto che di là, dice questo e non altro…Insomma si tratta di accedere all’animo più profondo di Gesù, che è la sua unione col Padre e il suo Amore immenso. Paolo, in un altro passaggio scrive in Efesini 3,18 : “ siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo  e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio”. Arrendersi un po’ di più a Cristo dandogli del tempo. Certamente la parola evangelica è il luogo in cui si impara Cristo e con essa i sacramenti e il volto dei fratelli e delle sorelle bisognose. Da questo punto di vista, l’adorazione eucaristica è un modo molto bello e profondo per entrare nell’intimità di Cristo. Penso ai giorni di quarantore che vivremo questa settimana. Vorrei motivare tutti voi a trovare uno spazio di silenzio per sostare davanti alla presenza di Gesù…Se nelle nostre settimane di vita non troviamo il tempo, oltre la S.Messa festiva per stare con Gesù, difficilmente Egli diventa il nostro riferimento quando siamo chiamati a fare delle scelte. “Appianare i sentieri”, dice il Battista, “spianare le montagne”. Come è difficile spianare sentieri e montagne interiori. Alcune storture interori sembra impossibile togliere. Eppure se stiamo con Gesù nel silenzio dell’adorazione, se permettiamo a Lui di entrare nel profondo di noi stessi, anche i pesi più grandi rimangono ma si sciolgono e li vediamo come occasioni per vivere con gli stessi sentimenti di Gesù. Riporto una testimonianza di Adorazione perpetua

Antonella: Metterci cuore a cuore con Gesù ci dà una carica che fa bene al corpo e allo spirito.

Dedicare un’ora alla settimana alla Adorazione personale come stiamo facendo in San Rocco, con “l’esercizio” (di settimana in settimana), diventa una esperienza fondamentale per la vita fino a diventare una esigenza poiché stare con Gesù ci dona una serenità e una gioia tali che a lungo andare non possiamo farne a meno.

Maria Luisa: Pregare, dialogare con Dio nella preghiera di Adorazione sia personale che comunitaria è un’esperienza che ogni persona dovrebbe provare per sentirsi in pace con se stessi e con gli altri, uniti a Lui e percepire la grandezza del suo Amore per noi in ogni momento della nostra vita.

Liliana: Ti adoro Signore. Dammi la forza, dammi la fede, dammi l’amore; perdona se non sono all’altezza di essere chiamata figlia. So che tu conosci la mia via, sostienimi e verrò da te con il cuore colmo di gioia. Amen

Domenica 17 Novembre 2022          I di Avvento A

1.”Riguardo alla venuta del signore nostro Gesù Cristo…” Così Paolo apre per noi il nuovo anno liturgico con l’Avvento. Abbiamo la grazia di entrare ancor più in profondità nel mistero di Gesù incarnato, morto e risorto per noi. Ogni anno si compie lo stesso percorso, ma a noi è chiesta con una profondità nuova. Abbiamo bisogno di questa venuta di Gesù! Venuta nella storia a Betlemme, nello scandalo dell’incarnazione, venuta oggi nel mistero liturgico dell’oggi della nostra storia e venuta finale a ricapitolare in Lui tutte le cose. Su questo ultimo aspetto, si concentra questa prima settimana che titola: “La venuta del Signore”. Sia il vangelo che l’epistola paolina, si concentrano con un linguaggio apocalittico su questa seconda venuta finale di Cristo. In particolare, Paolo  nella seconda lettera ai Tessalonicesi, interviene perché si è sparsa la voce tra i cristiani che il ritorno finale del Signore è imminente. Qui l’apostolo ribadisce quello che Gesù stesso afferma nel vangelo: non ci è dato di conoscere il tempo e il momento di quella venuta finale. A noi è dato di vigilare. Vigilare su cosa? Qui l’Apostolo Paolo dice che ci sono dei segni che daranno questa venuta imminente, segni a cui prendere le distanze. Il primo è l’apostasia della fede, il secondo è l’emergere del demonio che si manifesta con la figura del male umano, che è esaltato e assume le sembianze di Anticristo. Vediamo di capire: il primo aspetto riguarda l’apostasia, che letteralmente significa(dal greco ἀπό  «lontano da» e στάσις  da ἵστημι  «stare, collocarsi») è l’abbandono formale e volontario della propria fede. Sia una scelta areligiosa (ateismo o agnosticismo) sia una fede falsa che seleziona le verità a cui credere.  Si parla di apostasia silenziosa dell’occidente del mondo, vivere come se Dio non ci fosse, pur professandolo e anche rinnegare alcuni dati fondanti della fede: il primo è la divinità di Cristo unita alla sua umanità con tutte le conseguenze…Tutto questo prepara la corruzione del mondo, perché si nega il fondamento che è Gesù Cristo. Pensiamo alle conseguenze: chi dice di essere cattolico e nega la vita del nascituro o del morente, anche ad alti livelli. Chi dice di seguire Cristo e nega la famiglia naturale e soprattutto la negazione della vita eterna e quindi la risurrezione di Cristo. Infine la grande apostasia è quella di proporre il cristianesimo solo come un atto spirituale privato e impedire che diventi cultura. Il papa direbbe un cristianesimo senza carità. Da ultimo l’emergere dell’uomo dell’empietà, dell’Anticristo che è Satana, ma il satana personificato e camuffato spesso da angelo di luce. Il demonio è la creatura più malvagia e furba che ci sia e si manifesta soprattutto nel riportare l’uomo all’antico peccato di Adamo. Si tratta cioè di convincere la creatura umana a fare a meno di Dio a vedere Dio come un avversario e non come un Padre amoroso come ce lo ha comunicato Gesù. L’autonomia da Dio, il sostituirsi a Dio, il farsi eterni sulla terra, sono tutti segni che l’Avversario, il serpente antico, sta lavorando nel cuore degli uomini fino a farli non solo vergognare della propria fede, ma a rinnegarla e costruirle un mondo dove al posto di Dio si adora l’uomo. Quando però accade questo, l’uomo si autodistrugge e con se stesso distrugge anche tutto il creato. Non è forse vero che in questi frangenti di guerra, abbiamo pensato che Dio è stato dimenticato dai potenti della terra e persino dagli uomini che si dicono religiosi? Il demonio si serve anche della religione per portare avanti i suoi piani di distruzione del mondo.

Viviamo questa prima settimana di avvento invertendo questi due orizzonti: abbracciamo tutta la nostra fede cristiana e mostriamoci contenti e orgogliosi di manifestarla. E in secondo: luogo accettiamo il nostro limite, che è il luogo dove il Signore manifesta la sua bontà, e ci chiede di accettare di essere sue creature amate.

C         12  Giugno 2022

1.“Abramo…alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui”. Carissimi, facciamo festa a Dio Trinità d’Amore Padre Figlio e Spirito Santo. Nel cammino liturgico, partito con l’avvento e culminato col Natale-Epifania, Pasqua e Pentecoste, abbiamo incontrato il Signore e rivissuto con Lui gli eventi che ci salvano. Con la solennità odierna, il cammino liturgico ci aiuta a fare sintesi sull’essenza del Dio cristiano, che Gesù ci ha rivelato: Egli è Trinità, un solo Dio in tre persone, è Amore che si dona. Questo è Dio in sé. Giovedì invece, con la grande solennità del CORPUS DOMINI, torniamo a ricordarci e a vivere, la vicinanza di Dio che in Gesù, il Padre ci dona come pane vivo disceso dal cielo: vivo per opera dello Spirito Santo. Dio in sé e Dio per noi! Le due realtà coincidono, sono l’unico Dio. Partiamo allora dall’episodio di Abramo alle querce di Mamre, nell’ora più calda del giorno, Abramo accoglie questi tre misteriosi personaggi e li chiama “Signore” al singolare. Costoro promettendo un figlio ad Abramo, gli dicono al singolare “Tornerò da te”. La rilettura cristiana dell’antico testamento, ha sempre visto in questi personaggi, l’irrompere di Dio Trinità nel quotidiano della vita di Abramo e di ciascuno di noi. Ciò che colpisce, è che Dio si rivela in modo misterioso con la sua promessa di fecondità, col dono di un figlio a partire dalla accoglienza di Abramo. Dio si rivela là dove c’è un cuore aperto, una porta aperta, una persona, una famiglia che accoglie. “Dov’è carità e amore lì c’è Dio”. Ci è dato nell’accoglienza, di entrare nel mistero di Dio stesso, ci è dato di comprenderlo, non con la sola testa, ma col cuore. L’accoglienza della presenza divina, apre il cuore ad accogliere , ad accudire la vita dell’altro. Allora, se vogliamo capire Dio, la Trinità, accogliamo il fratello, la sorella, viviamo la vita della comunità.

2.” Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Amare Cristo, per aver accesso alla SS. Trinità . Per amare Cristo, occorre osservare e vivere la sua Parola e la sua Parola è il comandamento della carità: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”. E’ impegnativo vivere così, ma occorre curare molto nel percorso spirituale, il contatto con Gesù nei sacramenti, la confessione, la comunione, l’adorazione silenziosa, per assimilare la Parola. Poi il cristiano che ha Dio in sé, è tutto impegnato nell’amore che si fa servizio. L’impegno a servire, manifestando la SS. Trinità, significa un amore che non divide, che non esclude, che è generoso, che permette a tutti nuove possibilità. L’unità nella diversità, è lo stile di chi crede nella SS. Trinità. Vivere da figli del Padre, come è figlio Gesù, scomodare spesso lo Spirito Santo perché ispiri la via, è la strada giusta. Tutto questa esperienza, che sembra solo legata all’area mistica, è in realtà l’esperienza di chi pieno di Dio, serve la famiglia, è a disposizione della comunità, per manifestare Dio nei piccoli servizi che edificano la Chiesa e la società. Quando si ha Dio che abita in noi, non ci sono scuse per non amare, non servire. La prova di tutto questo è l’imprevisto, quando qualcuno come per Abramo appare all’improvviso, ti chiede un piacere all’improvviso, ti domanda un servizio umile per la tua parrocchia, ti invita ad essere più generosa col Signore. In quel momento ti accorgi che il no o il si, sono importantissimi, perché come Abramo, dopo ti rendi conto che quel si o quel no, ti ha dato la possibilità , senza saperlo, di servire Dio nei fratelli o, il contrario di respingerlo con superficialità e leggerezza.

ACCOGLIERE e AMARE  le due strade per conoscere Dio Trinità d’Amore.

Domenica   di  PENTECOSTE   C         5  Giugno 2022

1.“Vi sono diversità di carismi ma uno solo è lo Spirito”. Carissimi, è Pentecoste, la festa del dono dello Spirito Santo, che ancora discende su di noi, sulla Chiesa, sull’umanità intera. Lo Spirito Santo, è in noi, non ne dobbiamo dubitare! Lo vediamo nella “manifestazione particolare dello Spirito “ che sono i carismi, messi a disposizione di tutti per “l’utilità comune”. Paolo nell’epistola, ce ne parla con abbondanza. La descrizione della prima Pentecoste, che si effonde nel cenacolo con  Maria e gli Apostoli descritta nella prima lettura, mostra che ogni dono dello Spirito è per la missione. Il segno è dato dalla medesima lingua, potremmo dire dal medesimo argomento, che è l’annuncio di Gesù morto e risorto, Salvatore dell’umanità dal peccato e dalla morte.

“Il Padre vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi sempre”. Le parole di Gesù prima della sua ascensione, sono molto consolanti, ma non sono solo parole, sono la forza , la verità della vita della Chiesa nel mondo. Questo nome dato allo Spirito, significa “colui che è chiamato accanto”, si dice l’Avvocato, ma meglio il difensore. Questa presenza della terza persona della SS. Trinità, che è Dio “Signore e dà la vita”, è con noi sempre, ce lo dice Gesù. Pertanto, siamo invitati ad avere un rapporto con lo Spirito Santo, a pregarlo, a consultarlo spesso prima di leggere la Parola di Dio…Non è vero forse, che nella nostra preghiera, ci rivolgiamo poco o quasi mai allo Spirito Santo? Vi invito a recuperare nell’ordinario, l’invocazione allo Spirito prima di pregare, prima di dare un consiglio, prima di compiere delle azioni che incideranno nella vita degli altri.

2.Ma torniamo al messaggio paolino dei carismi, che lo Spirito suscita per l’edificazione della comunità ecclesiale e familiare. Solo nella preghiera, si arriva a dare una risposta serena e non superba alla domanda : “Quali doni, quali carismi lo Spirito suscita in me?”. Paolo li elenca nell’epistola della prima Corinti, ma ce ne sono infiniti altri. Lo Spirito, ci ricorda che ogni dono è per l’utilità comune, per l’edificazione della Chiesa. I carismi sono come i talenti, se si tengono stretti marciscono, non si moltiplicano; se si donano, si moltiplicano. E’ paradossale la legge dello Spirito, che in questo caso va contro la legge dell’egoismo umano . Lo Spirito ci invita a “DIVIDERE PER MOLTIPLICARE”, invece lo spirito del mondo ci dice il contrario: “TENERE PER SE’, PER AVERE DEI VANTAGGI”. Dunque, lo Spirito Santo non si vede, ma se ne contano e si vedono i frutti nella comunità cristiana, nella famiglia. Il segno poi che agisce lo Spirito in quel carisma, è la gratuità e la gioia. Che pena, quando uno mette a disposizione un suo dono e lo fa pesare a tutti, perché si lamenta. Lo Spirito abita là dove c’è un dono gioioso, pur nella fatica del donarsi. Questa dovrebbe essere la comunità cristiana, che vive non tanto e solo nella chiesa e nei suoi ambienti, ma è sparsa coi suoi membri, in ogni angolo del vivere umano: una Chiesa fatta di uomini e donne di fede, abitate dallo Spirito Santo, che sono gioiose, gioiosi nel donare quel carisma dello Spirito, per l’utilità comune. Alla fine, vorrei richiamare la motivazione profonda, per cui lo Spirito Santo ci chiede di mettere a disposizione degli altri il nostro personale carisma. Il motivo è missionario, perché attraverso questo donare il carisma, possa risplendere l’amore redentivo di Cristo e molti fratelli e sorelle, possano essere salvati. Nessuno probabilmente chiederà : “perché fai questo?”. Però anche se non emergerà la vera motivazione, noi crediamo che lo Spirito Santo lavora nelle anime e si serve anche di noi, per portare a Cristo ed essere salvati. Termino con l’espressione di un santo del XX secolo: “Tre punti importantissimi per attrarre le anime al Signore: dimenticarti di te, e pensare soltanto alla gloria di tuo Padre Dio; sottomettere filialmente la tua volontà alla Volontà del Cielo, come ti ha insegnato Gesù; assecondare docilmente le luci dello Spirito Santo” ( S. Escrivà,  Solco 793)

Domenica VII  di  PASQUA   C          29 Maggio 2022

1.”Contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”. Carissimi, con le parole di Stefano ascoltate nella prima lettura chiediamo il dono dello Spirito Santo, proiettati già alla grande solennità di Pentecoste che rivivremo domenica prossima. E’ lo Spirito di pietà e del santo timore di Dio, che ci permette di contemplare Gesù asceso al cielo. Il cielo: ciò che San Paolo nell’epistola agli Efesini chiede per quella comunità, è l’illuminazione degli “occhi del cuore”, per poter comprendere a quale speranza il Signore ci ha chiamati. Se Stefano, morendo è certo del cielo perché vede Gesù glorioso, con San Paolo questa gloria contemplata in Cristo, è chiesta per chi non è in procinto di morire, ma vive, costruisce la comunità cristiana, ed ha bisogno di capire che ciò che è terreno, è lo strumento per portare la gloria del cielo sulla terra. Contemplare Gesù glorioso significa vederlo come compagno di viaggio, anzi parte di noi. Il paragone del corpo che San Paolo usa per descrivere la Chiesa, è molto bello e concreto. La Chiesa, scrive l’apostolo, “ è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose”. Allora questa contemplazione di Cristo, ci aiuta a vedere che solo in lui, noi stessi e tutte le cose arrivano al loro massimo splendore in e con Lui. Questo fa lo Spirito Santo, ci fa vedere la gloria di Gesù in tutto. (valorizziamo l’adorazione)

2.Se questo è il primo dono: contemplare, il secondo ce lo comunica Gesù stesso nel vangelo, in questa bella preghiera al Padre, che Egli pronuncia alla vigilia della sua passione. Contemplare Gesù col dono dello Spirito, significa percepire la sua preghiera per noi “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola”(la parola degli apostoli lungo i secoli). Questa preghiera, ci immette nella comunione Trinitaria tra il Padre il Figlio e lo Spirito. “Perché siano una cosa sola come noi siamo una cosa sola”. Lo Spirito di unità, ci spinge verso questa grazia, di una unità spirituale, non semplicemente psichica, non solo di carne e sangue, ma una unità in Cristo: la stessa che Egli sperimenta col Padre e lo Spirito. Allora, ecco il secondo dono: l’unità, farci strumenti di unità. Là dove ci si sforza di unire i cuori, c’è lo Spirito Santo, c’è Dio. Non si può fare unità senza misericordia e perdono. Pensiamo alla comunità e in particolare alle nostre famiglie, che sono le cellule della Chiesa e della società. Ciò che non edifica la comunità è il pettegolezzo, il parlare alle spalle delle persone, l’invidia la gelosia, la chiusura in se stessi. Ma mi preme far emergere questo desiderio di Gesù sull’unità, soprattutto nelle famiglie. Penso alla fedeltà delle coppie di sposi e sono sicuro che lo Spirito Santo donato come grazia il giorno del matrimonio, ha tessuto un’unica stoffa, unendo un uomo e una donna, ciò che di più diverso c’è nella creazione. Lo Spirito di unità, ci aiuta a comprendere che ogni diversità non è un ostacolo, ma una grande ricchezza. Diversità accolte da entrambi, come dono, sono l’ingrediente di una famiglia aperta alla carità, che genera figli che si aprono agli altri, che danno il loro apporto alla Chiesa e alla comunità. Del resto nella formula sacramentale del matrimonio cosa si dice: “Io accolgo te e con la Grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre…”. La “Grazia di Cristo” è lo Spirito Santo che se è accolto è il cemento dell’unità non solo coniugale ma dell’intera Chiesa.

Accogliamo e invochiamo lo Spirito Santo per una Pentecoste nuova!

Domenica V  di  PASQUA   C          15 Maggio 2022

1.”La comunità di coloro che erano divenuti credenti aveva un cuore solo e un anima sola”. Carissimi, in questo tempo di Pasqua, ormai proiettati verso le solennità dell’Ascensione e della Pentecoste, il comandamento nuovo di Gesù sull’amare come Lui ci ha amato, si concretizza nella vita della prima comunità cristiana descritta dagli Atti degli Apostoli. Come si manifesta l’amore reciproco in questa comunità? Il testo ascoltato, ci comunica che i legami nati dalla comune fede in Gesù risorto, sono molto più forti dei legami di sangue e carne. Anche noi oggi, possiamo sperimentare questi legami e anch’io li vedo tra noi, quando scopro delle amicizie tra i fedeli che si parlano tra loro, si sostengono, ascoltano i drammi e le pene dell’altro per consolare, aiutare, spronare a vivere nella fede i fatti della vita. Anche noi sperimentiamo questa comunione profonda tra noi, che il cibarci allo stesso corpo di Cristo, consolida e rende profonda.

2.”Nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano e portavano il ricavato …ai piedi degli Apostoli”. La prima comunità cristiana vive questa comunione profonda, nata dalla fede in Gesù risorto,  anche attraverso la condivisione dei beni materiali, per soccorrere i poveri e per sovvenire alle necessità della Chiesa stessa. Con questo gesto, i primi cristiani ci comunicano un concetto della proprietà privata, come qualcosa di non esclusivo e assoluto, ed evidenziano l’importanza della destinazione universale dei beni. Dio Padre, nella creazione, ha donato a tutti di che vivere; pertanto la comunità cristiana, si ricorda di questa volontà divina e cerca di condividere ciò che ha con tutti. Questo è un segno che è presente in tutta la storia della Chiesa, fino ai nostri giorni. Del resto, Gesù quando rispose a Giuda disse: “I poveri li avrete sempre con voi”: il che significa che il Cristo presente nelle sembianze dei fratelli più poveri, non sparirà mai dalla visione dei credenti che guardano nella fede gli altri.

2.Gli Apostoli di cui i primi cristiani si fidano, pensano a distribuire questi beni a chi ha bisogno. Questa fiducia anche noi la sperimentiamo nella nostra storia in questa comunità che ha edificato chiese, strutture, con grandi sacrifici nostri e di chi ci ha preceduto. A questa solidarietà siamo invitati tutti noi, nel provvedere alle necessità di questa Chiesa locale melegnanese. Cosa mettere in comune? Io credo che molti di noi lo fanno nella disponibilità del proprio tempo, per la comunità. Sono convinto che molti altri potrebbero farsi avanti, come accadeva negli Atti degli Apostoli, e donare alla comunità il proprio carisma, il dono che hanno ricevuto dal Signore. Se manca questa condivisione, non c’è Chiesa che è appunto la comunione di coloro che edificano la comunità. Come in ogni famiglia, anche qui condividiamo gioie e dolori e condividiamo la cura della casa comune, delle chiese, degli oratori, degli ambienti dove la comunità si ritrova. La nostra parrocchia vanta una grande tradizione di ricordo in punto di morte, quando guardandosi indietro molte persone si sono accorte di avere ricevuto molto dalla comunità e non vogliono dimenticarsene nelle loro ultime volontà. Anche per loro, per questi fratelli e sorelle benefattori e grandi benefattrici, possiamo guardare avanti con fiducia, mettendo mano a sistemare molti luoghi. La comunità parrocchiale ha bisogno i tutti: di chi prega e offre le sue sofferenze per la comunità, a chi annuncia il vangelo come catechista o chi è competente nel campo economico, architettonico per aiutare il parroco nella gestione oggi non facile di una comunità pastorale, che ha sei chiese, 4 oratori, due scuole parrocchiali e tanto altro. Prezioso è il contributo nascosto di chi, con sacrificio, tiene puliti gli ambienti. Ma vorrei dire alla luce della parola di Dio di oggi: Tu cosa puoi mettere in comune per la tua comunità? Non hai mai pensato che il farti avanti e proporti, non è un favore che fai al parroco che oggi c’è e domani sarà altrove, ma lo fai a te stesso, alla tua famiglia, alla comunità che resta. Perché non scuotersi da questo torpore e provare la gioia e la letizia, che i primi cristiani vivevano nel mettersi a disposizione della comunità?

Domenica IV  di  PASQUA   C          8 Maggio 2022

59ma giornata mondale di preghiera per le vocazioni

Prime S.Comunioni S.Gaetano ore 11,30 e ore 15,00

1.”Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi” Carissimi bimbi e bimbe che oggi farete la prima Comunione. E’ grande oggi il desiderio di Gesù di incontrarli, Lui vuole entrare in voi con il suo corpo e il suo sangue. Certo voi lo volete, vi siete preparati con l’aiuto di don Stefano delle catechiste dei vostri genitori, ma Lui, Gesù, desidera più di voi di incontrarvi. E’ Lui che vi sceglie oggi come suoi giovani amici e vuole che tutta la vostra vita sia un capolavoro d’amore, vuole che impariate facendo sempre la Comunione, ad amare gli altri come Lui vi vuole bene. Se riceverete sempre la Comunione con la gioia e il fervore di oggi, farete della vostra vita un capolavoro. Che scelte farete da grande? Che persona diventerete? Oggi Gesù vi invita coi vostri genitori a vedere la vostra vita come una vocazione, cioè una chiamata di Gesù. Sapete che Lui non si accontenta di venire a noi con la Comunione per lasciarci essere come semplicemente noi vogliamo, ma ci indica, vi indica la strada per essere felici. E questa strada è quella della vocazione alla quale sarete chiamati. La vocazione non è tanto il lavoro che uno può fare, ma la scelta importante che si fa nella vita. Semplificando le strade, le vocazioni sono due: fare una famiglia oppure consacrarsi a Gesù come sacerdote, suora , missionario/a, Oggi è la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni di speciale consacrazione, e voi bambini e bambine siete le future famiglie di domani, fra voi il Signore chiama anche qualcuno ad essere sacerdote nella Chiesa del futuro, oppure a consacrarsi come Suora per il servizio dei più poveri, delle missioni. Noi sappiamo che in questo giorno, Gesù vi parla e per chiamare lo fa a diverse ore, come dice una bella parabola. Lo fa anche presto,  il giorno della prima Comunione. Ma come si fa da grandi a rispondere alla vocazione per sempre? Bisogna cominciare alla vostra età, dicendo quei piccoli “Si” con lo stesso amore di Gesù anche se ci costano sacrificio.

2.E voi carissimi genitori, lasciatevi commuovere da questi bimbi e bimbe, e pregate per la loro vocazione, non abbiate paura di permettere anche di considerare la vocazione consacrata e sacerdotale, che è un dono anzitutto e una grazia per la famiglia stessa. “Che sarà mai di questi bambini/e?” Sarà quello che il Signore vuole e quello che voi, con le scelte educative di questi anni, trasmetterete a loro. In modo accorato vi raccomando: non tradite i vostri figli allontanandoli dal sacramento dell’Eucarestia, ma teneteli vicini al Signore e alla comunità. In questo modo, percepiranno a poco a poco, la loro vita come la risposta alla vocazione alla quale il Signore li chiama.

1 MAGGIO 2022 domenica    III di PASQUA    C

  1. 1. Carissimi, dove si trova Gesù quando pronuncia le parole che abbiamo ascoltato? E’ nel Tempio e precisamente nella sala del tesoro, dove la gente faceva le offerte nel cortile delle donne. Se leggiamo il contesto dal brano che precede, vediamo che è la festa dei Tabernacoli o delle Capanne, una festa annuale che si celebra nelle prime settimane di ottobre e tutti costruiscono delle tende o capanne, per ricordare i 40 anni in cui il popolo d’Israele ha camminato nel deserto, prima di giungere alla terra promessa. In questo cammino, Dio lo ha guidato con la “colonna di fuoco”, perché il popolo non si smarrisse camminando di notte. In questa festa, dove i credenti ebrei sono invitati a consumare anche il pasto nella tenda, nel tempio di Gerusalemme si accendevano molte luci e in particolare, nel luogo dove Gesù fa la sua affermazione sulla luce, cioè nel cortile delle donne, c’era un rituale in cui si accendevano quattro grossi lampadari d’oro. Quando erano accesi di notte, tutta Gerusalemme era illuminata. In questo contesto, Gesù afferma di “essere la luce del mondo”. Come per il popolo d’Israele, quella colonna di fuoco che viene identificata con la Legge, li ha guidati non tanto nel buio meteorologico della notte, quanto nel buio interiore del non sapere dove andare, così Cristo, che è questa luce, Lui il risorto, guida ciascuno di noi a una vita nuova, iniziata nell’immersione nelle “acque che danno salvezza”. Il cero pasquale, sempre acceso accanto al fonte battesimale, si identifica con la colonna di fuoco del popolo d’Israele. Nella grande veglia pasquale, il diacono prima di porre il cero nel suo grande sostegno, ha cantato queste parole: “Ecco: in questa notte beata la colonna di fuoco risplende  e guida i redenti alle acque che danno salvezza.”.

2.Gesù dunque ai suoi interlocutori, scribi e farisei osservanti fa questa dichiarazione: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. Avere la luce della vita, significa come dice Gesù, sapere da dove si viene e dove si va. E’ molto importante per noi sapere questo, perché le luci che abbagliano nella vita sono tante. Oggi risplende molto la luce fioca del pessimismo, degli ideali bassi, a piano terra, a emozione immediata, una sorta di nebbiolina che non si lascia scalfire da nessun raggio di sole. Ritorniamo a farci illuminare dal Signore Risorto, perché Lui è il testimone del Padre. La sua testimonianza è l’unità col Padre. Portatori della luce risorta che è Cristo stesso, di questo dobbiamo essere consapevoli. Vorrei richiamare quando nel battesimo viene consegnata la candela accesa, che non a caso è attinta dalla luce del cero pasquale. Il sacerdote dice ai familiari del bambino: “Ricevete la luce di Cristo, a voi è affidato questo segno pasquale, fiamma che sempre dovete alimentare. Abbiate cura che i vostri bambini, illuminati da Cristo, vivano sempre come figli della luce; e perseverando nella fede, vadano incontro al Signore che viene, con tutti i santi, nel regno dei cieli”. Figli della luce, dunque persone che sanno portare questa luce di vita che è Cristo, il suo Vangelo, la sua Parola. Quanto abbiamo bisogno oggi di questo!

Sul tema della luce ricordiamo tanti insegnamenti di Gesù : “Voi siete la luce del mondo …una lampada non si mette sotto il moggio ma sopra il lucerniere perché faccia luce a coloro che sono nella casa”. Carissimi, tiriamo le conseguenze della contemplazione di Gesù risorto come luce per il mondo e diamogli testimonianza.

24 APRILE 2022 domenica    II di PASQUA    C

1.”Se non vedo….io non credo.” Carissimi, ci accompagna l’apostolo Tommaso, in questa cinquantina pasquale, verso l’ascensione del Signore e il dono dello Spirito Santo, nella Pentecoste. Le sue parole, esprimono la fatica di credere nella resurrezione e nelle conseguenze di questo fatto. Sono parole che esprimono il dubbio. Dubbi sulla fede capitano a tutti e, come per Tommaso, arrivano dopo un grande dolore, una profonda delusione. Tommaso non c’era ai piedi della croce di Gesù, fa parte di quelli che se ne sono andati, non solo per paura, ma per una fede ancora debole. La morte di Gesù con i dolori della sua passione forse, hanno fatto l’effetto che capita a noi quando ci raggiunge una grossa croce. Ci diciamo: “come faccio a credere se mi è capitato questo?”. Il dubbio sulla risurrezione, viene poi anche a chi non ha subito delle croci pesanti, ma semplicemente dalla fatica del fermasi a ragionare sulla vita, sulla morte, a partire da una scienza che scetticamente non tollera che ci sia un senso dopo la morte, scienza che non può dimostrare che Cristo è risorto. In altre parole, la cultura che respiriamo, non ci aiuta certo a credere nella risurrezione.

  1. Come se ne viene fuori da questo dubbio? C’è un cammino personale di fede, che è l’abitudine ad avere un rapporto diretto con Gesù. Crederlo risorto è il presupposto per pregare, ma è anche la conseguenza del pregare. Confrontiamoci con la preghiera di Tommaso: “Mio Signore e mio Dio”. E’ una preghiera che rappresenta la professione di fede nella divinità di Gesù di Nazareth. Tommaso vede Gesù con le sue con le piaghe, e riconosce Dio. E’ necessario imparare a vedere Gesù piagato che ci raggiunge, si fa vedere nelle nostre piaghe. L’umanità ferita, malata, che passa attraverso il crogiuolo della morte, è il luogo dove Gesù risorto si rivela. Chiediamo la grazia di imparare ad adorare il Risorto nelle piaghe della nostra e altrui umanità. Inoltre Tommaso ci mostra che attorno a noi ci sono tanti testimoni della risurrezione di Cristo. Per lui sono i suoi compagni apostoli e discepoli, per noi tanti e tanti fratelli e sorelle che credono fermamente in Cristo risorto. La testimonianza dei santi (il beato don Mario Ciceri e la beata Armida Barelli) è un grande segni di testimoni del risorto.

3.Da ultimo Tommaso, convertito alla fede pasquale, diventa Lui stesso testimone della Pasqua di risurrezione del Signore. Domandiamoci: cosa vuol dire oggi, come cristiani, credere alla risurrezione di Cristo? Quei segni che non sono stati scritti nel vangelo e che pur Gesù risorto opera, sono fatti attraverso la nostra vita risorta con Lui. Noi stessi siamo il segno di questa risurrezione, se crediamo pur senza avere visto che Gesù è vivo e cammina con noi, non ci lascia mai soli. Torniamo, concludendo, a Tommaso apostolo. La sua vita dopo questo episodio, continua in uno slancio missionario straordinario. La tradizione ci comunica dei suoi viaggi in India, in Mesopotamia e in altre nazioni del Medio Oriente. Anche lui l’apostolo del dubbio, dà la vita col martirio per il Signore. Ha fatto un lungo cammino partito dal suo dubbio. Dunque il dubbio può rafforzare la fede se in noi c’è il desiderio di camminare per trovare una risposta. Tommaso ci insegna a lasciarci sorprendere dal Signore risorto che ci raggiunge sempre là dove ci troviamo.

17 APRILE 2022     S.PASQUA    C

1.”Gesù le disse Maria.” Cari fratelli e sorelle, sentirsi chiamare per nome dal Signore Gesù, dopo una grande sofferenza come quella patita da Maria Maddalena al Calvario, è veramente un passaggio fondamentale. Pasqua ovvero passaggio dalla morte alla vita, dal dolore alla gioia. La Maddalena è la prima a vedere il Crocifisso risorto, così come lo vedranno in molti, con le sue piaghe gloriose. Il dolore fisico c’è ancora sul corpo di Gesù, ma Egli non è morto, è vivo. Dalla Maddalena ad oggi, milioni o meglio miliardi di testimoni della risurrezione, ci hanno trasmesso questo fatto: “Ho visto il Signore” e ciò che Egli ha detto. Questo è il momento di una fede, che si abbandona alla verità della risurrezione. Il dubbio si deve rinfrancare, con la testimonianza di chi crede in Gesù vivo oggi. In un mondo dove sono maggiori i segni di morte e di disperazione, dove si ha paura del futuro, è da audaci credere alla risurrezione. Credere in questo caso significa: osare la speranza, perchè il Signore non ci ha abbandonato al nostro destino. Questo, a cominciare dai tanti morti innocenti e martiri della guerra in Ucraìna e di tutte le guerre. “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio” dice il libro della Sapienza. I loro nomi sono pronunciati dal Signore risorto, ad uno ad uno nell’istante del loro passaggio nella morte. Ma anche noi che siamo qui, ricordiamoci che è  il Signore stesso che oggi pronuncia il nostro nome, ci conosce come unici e irripetibili nella nostra identità, e come tali dice anche a noi : “Va dai miei fratelli”. Si, va da tutti coloro che sono assetati di una sola parola di fiducia e di speranza, che non parta da uno sterile ottimismo, ma dal fatto che Lui, Gesù, il Cristo è risorto, è vivo, non ci ha abbandonato. Credi tu questo? Il Signore si attende una nostra risposta, anzi desidera che la gioia e l’entusiasmo di Maria Maddalena, sia in ciascuno di noi. Come Maria Maddalena, fu la prima apostola della risurrezione, così anche noi, nel nostro piccolo, possiamo invertire la rotta, cercando semi di vita e risurrezione, in tutti i settori e ambiti della nostra vita. Questa trasmissione della speranza della Pasqua di risurrezione, la vediamo risplendere nell’apostolo Paolo a cui è apparso il Signore. Egli si schermisce: “ultimo apparve anche a me come a un aborto”. Il Signore non si sottrae a nessuno, per questo su nessuno siamo invitati a dare sentenze definitive di assoluta condanna. Paolo ci dice che se Gesù è apparso a Lui che era un persecutore, può rivelarsi a tutti, anche a chi è estremamente lontano da Lui. Ci rendiamo conto allora, che l’unica speranza che ha questo nostro mondo è che tutti incontrino il Signore risorto. Gesù vivo in mezzo a noi, non è solo per i suoi, per la sua Chiesa, ma è per tutti gli uomini e le donne della terra. La missione della Chiesa che nasce dal sepolcro vuoti di Cristo, è la missione di ogni singolo cristiano. E’ una bella missione quella di essere ottimisti per fede e non semplicemente perché le circostanze sono favorevoli. L’audacia della fede che nasce dalla Pasqua di Gesù, è proprio la capacità di volgere lo sguardo a Lui, il risorto e riempire ogni realtà della sua vita. Concludo con un breve testo del papa emerito Benedetto XVI (che ha compiuto ieri 95 anni) nel suo testo del 2011: “Gesù di Nazareth” scrive:

“Se ascoltiamo i testimoni col cuore e ci apriamo ai segni con cui il Signore accredita sempre di nuovo loro e se stesso, allora sappiamo: Egli è veramente risorto. Egli è il Vivente. A lui ci affidiamo e sappiamo di essere sulla strada giusta”.

10 Aprile 2022    DOMENICA DELLE PALME    C

S.Messa solenne ore 10,15 con processione da San Pietro e Biagio alla basilica

1.”Ecco o Figlia di Sion il tuo Re” Oggi per noi è festa perché Gesù entra in questa città, nella sua Gerusalemme di oggi che è Melegnano, è il mondo intero, è l’Ucraina, la Russia, la Siria, la Nigeria e tante altre nazioni che lo aspettano come re di giustizia e di pace. Noi preghiamo perché la profezia di Zaccaria su Gesù si realizzi amche oggi. Riascoltiamola:  “farà sparire il carro da guerra da Efraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni”. Il cavallo era la cavalcatura del re quando andava in guerra, l’asino era usato in tempo di pace. Sto pensando alla stessa fede dei popoli ucraino e russo, al fatto che celebreranno la stessa Pasqua. Questo capita anche per noi: Gesù entra nella città degli uomini, per offrire tutta la sua vita sulla croce e per salvarci dalla morte con la sua risurrezione. Viene per tutti, amici e nemici, per fare la pace. Ci porta questo dono! Lui stesso è la nostra pace: Colui che con la sua morte, ha fatto dei due un popolo solo. Gesù inizia la sua settimana santa, perché ha a cuore tutta l’umanità. Che il suo sangue nel sangue di tanti morti innocenti di questa guerra, non sia versato invano.

  1. Anche i discepoli non comprendono subito cosa sta accadendo, anzi sappiamo che lasceranno solo Gesù. Nel vangelo di oggi si legge: “I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose“. Si aggiunge che dopo la sua glorificazione, essi compresero il senso di queste profezie e perché Gesù ha aveva fatto questa scelta dell’ingresso in Gerusalemme. Per le cose del Signore ci vuole tempo, occorre dare il tempo della preghiera silenziosa, per capire veramente quando e come il Signore entra nella nostra vita. Diamogli tempo in questa settimana santa!

10 Aprile 2022    DOMENICA DELLE PALME    C

S.Messa  del giorno ore 9,00

1.”Eppure egli si è caricato le nostre sofferenze Carissimi, ha già il tono della passione il primo giorno della settimana santa nella liturgia ambrosiana, e ci induce col carme del Servo sofferente di Isaia 52, a contemplare Gesù in questo servo. Con tutta la Chiesa che vive nel mondo, in questo mondo, il nostro Salvatore carica su di sé tutto il male, le atrocità che abbiamo visto con orrore in questi giorni. Ci siamo forse chiesti: “ma fino a che punto può arrivare la cattiveria umana verso i suoi simili inermi?” Sembra non ci sia più neppure l’umanità, in quei soldati posseduti dal demonio della violenza assoluta. Eppure il Figlio di Dio, prende su di sé anche questo dolore assurdo, subisce quello che l’uomo subisce, un dolore e una morte senza aver commesso nulla, da innocente. Prende tutto su di Sé, perché Lui Gesù che è uno col Padre nello Spirito Santo, vuole salvare questa umanità, Egli in questi giorni, ci chiederà di seguirlo per contemplarlo crocifisso e risorto, in quel grande amore divino che riverserà su tutti gli esseri umani, nella sua Pasqua.

2.”Tutta la casa si riempì di quel profumo”. Vorremmo noi stessi vivere con Maria questo gesto, per rendere onore a Gesù, per esprimergli la nostra gratitudine per ciò che farà per noi. Maria, oltre a mostrare questo sentimento per Gesù e preannunziare l’unzione al sepolcro del corpo del Signore, in realtà ci parla di chi è Gesù per lei. Gesù è quel profumo assai prezioso, costoso, unico che è versato su noi che siamo i suoi piedi, lo strumento per portarlo nel mondo. La contemplazione del servo che soffre per le nostre colpe, si completa col gesto di Maria, che rivela l’amore personale, delicato di Gesù per ciascuno di noi. Maria intuisce che questa morte imminente del maestro, non spargerà il fetore della putrefazione, ma sarà profumo di risurrezione che si spanderà dappertutto. Da Giuda questo gesto è considerato uno spreco, ma per chi ama, sulla è uno spreco, anzi quanto più uno dà, tutto tanto più ama. Gesù insegna ai suoi discepoli che non c’è differenza tra onorare Lui, la sua persona, e onorarlo nel corpo dei poveri. Chi non ha ancora capito che la settimana santa e la Pasqua è una scuola pratica di cosa sia amare, rischia di vivere questi giorni come una sterile, se pur emotiva commemorazione.

3.L’apostolo Paolo quando si rivolge ai cristiani di Corinto dice: “noi siamo il profumo di Cristo tra quelli che si salvano e quelli che si perdono” (2Cor2,14). Queste parole ci fa tornare col cuore e con la mente, a questo gesto nella casa di Betania. Ma noi profumiamo di Cristo? Oppure di altro? Guardiamo dentro al nostro cuore e facciamo Pasqua, anzitutto con una buona Confessione. Prepariamola bene perché Lui, il Risorto vuole entrare in noi con la grazia del suo perdono. Cerchiamo nel sacramento della riconciliazione di ricordarci che è Cristo che incontriamo, ed è Lui che ci assolve. Nello stesso tempo però, andiamo alla profondità di noi stessi, portando a frutto il cammino quaresimale. Esaminiamoci sulla fede, sulla preghiera, sulla carità fraterna e l’amore concreto ai poveri. Cerchiamo di porre davanti al Signore la mancanza di gioia, permettiamogli di fare festa con noi e di perdonarci. Non abbiamo timore a dire ai nostri cari che andiamo a confessarci, perché anche loro ci pensino a curare l’anima, perché ognuno è responsabile di sé, ma tutti siamo responsabili degli altri anche della loro salvezza eterna.

4.Concludo con l’espressione che sempre mi colpisce della lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato. L’anonimo autore, invita a contemplare il Signore Gesù, che con tutto il suo amore offre se stesso e soffre per noi.  Poco prima l’apostolo usa questa parola che ci dà una preziosa indicazione spirituale, per questi giorni santi: “Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù”.

Domenica V  di  QUARESIMA   C          3 Aprile 2022

1.”Io sono la risurrezione e la vita” Carissimi, siamo vicini alla settimana autentica (Santa) e la liturgia ci consegna questo prodigio della risurrezione di Lazzaro, operata dal Signore Gesù. Nel lungo brano evangelico di Giovanni, ci sono molti aspetti che ci riguardano: la morte, il dolore per la perdita di una persona cara, le domande della gente e dei discepoli perchè Gesù non va a guarire l’amico Lazzaro, che rappresentano le nostre preghiere inascoltate, le lacrime di Gesù che manifestano la sua umanità e tanto altro. Vorrei fissare però la vostra attenzione, su una risposta data da Gesù, che attende nell’ andare dall’amico malato. Nel vangelo della scorsa domenica del cieco nato, alla domanda deui discepoli se lui avesse peccato o suoi genitori perché fosse nato cieco, Gesù rispose che nessuno di loro aveva peccato ma :“E’ così perché si manifestino le opere di Dio”. Dunque, c’è un disegno divino da compiere anche nella malattia, nella cecità e nella morte, e questo progetto non è avulso dalla libertà di chi può con fede invocare Gesù, perché manifesti questa opera. L’opera di Dio Padre, è la stessa che Egli ha chiesto al suo Figlio Gesù: abbandonarsi alla morte, perché la risurrezione possa risplendere per sempre. Atto di grande e supremo abbandono in Dio è la morte e la malattia, che non muta il suo dolore in chi crede, ma apre a significati eterni, chi la accoglie come elemento importante dell’opera di Dio in lui. Gesù ci dice concretamente che, se Lazzaro non fosse morto, non sarebbe potuto risorgere. Così per ciascuno di noi. Sappiamo che la risurrezione di Lazzaro, come quella della figlia di Giairo e del figlio unico di madre vedova che Gesù risuscita durante la processione del suo funerale, sono segni della potenza del Dio della vita. Lazzaro, la figlia di Giairo e il figlio di quella madre vedova, moriranno una seconda volta. Essi nella loro risurrezione, o meglio nella rianimazione del loro cadavere, sono posti come segno che preannunzia la grande risurrezione di Cristo e la nostra. La risurrezione che Cristo ci assicura, non sarà una nuova vita sulla terra, ma una vita nel cielo per sempre, in una dimensione di pienezza che era nel giardino di Eden, prima del peccato. La Pasqua che ci apprestiamo a celebrare, ci consegna Cristo vivo dopo la sua passione, prepariamoci a risorgere con Lui e a credere che nulla è perduto con la morte. 

2.Nel prefazio di questa quinta domenica di quaresima si dice: “quel corpo, ormai in preda al disfacimento, d’un tratto risorse per comando dell’eterno Signore; così la grazia divina del Cristo libera noi tutti, sepolti nella colpa del primo uomo, e ci rende alla vita e alla gioia senza fine”. La grazia divina del Cristo, ci fa prendere coscienza di quella che San Francesco chiama la “morte secunda”, la seconda morte. La morte interiore è quella che il peccato produce in noi, perché fa morire la vera vita, quella della Grazia in Cristo Gesù. Arrivare allora alla Pasqua, non significa liberarsi dalla quaresima, ma risorgere con Cristo in una vita che già fa gustare, nella rettitudine del cuore e della mente, l’eternità. Morire per risorgere: questa è una legge oltre che della natura anche della vita spirituale. Ricordiamo che Lazzaro è per i padri della Chiesa l’emblema di quel peccatore irrecuperabile, già da quattro giorni nel sepolcro…Ma la sua risurrezione, dice che Dio in Cristo con la sua grazia potente, può arrivare a toccare anche il cuore più duro. Per questo, il dono del sacramento della Confessione pasquale, ci impegna tutti a fare sintesi della quaresima e ad affidarci alla Grazia del Signore, che saprà risuscitarci come ha fatto con Lazzaro.

Domenica IV  di  QUARESIMA   C          27 Marzo 2022

1.”Gesù vide un uomo cieco dalla nascita” Carissimi, siamo a metà del cammino verso la Santa Pasqua ed oggi ci identifichiamo con quest’ uomo che Gesù incontra.  Dal cieco nato del vangelo di oggi, impariamo che la vista della fede ravviva e aggiusta la direzione della vista del corpo. Noi siamo il modo in cui guardiamo. C’è uno sguardo malizioso, che imprigiona l’altro, facendolo diventare un oggetto di giudizio e fantasia;  c’è  di contro uno sguardo libero, illuminato dalla fede, che sa vedere l’altra persona nella sua dignità, adombrando lo sguardo della sua anima. Lo sguardo buono, nasce dal cuore purificato dalla presenza di Gesù, che ricrea i nostri sensi, così come dal fango siamo stati creati. La saliva di Dio, posta con la terra sui nostri occhi, ci rende da ciechi a vedenti. La cecità è l’incredulità: il vivere e guardare senza fede. La vista nuova è il dono della fede, che scaturisce dal lavarsi alla piscina di Siloe, da quell’Inviato che è Cristo Gesù: Colui che ci ha battezzato con l’acqua e nello Spirito Santo.  Sto leggendo come lettura spirituale in questo periodo quaresimale “Le catechesi battesimali” di San Giovanni Crisostomo. Egli a proposito della vista nuova data dal battesimo scrive: “ Voi, dunque, che avete avuto l’onore di far mettere il vostro nome nei registri del cielo, date alla vostra fede il fondamento di illuminate convinzioni. Infatti, le cerimonie del battesimo richiedono la fede, come a dire: gli occhi dell’anima; diversamente, si corre il pericolo di osservare solo i gesti visibili, senza vedere, in essi, come è necessario, anche le realtà invisibili. Gli occhi dell’anima operano in maniera contraria a quella degli occhi corporali, che vedono soltanto gli oggetti sensibili. Essi non sono fatti per vedere gli oggetti propri della vista corporale, ma per vedere quelle realtà che gli occhi del corpo non vedono; queste realtà essi, le vedono con la stessa precisione con cui gli occhi corporali vedono gli oggetti messi davanti a loro. «La fede, dice l’Apostolo, è sostanza di cose sperate, irrefutabile attestazione di ciò che non appare» (Ebr 11,1). GLI OCCHI DELL’ANIMA: è necessario invocare dal Signore Gesù questo miracolo, per giungere alla Pasqua allenati, con la vista dello Spirito. Alleniamoci con questa nuova vista!  

2.Nel vangelo però c’è tanta incredulità in chi accosta quest’uomo guarito che ci vede. I vicini, i farisei, i genitori…Il buio attorno e dentro di noi ci paralizza…Questo miracolo che per chi crede è quotidiano, dobbiamo invocarlo dal Signore soprattutto nel buio. L’illuminazione è progressiva: osserviamo il cieco guarito: prima afferma che Gesù è un uomo, poi un profeta e infine professa la fede nel “Figlio dell’uomo”, Cristo Gesù Salvatore. Questa esperienza dice che la fede è un cammino, non va data per scontata, va coltivata con l’esperienza dell’incontro con Gesù nella comunità cristiana. Inoltre, questo episodio ci comunica che certo la fede ci viene comunicata già da piccoli in famiglia e a poco a poco dall’esempio dei genitori, degli educatori che incontriamo si impara a vedere con quegli occhi. Ma qui abbiamo davanti un cieco dalla nascita, che non ha mai visto nulla, questo ci dice che il Signore Gesù, con la sua grazia, può cambiare gli occhi anche di chi non ha mai avuto nessuno che lo ha educato a vedere con gli occhi della fede. Si tratta di una vera conversione , di un cambio di passo radicale. Invochiamo questo dono per i grandi della terra e per chi è molto lontano dal Signore.

 

Domenica III  di  QUARESIMA   C          20 Marzo 2022

1.”La verità vi farà liberi” Carissimi, verso la Pasqua, mettiamo alla prova la nostra fede, cercando di cogliere il senso di questa diatriba tra Gesù e i Giudei “che avevano creduto in lui”. Gesù vuole potarci al cuore della fede, che è l’abbandono totale in Dio, la fiducia incondizionata in Lui, come fece il nostro padre Abramo. Noi vogliamo concentrarci sulla fede che libera, sulla fede che dona la vera libertà. Il concetto di libertà della mostra cultura, non è solo riducibile alla libertà di fare ciò che uno vuole, che in realtà è la peggior schiavitù, perché è la schiavitù di se stessi. Libertà di dire ciò che si vuole, di fare le scelte in base a ciò che uno sente dentro di sé. Ma il primo passo non è questo, perché si tratta di dichiarare la limitatezza della nostra libertà, la visione corta che abbiamo della vita senza Gesù. Lui stesso è la verità e chi lo accoglie, è veramente libero, perché è liberato anzitutto da se stesso, non ha più timore di farsi un opinione sulle cose della vita, perché il riferimento è Gesù , la sua Parola, il suo messaggio. Commentando la seconda parte dell’espressione di Gesù “la verità vi farà liberi” San Tommaso d’Aquino dice: “Il massimo dei doni però è la conquista della libertà, che la conoscenza della verità produce nei credenti; di qui le parole: «E la verità vi farà liberi». Liberare però in questo caso non ha il senso di affrancamento da una qualsiasi difficoltà,  bensì ha il senso di rendere liberi. Cosicché la verità ci renderà liberi da tre cose: dall’errore, dal peccato, dalla morte.
La verità della dottrina ci libererà dall’errore. Così è scritto nei Proverbi (8,7): «La mia bocca proclamerà la verità, e le mie labbra detesteranno l’empietà». La verità della grazia vi libererà dalla schiavitù del peccato, come dice l’Apostolo (Rm 8,2): «La legge dello Spirito di vita in Cristo Gesù mi libererà dalla legge di peccato e di morte». La verità dell’eternità, in Gesù Cristo, ci libererà dalla corruzione: «La creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione» (Rm 8,21).Pertanto la verità che Gesù Cristo ci porta conduce alla vera libertà, che è anzitutto libertà interiore. Ed è, come ha sottolineato San Tommaso, libertà dall’errore, dal peccato, dalla morte.

Domenica II  di  QUARESIMA   C          13 Marzo 2022

1.”Le accendeva la sete di Dio” Carissimi, vorrei ricordare a tutti, che la samaritana rappresenta la schiavitù dei desideri che diventano diritti. E’ una donna schiava della sua emotività, non ha saputo mettere ordine ai suoi affetti, inoltre anche dal punto di vista delle fede, ella è sempre più superstiziosa che credente. La sua reputazione e gli errori della sua vita, hanno creato in lei una paura della gente, al punto che il suo andare al pozzo per un bene primario come l’acqua, è fatto di nascosto, all’ora più calda del giorno.

1.“Hai avuto cinque mariti e questo (il sesto) non è tuo marito”. L’incapacità di avere legami stabili, sembra caratterizzare la vita di questa donna. Vuole essere felice, ma cambiando continuamente compagno dimostra che c’è qualcosa che non va. La crescita nell’affettività e nella gestione delle emozioni, guidate da un ideale grande che è la capacità di amare intesa come dono totale di se stessi agli altri, è un percorso che tutti compiamo. Questa donna avrà pur trovato uomini sbagliati, ma i suoi sei compagni, sono segno di una libertà sbagliata. Non vuole legami, ma questo diventa una schiavitù di se stessa, un usa e getta. Cosa fa Gesù accendendole la sete di Dio? Le comunica che, dissetandosi alla sorgente divina, può recuperare la capacità di amare in modo stabile. L’incontro con Gesù, non solo ci fa scoprire che siamo amati, ma ci abilita ad amare veramente, offrendo tutta la nostra vita e valutando i legami con gli altri, non solo sull’aspetto emotivo, ma dalla nostra capacità di donarci.

2.La Samaritana non brilla per la fede. Essendo parte di un popolo considerato eretico, disquisisce con Gesù sul luogo in cui bisogna adorare Dio. Gerusalemme, come vogliono gli ebrei oppure sul monte Garizim come vogliono i samaritani? Una fede così, è ancora agli albori, perché si ferma all’esterno, al luogo, a quel santuario, ancora a quella suggestione emotiva. Gesù invece dice che bisogna adorare Dio “in spirito e verità”. Il che significa, la cura dell’interiorità, la profondità dei pensieri e della vita, la preghiera contemplativa, perché Dio ci accompagna dappertutto. Gesù disseta questa donna con la vera fede, che non è altro che credere in Lui, affidarsi a Lui: il Figlio di Dio fatto uomo.

3.Infine, la schiavitù del giudizio della gente. Il giudizio degli altri su ciascuno di noi conta, tutti hanno diritto alla buona fama. La samaritana, una prostituta che ha avuto più di 5 mariti, va al pozzo nell’ora più calda del giorno, (mezzogiorno) per evitare le persona che con sguardi, risatine, giudizi inappellabili, avrebbero appesantito la sua già buia esistenza. Aveva vergogna anche di compiere i gesti normali della vita, come andare ad attingere acqua, compiere i atti quotidiani per il suo sostentamento. La cappa del giudizio degli altri, pesa a tutti, ma dobbiamo essere liberi, per questo Gesù raggiungere questa donna, per salvarla da questi pesi e per comunicarle che l’unico giudizio che conta è quello di Dio. Certo, ha avuto una vita passata e presente non troppo buona, ma Gesù la guarda con la profondità degli occhi di Dio, e le consegna la sorgente d’acqua da cui lavarsi interiormente e abbeverarsi per la vita nuova e la vita eterna. L’acqua è Gesù stesso, è Lui l’acqua battesimale che ci ha lavato e purificato, ma è rimasta in noi come sorgente che zampilla “per la vita eterna”. Anche una sorgente si può sbarrare, si può impedire che l’acqua scorra e irrori la terra. In tal modo, la Samaritana rappresenta il nostro vagare nel buio della ricerca di risposte che non hanno valore eterno, ma solo momentaneo e lasciano il vuoto dentro. L’accoglienza di Gesù e del suo Mistero pasquale, ci risuscita da questa morte interiore, al punto che affrontiamo la folla, come ha fatto la Samaritana. Questa donna di malaffare, liberata da Gesù, si rivolge a tutti dicendo ciò che il Signore ha fatto per lei. E’ ormai libera dal giudizio degli altri, non ha più bisogno di nascondersi, perché è stata peccatrice. “Mi ha detto tutto quello che ho fatto” dice agli altri: “sa tutto quello che è stato peccato nella mia vita, eppure mi ama ugualmente. Si, Dio mi ama nonostante il mio passato, non mi giudica, mi accoglie nella mia dignità di creatura da Lui desiderata, amata e perdonata.” Questa è la meraviglia ricca di speranza, che il cammino verso la Pasqua ci consegna. Domandiamoci: chi è per noi la sorgente della gioia, l’acqua che non si consuma?

S.Messa vigiliare di inizio Quaresima Sabato 6 Marzo 2022  Anno C

“Quaresima è tempo propizio”. L’inno di questa liturgia vigilare, ci ha fatto così cantare, perché inizia un tempo diverso dagli altri, dove lo sguardo alla Pasqua, che la Chiesa vive nel Sacro Triduo Pasquale, ci invita a fare un percorso di ascesi, per prepararci a risorgere con Cristo e ad essere segno di speranza per il mondo in cui viviamo. “Il cibo frugale, la lingua pura e sobria, il cuore si lasci plasmare dallo Spirito perché è “dolcissimo”  il Padre che ci ha preparato questo tempo. Allora come ci ha fatto cantare il lucernario, passando dal buio alla luce, crediamo fermante che in questo momento di tenebre buie del mondo, chi segue Cristo “ha già vinto le tenebre”. Anche la liturgia si fa più sobria e austera: via i fiori, il colore morello o nero tipico dei penitenti, il saluto all’Alleluia cantato per 8 volte. L’alleluia (la parola significa: lodate Dio, lodate Jahweh) è omessa per tutta la quaresima, la si saluta nel responsorio otto volte, adombrando l’ottavo giorno che rivivremo nella Pasqua, il giorno definitivo della Pasqua eterna. (numero 8 è anche quello degli otto lati dei battisteri antichi..l’ottavo giorno il giorno di Cristo risorto). Infatti lo sguardo pieno di nostalgia e di speranza, è quello al paradiso, al giardino di Eden che col peccato abbiamo lasciato. L’Apocalisse citata nel salmello, dopo l’ultimo annuncio della risurrezione, (ultimo perché coi prossimi sabati, verranno proclamati dei vangeli che preannunciano da parte di Gesù la sua passione e risurrezione, per attendere il grande annuncio di Pasqua nella notte santa del sabato santo), questo testo dell’Apocalisse preannunzia il premio finale, ma anche il compito dei discepoli di Cristo in questo agone che è la quaresima: “Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita” che sta nel paradiso di Dio. Predisponiamoci allora a vivere con gioia questo cammino, perché come canteremo tra poco nel canto dopo il Vangelo: “dono di grazia e di salvezza è questo tempo che ci guida a Pasqua, nella tua croce noi saremo salvi Cristo Signore”.

 

 

Domenica 6 Marzo I di Quaresima C

 

1.“Assisti la tua Chiesa, O dio; che entra in questo tempo di penitenza”. Carissimi, risuona per noi questo appello a vivere come dono, come grazia il sacro tempo della Quaresima. Sia chiara in noi la motivazione profonda, che è quella di accogliere la Pasqua di Cristo come risurrezione nostra personale, dono per i fratelli e sguardo all’eternità di Dio. Gesù nel deserto respinge le tre tentazioni di satana. Io le vorrei rileggere per noi come dono di speranza. Quando si vince il male con l’aiuto e il soccorso attivo della Grazia divina, si recupera gioia e speranza. E’ una guerra quella contro il male, una guerra interiore, che se non combattuta, se si cede al nemico, può diventare anche guerra vera, come stiamo assistendo in questi terribili giorni col conflitto in Ucraina.

La prima tentazione è quella di vivere solo di pane, di lasciarsi prendere dall’ansia anche lecita per l’aumento dei prezzi, per il futuro incerto anche per i nostri figli e nipoti. “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Mi viene in mente anche il salmo : “l’uomo nella prosperità non comprende è come gli animali che periscono”. Questo primo passo è un invito a lasciarci condurre dal Signore nel momento in cui ci assale l’ansia per i beni materiali, è questo un momento in cui essere in comunione con Gesù e domandarsi veramente cosa sostiene la nostra vita, cosa da senso al nostro alzarci la mattina. Questa tentazione, ci apre alla speranza di uno sguardo ai fratelli più attento là dove manca il pane. La parola di Dio che siamo chiamati a frequentare di più, ci invita ad essere sobri nel cibo, nella parola, perché in questo modo recuperiamo il centro di tutto: l’amore di Dio per noi manifestato in Cristo e l’amore ai fratelli. Questa è la vera speranza del mondo.

  1. La seconda tentazione che ci conduce a una speranza nuova, riguarda la fede, il culto a Dio. Il demonio vuole un Dio “a gettone” spettacolare, che si getta giù dal punto più alto del tempo, perché tutti vedano gli angeli che lo salvano. “Non tentare il Signore Dio tuo”, così risponde Gesù. Qui veramente la fede, quella autentica, ci dà speranza e la vera fede è fiducia, abbandono completo nelle mani di Dio Padre, che ha un disegno buono, salvifico su ciascuno di noi. Ritrovare nella preghiera profonda il disegno di Dio anche nella nostra vita, con la capacità di chiamare croce, cioè salvezza, le pagine dolorose della vita, perché “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”, come dice l’apostolo.
  2. Infine la terza tentazione è il potere, il dominio sugli altri, la gloria, la fama, i privilegi che fanno ombra a un amore che si fa servizio umile a tutti. “tutte queste cose io ti darò se se gettandoti ai miei piedi mi adorerai”. L’adorazione, la sottomissione a realtà che passano che non sono Dio ma diventano divinità, anche il proprio Io è un idolo. Qui la speranza del cammino quaresimale è il dono della libertà vera, la libertà di essere ciò che siamo, plasmati dal Vangelo. Perché sottomettersi a degli idoli, perché sottomettere gli altri al nostro potere? Gesù rinuncia al potere, per abbracciare il potere amorevole del Padre che lo fa servo per amore dell’umanità. E noi, a quale idolo dobbiamo rinunciare per recuperare la libertà dei figli di Dio e quindi la speranza di una vita che non è secondo il mondo ma secondo Cristo?Allora a tutti questo augurio di Buona Quaresima: lasciati plasmare da Cristo, dagli lo spazio che si merita e cedigli ogni giorno un po’ del tuo cuore, perché Egli vuole rivestirti della sua persona per renderti libero, gioioso, segno di speranza per i fratelli.

 

 

S.Messa vigiliare di inizio Quaresima Sabato 6 Marzo 2022   Anno C

“Quaresima è tempo propizio”. L’inno di questa liturgia vigilare, ci ha fatto così cantare, perché inizia un tempo diverso dagli altri, dove lo sguardo alla Pasqua, che la Chiesa vive nel Sacro Triduo Pasquale, ci invita a fare un percorso di ascesi, per prepararci a risorgere con Cristo e ad essere segno di speranza per il mondo in cui viviamo. “Il cibo frugale, la lingua pura e sobria, il cuore si lasci plasmare dallo Spirito perché è “dolcissimo”  il Padre che ci ha preparato questo tempo. Allora come ci ha fatto cantare il lucernario, passando dal buio alla luce, crediamo fermante che in questo momento di tenebre buie del mondo, chi segue Cristo “ha già vinto le tenebre”. Anche la liturgia si fa più sobria e austera: via i fiori, il colore morello o nero tipico dei penitenti, il saluto all’Alleluia cantato per 8 volte. L’alleluia (la parola significa: lodate Dio, lodate Jahweh) è omessa per tutta la quaresima, la si saluta nel responsorio otto volte, adombrando l’ottavo giorno che rivivremo nella Pasqua, il giorno definitivo della Pasqua eterna. (numero 8 è anche quello degli otto lati dei battisteri antichi..l’ottavo giorno il giorno di Cristo risorto). Infatti lo sguardo pieno di nostalgia e di speranza, è quello al paradiso, al giardino di Eden che col peccato abbiamo lasciato. L’Apocalisse citata nel salmello, dopo l’ultimo annuncio della risurrezione, (ultimo perché coi prossimi sabati, verranno proclamati dei vangeli che preannunciano da parte di Gesù la sua passione e risurrezione, per attendere il grande annuncio di Pasqua nella notte santa del sabato santo), questo testo dell’Apocalisse preannunzia il premio finale, ma anche il compito dei discepoli di Cristo in questo agone che è la quaresima: “Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vira” che sta nel paradiso di Dio. Predisponiamoci allora a vivere con gioia questo cammino, perché come canteremo tra poco nel canto dopo il Vangelo: “dono di grazia e di salvezza è questo tempo che ci guida a Pasqua, nella tua croce noi saremo salvi Cristo Signore”.

Domenica 27 Febbraio 2022  ultima dopo l’Epifania detta           “del perdono”  C

1.”Il Signore è paziente con gli uomini ed effonde su di loro la sua misericordia”. Carissimi, è la domenica del perdono, che precede l’inizio della quaresima. Frastornati da questo clima terribile di guerra, ci sembra stridente questa Parola che il Signore ci rivolge. Eppure, la Divina Provvidenza non parla casualmente. Anche l’apostolo Paolo, chiede ai fedeli di Corinto di non condannare il peccatore, ma di “far prevalere nei suoi riguardi la carità”. Il libro del Siracide che abbiamo citato all’inizio, sottolinea lo stile dell’agire di Dio con noi. Questo stile, lo vediamo nell’incontro di Gesù a Gerico, con Zaccheo, un capo dei pubblicani, ricco, collega di Levi-Matteo, che abbiamo incontrato la scorsa domenica. Osserviamo il comportamento di quest’uomo, che vive lo stesso dramma di Matteo: è schiavo del denaro,  è ricco, ma solo, odiato da tutti. Per curiosità, fa un gesto inconsueto, sale su un albero, un sicomoro, per vedere passare Gesù. Certo, non sperava di incontrarlo, ma di vederlo si. Ed ecco la sorpresa della misericordia, del perdono divino: “Zaccheo scendi subito perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Colpisce questo “devo” di Gesù. Gesù ha un dovere da compiere, deve andare da quelli come Zaccheo, perché questo è il mandato, la missione che il Padre gli ha affidato sulla terra, missione che oggi la sua Chiesa, noi, deve portare avanti: riempire di misericordia il mondo, della misericordia di Dio. Dunque, Gesù ubbidisce a questo piano salvifico del Padre, che vuole che tutti si salvino e arrivino alla conoscenza della verità. Approfondiamo lo stile di Gesù, per capire come Dio agisce con Zaccheo e con noi.

Gesù va a casa di Zaccheo e dice: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto»  Lo sguardo di Gesù va oltre i peccati e i pregiudizi. E questo è importante! Dobbiamo impararlo. Lo sguardo di Gesù va oltre i peccati e i pregiudizi; vede la persona con gli occhi di Dio, che non si ferma al male passato, ma intravede il bene futuro; Gesù non si rassegna alle chiusure, ma apre sempre, sempre apre nuovi spazi di vita; non si ferma alle apparenze, ma guarda il cuore. E qui ha guardato il cuore ferito di quest’uomo: ferito dal peccato della cupidigia, da tante cose brutte che aveva fatto questo Zaccheo. Guarda quel cuore ferito e va lì. A volte noi cerchiamo di correggere o far cambiare una persona rimproverandola, rinfacciandogli i suoi sbagli e il suo comportamento ingiusto. L’atteggiamento di Gesù con Zaccheo ci indica un’altra strada: quella di mostrare a chi sbaglia il suo valore, quel valore che Dio continua a vedere malgrado tutto, malgrado tutti i suoi sbagli. Questo può provocare una sorpresa positiva, che intenerisce il cuore e spinge la persona a tirare fuori il buono che ha in sé. È il dare fiducia alle persone che le fa crescere e cambiare. Così si comporta Dio con tutti noi: non è bloccato dal nostro peccato, ma lo supera con l’amore e ci fa sentire la nostalgia del bene. Tutti abbiamo sentito questa nostalgia del bene dopo uno sbaglio. E così fa il nostro Padre Dio, così fa Gesù. Non esiste una persona che non ha qualcosa di buono. E questo guarda Dio per tirarla fuori dal male.(papa Francesco Angelus 30 ottobre 2016)Allora comprendiamo il Padre nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Ma come è difficile mettere in pratica questa preghiera! L’atteggiamento di Gesù con Zaccheo, ci aiuta e spinge ciascuno di noi a iniziare percorsi mai facili di perdono. Ho voluto indicare come esempio la vedova del commissario Calabresi, ucciso a 35 anni. La signora Gemma Capra Calabresi, rimase vedova a 25 anni, con tre bambini piccoli. La sua testimonianza respira dello stile di Gesù: “Sono tornata a quella mattina del ’72, ho riletto il necrologio che feci: “Padre perdona loro che non sanno quello che fanno”. Pensai che era giusto spezzare la catena di odio e di violenza con parole d’amore. Oggi la leggo diversamente: perché Gesù, Dio, non si rivolge ai suoi carnefici direttamente? Era il figlio di Dio, ma anche un uomo e come tale sapeva che sarebbe stato impossibile perdonare nel momento dell’abbandono, della calunnia, del dolore fisico, spirituale, della solitudine. Ci dà quest’esempio: chiedere al Padre di farlo lui al posto nostro lasciando a noi il tempo del cammino. Io mi sono sentita improvvisamente libera, come mi avessero tolto un peso dalle spalle”. E continua dicendo: “Il perdono non è una debolezza, ti fa volare alto”. Noi saremmo capaci di perdonare donando nonil nostro perdono ma quello di Gesù?

 

Domenica penultima dopo l’EPIFANIA detta “della divina clemenza”  C          20 Febbraio 2022

1.”Seguimi”. L’invito di Gesù rivolto a Levi, ci raggiunge in questa penultima domenica dopo ‘Epifania, che con domenica prossima, sono due porte che ci introducono nella prossima Quaresima. Oggi la divina clemenza, domenica prossima il perdono. Le tre letture di oggi, ci immergono nella richiesta del popolo d’Israele, per bocca del profeta Daniele, nella misericordia divina, che il popolo implora dopo l’esilio, tornando a Gerusalemme. Esperienza di questa clemenza divina, la trasmette Paolo nell’epistola: “mi è stata usata misericordia”. Con questo sfondo, vediamo la chiamata di Matteo il pubblicano, un esattore delle tasse, che spilla soldi ai suoi stessi compaesani per conto dei Romani. Un ladro attaccato al Dio-soldo, schiavo del denaro, traditore della sua patria, odiato da tutti. Gesù passa, lo vede seduto al banco delle imposte e lo chiama. Stupisce la rapidità della risposta “Ed egli si alzò e lo seguì”. Ci domandiamo: come mai Matteo risponde così rapidamente e segue il Maestro? A lui è offerta la clemenza la misericordia di Gesù, ma chissà a quanti Gesù ha donato questo sguardo di bontà! Allora il punto per Matteo, è quello di sapersi riconoscere peccatore. Questa è la porta attraverso la quale entra la misericordia del Signore. Se non c’è questo riconoscimento non generico ma preciso dei propri peccati, è difficile che si apra un varco, perché entri la misericordia del Signore e si avvii il processo di conversione. Uno può dire “sono peccatore”, si lo siamo tutti, ma non è questo il varco alla misericordia. Si tratta dei peccati concreti che ognuno riconosce. Spesso diciamo di non avere peccati, ma è una affermazione superficiale, perché se veramente il vangelo entra nei nostri modi di ragionare, ci rendiamo conto di quanto siamo distanti dal modo di essere di Gesù. La condizione per ricevere questo sguardo di misericordia, è dunque quella di vedere se stessi come peccatori, non generici ma coi propri peccati e dichiararsi tali. Per essere salvati, guariti, riabilitati, è necessario dirsi malati, peccatori. Lo sguardo amorevole di Gesù a Matteo, è lo sguardo costante che Dio Padre ha su ciascuno di noi.

2.Ma c’è la conclusione a casa di Matteo: il pranzo con Lui, per festeggiare la sua rinascita e i commensali sono gli amici di Matteo: pubblicani, peccatori. Qui c’è lo scandalo degli scribi e dei farisei, che si lamentano coi discepoli, perché Gesù si sta contaminando con questa gentaglia. Ci si straccia le vesti davanti a scelte profetiche che coloro che seguono Gesù, dovrebbero compiere. Farisei e Scribi, osservanti delle leggi, si sono dimenticati però il comandamento più importante: “Ama Dio e il prossimo come te stesso” . Ed ecco la risposta di Gesù, che ci spiazza: “Sono venuto per i malati non per i sani”. Allora, cari fratelli e sorelle, se ci riconosciamo peccatori, si apre la porta della misericordia, con lo sguardo amorevole di Gesù. Riusciremo ad avere lo stesso sguardo verso chi ha sbagliato, ha peccato? Credo di si, se faremo l’esperienza di Matteo. Viviamo un tempo in cui si ha tanto bisogno della misericordia divina, intesa non come un colpo di spugna, ma un invito a rinnovarsi, a partire dal lasciarsi amare da Dio. La conversione di Paolo, di Matteo, è nata da questo sguardo. Siamo invitati tutti noi a fare la stessa esperienza.

3.Papa Francesco, ama molto questo episodio evangelico, ed ha preso come motto del suo episcopato una frase di San Beda il Venerabile, che commenta questo episodio evangelico. Con la frase: “Miserando atque eligendo”. Il papa ama tradurlo con un neologismo italiano: “misericordiando, Gesù chiama Matteo”

Impegniamoci questa settimana, a vederci come umili peccatori, e lasciamoci attraversare dallo sguardo di Gesù e  riflettiamolo nei confronti degli altri. Amen

Domenica 13 febbraio  2022   VI dopo l’EPIFANIA

1. Gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza” Carissimi, ci lasciamo attraversare da questo incontro salvifico e guaritore di Gesù, che non ha paura di andare vicino a questi dieci lebbrosi che lo implorano. Albert Camus, il famoso filosofo e scrittore francese (1913-1960) nel suo testo “l’Uomo in rivolta” scrive: Cristo è venuto a risolvere due problemi principali, il male e la morte, che sono appunto i problemi degli uomini in rivolta. La sua soluzione è consistita innanzi tutto nell’assumerli in sé. Anche il dio uomo soffre, con pazienza. Né male né morte gli sono più assolutamente imputabili, poiché è straziato e muore. La notte del Golgotha ha tanta importanza nella storia degli uomini soltanto perché in quelle tenebre la divinità, abbandonando ostensibilmente i suoi privilegi divini tradizionali, ha vissuto fino in fondo, disperazione compresa, l’angoscia della morte. Si spiega così il “Lama  sabactani””Dio mio perché mi hai abbandonato” e il dubbio tremendo di Cristo in agonia. L’agonia sarebbe lieve se fosse sostenuta dall’eterna speranza. Per essere uomo, il dio deve disperare”.

A partire da questa angolatura del prendere su di sé dolore e morte, Cristo contrariamente alle leggi vigenti del libro del Levitico, si avvicina a questi lebbrosi dichiarati impuri ed espulsi dalle città. E’ in cammino sulle strade della Galilea e della Samaria, cammina sulle nostre strade. Ha di fronte quello che oggi diremmo 10 emarginati, dei barboni …Siamo davanti all’emarginazione, situazione molto presente anche tra noi… Una persona emarginata non è conosciuta da nessuno e possiamo dire, che solo Dio la conosce, inoltre, non ha nessuno che lo aspetti, che lo cerchi. Gesù, Dio fatto uomo, non tiene le distanze, si avvicina a loro. E’ vicino alle nostre emarginazioni.

2.”Andate a presentarvi ai sacerdoti” . Gesù li guarisce semplicemente, osservando quanto era prescritto. Si trattava di andare dai sacerdoti per essere riammessi nella città, nella civile convivenza.

3.Ma veniamo al fulcro di questo brano evangelico: la gratitudine. Al ritorno di quell’unico lebbroso che viene a ringraziare, era uno straniero, un impuro un samaritano, Gesù ha una affermazione sconsolata e una certa amarezza: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? “. Non basta guarire fisicamente, occorre guarire dentro perché altrimenti si rimane degli egoisti, neanche si ringrazia. “non si è trovato nessuno all’infuori di questo straniero”, guarito e salvato: “La tua fede ti ha salvato”. Possiamo proprio dire che qui siamo di fronte a una gratitudine che salva. Quando non ringraziamo più e diamo tutto per scontato ci perdiamo, siamo sempre arrabbiati e guardiamo solo quello che manca, non vendendo più i doni con i quali il Signore ci circonda. Pensiamo anche alla preghiera, come è raro il ringraziamento al Signore.  Eppure la gratitudine salva, si, salva dal ripiegamento su di sé, se è sincera…E’ vero, a volte c’è anche la gratitudine di chi nasconde il desiderio velato di ricevere benefici maggiori, ma questa non è la gratitudine del lebbroso che torna da Gesù. Ha ricevuto molto, è guarito, ma ritorna a ringraziare perché in lui la guarigione è stata doppia: anima e corpo. Decliniamo questo atteggiamento in ogni ambito della vita, perché è ciò che ci salva. Nulla è nostro, tutto è dono!

Andiamo alla fine della vita. Bernanòs, il famoso romanziere francese permeato della spiritualità di Teresina di Lisieux, che pone sulle labbra del suo “Curato di campagna”, nell’omonima opera letteraria titolata appunto: “Il diario di un curato di campagna”, queste parole, che sono veramente la sintesi di una vita cristiana vissuta nella consapevolezza dei doni di Dio. Le parole sono queste “TUTTO E’ GRAZIA!” Vi auguro di vivere così.

Domenica 6 Febbraio  2022   V dopo l’EPIFANIA   C        44ma giornata per la vita

1.“Verrò e lo guarirò” Carissimi, Gesù ha cura della vita del servo del centurione romano, che viene elogiato per la sua grande fede. Una fede così grande, che le sue parole sono ripetute dalla liturgia, ogni volta prima di ricevere il coro di Cristo “O Signore non sono degno”. Questa cura di Gesù per la vita di un uomo malato, dice anche la signoria di Dio sulla vita stessa, che è il dono prezioso per eccellenza, che tutti noi abbiamo ricevuto. Oggi si celebra in tutte le chiese d’Italia, la 44ma giornata per la vita. Sappiamo quanto è preziosa la vita di tutti, ed è vita con un grande valore anche quella nel grembo di ogni madre, oppure la vita apparentemente improduttiva delle persone affette da gravi malattie. Oggi i nostri vescovi, nel messaggio che ci indirizzano, invitano tutti a “CUSTODIRE OGNI VITA”. Il messaggio che riceviamo, è quello di ricordare che la dignità di ogni vita, è un valore in sé. Ma è solo la custodia della vita dell’altro, che permette a ciascuno di non cadere nelle derive abortiste o eutanàsiche. Scrivono i vescovi: “Ciascuno ha bisogno che qualcun altro si prenda cura di lui, che custodisca la sua vita dal male, dal bisogno, dalla solitudine, dalla disperazione”. Il lungo periodo della pandemia, ha creato in tutti delle ferite interiori, in particolare i vescovi chiedono delle attenzioni peculiari e scrivono:  “Il nostro pensiero va innanzitutto alle nuove generazioni e agli anziani. Le prime, pur risultando tra quelle meno colpite dal virus, hanno subito importanti contraccolpi psicologici, con l’aumento esponenziale di diversi disturbi della crescita; molti adolescenti e giovani, inoltre, non riescono tuttora a guardare con fiducia al proprio futuro. Anche le giovani famiglie hanno avuto ripercussioni negative dalla crisi pandemica, come dimostra l’ulteriore picco della denatalità raggiunto nel 2020-2021, segno evidente di crescente incertezza. Tra le persone anziane, vittime in gran numero del Covid-19, non poche si trovano ancora oggi in una condizione di solitudine e paura, faticando a ritrovare motivazioni ed energie per uscire di casa e ristabilire relazioni aperte con gli altri. Quelle poi che vivono una situazione di infermità subiscono un isolamento anche maggiore, nel quale diventa più difficile affrontare con serenità la vecchiai”. Che fare? Ecco la cura e la vicinanza alla vita fragile. Mi ha colpito uno scritto di Mario Melazzini, che è stato assessore alla sanità della regione Lombardia, affetto da Sla grave, ormai totalmente paralizzato che dice:“Si desidera di morire quando ci si sente soli”. I vescovi a questo proposito si esprimono: “Anche la riaffermazione del “diritto all’aborto” e la prospettiva di un referendum per depenalizzare l’omicidio del consenziente vanno nella medesima direzione. “Senza voler entrare nelle importanti questioni giuridiche implicate, è necessario ribadire che non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire, ma il prevalere di una concezione antropologica e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali. […] Chi soffre va accompagnato e aiutato a ritrovare ragioni di vita; occorre chiedere l’applicazione della legge sulle cure palliative e la terapia del dolore” Davanti ai nostri occhi, ci sono tanti medici, infermieri, operatori sanitari e servitori della nazione, che continuano a dedicarsi ai malati ai bisognosi. Con loro guardiamo all’eroismo, di chi ha dato la vita per dedicarsi agli altri. Sono questi il meglio della nazione e della Chiesa. Tra questi dovremmo collocarci anche noi, impegnati a trasmettere alle giovani generazioni la cura della vita umana, in tutto il suo sviluppo. I vescovi concludono il messaggio scrivendo: “Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!”. Una campionessa della custodia di Cristo e della vita, è stata Santa Madre Teresa di Calcutta. Quando a Oslo l’11 novembre 1979, ritirò il premio Nobel per la pace, disse queste parole molto forti. Riascoltandole oggi, non possiamo non pensare che l’Europa dalle radici cristiane, abbia in questi mesi chiesto alle singole nazioni, di mettere l’aborto come diritto. Ecco le parole di Madre Teresa: “… Io sento che il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta, un’uccisione diretta, un omicidio commesso dalla madre stessa. E leggiamo nelle Scritture, perché Dio lo dice molto chiaramente: “Anche se una madre dimenticasse il suo bambino, io non ti dimenticherò. Ti ho inciso sul palmo della mano”. Siamo incisi nel palmo della sua mano, così vicini a Lui che un bambino non nato è stato inciso nel palmo della mano di Dio. E quello che mi colpisce di più è l’inizio di questa frase, che “Persino se una madre potesse dimenticare, qualcosa di impossibile, ma perfino se si potesse dimenticare, io non ti dimenticherò”. E oggi il più grande mezzo, il più grande distruttore della pace è l’aborto. E noi che stiamo qui, ricordiamoci,  i nostri genitori ci hanno voluti…”..

Domenica 30 Gennaio  2022   Festa della SACRA FAMIGLIA  C

” Lo santificò nella fedeltà e  nella mitezza, lo scelse fra tutti gli uomini” Carissimi, l’espressione riferita a Mosè nella prima lettura dal libro del Siracide, può essere applicata a San Giuseppe, che troviamo protagonista del vangelo di oggi, festa della Sacra famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Come Mosè, anche Giuseppe ha accesso ai sogni di Dio, che gli manifestano la sua volontà. Giuseppe esegue ciò che gli è chiesto e permette alla Sacra famiglia, di approdare a Nazareth, dove si consoliderà nei 30 anni di vita, che Gesù vivrà coi suoi genitori.La figura di Giuseppe, come padre e sposo, ci aiuta a riflettere sul dono delle nostre famiglie, chiamate a imitare questa santa e semplice famiglia del Figlio di Dio. Anzitutto noi vediamo che ciò che accomuna la Sacra famiglia, è la fede. L’ascolto dei sogni, corrisponde a ciò che si dice di Maria che “ascoltava la Parola di Dio e la metteva in pratica”. Questa, sappiamo, è la beatitudine che gli attribuisce Gesù e senz’altro possiamo dire la stessa cosa di Giuseppe. La famiglia di Nazareth, è una famiglia che prega, che si pone in ascolto della voce di Dio nelle Sacre Scritture e, sottolineo, negli avvenimenti quotidiani della vita. E’ evidente come nel vangelo ascoltato, Giuseppe vede nei fatti anche dolorosi, un disegno di Dio.  Riflettiamo sul dono della preghiera in famiglia, della preghiera della coppia genitoriale insieme, prima di chiudere la giornata. La preghiera fa della famiglia una fortezza inespugnabile, rende unita la famiglia, soprattutto nei giorni della prova.

2.Questo primo aspetto, apre a un secondo, che noi deduciamo da ciò che fa Giuseppe compie e dalle sue decisioni, dopo a morte del sanguinario Erode e la presenza del figlio Archelao, non da meno di suo padre. Vogliamo sottolineare il DIAOLOGO che presumiamo ci sia stato tra Maria e Giuseppe, prima di intraprendere questi viaggi. E’ certo che il dialogo interno alla famiglia, è il pilastro della fedeltà, un dialogo nel quale ci si interroga sulla volontà del Signore sulla propria famiglia. E’ prezioso il dialogo nella coppia, coi figli, coi familiari e con coloro che compongono la comunità cristiana e civile. Penso al prezioso momento dei pasti in famiglia, soprattutto la sera e la domenica. La forza dei genitori di togliere le voci che lo disturbano: la tv, i telefonini durante i pasti. Ma molto più la coltivazione della dimensione dell’ascolto reciproco, che fa compiere le scelte di dare del tempo all’ascolto dell’altro. L’ascolto di Dio, ci educa all’ascolto tra noi in famiglia.

3.Infine, rimaniamo colpiti dalla forza di Giuseppe e dalla sua capacità di affrontare i pericoli, che compromettono la vita del piccolo Gesù. Vediamo che Giuseppe fa la scelta di allontanare la famiglia dai pericoli. Mi colpisce questo ALLONTANARE, e penso a molte famiglie che si sono conservate tali, perché hanno fatto le stesse scelte con coraggio: si sono allontanate dai pericoli della divisione, del tradimento, della chiusura in se stessi…Hanno scelto la via del dialogo paziente per crescere i figli…Una vita di difficoltà anche economiche, ma hanno tenuto sulla famiglia, aiutati spesso dalla fede. Nello stesso tempo però, piango per tante famiglie che si sono rovinate e per chi ha perso la fiducia nella famiglia… Forse non si è accorto del pericolo, forse ha dato per scontato che tutto andava bene, si è lasciato mangiare dal lavoro, dalle preoccupazioni o si è spaventato davanti a una malattia. Oggi è il giorno in cui rendere grazie per le nostre famiglie, ma anche pregare per chi soffre nella e a causa della famiglia. Nessuno sia lasciato solo, si può rimediare a tutto e facciamo di tutto per custodire le nostre famiglie. Termino col pensiero di un direttore spirituale di famiglie: “Vedo sempre più chiaro, Signore, che i vincoli del sangue, se non passano attraverso il tuo Cuore amabilissimo, sono per alcuni motivo permanente di croce; per altri, origine di tentazioni — più o meno dirette — contro la perseveranza; per altri ancora, causa di assoluta inefficacia; e, per tutti, zavorra che si oppone a una dedizione totale“.

Domenica 23 Gennaio 2022  III dopo L’EPIFANIA  C

1.”Dio ama chi dona con gioia”. Carissimi, vorrei iniziare con l’espressione dell’apostolo Paolo, nella seconda lettera ai Corinzi che abbiamo ascoltato. Nell’accogliere questa nuova epifania, manifestazione di Gesù, nella moltiplicazione dei pani e dei pesci, noi siamo davanti al cuore generoso e compassionevole di Dio, che si mostra in Gesù. Qui, nel vangelo di Matteo, è la seconda moltiplicazione dei pani e dei pesci; la prima è descritta nel capitolo 14. Lo sguardo di Gesù è rivolto alla gente che lo segue, che da tre giorni sono con Lui e non hanno da mangiare. Gesù risponde a questo bisogno fondamentale che è il cibo per vivere, per stare in piedi. Questo è molto bello, perché dice alla nostra fede che Dio non è estraneo ai nostri veri bisogni, anche a quelli materiali. Penso al lavoro, la casa, la salute, la preoccupazione per la vita che è cara. Dio è dalla nostra parte, capta la nostra sofferenza e il nostro bisogno. Sente compassione cioè patisce-con…noi. Questa epifania di Dio è molto umana, reale, concreta. Ci aiuta a comprendere la vicinanza di Dio.

2.”Quanti pani avete?” La domanda di Gesù ai discepoli, chiama in campo la loro disponibilità e condivisione. Ciò che hai è poco “sette pani e pochi pesciolini”, ma messo nelle mani di Gesù è tanto e ne avanza: “quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini”. Riflettiamo su questo gesto e ascoltiamo la stessa domanda che Gesù rivolge a noi. “Tu cos’hai? Cosa puoi condividere? Cosa puoi darmi?”. Ognuno è portatore di un dono, che se viene nascosto o sotterrato, diventa un povero dono. Se questo dono è consegnato al Signore per gi altri, si moltiplica. Qui la matematica salta: per il vangelo ciò che si sottrae, si moltiplica. Qui rispecchiamoci con la comunità dei Corinti a cui scrive l’apostolo. La condizione perché Gesù moltiplichi in noi la sua gioia, è il dare volentieri, non per forza o per farsi vedere, ma solo dare in modo disinteressato, a imitazione di Gesù, che ha dato la sua vita per noi. La nostra buona dose di egoismo e la paura del virus, ci chiudono in noi stessi. Ma questo non è il tempo in cui stare bene da soli, ma è il momento della fantasia della carità, del moltiplicare con la fantasia, infiniti momenti in cui aprire il cuore al fratello, alla sorella che hanno bisogno.

  1. ”Li spezzò e li dava ai discepoli e i discepoli alla folla”. Questa “traditio”-consegna del pane ai discepoli perché li diano alla gente, è profondamente lo stesso gesto del pane eucaristico, che tra poco riceveremo. Il motore della carità e del donare con gioia agli altri, è l’accoglienza di quel pane moltiplicato, che è Cristo stesso. Il significato eucaristico di questo brano è evidente: Gesù nell’Eucarestia è la grande epifania di Dio per noi. Lui si fa pane per la nostra fame profonda di Dio. Mangiamo questo pane, non poniamoci a distanza solo assistendo alla Messa, ma partecipiamo, sedendoci a quella mensa che è Cristo stesso. “Prendete e mangiate” dice Gesù. “E lo dice a te che non ti comunichi mai o solo poco, certo il tuo è un rispetto di Gesù nel pane santo, ma attento alla pigrizia spirituale. Pensa a quante volte ti sei privato di questo dono santo, che in te può muovere infinite energie di bene”. Certo, l’anima deve essere pronta, in grazia di Dio, la confessione mensile ci aiuta. Ma ricordiamoci che l’Eucarestia non è il cibo per i perfetti, ma è la medicina per i malati. Pertanto possiamo cambiare le nostre abitudini e accettare più spesso l’invito a ricevere questo pane santo.

Permettetemi di chiudere con una preghiera semplice di papa Luciani, che è molto bello dire a Gesù, dopo aver fatto la Comunione: “O Signore, stammi sempre vicino. Tieni la tua mano sul mio capo, ma fa’ che anch’io tenga il capo sotto la tua mano. Prendimi come sono, con i miei difetti, i miei peccati,
ma fammi diventare come tu desideri e come anch’io desidero”.

Domenica 16 Gennaio 2022  II dopo L’EPIFANIA  C

1.”C’era la madre di Gesù”. Carissimi, siamo davanti al primo segno di Gesù alle nozze di Cana. Anche qui, assistiamo a un epifania di Gesù, cioè al suo mostrarsi, identificandosi in quell’acqua che diventa vino squisito. Sappiamo, da tanti elementi tra cui la risposta che Gesù dà a sua Madre Maria “Non è ancora giunta la mia ora”, che questo segno, anticipa la Pasqua: l’acqua della morte, diventa il vino squisito della vita che non finisce. Ma in questo brano, vorrei sottolineare oggi la presenza e l’opera Maria, in questo primo segno pubblico di Gesù. Si dice: Maria intercede presso suo Figlio e chiede ai servi che: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Nel salmo stesso  abbiamo cantato: “Intercede la regina adorna di bellezza”. Per comprendere questo intercedere di Maria e la sua presenza in mezzo a noi nella Chiesa, è illuminante la prima lettura, tratta dal libro di Ester. Siamo nel quinto secolo avanti Cristo, il popolo d’Israele è in esilio in Persia. Ester è una bellissima ragazza ebrea, scelta dal re Artaserse per diventare regina. Ella scopre che il comandante delle guardie regali Amàn, vuole attuare un progetto per sterminare il popolo d’Israele residente nel regno. Ester dopo aver pregato e digiunato, si fa ricevere dal re e chiede al sovrano di partecipare a un banchetto, dove parteciperà anche Amàn. Il seguito del brano lo lascio alla vostra lettura. Ester attraverso questo suo gesto, salverà tutto il popolo dallo sterminio, e mostrerà al re la congiura e il tradimento che il capo del suo esercito stava tramando contro di lui.

2.Torniamo a Maria nelle nozze di Cana , ella intercede, letteralmente “giunge in mezzo, interviene”, si pone come Ester tra il re, Gesù, e il popolo, gli invitati a nozze, perché manca il vino: non c’è la gioia, si è smarrito il senso del vivere. L’intercedere di Maria, non è paragonabile a una raccomandazione che toglie la responsabilità dell’agire a chi si vuole aiutare. La frase che ella dice ai servi “Quello che vi dirà fatetelo”, sottolinea la responsabilità di chi è chiamato a fare la sua parte, e deve riempire le giare di acqua. Senza questa ubbidienza, l’intercessione di Maria va a vuoto. In altre parole: quando ci rivolgiamo a Maria per chiedere una grazia, perché lei possa parlarne a Gesù, la risposta che ne riceviamo è la medesima: “Quello che ti dirà Gesù fallo”. Il che significa una vita più evangelica, una conversione del cuore, uno sguardo agli altri a cui manca qualcosa, per vedere cosa tu puoi fare per loro. Allora ci domandiamo: se è così, cosa fa Gesù per noi, se la nostra richiesta di aiuto ritorna a noi come impegno? La risposta la troviamo nel miracolo di Cana: Gesù cambia l’acqua in vino. Ci accorgiamo che le nostre povere forze e i nostri sforzi non bastano perché una situazione cambi, occorre il vino nuovo dell’amore immortale del Signore Gesù. Il miracolo della trasformazione dei nostri fallimenti, soprattutto in famiglia, (qui siamo a un matrimonio, non dimentichiamolo)  dipendono dal nostro accogliere l’invito di Maria ad ascoltare e vivere gli inviti del Signore Gesù. Questo vino buono, squisito che è sovrabbondante, è ciò che nascostamente i discepoli del Signore compiono nel mondo quando vivono il Vangelo.

3.Guardando a Maria, ci rendiamo conto quanto sia importante nel cammino della vita cristiana, avere una confidenza, un rapporto con lei. Il suo meditare la vita alla luce della Parola di Dio, l’essere considerata “Beata” perché “ascolta la parola di Dio e la mette in pratica” è la ragione profonda per cui noi amiamo e ci rivolgiamo a Maria. Maria è una vera madre per noi, perché come ogni mamma, non si sostituisce ai figli, ma li sostiene nell’ora della prova, e sa dire la parola giusta al momento giusto. Il nostro amore a Maria, ci aiuti a scoprire col suo aiuto, quando anche nella nostra vita, nella famiglia, nelle amicizie e in tutte le relazioni interpersonali, manca il vino nuovo del Vangelo.

Domenica 9 Gennaio 2022  BATTESIMO DEL SIGNORE  C

1.”Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Carissimi, l’Epifania del battesimo di Gesù, chiude il tempo liturgico di Natale e apre verso numerose epifanie che danno vita a un tempo liturgico chiamato appunto “dopo l’Epifania”. La domanda che teniamo nel cuore è la seguente: “Dove e come Gesù manifesta con a sua umanità, la sua divinità?”. Quello che Giovanni Battista dice a proposito di come ci battezzerà Cristo Gesù, comunica che Egli può donarci lo Spirito Santo. Abbiamo ancora negli occhi del cuore, l’adorazione dei Magi a Betlemme, che si prostrano e adorano, pieni di gioia, Dio nel Bambino di Betlemme. Oggi, noi vogliamo compiere la medesima adorazione, metterci davanti a Gesù che sta per essere battezzato con acqua, come un peccatore qualsiasi, ma Egli è Colui che ci ha battezzato con il dono dello Spirito e il fuoco dell’Amore del Padre. Adorare il suo Mistero di uomo-Dio, significa prendere coscienza del dono dello Spirito Santo che abita in noi, per mezzo del Battesimo. Chi si accosta a Gesù e lo adora, è consapevole che Egli rinnova sempre in noi questa grazia del suo Santo Spirito. Ricordiamo le parole dell’Apostolo Paolo “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? “. Nell’adorazione del Signore, veniamo riempiti dallo Spirito, e si rinnova in noi a coscienza del Battesimo. Che conseguenze ha per la nostra vita tutto questo? I credo anzitutto è il dono di riconoscere le nostre debolezze e mancanze di forza, il riconoscere che la nostra sola volontà e forza non basta. Lo Spirito, che è il frutto dell’Adorazione del Figlio Gesù, è il dono totalitario che ci mostra le virtù da praticare e le strade evangeliche da percorrere.

2.”Gesù ricevuto il Battesimo stava in preghiera”. La manifestazione di Gesù come Dio, Figlio di Dio, con la voce del Padre che lo dichiara, avviene in un contesto simile a quello della grotta di Betlemme. Gesù è in fila coi peccatori, che vanno da Giovanni Battista per ricevere un battesimo di conversione, e si mette fra loro con grande umiltà. Ancora una volta, Dio si manifesta nel nascondimento, nella vicinanza a tutti coloro che non si sentono santi, ma peccatori, privilegia per rivelarsi l’umanità ferita, malata, disperata. Da questa manifestazione-epifania, siamo invitati a coglie ancora una volta le nostre mancanze e fragilità, come luoghi esistenziali dove Dio ci raggiunge per trasformarci. E’ vero, spesso, toccando il fondo, si risale con il soccorso della Grazia di Dio. Questo stile di Gesù tra i peccatori, e tutto il suo ministero pubblico, ci fa venire in mente quello che papa Francesco ha sottolineato ancora una volta nel messaggio del primo dell’anno: la cultura della cura, che vince sulla cultura dello scarto. E Gesù per rivelarsi, agisce così, si fa prossimo agli scartati. Così deve fare la Chiesa e ogni cristiano. Come Gesù è mosso dall’amore del Padre: “tu sei il Figlio mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento”, così ognuno di noi, per il suo battesimo, è figlio e figlia amata/o. Questa consapevolezza è il fondamento della cultura della cura e dell’attenzione, che è la missione di ogni battezzato: vivere la fraternità che nasce dalla fede. Quando veniamo alla liturgia. ci chiamiamo: “fratelli e sorelle” per il battesimo, questo per noi non è retorica, ma è la pista attraverso la quale impostare i rapporti in famiglia e con tutti.  Concludo con un pensiero di papa Luciani, prossimo Beato, a proposito dell’espressione del Padre : “Tu sei mio figlio l’Amato”, parola applicabile a tutti noi per il Battesimo. Diceva Giovanni Paolo I: “noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo:Dio ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. E’ papà; più ancora è mamma. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore”. (angelus 10 settembre 1978)

Domenica 2 Gennaio  2022  DOPO L’OTTAVA del  S.NATALE

1. Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Carissimi, nella sinagoga di Nazareth, Gesù già adulto, compie un dovere di tutti gli uomini maggiorenni del suo tempo. Può leggere la S.Scrittura e comunicare un breve commento. Voi vi domanderete : “cosa c’entra questo brano letto nel tempo di Natale?” La liturgia, lo colloca aprendo il contesto natalizio con il linguaggio della prima lettura, preso dal libro sapienziale del Siracide. Riletto questo brano, alla luce del Natale, intendiamo bene che Il Verbo di Dio, Il Figlio, si è fatto uomo per entrare nel piano del Padre, che dalla prima lettura è descritto come la sapienza personificata. “Il creatore dell’universo mi diede un ordine –fissa la tenda in Giacobbe e prendi in eredità Israele-“. Questo ordine, si attua nel cammino che Gesù compie. Nel vangelo, Gesù legge la profezia di Isaia e attribuisce a se stesso quelle parole. Possiamo dire che manifesta la motivazione per cui è nato, la ragione profonda per cui si è fatto uomo. Gesù persegue un messianismo concreto:  “ Lo Spirito è su di me, mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”. Dunque Gesù viene, è nato oggi per questo, per manifestare la grande misericordia, la bontà e l’amore di Dio. Gesù presenta il suo sogno, lo condivide con chi l’ha visto crescere, ha parole di speranza per chi è stanco, è vittima, per chi non riesce a vivere ma si trascina, ma sappiamo che i suoi paesani non accolgono la sua proposta.

Spiega il motivo del suo essere fra gli uomini. Ancora una volta afferma che Dio ha una predilezione per l’uomo e in particolare per coloro che vivono dei disaggi di ogni genere.

L’essere unto da Dio, consacrato, l’essere il Cristo non lo pone su un piedistallo ma lo rende servo tra fratelli, figli dello stesso Padre. Essere amico di Dio significa essere sempre alla ricerca della verità e mettere al primo posto l’uomo. Gesù non si interroga se quel prigioniero sia buono o cattivo; a lui non importa se il cieco sia onesto o peccatore, se il lebbroso meriti o no la guarigione, è un uomo e come tale va custodito e amato. Davanti a Dio non esiste la meritocrazia, ci basta la sua sola Grazia. Ricevendo la sua Grazia, Dio è sicuro che l’uomo muoverà i suoi passi verso di Lui. Il Natale nel grande Mistero di Dio che si fa uomo per noi ci fa dire che:

Il nostro è un Dio che ama per primo, ama in perdita, ama senza contare, di amore unilaterale. La buona notizia di Gesù è un Dio sempre in favore dell’uomo e mai contro l’uomo, che lo mette al centro, che dimentica se stesso per me.”

Tutto questo è in contrasto con una politica o un modo di fare che predilige il respingimento, la difesa dei confini senza pensare che l’unico confine che va difeso è il fratello. Dio rade al suolo i muri dell’inimicizia e i governanti di oggi alzano muri e armano mani col pretesto di difendersi, dimenticando che non si vince col fuoco e col filo spinato, ma con l’arma rivoluzionaria usata da Cristo: un amore senza limiti. Certo che è scomodo un Messia che in cambio di mandare al mittente gli stranieri parla di accogliere, curare e liberare ciechi, storpi, prigionieri…Questo è il Dio cristiano, questo è il suo messaggio. Cristiano è colui che assume lo stile rivoluzionario di Cristo Gesù.Non è utopia, sicuramente è follia, ma avete visto mai un innamorato che non sia folle? Dio è così innamorato dell’uomo che ci propone un progetto dove ogni uomo sia finalmente promosso a uomo e la vita fiorisca in tutte le sue forme. Rileggiamo allora lo stile del Natale di Cristo, alla luce della motivazione della profezia di Isaia, e domandiamo il dono della conversione al vero Dio, al Dio che lo stile di Gesù ci ha presentato. Iniziando un nuovo anno, interroghiamoci su quanto questo stile di Gesù raggiunge almeno i nostri pensieri, i nostri ragionamenti e chiediamo la grazia di una continua conversione.

 

Domenica 19 Dicembre 2021          VI di Avvento C Divina Maternità di Maria

1.”Maria è Madre di Dio”. Carissimi, alle porte di un Natale nuovo, ci attende Maria con il suo “Si” a Dio, attraverso l’annuncio dell’angelo. Lei è Madre, ha accettato di esserlo di Cristo e di ciascuno di noi. La madre del capo, non può che essere la madre di tutto il suo corpo che è la Chiesa,  quindi di ciascuno di noi figli e figlie di questa Chiesa. La Vergine Maria è innanzitutto la Madre del Verbo Incarnato, la Madre di Dio. Questo è il suo titolo principale e il fondamento di tutti gli altri titoli.: Immacolata, Assunta in cielo…  La formula “Madre di Dio” non appare esplicitamente nella Sacra Scrittura, ma in essa sono affermate nel modo più chiaro due verità: la prima è che Gesù è veramente Dio; la seconda è che Gesù è veramente Figlio di Maria. A questo punto la logica ci obbliga a porre questo sillogismo: Gesù è Dio; Maria è la madre di Gesù: quindi Maria è la madre di Dio. Nel corso del V secolo, Nestorio, eletto patriarca di Costantinopoli nel 428, a un certo punto, nelle sue prediche, inizia a combattere il titolo di Theotókos (Madre di Dio). Il Concilio di Efeso (431) condanna Nestorio: afferma innanzitutto il dogma dell’unità delle due nature di Cristo, in un’unità secondo la persona, e di conseguenza afferma che Maria deve essere detta “Madre di Dio” (Theotókos). È importante notare che la definizione dogmatica di Efeso fu prima di tutto cristologica, ma in conseguenza fu anche mariologica. E’ interessante come la nostra liturgia ambrosiana definisce questo giorno come “solennità del Signore” Quando fu definito il carattere personale divino dell’uomo Cristo, la maternità di Maria fu definita come divina. Tutta la fede cristiana riguardo al Verbo Incarnato può essere sintetizzata così: Gesù è insieme vero Dio e vero uomo. Dicendo che Maria è Madre “di Dio” diciamo che Gesù è vero Dio; dicendo che Maria è “Madre” di Dio diciamo che Gesù è vero uomo; e diciamo anche che in lui la divinità e l’umanità sono unite nella stessa persona.

2.Noi oggi incontriamo Maria come madre e incontrarla così significa essere da lei condotti a contemplare la gioia personificata che è il suo Figlio Gesù, il Salvatore del mondo, Dio fatto uomo. Permettiamo a Maria di esserci madre e noi presentiamoci a lei con la confidenza dei figli e figlie. Amare Maria vuol dire amare Cristo, amare Cristo significa accoglierlo nella nostra vita dalle mani di Maria e portalo nella vita quotidiana. Chi è cristiano non può non essere mariano. Abbiamo un dono che oggi riceviamo da Maria ed è la gioia. “Rallegrati  piena di grazia il Signore è con te”. Questa è la radice della gioia, che Paolo nell’epistola ci raccomanda: “siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto, siate lieti”. Se viviamo con Maria, questa gioia che nasce dal “Si di fede”. Nessuno ci può togliere questa gioia, neanche la morte. Allora, se il Natale è la festa della gioia a causa della venuta al mondo del Salvatore Gesù, perché spesso anche noi cristiani lo dimentichiamo? Certo siamo umani, le vicende della vita ci fanno sperimentare il dolore e la tristezza, ma verrebbe da chiedersi: “dov’è la nostra fede in quei momenti?”. La nostra madre Maria, che custodisce e cura il corpo del suo Figlio che è la sua Chiesa, quindi cura ciascuno di noi, ci invita a lasciarsi accompagnare per tutta la vita dal saluto che l’angelo Gabriele a fatto a lei: “rallegrati il Signore è con te”. E’ l’augurio che vorrei fare per il Natale a cominciare dal dono dei sacramenti, che ci permettono di essere contemporanei di Gesù. In particolare la Confessione e la Comunione. Viviamoli con gioia come il nostro vero Natale!

Domenica 12 Dicembre 2021          V di Avvento C

1.”Il precursore”. Carissimi, il cammino verso un Natale nuovo, è abbondantemente verso il suo culmine. Il precursore, Giovanni Battista si staglia in questa liturgia come modello della Chiesa e quindi di ciascuno di noi, perché egli è totalmente sbilanciato verso Gesù Cristo. Si definisce “amico dello sposo”, non patisce nessuna invidia o gelosia perché anche Gesù battezza e la gente va da lui. Il Battista sintetizza lo scopo della sua vita, con la famosa espressione: “Lui deve crescere, io diminuire”. Una espressione simile, la troviamo in San Paolo: “Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”.(Galati 2,20). Se ben riflettiamo, questo è l’obiettivo alto della vita cristiana, questo è il motivo profondo per cui ogni anno celebriamo l’incarnazione del Figlio di Dio in tutto il suo Mistero. Se Cristo non è vivo in noi, il nostro cristianesimo rimane una leggera patina di vernice, che cambia il volto superficiale, ma nel profondo resta il nostro io, da solo in balia del momento che viviamo. La nostra stabilità interiore, sta nel far vivere Cristo in noi. E’ come un sistema di vasi comunicanti che segue una legge contraria: se aumenta il livello di Cristo in noi, il nostro io diminuisce e viceversa.

2.Cogliamo questa opportunità per preparare l’incontro con Cristo nel sacramento della Confessione, che molti di noi vivranno per il S.Natale, attraverso la testimonianza di San Giovanni Battista. Il primo aspetto è la capacità di fare un passo indietro, perché altri possano emergere. Qui si adombra una verifica sulla verità e l’umiltà nella nostra vita. La preghiera è anzitutto questo luogo in cui emerge Cristo e noi diminuiamo. Ma c’è la vita che ci stimola a capire, non quando dobbiamo tirarci indietro: questo sarebbe egoismo, ma quando Cristo bussa alla nostra porta, con un volto nuovo, con una persona che ci chiede di entrare. Questo è un test sull’accoglienza degli altri, perché effettivamente il Natale è questo. Paolo direbbe “accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi”.(Romani 15,7). Concretizziamo questo in famiglia, quando si trattai accogliere e capire una idea diversa che hanno i figli o i nipoti, o persone che la pensano diversamente da noi. Fare un passo indietro, non vuol dire rinunciare al proprio pensiero, ma con gentilezza, direbbe il nostro arcivescovo, fare spazio all’altro, alle ragioni dell’altro e comporre il proprio pensiero con l’altro. Più difficile nei gruppi sia parrocchiali che laici, fare un passo indietro. Far crescere gli altri. Molti gruppi si lamentano perché sono fatti solo  da anziani e i giovani non entrano. Ma qui si tratta di diminuire perché qualcuno cresca. Sarebbe comodo abbandonare la nave e darla in mano a braccia inesperte. Più difficile è porsi accanto con pazienza e insegnare i trucchi della navigazione. Quando in un gruppo si è creato il monopolio di pochi, al punto che diventa un monopolio intoccabile, è giunto il momento di domandarsi la ragione ultima per cui si fa quel servizio o quel volontariato.

3.Infine, siamo stimolati a comprendere le ragioni dell’invidia e della gelosia. Il Battista non ne è abitato, perché è chiaro lo scopo della sua vita: preparare la strada a Gesù. Da dove nascono questi due atteggiamenti negativi? Spiritualmente parlando, dalla incapacità di ringraziare Dio e gli altri di ciò che siamo. Spesso la gelosia e l’invidia sono il frutto di uno sguardo malato su di sé e sugli altri. E’ come quando ci si guarda a uno specchio deformato, tutto è irregolare, anche il volto. Lo specchio dell’invidia e della gelosia, crea dei mostri, cioè persone incapaci di vedere il bene e di accettare il proprio e l’altrui limite. La coscienza di sé, delle proprie virtù e dei propri difetti e limiti, fa evitare di cadere nella trappola di architettare il male per coloro che hanno, ai nostri occhi, raggiunto traguardi che noi non abbiamo. Il contrario dell’invidia e della gelosia è la lode a Dio per il bene che esiste in noi e negli altri. Anche qui, se Cristo abita in noi, nulla ci manca e Lui non distoglie lo sguardo da nessuno. Concludo con l’Humilitas di papa Luciani, era il suo motto l’umiltà, perché in sintesi è questo il consiglio di Giovanni Battista, per accogliere il Signore in questo nuovo Natale. Un pensiero del papa del sorriso, che presto sarà beato ci fa capire da dove puo’ nascere l’umiltà: “Il Signore tanto ama l’umiltà che, a volte, permette dei peccati gravi. Perché? Perché quelli che li hanno commessi, questi peccati, dopo pentiti, restino umili”. 

Domenica 5 Dicembre 2021          IV di Avvento C

1.”L’ingresso del Messia”. Carissimi, in questa quarta domenica d’Avvento, la nostra liturgia ambrosiana, recupera un antichissima scelta che risale a moli secoli fa, quando si è costituito il percorso delle sei settimane d’Avvento. Si tratta della proposta dello stesso vangelo della domenica delle palme, con il festoso ingresso di Gesù a Gerusalemme, all’inizio della settimana santa. Come mai questa scelta? Nella spiritualità dell’Avvento, ci stiamo educando alla venuta del Signore. Ma Gesù  dove vuole venire? Un certo modo di intendere la fede come fatto privato, vorrebbe relegare la sua presenza solo all’ambito interiore o liturgico-spirituale della nostra vita, oppure alla fine della vita. In realtà, questo ingresso di Gesù, camminando dall’alto del monte degli ulivi, cavalcando un umile puledro, ci aiuta a comprendere che Egli non si accontenta di venire nell’ambito della liturgia o della preghiera personale, ma entra nella Gerusalemme di oggi, la nostra storia, questo momento concreto che stiamo vivendo. Gesù non vuole venire solo per chi frequenta la chiesa, ma per tutti e attraverso noi, entrare in tutti gli ambiti della nostra vita: la dimensione lavorativa, familiare, sociale, politica, la scuola, il tempo libero. Lo stile della sua venuta è caratterizzato dalla umile cavalcatura: un puledro. Non un cavallo da guerra, ma un umile asinello, così come aveva predetto il profeta Zaccaria: “Non temere Sion ecco a te viene il tuo re umile cavalca un asino.” . Possiamo proprio dire che Gesù stesso viene e chiede ospitalità nelle nostre case e in tutti gli ambienti di vita, perché viene per dare senso all’intera vita, è per questo che cristiani sono necessari dappertutto, perché sono il segno della venuta del Signore tra noi. A noi cosa chiede Gesù-Messia che viene? Ci domanda di accoglierlo, di essere suoi discepoli. Letteralmente discepoli significa “colui che sempre impara”. E’ un atteggiamento importante per guardare alla venuta del Signore, che è il nostro Maestro. Chi ha questo atteggiamento davanti al Signore, vive la stessa umiltà che Gesù ha avuto nello stile della sua venuta. Cerchiamo sempre di avere l’atteggiamento, di chi ha da imparare dal Signore, perché non abbiamo mai finito di conoscerlo.

2.”Benedetto Colui che viene nel nome del Signore” Le parole del salmo 118, sono sulle labbra della folla che accoglie Gesù, perché lo vede come Colui che può dare senso e pace alla vita. Guardando a questa risposta entusiasta, sappiamo che la folla presto lo respingerà davanti alla via inaudita della croce, molti grideranno “Crocifiggilo”. Questo percorso, ci fa interrogare, vicini al Natale, nel chiederci quali attese abbiamo e dove il Signore dovrà entrare, da quale porta della nostra vita ? Quali luoghi esistenziali della tua vita, della famiglia e di tanti altri ambiti dell’esistenza attendono il Signore con la sua pace? Queste domande ci aiutano a preparare il cuore alla festa meravigliosa della sua nascita. Il sacramento della Confessione, a cui ci accostiamo, riassuma queste attese, queste domande. “Signore Gesù tu vieni ma dove e perché io non ti accolgo?”

Mi pare bello concludere con due modelli che la liturgia celebrerà in questi giorni. Martedì  Sant’Ambrogio, un grande pastore attento alle vicende del suo tempo, uomo di grande cultura e col cuore del buon pastore per tutti. Ambrogio ha fatto da porta, perché il Signore parlasse agli imperatori, agli usurpatori del popolo e con la sua grande fede e intelligenza, ha edificato sia la Chiesa che la società civile. Infine lei l’Immacolata, che ci è guida in questo Avvento. Maria, la tutta santa, ma anche la donna feriale, normale, che ha vissuto a Nazareth per 30 anni col suo figlio, la sua famiglia, ci ricorda la visita quotidiana del Signore, là in quel ripetitivo quotidiano, che tutti viviamo.

Domenica 14 Novembre 2021          I di Avvento C

1.”La venuta del Signore”. Carissimi, inizia il nuovo anno liturgico. Il nostro animo è ricco di gratitudine per il cammino percorso e si proietta verso questo nuovo percorso che è scandito nel tempo dal Mistero di Cristo, che ci viene incontro con un nuovo Avvento. Non è un copione che si ripete, e nessuno di noi può dire di sapere e conoscere tutto. Non si tratta di conoscere, ma di entrare con tutto noi stessi e insieme come Chiesa, nelle profondità di Dio che sì manifesta, viene oggi con il cammino verso un nuovo Natale di Gesù. Ripeto spesso che la liturgia non è una commemorazione di fatti passati, ma è opera di Dio oggi. Nella liturgia noi riviviamo oggi l’incontro con Gesù risorto che si fa uomo per salvarci. “ Dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sono in mezzo  loro”. Si tratta di vivere con profondità ogni celebrazione liturgica cercando di centrarsi in Cristo attraverso i segni che la liturgia ci mostra. Ogni aspetto della liturgia rimanda a Cristo e al suo Mistero.

In questa prima domenica i toni delle letture, soprattutto del vangelo, sono apocalittici, sono, si dice, escatologici. Si parla della fine di tutto. Ma Gesù pronuncia questi discorsi non per spaventare, ma perché ciascuno si interroghi sul FINE, sullo scopo ultimo della sua vita. Dove stiamo andando? Che senso ha la nostra vita? La risposta sta nel Signore, Lui viene e verrà all’ultimo nostro giorno e all’ultimo giorno del mondo, per ricapitolare in Lui tutta la storia. Se andiamo verso il Signore allora, la nostra vita deve essere accompagnata dalla VIGILIANZA, una vigilanza che ci aiuta a non distogliere lo sguardo da Gesù. Qui mi riferisco alla preghiera personale, a quello scavare profondo che ogni tempo forte di avvento e quaresima ci propone. Mi riferisco alla carità, alle opere di misericordia, che ciascuno nel nome di Gesù può compiere. Siamo in un momento di grande fragilità psicologica, dove a subire le conseguenze di quello che stiamo vivendo sono i nostri ragazzi. Dobbiamo sostenerli e soprattutto aiutarli a rafforzarsi interiormente. Certamente il cammino della fede è un grande sostegno. Risentiamo la promessa che Gesù nel discorso sui tempi difficili ha pronunciato:“Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. Sono parole rivolte a ciascuno di noi, e vanno calate nel profondo, dove albergano le nostre paure. La paura di ammalarsi, la paura radicale di morire…Verrebbe da parafrasare ciò che ci dice il Signore con le parole del Salmo 22 “tu sei con me Signore non temo alcun male… se anche dovessi camminare in una valle oscura non temo alcun male perché tu sei con me”. Ecco la fede che si appoggia sul Signore: questo è il significato letterale della parola fede: appoggiarsi su…

Vorrei terminare, augurando a tutti un buon cammino di Avvento, con le parole dell’Apostolo Paolo che abbiamo ascoltato nell’epistola ai Filippesi: “Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce…Cercate di capire ciò che è gradito al Signore”

Domenica 7 Novembre 2021  Solennità di Cristo Re Giornata mondiale dei poveri e giornata diocesana Caritas

“Ricordati di me”. E’ sempre struggente immergerci nella scena del calvario, nel dialogo col buon ladrone. La liturgia nella solennità di Cristo Re dell’universo, che conclude l’anno liturgico, ci fa contemplare il potere di Gesù che sta tutto nella risposta a questa richiesta: “oggi con me sarai in paradiso”. Il rapporto con Gesù valica la morte, diventa perdono anche all’ultimo istante della vita, apre la porta dell’eternità a chi si affida a Lui. Questa regalità di Gesù attraversa tutta la sua vita e si traduce in un amore che diventa servizio. Questo è il potere che Gesù ci affida, perché siamo fatti per amare e finché non sperimentiamo il dono di noi stessi agli altri, un dono completamente gratuito, non possiamo dire di appartenere al Regno di Cristo. La solennità di oggi è un invito a contemplare il crocifisso, per lasciarsi trafiggere da un amore che ci supera e tutto ci riempie. Nella Santa Comunione, noi abbiamo questo incontro e nell’intimità di noi stessi, possiamo ripetere la stessa preghiera del ladrone: “Ricordati di me Signore quando entrerai nel tuo regno” e Gesù ci può rispondere che lo farà, ma ci chiede di ricordarci di Lui oggi, perché i “poveri li avrete sempre con voi”. E’ la risposta che Gesù dà a Giuda, che rimprovera la donna che spreca trenta denari per ungere i piedi di Gesù. Dunque Gesù ci chiede: “Ricordatevi di me, non trascuratemi quando mi presento col volto di chi è povero, solo, abbandonato”. La conseguenza di questo invito, è quella di entrare nella regalità di Cristo, e mettere al centro la carità cristiana nel proprio agire. Abbiamo appena celebrato la festa dei Santi . In effetti, la nostra santificazione passa attraverso l’esercizio del potere della carità, lo stesso che Gesù esercita su noi come nostro Re.

2.”Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” che “Svuotò se stesso”. Sono le parole di Paolo che abbiamo ascoltato nell’epistola ai Filippesi. Qui ci viene in soccorso il papa, che ha indetto per il quinto anno la giornata mondiale dei poveri e il cammino nella nostra diocesi con la giornata Caritas. Siamo abituati a delegare questo aspetto importante della vita cristiana a questi gruppi caritativi, che certamente sosteniamo e, devo dire, con una generosità che si è triplicata in questa pandemia. Questo è un bel segno, perché giustamente non ci salviamo da soli. Ma aggiungiamo per ciascuno di noi, uno stile sempre più cristiano, facendo circolare l’amore del Signore fra noi. Anzitutto in famiglia, educando i figli a un apertura di cuore per chi ha bisogno, spaccando quella coltre di individualismo, che ci chiude in noi stessi, illudendoci di essere felici da soli. Io sono convinto che un ragazzo, una ragazza, non cresce bene se non si esercita in un amore che è servizio, soprattutto per i poveri, per chi è ai margini della società. Chi ha fatto esperienze di volontariato nella giovinezza e continua a farle, sa quanto è maturante e pieno di gioiosi frutti un cammino così. Io aggiungerei che lo stile della carità, si trasmette in famiglia, a cominciare dai figli piccoli, anche con piccole scelte di carità, che restano nel cuore dei bimbi. Non sto parlando solo del bilancio familiare, che deve tener presente di dare qualcosa ai poveri, ma anche dello stile familiare che non si tira indietro se un vicino di casa ha bisogno, che non abbandona i nonni anziani, che sa capire cosa vuol dire perdere il lavoro o altre sventure, che toccano oggi molte più famiglie. Abbiamo molte testimonianze nascoste che vanno in questa direzione. Concludo con il segreto della carità, dell’amore cristiano, con una espressione della grande Santa Teresina di Lisieux: “Gesù brucia d’amore per noi. Contempla il suo volto adorabile! Contempla i suoi occhi spenti e abbassati! Contempla le sue piaghe! Contempla il suo volto…Là vedrai quanto ci ama”.

Domenica 30-31 ottobre 2021 II dopo la  Dedicazione della Chiesa cattedrale 

1.”Venite è pronto ”. Carissimi, in questa domenica seconda dopo la dedicazione della cattedrale, risuona in noi l’invito di Colui che chiama tutte le genti a questa grande cena. Dio Padre invita tutti. La cena, il banchetto nella Bibbia, è il simbolo della partecipazione alla salvezza, ma anche il segno che la vita si svolge sotto lo sguardo di Dio, che è Padre buono e misericordioso. Il servo che rivolge a più persone l’invito, è Gesù, il Servo di Jhavè. Vediamo che di fronte agli inviti del Signore, molti cominciano a scusarsi e ad affermare che hanno impegni più importanti a cui dedicarsi: il campo, i buoi, la moglie. Lo sappiamo bene, nella vita gli inviti del Signore possono non essere riconosciuti e cadere nel vuoto, essere dimenticati. Questa è l’esperienza di ciascuno di noi.

2.Ma la parabola non finisce qui, perché Colui che invita non si scoraggia, e manda il servo ai crocicchi delle strade per accogliere i poveri, i più diseredati e aggiunge, poiché c’è ancora posto : ”esci per le strade, lungo le siepi e costringili a entrare perché la mia sala si riempia”. Questo invito che sembra una costrizione, in realtà mostra il desiderio di Dio Padre di accogliere tutti i suoi figli, senza distinzione. Li vuole salvare tutti, c’è posto per tutti. La prima lettura di Isaia, lo profetizza in modo esplicito: “Non dica lo straniero che ha aderito al Signore”: Certo mi escluderà dal suo popolo”. Così Paolo nell’epistola agli Efesini, dice che Gesù Cristo ha abbattuto il muro che divideva Ebrei e Pagani, facendo dei due un popolo solo.

3.Apllichiamo alla nostra vita questa Parola di Dio e domandiamoci, se viviamo da credenti, con l’attenzione agli appelli del Signore. Egli rispetta la nostra libertà, ma non ci lascia mancare tante occasioni, che forse anche noi, con delle scuse, facciamo cadere. Il cuore di Dio è quello di un Padre e il suo Figlio Gesù, ha dato la vita per tutti gli uomini e le donne, senza distinzione di razza o di altro…. Il cuore di Dio non discrimina nessuno, così dovrebbe essere il nostro animo. Un cuore aperto, attento alle altre culture, non giudicante, ma capace di mettersi in ascolto, superando i pregiudizi nei confronti di certi popoli o nazioni. Il cristiano non può essere né razzista, né antisemita, ma la presenza di chiunque rappresenta un dono, un fratello o una sorella per la quale Cristo ha dato la sua vita. Guardando più in piccolo, nell’ambito della famiglia e della comunità, noi siamo invitati ad essere a nostra volta, servi del Signore. Persone contente della propria fede e pertanto capaci di far udire l’invito alla salvezza ai nostri di casa, con la preghiera per loro e qualche volta, con l’invito esplicito al banchetto di Cristo, che è la S.Messa. Invitiamo ogni tanto anche i nostri cari che sono assenti dall’Eucarestia, a questo banchetto, oppure è da tempo che non lo facciamo?

4.La vicinanza al giorno solenne di tutti i Santi e alla commemorazione dei Defunti, ci sprona a guardare questa parabola, come l’ingresso al banchetto eterno, a  cui tutti ci stiamo preparando. Concludo con la frase di un santo del XX secolo che a questo proposito scriveva: “ Il tempo è il nostro tesoro, il tempo è  il “denaro” per comprare l’eternità” (Escrivà Solco n° 882)

Domenica 23-24 ottobre 2021 I dopo la  Dedicazione della Chiesa cattedrale   – Giornata missionaria mondiale

1.” Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”. Carissimi, questa è la frase centrale che papa Francesco ha scelto per l’odierna giornata missionaria mondiale, ed è tratta dagli Atti degli Apostoli (4,20). Possiamo ritrovare questa ansia apostolica di missione, nelle tre letture di questa domenica prima dopo la dedicazione della cattedrale, domenica del mandato missionario. Nella prima lettura, Filippo si fa vicino a un Etiope, funzionario della regina d’Etiopia, che legge da solo Isaia, il brano del servo sofferente, ma non capisce a chi si riferisce. Filippo spiega che tutto si riferisce a Gesù morto e risorto, vivo oggi, l’Etiope si converte, si fa battezzare. Penso in questo momento, all’opera della catechesi nella nostra comunità, allo spiegare la fede, i contenuti precisi che pronunciamo nel credo. C’è una missione che è uno spiegare, un parlare, che coinvolge tutti. Noi stessi che siamo qui, ne abbiamo estremo bisogno di formarci come cristiani, di leggere e approfondire sempre la nostra fede. Dall’altra però, noi stessi siamo invitati ad essere la voce del Signore per le giovani generazioni. Saremmo in grado di parlare del Signore ai nostri figli , ai nostri nipoti? Non tanto per dire loro gli obblighi del credere, Messa, Confessione preghiere. Ma, come dice il papa, per comunicare il cuore della missione della Chiesa che è l’incontro con Gesù, col suo amore misericordioso e compassionevole, l’amicizia e la confidenza con Lui. Oppure Gesù è per noi uno sconosciuto? Gli apostoli invece, hanno fatto una esperienza viva di Gesù : “Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”.

2.Paolo nell’epistola a Timoteo, sottolinea che questa missione di annunciare a tutti Gesù, è un desiderio profondo del Padre che “vuole che tutti gli uomini siano salvi e  giungano alla conoscenza della verità”. Questo desiderio, si attua certamente ancor oggi nella Chiesa, con questa fraternità missionaria di uomini e donne, che donano la vita e partono, lasciano la loro terra per inculturarsi nelle nazioni più povere del mondo, e farsi fratelli e sorelle di quelle genti, portando con il vangelo la loro umanità. I missionari italiani: uomini donne nel mondo sono circa 10.000. Molto diminuiti certamente, dal picco di 20.000 del 1991 . Oggi l’età media dei missionari suore, preti consacrati è di 63 anni. Dicono i missionari: “Oggi i giovani ci ammirano, ci stimano ma non ci imitano. La solitudine, l’incomprensione, il lottare possono anche fare paura”. Di contro i missionari laici, anche coppie di sposi, famiglie intere sono in aumento e hanno un età media molto più bassa, sono sotto i 40 anni.

3.”Andate” l’imperativo missionario di Gesù agli undici, dopo averli rimproverati per la loro incredulità, nel giorno della sua ascensione, raggiunge ciascuno di noi. Come lo viviamo? Come ci sentiamo a nostra volta missionari del Vangelo? Scrive il papa nel su messaggio: “Nel contesto attuale c’è bisogno urgente di missionari di speranza che, unti dal Signore, siano capaci di ricordare profeticamente che nessuno si salva da solo”. Sentiamo che questo invito riguarda noi insieme, nel contesto neo-pagano di oggi. Permettetemi di ricordare il grande campo delle nostre famiglie che hanno bisogno del Signore. Ma da chi ne possono sentire parlare se non da  noi? Non scoraggiamoci, preghiamo e lasciamoci illuminare dallo Spirito Santo, per essere segno in mezzo a loro di Gesù vivo. Poi rendiamo grazie per le tante persone che nella comunità si spendono con la testimonianza per l’annuncio diretto del vangelo, e per chi lo fa nei luoghi più disparati: al lavoro, in un negozio, per la strada, tra le mura di casa, nei luoghi dove la morte ha fatto la sua visita. Ogni luogo e ogni momento è adatto per essere missionari di Gesù Risorto perché “Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”.

Domenica 16-17 ottobre 2021  Dedicazione della Chiesa cattedrale   S.Cresime ore 15,00 San Gaetano e Basilica

1.” Le mie pecore non andranno mai perdute in eterno”. Carissimi ragazzi e ragazze, oggi Gesù dice a voi queste parole rassicuranti. Come è facile perdersi nella vita! Voi siete all’inizio di questa avventura…Ma non sarà così, se accoglierete a cuore aperto, tra poco, il dono dello Spirito Santo nel sacramento della Cresima. Gesù  tiene a ciascuno di voi, e vi fa il dono più grande, il dono che da Dio Padre, Lui, il Figlio, ha dato la prima volta agli Apostoli nel cenacolo, radunati con Maria. Voi sapete quale effetto ha fatto in loro il dono dello Spirito! Sono diventati entusiasti di essere Apostoli di Gesù, e hanno superato la paura, testimoniando Gesù fino al dono della vita. Nel Tempio di Gerusalemme Gesù in inverno passeggia sotto il portico di Salomone e viene avvicinato dai Giudei, che gli chiedono di affermare chiaramente se lui è il Cristo. Gesù risponde loro “Ve l’ho detto e non credete”. Questo è il punto carissimi, fidarsi di Gesù, accogliere le sue parole, CREDERE. Ormai siete grandi, non bastano più le preghiere a memoria o la Messa perché vi mandano i genitori. Se volete accogliere il dono dello Spirito Santo, questo dono, vi porterà ad avere un rapporto quotidiano con Gesù. Mi riferisco alla preghiera personale. Cercate ogni giorno di avere un colloquio intimo con Gesù, parlategli, dite i vostri segreti, Lui vi ascolta. Ma soprattutto ascoltatelo: lo Spirito Santo che ricevete, vi ispirerà di prendere in mano il Vangelo e di leggerlo, magari un branetto al giorno chiedendovi: “Ma tu Gesù cosa vuoi da me? Cosa mi dici”. In questo modo, Gesù non sarà più un estraneo, ma un amico, un fratello, un compagno per la vostra crescita. Vi raccomando di accostavi a Lui nella Comunione e nella Confessione, perché lo Spirito Santo lo rende vivo in questi due sacramenti. Insomma, ricevendo lo Spirito Santo rendetevi conto che avete una vita spirituale da coltivare, da non far morire.

  1. Oggi nel giorno della vostra Cresima, la liturgia celebra la solennità della dedicazione del Duomo di Milano, Chiesa madre di tutti i fedeli di rito ambrosiano. San Paolo nell’epistola ci ha detto “Voi siete edificio di Dio, campo di Dio”. Il dono della comunità cristiana, della parrocchia, dell’oratorio, è indispensabile per crescere nella fede. Come si fa fatica a crescere se manca la famiglia, così se manca il riferimento alla comunità, è complicato mantenere la fede e non perdersi. Qui mi rivolgo ai genitori, ai padrini alle madrine. Non lasciamo soli questi ragazzi/e. C’è una comunità che li sostiene, c’è un cammino che oggi inizia, sostenuto da molti giovani, dai sacerdoti che sono loro a fianco. Chiedo a voi adulti di favorire per tutti la presenza alla catechesi, e di non cadere nella tentazione di lasciare a questi ragazzi una libertà che non riescono ancora a gestire. Molti di loro sono entusiasti nel continuare col gruppo pre-ado, che sta per pre adolescenti, l’età in cui entrano a far parte. Ma noi stessi adulti, cerchiamo di dare più conto alla vita dello spirito, alla formazione interiore di questi ragazzi. Come? Continuando noi stessi a vivere nella comunità cristiana e a interessarci di tutte le proposte belle, che l’oratorio propone a ciascuno di loro. La nostra è una bella e ricca comunità, non tanto di beni materiali, anche se abbiamo dei bei ambienti per i nostri ragazzi, ma ricca di persone che si dedicano a loro.

Allora preghiamo lo Spirito Santo per questi ragazzi.

Spirito di Dio, apri i cuori di questi nostri ragazzi, dona loro la gioia di seguire Gesù e il suo Vangelo. Amen

Domenica 10 ottobre 2021 VI dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore

 

1.” Ma io voglio dare a quest’ultimo quanto a te””. Perché il padrone della vigna da un denaro di paga a tutti, a prescindere dalle ore di lavoro? Gesù vuole rivelarci il desiderio del Padre misericordioso di salvare tutti, di essere pronto a salvare anche all’ultima ora. Pensiamo al buon ladrone. Qui non c’entra il discorso di giustizia ed equità sociale, perché Gesù sta parlando di salvezza, di cammino verso quella meta. “Mostraci Signore la tua misericordia” abbiamo cantato nel salmo.

2.Come fare? Si tratta di accogliere l’invito a lavorare nella vigna del Padre, come chiave di lettura della nostra vita. Lavorare, espandere il Regno di Dio. Vivere la vita come operai del Regno, avendo come scopo l’espandersi del vangelo di Gesù coi suoi criteri nella vita quotidiana: questo è l’invito evangelico di oggi! Qualsiasi cosa facciamo, anche se fossimo immobili, tutte le ore sono buone perché il Signore ci chiami a lavora per Lui. Lavorare per il Signore, offrire a lui le nostre fatiche, perché si accresca il suo Regno. Lo preghiamo nel “Padre nostro”: “VENGA IL TUO REGNO”. Lavorare per il Regno di Cristo nel mondo, di per sé non significa immediatamente avere un impegno in parrocchia. Qui vorrei citare un testo importante del concilio Vaticano II , la Lumen Gentium che al numero 31 dice:  “È proprio dei laici, per la loro vocazione, cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”. Quindi essere operai del Signore, chiamati a lavorare per la sua vigna a tutte le ore, per un laico come voi,  significa  metterci proprio il sale la luce della fede ad ogni opera, sapendo che il Signore in quel momento, si aspetta che lavoriate per Lui. Questo lavorare per il Signore nella sua vigna, ci aiuta a comprendere che nulla è nostro, e ci dona una libertà di azione che ci permette di non conformarci alla mentalità di questo mondo. Proviamoci!

3.Si lavora insieme per il Signore, nella sua vigna a tutte le ore. C’è chi dalla prima ora è nella Chiesa, c’è chi arriva all’ultimo, magari in una conversione finale. Il Signore chiama tutti! Da un lato ognuno deve imparare soprattutto nella Chiesa a lavorare insieme, questo vale per ogni ambito. Direi che i cristiani per primi, sono chiamati a collaborare con gli altri, con tutti. E’ una fatica ma fa crescere nell’amore cristiano. Avendo chiaro l’obiettivo che è quello di lavorare insieme per il Signore, nasce un attenzione e una chiamata. C’è chi è bravo e fa tanto ma non sa collaborare. L’attenzione è quella di tenere a bada invidia e gelosia nei confronti dei nuovi arrivati. I nuovi arrivati devono munirsi di grande umiltà e capacità di apprendere dagli altri. Però vediamo chiaramente nel vangelo, che chi protesta alla fine perché tutti vengono pagati con un denaro, non ha capito lì’intento del padrone della vigna. Chi arriva nuovo in un ambiente sia ecclesiale o laico, è accolto o è guardato con diffidenza? Ci sono dei settori dove chi è da tanti anni a fare un servizio, ne ha fatto un potere personale e guai a togliergli il “maneggio”. Costui o costei, non stanno lavorando per la vigna del Signore, ma per se stessi. Da questo punto di vista umilmente vorrei additare noi sacerdoti con la promessa di obbedienza al vescovo, che ci cambia di parrocchia quando lo ritiene opportuno, come un esempio di libertà e distacco nel servire la vigna del Signore, che è sempre la stessa in ogni parte.

  1. “Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi”. La conclusione ci faccia riflettere per non sentirci mai i primi del Regno di Dio, ma nel farci ultimi, possiamo comprendere il grande cuore misericordioso del Padre.

Domenica 3 ottobre 2021 V dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore

1.” Lo vide e ne ebbe compassione”. Il Samaritano è Gesù stesso.| E’ lui che si china su di noi e con la medicina del suo amore pasquale, fascia le nostre ferite e ci porta alla locanda che è la sua Chiesa, perché l’opera di guarigione possa completarsi. Egli versa per noi tutto quello che è. Sulla croce dona tutto, perché l’umanità ferita dal peccato possa guarire e riprendere la via per la quale ciascuno di noi è stato creato: la via della carità, dell’amore gratuito. Siamo fatti per amare i fratelli e quando ci chiudiamo nell’egoismo, nell’ indifferenza, quando passiamo oltre al fratello o sorella che sono nel bisogno, non solo tradiamo la nostra fede cristiana, ma non siamo neppure più umani. Il primo dono da ricevere è l’amore di Cristo sulle nostre ferite, per poterlo donare agli altri. La S.Messa è questo incontro di guarigione, è sacramento di guarigione. Viviamolo fino in fondo e ricevendo il Corpo di Cristo nella S.Comunione, facciamo penetrare fin nelle parti più profonde dell’anima la sua presenza, perché ci dia il coraggio di amare e perdonare chi non ci ama, perché ci spinga a vedere e a non passare oltre, quando qualcuno ha bisogno e ancor di più, ci liberi da un cristianesimo, da una fede senza le opere. E’ l’apostolo Giacomo nella sua lettera che dice “mostrami la tua fede senza le opere (cioè senza la carità, l’amore al prossimo) ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”. Aggiungo che in questo cammino dobbiamo sentire la responsabilità di trasmettere alle giovani generazioni un cristianesimo che non si riduca al culto, alla sola Messa e preghiera, un cristianesimo che è solo come un ansiolitico per i mali della vita. E’ nostro dovere interrogarci sull’assenza dei giovani alla Chiesa. Non sarà anche perché vedono in noi adulti un cristianesimo disincarnato?  La carità cristiana si concretizza nella spirito di servizio. Penso alle nostre famiglie e all’importanza di educare i figli e i nipoti a farsi prossimo nei confronti di chi è in difficoltà: i nonni, un parente, un vicino di casa e la comunità stessa. Spesso anche la comunità cristiana, la parrocchia, ci offre tante occasioni di carità di servizio. A volte per chi sente di avere questo carisma la carità di esplicita nel servizio di evangelizzazione. Penso in questo momento ai catechisti di bambini, ragazzi, adolescenti e giovani. Guardo alle attività dell’oratorio che stanno ricominciando pur con le norme Covid. E’ carità l’annuncio del vangelo, come è carità pulire una chiesa, è carità mettersi a disposizione con le proprie competenze al servizio di tutti. Penso in questo momento a chi va in pensione…Certo è il momento del riposo e del godere dei sacrifici fatti, ma un cristiano non può penare a questo tempo senza un impegno per gli altri, chiudendosi in un egoismo e perbenismo borghese che lo chiude ai bisogni degli altri. Certo molti pensionati sessantenni sono a disposizione dei loro genitori ultranovantenni e dei nipoti, ma ce ne sono tanti che vivono questo tempo dimenticandosi della parabola del buon samaritano.

  1. Va e anche tu fa lo stesso” L’invito di Gesù è chiaro: la stessa compassione ricevuta da Dio nell’incontro col Figlio Gesù ci fa dono dello Spirito Santo, uno Spirito che attiva la fantasia della carità. Una fantasia che ci fa domandare: ma dove trovo Gesù oggi? Certamente lo Spirito Santo saprà indicarci gli ambiti, le persone che hanno bisogno del nostro tempo. Prolunghiamo la Comunione al Corpo di Cristo, soccorrendo le sue membra piagate e bisognose, che non mancano mai di interpellarci. Stiamo attenti che la pandemia, invitandoci a tenere le distanze dagli altri, non ci chiuda nell’egoismo e nell’indifferenza di chi vede e passa oltre.

Domenica 26 settembre 2021 IV dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore

 1.“Alzati e mangia perché è troppo lungo per te il cammino”. Le parole dell’angelo ad Elia che braccato da Gezabele, la perfida regina che lo vuole annientare, danno coraggio a Elia e il nutrimento del pane e dell’acqua sono qualcosa che richiama al nutrimento eucaristico. L’episodio ascoltato nella prima lettura è rappresentato sulla porta del nostro tabernacolo. Un anonimo autore del 1700 ha rappresentato la scena su metallo dorato. Braccati dalla vita, in fuga da noi stessi o da qualche problema che non vogliamo affrontare, ci coglie il sentimento di Elia, lo scoraggiamento, la stanchezza fisica che è la pesantezza del cuore, la tentazione di pensare che Dio ci abbia abbandonato. “Ecco un angelo lo toccò” e ancora “per la seconda volta l’angelo lo toccò”. Il Signore manda i suoi angeli nel momento della prova per noi e per gli altri ci chiede di essere quell’angelo. Pane e acqua, il cibo base per non perire. Basta questo per far sì che si riprendano le forze e si continui a camminare.

2.”Io sono il pane disceso dal cielo”, Nella sinagoga di Cafarnao Gesù apre il cuore sul suo mistero di uomo-Dio e si propone come nutrimento spirituale piochè Egli è disceso dal cielo. I suoi interlocutori non credono, non accettano e non accolgono Gesù come era avvenuto a Nazareth. Eppure questo dono è il più importante per la nostra vita. Comunicare con il cielo per ricevere il pane degli angeli: la S.Eucarestia. esaminiamoci su questo dono così importante e chiediamoci come viviamo questo incontro quanto questo cibo spirituale che è Gesù vivo forma la nostra vita. Vorrei aprire una porta verso l’adorazione eucaristica e spiegare la proposta dell’Adorazione perpetua.

Domenica 5 Settembre 2021  I dopo il Martirio   B

“Allo sposo appartiene la sposa, ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo”. Abbiamo celebrato mercoledì la festa del martirio di San Giovanni Battista, questo evento segna il tempo liturgico nel nostro rito ambrosiano, come tempo DOPO IL MARTIRIO del Precursore. Pertanto, la Parola di Dio ascoltata, ci orienta verso una fede in Gesù che diviene testimonianza, sull’esempio del Battista. Vediamo il contesto del vangelo che abbiamo ascoltato. I discepoli di Giovanni Battista non si rassegnavano che il loro maestro dalla voce tonante e dalla figura imponente, vero erede dei grandi profeti di Israele, lasciasse prevalere il giovane rabbí di Nazaret, a prima vista più modesto. Serpeggiava questo sentimento tra i discepoli di Giovanni il Battezzatore, un  sentimento venato anche di gelosia. Infatti, questa è la reazione dei seguaci del Battista: «Rabbí, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco sta anche lui battezzando e tutti accorrono a lui!»). È, questa, una tentazione che attecchirà anche tra gli stessi discepoli di Cristo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non era uno dei tuoi seguaci. Ma Gesù disse: Non glielo impedite!… Chi non è contro di noi è per noi!» (Marco 9, 38-40). Ma ritorniamo a Giovanni e alla risposta che egli rivolge contro il sospetto dei suoi zelanti amici. Ricorrendo a un famoso simbolismo biblico, usato dai profeti per delineare l’intimità del patto tra Israele e il Signore, ossia all’immagine nuziale, il Battista definisce Cristo come lo Sposo per eccellenza a cui è legata la sposa, che è la comunità dei credenti in lui. Già questa rappresentazione rivela la straordinaria considerazione di Giovanni nei confronti di Gesù, riconosciuto in pratica nella sua divinità, a causa dell’applicazione della simbologia nuziale profetica. In questa cornice egli ritaglia anche il suo spazio e delinea il suo autoritratto, quello di «amico dello Sposo». La formula non è generica,  essa, infatti, ha una qualità che potremmo definire come “tecnico-giuridica”. Nell’antico Israele l’“amico dello sposo” era colui che era stato incaricato dai due clan familiari di tenere i rapporti tra i fidanzati, così da formalizzare tutti gli aspetti concreti, legali ed economici del futuro matrimonio. Si tratta, quindi, di una missione rilevante, quella – fuor di metafora – di far incontrare Cristo e Israele. In questa luce Giovanni è veramente “il Precursore” o, come si legge nel prologo del vangelo di Giovanni: «non era la luce, ma colui che doveva dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui» (1,7). Limpida e coraggiosa è, perciò, la confessione che il Battista aggiunge, destinandola ai suoi discepoli perché superino la loro ristrettezza spirituale: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire». Una frase che è segno di verità e di umiltà, di consapevolezza della propria vocazione e dei limiti che essa comporta. Una vera e propria lezione soprattutto per genitori ed educatori, per guide e maestri: la loro missione non è quella di mettere se stessi al centro per farvi convergere per sempre il figlio o il discepolo; bensì è il far crescere l’altro in pienezza, così che raggiunga la sua maturità e abbia lui il primato. Ma cosa significa che Cristo deve crescere in noi e noi , ciascuno di noi deve diminuire? L’incontro eucaristico con Lui che tra poco vivremo ci consegna una risposta, farsi piccoli come un ostia per far morire la pianta dell’egoismo, curare che nei rapporti tra noi entri Gesù. Cercare di dare spazio alla cura per la comunità, per il bene comune, fare qualcosa, nel nome di Gesù, per gli altri nella completa gratuità, darsi da fare per curare la propria comunità parrocchiale, senza pretendere di mettersi al centro, ma gioire perché anche con un piccolo servizio, si sta servendo il Signore e la sua Chiesa. Come scrive il nostro Arcivescovo nella sua nuova lettera pastorale “Oggi l’individualismo rischia di essere il principio indiscutibile dei comportamenti e quindi il principio per organizzare la vita sociale e le leggi”. Noi cristiani però non accettiamo questo nel momento in cui accogliamo l’invito di Giovanni Battista: “Lui deve crescere io diminuire”

Domenica   III dopo PENTECOSTE  B       6  Giugno 2021

1.“Così non sono più due ma una sola carne”. Carissimi, oggi la Parola di Dio ci consegna il Vangelo del matrimonio, così come Dio ha pensato l’unione tra l’uomo e la donna. Papa Francesco nell’esortazione apostolica “Amoris laetitia” così scrive:  “Il sacramento del matrimonio non è una convenzione sociale, un rito vuoto o il mero segno esterno di un impegno. Il sacramento è un dono per la santificazione e la salvezza degli sposi, perché “la loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa. Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce; sono l’uno per l’altra, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi”.Ce lo ha ricordato Paolo nell’epistola agli Efesini: “Voi mariti amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”. Così “non sono più due ma una carne sola”, dice Gesù stesso nel Vangelo.

Il progetto di Dio all’origine, il dono di Cristo che eleva alla dignità di sacramento l’unione coniugale, dicono tutta la bellezza e la profondità della vocazione al matrimonio.

2.Voi direte: “Si è bello l’ideale, ma poi nella realtà vediamo che i matrimoni sono crollati e chi si sposa poi alla prima difficoltà si divide, si separa, facendo soffrire soprattutto i bambini”. E’ vero, ma qui noi ci scontriamo con due problemi intrecciati l’uno con l’altro: il primo è l’immaturità delle persone. I nodi di crescita, il diventare adulto, non è poi così scontato. Infatti si va al matrimonio a volte, con problemi della personalità non risolti. Uno fra tutti è l’intendere l’amore come una soddisfazione per sé che chiamiamo egoismo, invece l’amore il dono di sé stessi, la dimenticanza di sé, per mettere l’altro al centro. Una immaturità così, si ripercuote nel matrimonio, perché uno dei due o ambedue, non è diventato adulto, nella capacità di amare, che è sacrificare se stessi per l’altro. Abbiamo due adulti, ma in realtà fermi ancora all’adolescenza, polarizzati sul proprio EGO. Un secondo aspetto concatenato è la crisi, la mancanza di fede. Oggi è certo una crisi diffusa dappertutto. Se per l’immaturità umane si preferisce la convivenza, per la mancanza di fede si fa a meno di Dio e del suo Vangelo che può elevare l’unione della coppia a un significato più alto, profondo e duraturo. Stiamo assistendo di questi tempi a molte separazioni di coniugi non più giovanissimi, anche anziani, settantenni, ottantenni. Questo è un fenomeno che fa pensare. Cosa ci può essere alla radice? Io credo la morte della coppia quando nasce il figlio. Quando nasce un figlio, nasce una mamma e un papà, ma la vita di coppia finisce in tutti i sensi. La coppia non ha più tempo di parlarsi, di dialogare e pensa che il tempo dato a questo sia un togliere energie i figli. Ma in questo modo i conflitti normali della vita di coppia, non vengono più affrontati e figli diventano uno scudo da usare uno contro l’altro. Questi problemi si possono trascinare anche nella vecchiaia, fino a farli deflagrare. La coppia genitoriale deve continuare ad amarsi per tutta la vita “con la grazia di Cristo”, come recita la formula sacramentale del matrimonio. E’ necessario continuare ad amarsi in tutte le dimensioni di cui è composto l’amore, compresa l’unione dei corpi, che è segno dell’unione delle anime. Quando manca questo, la coppia non è più coppia, ma se va bene, è un fratello e una sorella che vivono insieme, aiutando figli e nipoti. Guardiamo a tane coppie ben riuscite, che hanno portato avanti la famiglia e sono cresciute anche con la fede, fino a diventare una unità profonda. Proponiamo la bellezza del matrimonio cristiano ai giovani e come scrive ancora papa Francesco. “La gioia matrimoniale, che si può vivere anche in mezzo al dolore, implica accettare che il matrimonio è una necessaria combinazione di gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di piaceri, sempre nel cammino dell’amicizia, che spinge gli sposi a prendersi cura l’uno dell’altro”.

Domenica   II dopo PENTECOSTE  B       6  Giugno 2021

1.“Non preoccupatevi”. Carissimi, lo Spirito Santo fa risuonare nei nostri cuori le parole di Gesù a noi discepoli di oggi. Noi che sappiamo bene che niente è nostro e che “il Signore guardò la terra e la riempì dei suoi beni”, come abbiamo ascoltato nella prima lettura. Siamo invitati a gioire dell’opera creatrice di Dio, ma nello stesso tempo ad avere quel distacco tale da non illuderci di esserne i padroni. “Guardate i gigli del campo”. Cosa ne abbiamo fatto del creato? Come lo custodiamo e come lo lasceremo alle prossime generazioni? Anche la Chiesa non è estranea anzi è in prima fila nelle battaglie attuali per il clima, per mantenere le aree verdi, per rendere le città vivibili per cui uscire di casa non sia un rischio per la vita. Anche noi abbiamo qualcosa da dire su questa nostra città, che a volte ci pare abbandonata a se stessa all’inciviltà dei cittadini e alla non curanza delle istituzioni. L’enciclica di papa Francesco “Laudato sii” segna il passo e dà la direzione ai cristiani e agli uomini e donne di buona volontà, per una mappa, una strada che salvaguardi il creato. Per essere concreti, penso alle strade di questa città che assomigliano più a un noto formaggio svizzero, che a luoghi sicuri in cui camminare per raggiungere la meta prefissata. Che senso ha proporre progetti costosi quando il marciapiede, la strada, sono insicuri? C’è un affannarsi positivo che è la cura di ciò che Dio ci ha donato, e c’è un affanno negativo che toglie la pace interiore e nasce dal pensarsi al centro di tutto. Questo affanno che dimentica di essere nelle mani di Dio, è deplorato da Gesù come mancanza di fede. Il cibo, il corpo, il vestito sono il simbolo della nostra vita. Certo, occorre darsi da fare perché è dal lavoro onesto che ci si procura il cibo, così la cura della salute è importante, nasce da stili di vita corretti. Ma Gesù vuole ricordare ai discepoli maggior fiducia nella Divina Provvidenza, che sempre provvede. Questo mettere tutto nelle mani di Dio con grande senso di riconoscenza, con uno sguardo francescano sulla natura curata da Dio stesso, aiuta a compie ogni giorno questo atto di affidamento al Dio Provvidenza,  a rimanere nella sua pace, accettando ciò che non è in nostro potete cambiare.

2.”Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi verranno date in aggiunta”. Niente è nostro, lasceremo tutto sulla terra dopo la morte. Pertanto ognuno è chiamato anche nell’uso dei beni materiali, ad avere quella libertà, quel distacco che fa emergere la motivazione che Gesù ha enunciato: “Il Regno di Dio”. Lavorare per edificare il Regno di Dio qui dove viviamo, avendo come mezzo e non come fine gli aspetti materiali della vita, perché sappiamo bene, che al centro ci deve essere l’amore a Do e al prossimo, come regola d’oro dei discepoli di Gesù. Vorrei fare un esempio personale: io per il compito amministrativo che il vescovo mi ha affidato, tutti i giorni sono a contatto con realtà economiche, edifici da sistemare e tante situazioni che immaginate con una realtà di tre parrocchie con 6 chiese 4 oratori due asili parrocchiali con venti dipendenti… e tanto altro. Le mie giornate sono spesso assorbite da incombenze materiali e dal rischio dell’affanno di cui parla il vangelo. Ma devo dire che alla fine c’è quel distacco che ho già vissuto nelle altre parrocchie in cui sono stato. Sono chiamato a lavorare per il Signore e per la sua Chiesa, niente è mio, al cenno del vescovo io andrò da altre parti e il lavoro fatto resta per il popolo di Dio di questa città. Questo lavorare per il Regno di Dio dà una grande libertà interiore, perché si è nell’ubbidienza al vescovo e quindi alla volontà di Dio. Noi preti siamo soldati semplici, chiamati a curare il corpo e l’anima delle comunità, sapendo che, come scriveva Montini quando lavorava in segreteria di stato che “le carte sono anime”, cioè il lavoro per la Chiesa di Dio non si misura su ciò che stai facendo, stai pregando, stai pagando un fornitore, stai confessando, stai dipanando un problema amministrativo. Il lavoro si misura sulla motivazione spirituale che ti sostiene: per il Signore e la sua Chiesa.

Concludo. Scriveva un santo del XX secolo: “ Qualsiasi attività, umanamente importante o no, deve trasformarsi per te in mezzo per servire il Signore e gli uomini: è questa la vera misura della sua importanza”. (Escrivà Solco n 684)

Domenica   SS.TRINITA’   B         30  Maggio 2021

1.“Mostrami la tua gloria”. Carissimi, facciamo nostra la richiesta di Mosè a Dio, in questa solennità della SS. Trinità, che con il Corpus Domini che celebriamo giovedì, diventano due momenti di sintesi nel cammino dell’anno liturgico che, dall’Avvento ad oggi, abbiamo percorso. Queste due feste ci dicono chi è Dio in sé, così come Gesù ce lo ha rivelato, la Trinità, e il “Corpus Domini” la possibilità di incontrare Dio, addirittura di fare comunione con il Corpo Santo del Figlio Gesù, che anche in questa S.Messa ci è donato. Chiedere come Mosè di vedere la gloria di Dio, significa trasformare con la fede i propri sensi, in sensi spirituali. Si perché Dio la mostra la sua gloria, anche in questo tempo di morte e di malattia che abbiamo passato. Come per Mosè, questa gloria non è eclatante ed evidente. Dio mostra le sue spalle e passa accanto a noi. Noi non possiamo possedere Dio come un amuleto, come una divinità magica nelle nostre mani. Lui però si mostra a noi, dipende dal nostro sguardo interiore, dal nostro udito interiore e da tutti i sensi del corpo, che solo nella fede lo possono percepire, perché col Battesimo la Cresima ci sono donati i sensi spirituali (occhi della fede, udito, gusto, olfatto,tatto). La solennità della Trinità prima di attivare in noi un senso di impotenza, perché è un Mistero incomprensibile, deve educarci a non smettere di essere esploratori di Dio, alla sua ricerca, nelle pieghe e nei frammenti della vita quotidiana, perché è lì che Egli mostra le sue spalle. Sta a noi accorgerci e guardarlo. Dire “Sei tu che mi stavi cercando nella gloria di questo fiore, nel volto di questo malato, nel nulla della mia interiorità dopo una giornata in cui ancora una volta ho sbagliato e tanto altro”. Qui è la sua gloria che si mostra a noi.

2.”Voi non siete sotto il dominio della carne ma dello Spirito”. La Pentecoste che abbiamo da poco rivissuto, rende vere le parole dell’Apostolo Paolo, perché ci ricorda che Dio ci ha visitato, ha toccato la nostra vita. Il Padre inconoscibile ce lo ha rivelato Gesù. Noi, Gesù, non l’abbiamo incontrato nella sua vicenda storica, perché viviamo 21 secoli dopo. Ma Lui Gesù, che è “Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero”, non ci ha lasciati soli. Il dono dello Spirito Santo nel Battesimo e nella Cresima, ci rende abitatori, custodi del mistero di Dio. “Lo Spirito di Dio abita in voi”. Come creature umane, noi non siamo indipendenti, non sussistiamo da noi stessi, non ci siamo fatti da soli. Siamo stati posti nell’esistenza da Dio, Lui per amore ci ha voluti. Se dimentichiamo questo, noi ci lasciamo dominare dalla logica della “carne” cioè viviamo certo la pausa di questa liturgia nel groviglio delle nostre settimane, ma non accade che valutiamo la vita, i fatti, gli avvenimenti, con la logica di Dio cioè con lo Spirito Santo. Si, perché credere nel Dio cristiano che Gesù ci ha rivelato, significa ospitarlo in tutto il nostro essere. La logica dello Spirito ci fa mettere Dio e il suo Mistero in ogni cosa, in ogni istante della nostra vita. Dio è l’elemento unificante di tutto. E sappiamo che il nostro Dio è una comunione di Amore tra le tre persone divine, comunione e amore che hanno dato origine a noi, al mondo, all’universo. Allora esploratori di Dio, ma anche conoscitori della sua lingua, del suo modo di agire, pensare, scegliere. E’ questa la logica dello Spirito che ha in Gesù la sua grande manifestazione. Direbbe ancora l’Apostolo Paolo: “noi abbiamo il pensiero di Cristo”.

3.Infine una domanda: “Si può arrivare a odiare Dio?”. Gesù dice ai discepoli nel Vangelo che chi lo ha rifiutato ha odiato Lui e il Padre suo. Io rispondo di si, si può odiare e bestemmiare Dio, non solo  parole, ma con la rabbia della vita che può andare storta. Ma chi odia Dio non lo ha conosciuto, perché Dio è Amore. Chi odia e bestemmia Dio legga il Vangelo, si metta davanti al Crocifisso, dove il Padre offre al mondo Gesù suo Figlio, che dona lo Spirito con una morte santa. Termino con un pensiero di un santo del XX secolo “Dio è con te nella tua anima in grazia abita la Trinità Beatissima. Pertanto, tu, nonostante le tue miserie puoi e devi stare in continua conversazione con il Signore”  (Escrivà Solco n 261)

Domenica   di  PENTECOSTE   B         23  Maggio 2021

 1.“Lo Spirito della verità che il mondo non può ricevere, perchè non lo vede e non lo conosce”. Carissimi, le parole di Gesù in questa Pentecoste sono molto chiare: lo Spirito Santo che ora ci è donato in questa Pentecoste nuova, ci riporta alla verità del Vangelo, fa chiarezza nella confusione della Babele di oggi e di sempre. I cristiani in questa solennissima festa di Pentecoste, a 50 giorni dalla Pasqua, ricevono il dono più importante, la Divina presenza dello Spirito, che entra nella confusione delle menti e dei cuori e li pone nell’ordine della Grazia. Il mondo con la sua mentalità schiacciata solo sulle realtà terrene, non può ricevere lo Spiri Santo, perché non ha occhi per vederlo e mente per conoscerlo. Noi non siamo esclusi, perché quando entriamo nella mentalità mondana, smettiamo di vedere i frutti e l’opera delle Spirito Santo. Quando si è nel vortice del vedere solo ciò che non va, quando si fatica a vedere percorsi di bene, quando tutto è nero siamo nella mentalità mondana, vedere e conoscere lo Spirito Santo significa fare nostri i criteri evangelici di Gesù e pregare per essere noi stessi strumenti dello Spirito. Preghiamo lo Spirito Santo, perché tolga da noi la freddezza spirituale, scaldi i cuori e le menti, per vedere di più la sua opera.

2.Per penetrare in profondità questo dono dello Spirito Santo, ci lasciamo ispirare dal tondo qui esposto dei due fratelli Mauro e Gian Battista della Rovere, autori di molti dipinti esposti qui in basilica. Siamo al termine del 1500 e inizio del 1600. Gli autori ci comunicano una forte esperienza spirituale degli Apostoli con Maria. La Madonna è al centro, guida la preghiera, è elemento di unità per i dodici che da poco hanno accolto Mattia, il sostituto di Giuda. Tutti sono rivolti verso l’alto e gli autori li ritraggono nel momento in cui la colomba, simbolo dello Spirito Santo, fa cadere sul loro capo quella fiamma di cui ci parlano gli atti degli Apostoli. La fiamma rende brillanti e gioiosi i loro volti e anche nella composizione a cerchi, si respira una unità nuova fra loro. Notiamo sulla destra Pietro, colui che ha ricevuto le chiavi del Regno. Proprio a terra accanto ai suoi piedi, ci sono le due chiavi che Pietro non tiene in mano, ma appunto sono a terra. Questo significa che lo Spirito Santo invita Pietro a esercitare la sua autorità non in modo isolato, ma in maniera collegiale. Potemmo descrivere i singoli Apostoli, forse riconosciamo Giovanni che è il più giovane e potremmo tentare di dare un nome a tutti. Questo gruppo di uomini semplici, con la Madre di Gesù che è la custode di tutta la vita del Signore, cambieranno il mondo, grazie al dono dello Spirito. Da timorosi diventano coraggiosi, da timidi e incapaci di parlare si esprimono con l’unico linguaggio dell’amore. Lo Spirito li ha trasformati e trasforma anche noi. Entriamo anche noi in questo cerchio di Luce e ravviviamo la presenza dello Spirito in noi, perché possiamo gustare del nostro profondo essere spirituale e vedere gli altri con lo sguardo dello Spirito. Lascio risuonare una preghiera di papa Francesco nella Pentecoste dello scorso anno: “Spirito Santo, memoria di Dio, ravviva in noi il ricordo del dono ricevuto. Liberaci dalle paralisi dell’egoismo e accendi in noi il desiderio di servire, di fare del bene. Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi. Vieni, Spirito Santo: Tu che sei armonia, rendici costruttori di unità; Tu che sempre ti doni, dacci il coraggio di uscire da noi stessi, di amarci e aiutarci, per diventare un’unica famiglia. Amen.”

Domenica 16 MAGGIO 2021     VII di PASQUA    B 

Ore 11,30 Prima Comunione al Carmine. Ore 15,00 e 17,30 in Basilica

1.”Padre custodiscili nel tuo nome” Carissimi, mi basta questa verbo di Gesù per dirvi tutto l’amore di Dio Padre per ciascuno di voi. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Gesù”. La preghiera di Gesù alla vigilia della sua passione che abbiamo ascoltato nel Vangelo, ci ricorda che Lui non è più qui sulla terra col suo corpo. Quel corpo fisico di Gesù risorto coi segni delle cinque piaghe, è in cielo, è asceso al cielo, come abbiamo celebrato appunto nell’ascensione giovedì scorso. “Io vengo a te” ha pregato Gesù. Ma voi sapete che Gesù non ci ha lasciati orfani di Lui. Domenica prossima con la festa di Pentecoste, noi accogliamo il suo Spirito, lo Spirito Santo che ci permette anche adesso di averlo vivo fra noi. Cari bambini/e, voi tra poco non riceverete un pezzo di pane, come se fosse un ricordo di Gesù, ma quel pane sul quale il sacerdote invoca lo Spirito Santo, è Gesù vivo, presente, vivente. Un oggetto non ci può custodire, una persona si. Per questo la parola di Gesù al Padre che chiede questa nostra custodia, per voi ora si realizza. Carissimi, se oggi questa prima Comunione con Gesù nel sacramento dell’Eucarestia non sarà per voi l’unica Comunione, cioè se tornerete a questo cibo, Gesù vi garantisce una custodia dal male. Gesù ha pregato dicendo “Che tu Padre li custodisca dal Maligno”. C’è il male e lavora tanto, soprattutto nel cuore delle persone e qualche volte anche voi bambini, senza accorgervi, vi lasciate prendere dalle tentazioni dell’egoismo, del pensare solo a voi stessi, magari del vendicarsi, dell’emarginare quei compagni che sono più fragili nella scuola o nel gioco. In famiglia poi è così facile lasciarsi prendere dal male che ci separa gli uni dagli altri, rompendo i legami più belli. Ecco allora la Comunione, lo dice anche la parola. Fare la Comunione con Gesù, significa diventare come Lui, capaci di custodirci gli uni gli altri, cioè di non rompere mai quel cuore dell’altro che può infrangersi nel momento in cui noi lo calpestiamo. Fare la Comunione per essere custoditi da Gesù e custodirci gli uni gli altri.

2.”Consacrali nella verità…La tua Parola è verità”. Mi rivolgo a voi cari genitori, per ringraziarvi per aver permesso questo momento spirituale così intenso per i vostri figli. Nello stesso tempo faccio risuonare le parole di Gesù, per ricordarvi che il cammino della fede, ci fa assumere a poco a poco la mentalità del Vangelo, la verità del Vangelo. La custodia che siete chiamati ad avere tra voi come coppia e coi vostri figli, può attingere di più agli insegnamenti del Vangelo, a quella parola che ogni domenica nella Messa è annunciata. Vi raccomando questa comunione con la Verità del Vangelo, perché, lo sapete, vivendo nel mondo si rischia di assumere la mentalità del mondo, che spesso confonde i desideri emotivi del momento come i diritti e con la scusa della tolleranza, calpesta ciò che di più sacro abbiamo,: la vita nascente, la famiglia, chi è malato, povero, emarginato. E’ compito vostro, cari genitori, lasciarvi illuminare dalla verità del Vangelo di Gesù e formare nei vostri figli una vera coscienza cristiana. Oggi dove l’appello della coscienza si riduce a un semplice interrogarsi se una realtà è buona o cattiva per il singolo, siamo invitati invece a far emergere il pensiero di Cristo sulla vita, sulla famiglia, sui poveri. Io prego per voi, perché il vostro compito è molto importante, avete in mano gli uomini e le donne di domani, i cristiani di domani. Noi Chiesa siamo dalla vostra parte e vi sosteniamo, cerchiamo insieme di domandare alla comunità cristiana che garantisca questi bei momenti di festa come la comunione e la Cresima, ma favoriamo anche un cammino più quotidiano fatto di preghiera in famiglia, di dialogo, di trasmissione della fede e dei suoi contenuti tra le mura di casa. Il Signore benedica il vostro cammino con un vivo ringraziamento a voi e in particolare ai catechisti e a don Andrea e a don Stefano.

Domenica 9 MAGGIO 2021     VI di PASQUA    B 

1.”Io sono Gesù che tu perseguiti” Carissimi, vorrei far riecheggiare la forza delle parole di Gesù a San Paolo, quando cade da cavallo sulla via di Damasco. Abbiamo tutti ascoltato dalle sue stesse labbra, il racconto della sua conversione nella prima lettura degli Atti degli Apostoli. Gesù, che Paolo non aveva mai visto in carne e ossa, lo incontra adesso risorto sulla via di Damasco: questo incontro gli  cambia la vita. Pensate che Paolo ha fatto fatica a farsi accettare dalla comunità dei primi cristiani, che avevano paura di lui, perché faceva del male, arrestava i cristiani, li condannava a morte. Eppure, l’incontro con Gesù, gli ha cambiato il cuore, è diventato un grande Apostolo che ha viaggiato tanto e sofferto moltissimo, per amore di Gesù e del suo Vangelo. La vicenda di Paolo ci incoraggia, il suo coraggio ci sprona a non tirarci indietro quando siamo davanti a una occasione di dare la nostra testimonianza di cristiani. Gesù rivela di essere presente in ogni membro della sua Chiesa. “Perché mi perseguiti?”. Gesù, così dice a Paolo, ratificando ciò che aveva insegnato ai suoi discepoli quando li aveva educati a “dar da mangiare, da bere, a visitare i malati e i carcerati” dicendo “l’avete fatto a me”. Lui, Gesù, è misteriosamente presente nelle membra della Chiesa che sono perseguitate, fragili, bisognose di tutto. Paolo senza saperlo, stava facendo del male a Cristo stesso. Pensiamo anche noi, quante ferire infliggiamo al corpo della Chiesa, non solo quando ne parliamo male, ma soprattutto quando facciamo del male anche a un solo suo membro. In quel momento, soffre tutto il corpo, tutta la Chiesa. Nello stesso tempo, guardiamo Paolo e al suo cammino dopo l’incontro col Risorto: quanto lavoro per edificare la Chiesa in ogni angolo del mondo allora conosciuto, fino ad approdare a Roma. Paolo, che aveva rovinato con la sua violenza la prima comunità cristiana, ora è “uno strumento eletto” da Gesù e soffrirà fino a morire per Lui con la spada, con cui è rappresentato, per decapitazione a Roma alle tre fontane. Riflettiamo sul bene che vogliamo alla Chiesa, fatta di persone, e quanto possiamo edificarla o demolirla.

2.”Anche voi date testimonianza”, le parole di Gesù nel vangelo di oggi, ci preannunciano il dono del Paraclito, dello Spirito Santo, presenza viva d’amore che ci dà il coraggio di essere coerenti con la nostra fede. Gesù preannuncia tempi difficili per i cristiani: “Viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio”. Sono parole forti che disegnano anche la nostra storia nazionale. Penso a Rosario Livatino che proprio in questo momento viene beatificato nella cattedrale di Agrigento, a 25 anni dalla visita profetica di San Giovanni Paolo II. Livatino, un giovane giudice, assassinato dalla mafia  il 21 settembre 1990 (aveva 38 anni). E’ stato coerente con la sua fede e coraggioso nel non arretrare davanti alle gravi disonestà e alle connivenze tra mafia, appalti, denaro e politica. Chi lo ha ucciso ha pensato di sostituirsi a Dio, il vero autore e donatore di ogni vita. Dal beato Rosario Livatino – scrivono i vescovi siciliani –, annoverato oggi insieme al beato don Pino Puglisi nella lunga schiera di profeti e martiri del nostro tempo, impariamo che la santità ha il sapore della speranza che non si arrende, della coerenza che non si piega e dell’impegno che non si tira indietro, perché ogni angolo buio del mondo – compreso il nostro – abbia  l’opportunità di rialzarsi e guardare lontano». Quella lasciata da Livatino e da don Puglisi «è l’eredità di chi ha trovato il coraggio della libertà, squarciando il silenzio della connivenza e decidendo di parlare chiaramente, non solo con parole tecniche mutuate dai linguaggi umani, ma soprattutto con la parola del Vangelo. Con questo tratto che li ha accomunati, pur nella diversità del loro stato di vita e nella specificità del loro ambito di azione, i due beati martiri – il parroco e il giudice – hanno parlato senza mezzi termini delle mafie e alle mafie». L’invito dei vescovi è poi quello  di «prendere le distanze dal silenzio», dall’omertà . Il silenzio in questi casi è connivenza e contribuisce al degrado della società. Ecco il lascito di Livatino, di Puglisi e di innumerevoli altri fratelli e sorelle, che non saranno certo elevati agli onori degli altari ma «che hanno scritto pagine indelebili di storia ecclesiale e civile, anche ai nostri giorni». E a conclusione la voglia e il desiderio di alzare la testa e finalmente di «alzare la voce e unire alle parole i fatti: non da soli ma insieme, non con iniziative estemporanee ma con azioni sistematiche. Solo così il sangue dei martiri non sarà stato versato invano e potrà fecondare la nostra storia, rendendola, per tutti e per sempre, storia di salvezza». Sulla presenza delle mafie vigiliamo anche qui nel nostro territorio perché non ne siamo esenti e soprattutto ricordiamoci che , come cristiani, siamo chiamati a dare testimonianza nella società civile con la nostra onestà, trasparenza nell’uso del denaro: i nostri nipoti hanno diritto a ricevere questo esempio da noi.

Domenica 2 MAGGIO 2021     V di PASQUA    B 

1.”Voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo” Carissimi, le parole di Stefano rivolte ai suoi conterranei, dopo la rilettura nel lungo discorso della storia salvezza con Gesù Cristo risorto al centro; queste parole, sono molto forti e provocano in noi un ripensamento personale di cosa significhi assecondare nel nostro cuore e nelle scelte di vita, lo Spirito Santo. Ci rendiamo conto che come credenti facciamo riferimento a una “sapienza che non è di questo mondo”, così ci ha detto San Paolo nell’epìstola. Dio ha rivelato questa sapienza “a coloro che lo amano” e questa sapienza è l’incontro con Gesù vivo, risorto oggi. Il nostro compito nel mondo è anche quello di andare contro corrente, è anche quello di non adeguarci alla mentalità mondana. Chi di noi ha una visione cristiana dell’uomo e della donna, non può non dissentire da certe esternazioni che riducono la sessualità a mero istinto e giustificano comportamenti violenti persino dei propri figli. La Chiesa, fatta di peccatori e di santi, ha dato una svolta in questi anni, stando dalla parte delle vittime e non dei carnefici, una volta appurato che lo sono, ma sempre dalla parte delle vittime. La stessa cosa accade quando in questo periodo di pandemia ognuno cerca di salvarsi da solo. Penso in questo momento ai vaccini dati ai paesi del terzo e quarto mondo, con una sorta di sistema moderno di neocolonialismo. Le grandi potenze continuano lo scempio dell’Africa, colonizzandola coi vaccini e con altro, per spremerla dei suoi tesori e delle risorse del sottosuolo.

2.Seguiamo lo Spirito Santo, ricordando le parole di Gesù che nel vangelo di oggi, in questa meravigliosa preghiera che rivolge al Padre, parla ripetutamente di “gloria”. Questa gloria che Gesù manifesta in questa preghiera di addio, ci dice concretamente dove ci porta lo Spirito Santo. Lo Spirito ci porta a vedere la gloria di Dio nell’atto pasquale di Cristo, che mostra la sua profonda unità col Padre. L’unità: è dono e frutto dello Spirito Santo e giunge a noi dall’incontro con il Cristo vivo, risorto, che ci introduce nella comunione col Padre. “Tutte le cose mie sono tue e le tue sono mie”. Poi Gesù aggiunge: ”io sono glorificato in loro”. Mi sono chiesto se nella vita della comunità possiamo dire le stesse parole. Il dono reciproco della parte buona di noi stessi, esprimendo l’unità profonda che nasce dalla fede, è il modo concreto non solo per andare nella direzione dello Spirito Santo, ma anche è la modalità precisa di dare gloria a Dio. La condivisione nell’unità, è la direzione dove il Signore col dono del suo Spirito ci porta. “La vita eterna”, dono della Pasqua di Cristo, inizia già qui, quando andiamo in questa direzione: la verità, la condivisione, l’unità. Il tempo di pandemia che stiamo vivendo, è una scossa molto forte, per farci riflettere sul fatto che gli egoismi di tutti i tipi non portano a nulla, non ci salviamo da soli, siamo tutti sulla stessa barca, come ci ha ricordato il papa. Gli appelli alla condivisione, all’unità d’intenti, al rispondere a un bisogno collettivo, la richiesta di volontariato per la salute della comunità, sono appelli che arrivano dallo Spirito Santo. Allora diamo gloria a Dio come Cristo. Con la sua vita donata, ha dato gloria al Padre e impariamo a riconoscere, a fare discernimento, la voce dello Spirito Santo, per accoglierne la direzione giusta, quella dell’amore donato al prossimo, quella dell’unità, quella della condivisione.

Domenica 25 APRILE 2021     IV di PASQUA    B  58ma Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni

1.”Le mie pecore ascoltano la mia voce” Carissimi, Gesù risorto si presenta come pastore che ama e chiama le sue pecore. Questa angolatura ben introduce la quarta domenica di Pasqua, giornata mondiale di preghiera per le vocazioni di speciale consacrazione. Il Pastore chiama ancora oggi cuori e menti giovani a seguirlo totalmente, nella consacrazione sacerdotale, nella vita religiosa e missionaria. Nella prima lettura ci troviamo a Troade e Paolo, con quella comunità, fa una lunga catechesi. Ci viene comunicato che è “il primo giorno della settimana” cioè la domenica dei cristiani e Paolo celebra l’Eucarestia, ed “erano riuniti a spezzare il pane”. Durante questa assemblea, un ragazzo Eùtico cade dal terzo piano e pare morto. Paolo lo raggiunge e ridona la vita. Questo episodio, letto dal punto di vista spirituale, può rappresentare la vita di ciascuno di noi, illuminata dalla vocazione, da uno scopo più alto che arriva dal servire Dio e i fratelli. La vita come vocazione cioè come risposta a una chiamata e a una missione che Dio ci affida, è una vita risorta, con uno scopo, con una meta con un amore che ci supera. Una vita non addormentata, ma risvegliata dalla fede nel Signore, con uno scopo, un motivo alto per cui vivere. Penso in questo momento ai nostri seminaristi (lunedì andrò a celebrare la Messa a Venegono) penso ai nostri cinque missionari che abbiamo incontrato in quaresima, ma anche ai nostri sacerdoti, alle nostre Suore, ma penso anche a chi accoglie come vocazione la chiamata al matrimonio e a formare una famiglia. Ci si accorge che c’è una gioia di vita, una marcia in più, una risurrezione.

2.”Nessuno disprezzi la tua giovane età” L’Apostolo Paolo così si rivolge al suo giovane collaboratore Timoteo, e lo invita a ravvivare il dono dell’ordinazione sacerdotale ed episcopale, che ha ricevuto “con l’imposizione delle mani da parte dei presbiteri”. Queste parole mi fanno tornare indietro a 33 anni fa, quando avevo 23 anni e sono stato ordinato prete giovanissimo. Le mie preoccupazioni erano, con l’entusiasmo della giovinezza, il domandarmi se sarei riuscito a essere fedele alla vocazione. Guardando oggi il cammino compiuto, devo dire che la mia fedeltà si è appoggiata sulla fedeltà di Dio, che non è  mai venuta meno. Mi sono sempre molto affidato alla preghiera del popolo di Dio come una linfa, una sorgente che mi mantiene in piedi. Lo dico anche a voi: pregate ogni giorno per le vocazioni, ce lo ha chiesto Gesù: “Pregate il padrone della messe perché mando operai alla sua messe”. La preghiera però sia concreta: per la perseveranza di chi ha già risposto, perché le insidie del demonio sono molte. Ciò che salva una vocazione è anzitutto la preghiera quotidiana, che per un sacerdote, una consacrata, un missionario è la prima attività pastorale. Se manca la preghiera, un prete diventa un burocrate. Poi è importante il contatto col popolo di Dio. Il ministero di un sacerdote viene a contatto con tante situazioni di dolore, di miseria umana, ma anche di virtù e di santità. Un sacerdote certamente educa plasma il suo popolo; poi anche il contrario: il popolo educa e plasma il suo sacerdote. La nostra preghiera si rivolga al Signore, che non smette di chiamare a seguirlo con cuore indiviso anche i nostri figli i nostri nipoti. Dunque, la preghiera sia per loro, perché il Signore si degni di chiamare qualche membro giovane della nostra famiglia. Se le vocazioni dipendono dalla preghiera, dobbiamo crederci di più a questo mezzo potente e ogni giorno pregare per questa intenzione. Concludo con le parole di papa Francesco nel messaggio scritto a tutta la Chiesa per questa giornata. Il papa cita l’esempio di San Giuseppe e scrive: “Dio non ama rivelarsi in modo spettacolare, forzando la nostra libertà. Egli ci trasmette i suoi progetti con mitezza; non ci folgora con visioni splendenti, ma si rivolge con delicatezza alla nostra interiorità, facendosi intimo a noi e parlandoci attraverso i nostri pensieri e i nostri sentimenti”.

18 APRILE 2021 domenica    III di PASQUA    B

1.Carissimi, la fede nella risurrezione di Cristo, oggi è testimoniata da san Paolo nelle prime due letture, come un dono per gli altri. L’aspetto comunitario lega i primi cristiani e li rende positivamente attrattivi nei confronti di tutti. L’episodio del carceriere che è il custode dei prigionieri Paolo e Sila è emblematico. In realtà non è il carcere fatto di mura che chiude lo spirito dei due missionari del Risorto, ma è il carceriere stesso che si libera dalla prigione interiore vedendo la testimonianza serena e onesta dei due prigionieri. Quando giunge il terremoto e le celle si aprono, Paolo e Sila non scappano, ma parlano col carceriere che voleva suicidarsi e davanti alla loro testimonianza suscitano la sua conversione e quella della sua famiglia, con il dono del Battesimo che è il sacramento che ci permette di fare esperienza della Pasqua di Gesù. Lo stesso apostolo, nel passaggio della lettera ai Colossesi che abbiamo ascoltato, si dice lieto delle sofferenze, perché pur non avendole cercate, ne subisce molte a causa del Vangelo, ma fa come Gesù, le offre per il suo corpo che è la Chiesa, perché altri si possano salvare. La Pasqua di Gesù, il dono del Battesimo, ci avvicina gli uni agli altri. La Chiesa, noi che ne facciamo parte, siamo un popolo unito non da legami semplicemente umani, ma da vincoli spirituali. Siamo un unica famiglia. Il tempo di Pasqua ci aiuta a verificare la nostra affezione, il nostro legame con questa famiglia spirituale: la Chiesa universale, la Chiesa diocesana, questa nostra Chiesa fatta da noi, pietre vive. Ognuno di noi è un dono per l’altro e come per Paolo e Sila, la nostra testimonianza cristiana può far sorgere interrogativi in chi cristiano non è, oppure, pur essendo cristiano, ha smarrito la strada di casa. Anche il mistero della grande sofferenza di questo tempo, va offerta come fa Paolo al Signore, per la nostra conversone e la salvezza di tante anime che si perdono. Ognuno di noi, contribuisce alla crescita di questa famiglia e può dare il suo apporto. Ci sono due modi di vive nella Chiesa, uno è simile a chi va in un negozio ed è unicamente interessato ad acquistare la merce. Così è a volte per qualcuno di noi, la Chiesa è una fornitrice di mezzi spirituali, una volta avuto questo dono il nostro impegno nella Chiesa è finito. Il secondo modo è quello di chi si accosta alla Chiesa come fa con la sua famiglia, si sente a casa, se può da il suo apporto, partecipa, si interessa, la arricchisce con nuovi membri, ne parla in casa, nota se nel suo condominio ci sono persone che non battezzano i figli o che non frequentano la Messa, cerca dei legami, delle relazioni buone e come per Paolo e Sila, scopre che col tempo possono avvenire delle conversioni, dei cambiamenti, grazie anche a quelle relazioni umane buone che si sono instaurate.

2.Il segreto è la relazione con Gesù ”Via verità e vita”. Con una relazione spirituale stabile con Gesù, si viene per così dire tirati dentro nel suo rapporto di intimità col Padre. Paolo e Sila hanno in questa comunione la loro forza. Tutti i membri della Chiesa lo sanno: Lui va a prepararci un posto in paradiso ma vuole che finché ci dà vita, noi lavoriamo sulla terra per collaborare alla venuta del suo Regno: “Venga il tuo Regno”. Ringraziamo il Signore per il dono della comunità ecclesiale, che ci sostiene e ci stimola a non pensare solo a noi stessi, ma a farci strumenti perché altri si avvicinino al Signore Risorto.

11 APRILE 2021 domenica    II di PASQUA    B

1.”Li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù.” Carissimi, la gioia della Pasqua si prolunga nella liturgia per il tempo dei 50 giorni fino a Pentecoste, ma questa gioia per il fatto che Gesù è risorto, è il fondamento della gioia di tutta la Chiesa e di ciascuno di noi, sempre. Noi non seguiamo la memoria di un morto, ma siamo accompagnati  dalla presenza amorevole di un Vivente, di Gesù il Risorto che ci prepara ad accogliere il dono del suo Spirito. Vediamo nella prima lettura degli Atti degli Apostoli, che ci accompagnerà in tutto questo tempo di Pasqua, l’esperienza dei primi cristiani. Oggi ci colpisce Pietro, così diverso dal Pietro pauroso della passione descritto dai vangeli, è così trasformato dall’evento di Cristo Risorto. Dopo la guarigione di un uomo infermo, si rivolge con franchezza con Giovanni, ai capi del popolo e agli anziani, annunciando la risurrezione e anche additandoli come i crocifissori di Cristo. I capi del popolo li lasciano andare, colpiti dalla loro franchezza, schiettezza nel parlare e consapevoli che “erano persone semplici”, noi diremmo più direttamente ignoranti, per cui non sarebbero andati molto lontano, non erano pericolosi. Ma accanto a questa valutazione, i capi del popolo senza rendersene conto, ci comunicano il segreto di questi uomini non istruiti, pescatori di Galilea e dicono:”Li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù.”  Una definizione bellissima, non solo dei due apostoli ma di tutti noi. Il verbo usato “erano stati” è un imperfetto indicativo, che descrive una azione passata ma che continua nel presente, pertanto potremmo dire di noi e di loro che siamo persone che “continuano a stare con Gesù”. Questo è il segreto della Chiesa che nasce dalla Pasqua. La domanda che sorge però è molto importante: “Ma noi siamo riconosciuti dagli altri come quelli che sono stati con Gesù? ” A ciascuno la risposta.

2.”Pace a voi” Gesù risorto apparendo ai discepoli a porte chiuse, dice queste parole, sono le prime parole del Risorto alla sua Chiesa. Allora verrebbe da dire che questo dono è il segno di coloro che stanno con Lui. Ma cos’è questa pace? Da dove nasce? Qui è Tommaso l’incredulo che ci aiuta, quando è invitato da Gesù a toccare le sue piaghe, a mettere il suo dito e la sua mano nella ferita del cuore. Perché sono importanti queste piaghe risorte? Perché sono il segno dell’Amore. La pace nasce da questo incontro e da questa contemplazione. Gesù fa capire a Tommaso che non ha cessato di amarlo perché ha dei dubbi. Per le sue e nostre miserie i nostri dubbi e peccati, Gesù non smette di amarci. Apparendo Gesù risorto non ha una parola di rimprovero verso i suoi che lo avevano abbandonato. La vita è più forte della morte! Gesù vuole che noi gli doniamo le nostre miserie, il nostro cuore vuoto, dubbioso, per riempirlo del suo Amore scaturito dalla sua passione gloriosa. “Resta nella mia pace e vivi nel mio Amore” ci dice Gesù. In questo modo, con questa esperienza che noi riviviamo adesso in questo misterioso incontro eucaristico, tra la nostra miseria, la nostra povertà e la sua grandezza, noi ci carichiamo di Lui, della sua viva realtà e possiamo anche noi essere riconosciuti “tra coloro che sono stati con Gesù”.

3.Cerchiamo di mettere al centro questa realtà, per affrontare i problemi e le preoccupazioni in modo diverso. Il centro è Lui, il Risorto, non i problemi che dobbiamo affrontare. I problemi li vivamo con il Signore non da soli, con la compagnia della sua Chiesa, di tutti coloro che sono suoi discepoli oggi.

Concludo: scriveva un santo del XX secolo:”Non perdere mai il senso del soprannaturale. Anche se vedi in tutta la sua crudezza le tue miserie, le tue cattive inclinazioni, il fango di cui sei fatto, la tua fragilità fisica e spirituale, Dio conta su di te” (Escrivà Solco n 507)

  sabato  3 APRILE 2021   S.PASQUA    B

Solenne veglia pasquale ore 20,30

1.”So che cercate Gesù il crocifisso, non è qui è risorto.” Cari fratelli e sorelle, l’annuncio dell’angelo alla tomba di Cristo dato alla Maddalena e all’altra Maria, giunge fino a noi…La morte è vinta, il peccato non ci rende disperati, ma aperti verso il perdono e cammini di santità, fino alla vita eterna. Cristo Risorto appare col suo corpo glorificato a tanti, alle donne, agli apostoli, a Paolo, a più di 500 fratelli in una sola volta. E a Maria sua Madre? I vangeli non ne parlano, forse perché sarebbe stato un racconto di parte. Ma volete che Gesù non sia apparso a sua Madre? Ho voluto all’annuncio della risurrezione esporre questo ovale, uno dei quattro dei fratelli della Rovere detti Fiamminghini, siamo a fine 1500, che ritrae l’incontro tra Gesù risorto e Maria sua Madre. Non può essere la Maddalena, ma è Maria, ha l’aureola e i due si toccano, si abbracciano, contrariamente all’invito che ascolteremo nella Messa del giorno di Pasqua con quel “Non mi trattenere” NOLI ME TANGERE”, che Gesù dice alla Maddalena. I vangeli apocrifi hanno parlato di questo incontro. Qui Gesù risorto tocca Maria, Maria tocca Gesù: sono due corpi che sono e saranno nella gloria, nel caso di Maria con la sua assunzione al cielo. Inoltre Maria sembra più giovane Gesù, è rimasta giovane. E’ lo stesso enigma che c’è nella pietà di Michelangelo, dove Maria è giovane come Gesù morto, che ha tra le sue braccia. Alla domanda sul perché di questo, Michelangelo rispose che “chi ama non invecchia”. Inoltre Maria è in ginocchio davanti al suo Figlio, che ormai risorto mostra la sua gloriosa divinità nella sua umanità. Viene in mente Dante nella preghiera di San Bernardo a Maria nel canto 33mo del Paradiso: “Maria figlia del tuo Figlio”. La grandezza di Maria, che per prima ha creduto alla risurrezione, anche ai piedi della croce. Da ultimo la bandiera che tiene in mano Gesù, che nell’arte tradizionalmente lo rappresenta come risorto. Che significato ha? Il vessillo con croce rossa in campo bianco, è simbolo del suo trionfo sulla morte. Vi lascio alla contemplazione di questa opera d’arte, perché ognuno possa entrare nella profondità di questo abbraccio. Maria, alla quale Gesù ai piedi della croce ha affidato tutti noi, in lei ci siamo tutti. Che questo incontro di speranza raggiunga tutti, in particolare chi soffre, e i nostri fratelli e sorelle che sono già nella vita del mondo che verrà.

4 APRILE 2021 domenica    S.PASQUA    B

S.Messa Solenne  ore 10,15

1.”Non mi trattenere.” Cari fratelli, le parole di Gesù alla Maddalena nel latino della vulgata risuonano così: “NOLI ME TANGERE” non toccarmi. Gesù è visto dalla Maddalena, appare a molti ma la sua ormai è una dimensione trasfigurata. Trattenerlo come se fosse ancora circoscritto ai luoghi dove è vissuto non è possibile. Gesù risorto ormai è universale, è del cielo e dell’universo intero. Colei che poteva toccarlo e dopo poco tempo sarebbe stata assunta in cielo con Gesù è sua Madre Maria. Il quadro dei fratelli della Rovere dipinto alla fine del 1500, ritrae l’incontro di Gesù risorto con Maria sua Madre e si toccano, si abbracciano. Nei Vangeli però non se ne parla. Da dove arriva questa intuizione che Gesù potrebbe essere apparso a Maria?  San Giovanni Paolo II nell’udienza generale del 21 maggio 1997 così si espresse: “I Vangeli riportano diverse apparizioni del Risorto, ma non l’incontro di Gesù con sua Madre. Questo silenzio non deve portare a concludere che dopo la Resurrezione Cristo non sia apparso a Maria; ci invita invece a ricercare i motivi di una tale scelta da parte degli evangelisti”.  La ragione di questa omissione è per il fatto che questa apparizione sarebbe stata considerata di parte e non credibile, da coloro che negavano la risurrezione. Se Gesù è apparso agli Apostoli, alla Maddalena e Paolo che dice : “apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta”(1 Cor 15,6) e a tanti altri, sarà apparso anche a sua Madre! Citiamo due fonti: Sant’Efrem il Siro (306-373) e il vangelo apocrifo di Gamaliele, (VI secolo d.C.) dove troviamo ampliamente motivata e illustrata questa intuizione. I due famosi pittori Fiamminghini, Gianbattista e Mauro Della Rovere, che dipingono i quattro ovali della vita di Maria, attingono dai testi apocrifi e da una devozione mai esplicitata, che la prima ad essere certa della risurrezione del Figlio fu Maria. E’ lei che dopo la morte di Gesù restò con gli Apostoli illuminandoli con la sua fede, il suo perdono e la preghiera. E’ verosimile che Gesù Risorto sia apparso alla Madre, anche se i vangeli non lo riportano. Osserviamo la tenerezza e la gioia di questo incontro, nel quadro esposto in basilica. Qui Gesù risorto tocca Maria, Maria tocca Gesù: sono due corpi che sono e saranno nella gloria, nel caso di Maria con la sua assunzione al cielo. Inoltre Maria sembra più giovane di Gesù, è rimasta giovane. E’ lo stesso enigma che c’è nella pietà di Michelangelo, dove Maria è giovane come Gesù, morto che ha tra le sue braccia. Alla domanda sul perché di questo, Michelangelo rispose che “chi ama non invecchia”. Inoltre Maria è in ginocchio davanti al suo Figlio, che ormai risorto mostra la sua gloriosa divinità nella sua umanità. Viene in mente Dante nella preghiera di San Bernardo a Maria nel canto 33mo del Paradiso: “Maria figlia del tuo Figlio”. La grandezza di Maria, che per prima ha creduto alla risurrezione, anche ai piedi della croce. Da ultimo la bandiera che tiene in mano Gesù, che nell’arte tradizionalmente lo rappresenta come risorto. Che significato ha? Il vessillo con croce rossa in campo bianco, è simbolo del suo trionfo sulla morte. Vi lascio alla contemplazione di questa opera d’arte, perché ognuno possa entrare nella profondità di questo abbraccio.  Maria, alla quale Gesù ai piedi della croce ha affidato tutti noi, con  lei ci siamo tutti. Che questo incontro di speranza raggiunga tutti, in particolare chi soffre, e i nostri fratelli e sorelle che sono già nella vita del mondo che verrà.

28 Marzo 2021    DOMENICA DELLE PALME    B

S.Messa  del giorno ore 9,00

1.”Uomo dei dolori che ben conosce il patire Carissimi, inizia la settimana autentica, la settimana più importante dell’anno, perché è modello per ogni settimana. Autentica perché Colui che si immola per noi, per la nostra salvezza e risorge, è il modello di ogni uomo e donna che vive in questo mondo. Il tono di passione che già attraversa la domenica delle palme, è descritto da Isaia nella prima lettura. Secoli prima di Cristo, Isaia vede la passione del Servo di Jhwh, la descrive in modo preciso. Il profeta ci comunica lo scopo di questo soffrire non cercato, né subìto, ma accolto perché “per le sue piaghe noi siamo stati guariti”. Ecco l’invito per tutti in questa settimana: seguire la via Crucis di Cristo,  meditala nel silenzio, per osare chiamare “Croce” il dolore di ogni uomo. Siamo stanchi di tanta sofferenza dopo un anno, di tanti malati ancora oggi, di famiglie dimezzate per le morti, di paura e angoscia…Ma Gesù ci è accanto in questa via Crucis. Isaia sembra dirci: “Fai silenzio: contempla quelle mani e quei piedi lacerati e sanguinanti, quel corpo coperto di ferite, quel capo trafitto da spine acute”. Chi è Colui che soffre così? E’ Gesù Cristo il Figlio di Dio, Colui che ha fatto il cielo e la terra. Egli è sulla croce immobile, si offre al Padre, perché Dio sia tutto in tutti,  soprattutto nell’ora della prova. Contempliamo Gesù, non stanchiamoci di lasciarci invadere da un amore esagerato, che anche oggi salva il mondo. “Per le sue piaghe siamo stati guariti”. Lui ha portato il peso delle nostre colpe e noi cerchiamo di non crocifiggerlo di nuovo con la nostra indifferenza e soprattutto con la disperazione che ci allontana da Dio.

2.”Tu ci rinnovi con la beata passione del tuo unigenito” Così abbiamo pregato all’inizio di questa santa liturgia. Questo è il nostro desiderio, questo è il dono della Pasqua e di questi giorni santi: il rinnovamento interiore. La Chiesa intera, “tenendo fisso lo sguardo su Gesù”, come ci ha comunicato l’epistola agli Ebrei, si identifica con Maria di Betania. La Chiesa vuole offrire a Gesù il meglio. Lo fa nella liturgia di questi giorni santi, con la grazia della partecipazione dei fedeli. Lo scorso anno non fu possibile. La Chiesa non ha paura di sprecare l’unguento della cura con cui celebra la liturgia del giovedì,  venerdì e la grande veglia di Pasqua. Ma questo non basta, perché c’è un corpo da ungere, ci sono delle ferite da curare e sono la carne di Cristo che soffre nella persona concreta di chi attende da noi la stessa unzione di Betania. Cosa abbiamo di così prezioso da donare agli altri? La nostra umanità unita alla nostra fede, è l’unguento da spargere sui cuori feriti, oltraggiati, umiliati dalla pandemia e da tutto ciò che ha portato con sé. Sia questa una settimana non solo di preghiera e di presenza ai sacri riti, ma siano anche giorni in cui osiamo dare il meglio di noi stessi: quell’olio prezioso che è nel nostro cuore, visitato da Cristo, perché altri ne possano avere beneficio.

L’ulivo che riceviamo, segno dell’accoglienza del Re messia, è un dono da donare, perché se Cristo è tutto in tutti, ogni tipo di accoglienza ci fa veramente entrare nella settimana santa. Viviamola così: contempliamo le sofferenze di Cristo per poter guarire le nostre e ungere dell’amore di Cristo le piaghe di chi è accanto a noi.

28 Marzo 2021    DOMENICA DELLE PALME    B

S.Messa solenne ore 11,30 con processione interna alla basilica

1Come entra Gesù nella nostra vita? E noi come lo accogliamo? Umile cavalca un asino”All’inizio di questa settimana santa siamo davanti a Gesù che chiede un asinello per poter entrare in Gerusalemme. Questo suo stile lo notano tutti, e Lui fa così anche con noi: non forza la porta, bussa delicatamente, aspetta che noi apriamo, aspetta anche tutta la vita, fino all’ultimo istante. L’amore di Gesù per noi è di una pazienza e tenerezza infinita. Così Gesù si propone, non si impone, accetta qualsiasi nostra risposta e soprattutto ci riprova se noi lo rifiutiamo, ma sempre con lo stesso stile: cavalcando un asinello, umile, semplice. Questo vuol dire che noi lo troviamo non nei trionfi ma nell’umiltà, non nel chiasso ma nel silenzio, non nei miracoli eclatanti, ma nei piccoli segni che quotidianamente sono un dono della sua visita.

2.”La grande folla venuta per la festa udito che veniva Gesù prese dei rami di palme” e lo accoglie gridando “Osanna”.  Era sincera questa manifestazione di accoglienza? Sappiamo che la stessa folla griderà “Sia crocifisso”.  Questo ci dice che Gesù va accolto nella sua totalità, non solo quando è bello e si fa festa, penso alla prima comunione, alla Cresima Gesù va accolto  anche nel cammino che ne segue, nelle tappe della vita dove siamo chiamati ad essere suoi discepoli da adolescenti, da giovani, da studenti, quando si lavora, quando ci si sposa o ci si consacra a Lui, nell’anzianità, nel dolore e nella morte. Tutto deve avvenire nell’autenticità cioè Gesù ci invita a combattere la doppiezza, che significa fare una cosa e in realtà pensarne un’altra. La folla che lo accoglie sarà poi trascinata a eliminarlo, manovrata dai capi del popolo. Questo è un segno per noi di questi tempi, dove è difficile formarsi un opinione personale e meglio un opinione cristiana su fatti e avvenimenti. E’ così facile conformarsi all’emotività dell’ultimo messaggio ricevuto sul telefonino. La sincerità, la capacità di dire il proprio pensiero anche se scomodo perché cristiano, è un esercizio quotidiano di accoglienza di Gesù nella nostra vita.

3.I rami di ulivo con cui accogliamo oggi Gesù siano segno  del nostro impegno a vivere bene la settimana santa : la confessione, la partecipazione ai riti della settimana santa e soprattutto una vita che veramente desidera imitare in tutto Gesù. Ringraziamo il Signore dei tanti esempi di persone che in questo anno, ci hanno aiutato a vivere così: da veri discepoli del Signore Gesù.

Domenica V  di  QUARESIMA   B          21 Marzo 2021

1.”Credi tu questo?” Carissimi, anche a noi viene rivolta la stessa domanda che Gesù rivolge a Marta e Maria, dopo aver dichiarato: “Io sono la risurrezione e la vita”. Le due sorelle, non hanno ancora assistito al miracolo della risurrezione del fratello Lazzaro morto da quattro giorni. Prima del miracolo, Gesù chiede loro di fidarsi: domanda la fede in Lui. Noi, dopo un anno così luttuoso e con tante famiglie toccate dalla perdita di una persona cara, come risponderemmo? La Pasqua di Gesù che si avvicina, ha nella risurrezione di Lazzaro un presagio, un anticipo. Il dono della vita eterna, è la grazia che ci è stata donata nel Battesimo. In quel primo e fondamentale sacramento, siamo stati inseriti nella vita di Cristo. La vita terrena finisce. Anche Lazzaro morirà ancora. Ma il dono di Cristo, va oltre le nostre aspettative, perché ci fa comprendere che il Padre, Dio, soffre della morte dei suoi figli e figlie. Le lacrime di Gesù davanti alla morte del suo amico, sono le lacrime di Dio, del Padre, che non è l’autore della morte. Il dono di Cristo nella sua Pasqua, è una vita che non finisce, è la promessa del paradiso. “Credi tu questo?”. Verrebbe da rispondere “Io credo Signore, ma Tu aumenta, assisti la mia povera e vacillante fede”.

2.Il testo del prefazio, che ha le sue radici nelle catechesi che Sant’Ambrogio faceva ai catecumeni, in vista del loro battesimo nella grande veglia pasquale, amplia e illumina questo messaggio evangelico. “Grande è il mistero di salvezza che in questa risurrezione si raffigura: quel corpo, ormai in preda al disfacimento, d’un tratto risorse per comando dell’eterno Signore”. Si tratta di cogliere il fatto che Gesù compie questo miracolo, perché è il Salvatore. Lui è qui anche oggi, per portare avanti l’opera si salvezza, di liberazione dell’uomo dal peccato che causa la morte.

3.In tal senso, questa fede nella vita eterna tocca noi oggi, qui, nel tempo che stiamo vivendo. Continua il testo del prefazio: “così la grazia divina del Cristo libera noi tutti, sepolti nella colpa del primo uomo, e ci rende alla vita e alla gioia senza fine.” Noi siamo sepolti come Lazzaro nella colpa del primo uomo, cioè di Adamo che ha rifiutato Dio,  ha messo l’uomo al posto di Dio, rifiutando il suo limite di creatura. E questa è la morte che sperimentiamo ogni giorno, perché questa è la radice di ogni peccato. Occorre che la Pasqua di Cristo ci attraversi con a “Grazia divina del Cristo”. Senza il suo tocco, senza questo urlo: “VIENI FUORI”, noi rimaniamo morti. Sentiamoci allora chiamare da Lui, a risorgere da tutte quelle morti che ci paralizzano con la paura, i pensieri negativi, la mancanza di fede, di speranza, di carità. Invito tutti a preparare bene il sacramento della risurrezione per la prossima Pasqua: il sacramento della Confessione. Così potremo rivolgerci al Signore con questa preghiera che è contenuta nella liturgia delle ore di oggi: “ Effondi Signore sui tuoi figli lo Spirito che rinnova, così che nella verità del mondo interiore sperimentiamo la risurrezione, che quasi a figura della nostra rinascita è stata operata a Betania dal Signore Gesù “

Domenica IV  di  QUARESIMA   B          14 Marzo 2021

1.”Una cosa so: ero cieco e ora ci vedo” Carissimi, ciascuno di noi potrebbe alla luce della fede, fare la stessa affermazione de cieco guarito, perché la fede ricevuta nel giorno del Battesimo, è il dono di occhi nuovi, gli occhi di Gesù che sanno vedere oltre ciò che appare. Il prefazio della Messa odierna così specifica: “Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che al fonte battesimale gli viene donata”.  Per il dono della fede, noi siamo ricreati come il cieco. Infatti Gesù che è la mano e il cuore del Padre creatore, per ridare la vista al cieco nato, prende del fango ricavato dalla sua saliva. La saliva per la cultura biblica è come il sangue, è l’essenza della vita. Pertanto Gesù, che è Dio creatore, mette la vita di Dio nel comporre questo fango, come per Adamo il primo uomo, nella Genesi, quando Dio lo creò. Nella saliva di Dio, c’è il suo spirito vitale, che può dare la vista anche a un cieco nato. Tutti siamo ciechi dalla nascita, ma ci è data nell’immersione in quell’acqua che è come saliva di Dio, la vita risorta di Cristo, una luce nuova, una vista penetrante, la luce della fede.

2.Come per il cieco guarito, anche per noi la vista nuova è progressiva. Quanto più noi vediamo con gli occhi della fede, tanto più dobbiamo superare degli ostacoli che spesso ci vengono incontro attraverso le persone. Il cieco guarito riferisce ai suoi vicini che è l’uomo Gesù che lo ha guarito, poi ai Farisei lo definisce profeta e davanti a Gesù stesso, si prostra in adorazione facendo la sua professione di fede nel “Figlio dell’uomo”. Vedete, anche noi dobbiamo chiedere la forza di una vista di fede sempre più profonda per il tempo, i fatti, gli avvenimenti che stiamo vivendo. Non possiamo fermarci solo al lato umano, dobbiamo avere il coraggio di arrivare a professare tutta intera la fede, fino alla vita eterna. Gli ostacoli spesso sono le persone, magari anche l’indifferenza,  la paura dei nostri di casa. Guardate i genitori del cieco come se ne lavano le mani. Poi il grande ostacolo demoniaco, è il credere ancora che il male fisico, sia una punizione divina, per qualche peccato nascosto che abbiamo fatto. Riascoltiamo cosa dicono i discepoli, dopo aver visto il cieco: “Chi ha peccato lui o i suoi genitori perché sia nato cieco?” E ancora i Giudei che interrogano il cieco gli dicono “Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?” Anche per noi oggi, c’è un offuscamento della vista se ragioniamo così.

3.”Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo”. Potremmo dire anche noi la stessa cosa. Esercitiamoci in questa settimana a vedere con gli occhi della fede!

Domenica III  di  QUARESIMA   B          7 Marzo 2021

1.”Se siete figli di Abramo fate le opere di Abramo” Carissimi, il terzo passo verso la Pasqua che Sant’Ambrogio disegna per coloro che ricevono il battesimo e oggi per noi che lo riscopriamo, è la fede. Abramo è il modello del vero credente . Gesù, in questo dialogo serrato coi giudei che erano diventati suoi discepoli, fa percorrere un itinerario per verificare di che fede si tratta. Com’è la tua fede, ci chiede oggi Gesù? E’ qualcosa che hai addosso come un vestito che ti è stato consegnato, oppure è parte della tua identità profonda? Credere: l’essere umano non può non credere, è fatto per vivere per un ideale. L’emblematico episodio del vitello d’oro descritto nella prima lettura, ci comunica che la fede autentica è la capacità di saper sostenere il silenzio di Dio, di saper aspettare che Lui si manifesti senza andare a cercarlo in altro che pii è costruito dall’uomo. Credere in Dio quando tutto va bene è facile, ma affidarsi a Dio come Abramo, quando Dio ti chiede di partire per un luogo anche esistenziale che tu non conosci, non è da tutti. Credere anche quando la vita ti pone davanti la croce, non è facile. Eppure quel volto crocifisso e risorto di Gesù, è il volto di Dio, a Lui noi ci affidiamo e in modo ostinato anche in questo tempo, non smettiamo di credere.

2.Quali sono le opere della fede che Gesù non trova nei suoi interlocutori? Gesù si accorge di avere davanti persone che hanno smesso di lasciarsi stupire da Dio. Dicono di credere, ma non sono liberi, hanno ingabbiato Dio dietro ai loro schemi e alle tradizioni. Allora quali sono le opere di chi crede veramente?

La prima: ringraziare ogni giorno del dono della fede e non darla mai per scontata. Secondo: coltivare la fede come la pianta più preziosa della nostra interiorità. Coltivarla con la lettura della Parola di Dio, che è la verità sulla nostra vita, con il colloquio quotidiano con Gesù nella preghiera e dandosi a volte nella vita, dei momenti intensivi di fede che possano far compiere un salto di qualità. Terzo: stare nella famiglia dei credenti: la Chiesa, dove abita il Cristo autentico. Attenzione a una fede fai da te. Chi si stacca dalla Chiesa, rischia andare lontano dalla fede che Gesù si aspetta da noi. Cristo è nella sua Chiesa, in questa Chiesa con questi pastori, oggi.

3.Infine: proviamo a chiederci quali opere concrete nascono dalla nostra fede. C’è un cambiamento interiore e un aumento della carità che possono essere il segno di una fede che cresce? Mi è capitato a volte, in ragione della mia fede, di fare alcune scelte anche controcorrente? Sono forse uno che si vergogna della sua fede davanti agli altri?

4.Mi piace terminare con la famosa frase che Giacomo l’apostolo scrive nella sua lettera: “Mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”

Domenica II  di  QUARESIMA   B          28 Febbraio 2021

1.”L’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” Carissimi, il tema dell’acqua che contraddistingue questa domenica seconda di quaresima, ha nella Samaritana l’emblema di tutti noi, bisognosi di “aprire la mente alla fede”, come recita il prefazio di questa Messa. E ancora si dice che Gesù al pozzo di Giacobbe “le accendeva la sete di Dio”. Credo che davanti a quest’acqua che è Cristo stesso, noi ci rendiamo più conto che il nostro Battesimo ci ha già donato questa fonte inesauribile. Ma la Quaresima e la prossima Pasqua, vogliono farci camminare per riappropriarcene.

2.Il Battesimo ci ha lavato, ci ha purificato con quest’acqua e continua ad operare anche oggi. L’acqua che è Cristo risorto, ci lava ogni giorno, ci purifica, ci rinnova. Ma da cosa è necessario lasciarsi lavare e purificare? Io dal vangelo dico anzitutto dalle menzogne, dalle bugie che  diciamo a noi stessi. Dalle falsità che diciamo a noi stessi. L’acqua purificatrice pulisce anzitutto la nostra interiorità  e ci mette a nudo davanti al Signore. Una lezione di umiltà ci viene dalla quaresima perché, complice il tempo di pandemia che stiamo vivendo, la nostra vita, la verità di noi stessi, deve starci davanti come è davanti a Dio, con le sue miserie e la sua forza. Vorrei mostrare come il quadro restaurato di Giovan Battista Crespi, detto il Cerano e riportato al suo altare, sia un messaggio chiaro per questa purificazione. Abbiamo davanti un San Carlo in ginocchio che prega. Tutto il suo corpo e in particolare il volto e le mani, comunicano che questa operazione di purificazione e di verità di se stesso davanti a Dio, è avvenuta. Le mani e il volto, dicevo, testimoniano che il Santo è da tempo in veglia di preghiera. La barba non rasata (è raro nelle rappresentazioni del Borromeo) ma soprattutto il volto è scarno ma sereno, pacificato, con lo sguardo alla croce. Inoltre, le mani dove si vedono le vene , mani lunghe anch’esse protese verso l’alto, testimoniano un desiderio sincero di dono di sé per Dio e per gli altri. Purificarsi per pacificarsi. Lasciarsi purificare dall’incontro col Signore, per non temere di mostrarsi anche con le proprie debolezze: questo è il primo messaggio.

2.In secondo luogo: l’acqua che Cristo offre alla samaritana è acqua che occorre bere, perché a sua volta diventi in noi sorgente per gli altri. Viviamo in tempi in cui il nostro cuore somiglia più a una cisterna screpolata (per usare il linguaggio di Isaia) che non a una sorgente. La testimonianza di chi anche in questo tempo non ha smesso di abbeverarsi a Cristo, mostra che si può passare insieme da credenti “in questa valle di lacrime”. Penso alla bella testimonianza di venerdì sera coi nostri 5 missionari, che ci hanno comunicato esattamente questo. Per noi allora la regola sarà questa: se non ti disseti, non puoi dissetare. Occorre bere e bere molto, alla sorgente della salvezza: la Parola di Dio, i Sacramenti, la preghiera. Ritorno al quadro del Cerano dove si vede chiaramente che il Borromeo, rapito dalla croce, si sta abbeverando ad essa, si sta inebriando dell’Amore di Colui che ha dato la vita per ciascuno di noi e ci ama. Dio invia così i suoi angeli: due ai piedi del santo, che sorreggono il pastorale e il galero cardinalizio, quasi a sottolineare che il Santo se si abbevera all’acqua che scaturisce dalla croce di Cristo: non è solo nel portare il peso del governo pastorale della diocesi. E gli altri due personaggi a sinistra in alto sono un angelo con l’aureola e un volto senza. L’angelo indica con un dito il santo, per rimarcare la sua esemplarità, l’esempio trascinante. Chi si abbevera a Cristo, assume le connotazioni di chi è credibile, perché non parlano più le sue parole, ma  parla la sua vita. Invoco l’intercessione del grande san Carlo, che è stato così familiare per la nostra città di Melegnano, perché ci aiuti a continuare il cammino quaresimale, alla riscoperta del nostro Battesimo.

Domenica I  di  QUARESIMA   B          21 Febbraio 2021

1.”Non digiunate tra liti e alterchi” Carissimi, le parole di Dio scritte dal profeta Isaia nella prima lettura, sono il primo monito di Quaresima per ciascuno di noi. Questi quaranta giorni che ci porteranno a rivivere la Pasqua del Signore, fino a condividere con liturgia della Chiesa i momenti della cena pasquale, del venerdì santo e soprattutto la grande veglia di risurrezione, sono un dono di speranza per tutto il mondo. Dobbiamo prepararci, seguendo il cammino che questi giorni penitenziali ci suggeriscono. Affondiamo le nostre radici nella grande tradizione ambrosiana, che dal nostro padre Ambrogio, (IV secolo) ha fatto la scelta di percorrere un itinerario catecumenale, per riscoprire il battesimo che ci è stato dato: sacramento che ci ha immerso nella Pasqua di Cristo. Ambrogio, nella quaresima, recupera i passi evangelici che noi abbiamo ascoltato oggi e ascolteremo nelle prossime domeniche, dalla prima chiesa di Gerusalemme e li fa suoi. Noi ne intuiamo la motivazione: Ambrogio vuole aiutare la sua Chiesa  a scoprire a poco a poco il volto di Cristo e invita chi si sta preparando al battesimo, a fare spazio a Cristo Salvatore e Redentore con la preghiera, il digiuno e la carità verso i poveri.

2.Oggi il nostro sguardo è su Cristo vero uomo, che è tentato nel deserto, anzi vi è “condotto dallo spirito”. Lo sguardo è rivolto a Lui, a Gesù, alla sua forza interiore, nell’essere fedele al progetto del Padre, nella sua capacità di prepararsi al dono di sé agli altri, ritirandosi nel deserto. Gesù ci insegna che è importante conoscere la tattica del nemico che ci insidia, e smascherarlo con la forza della Parola di Dio. Il nemico, il diavolo, desidera che Gesù sia un Messia acclamato dalla gente per il pane che dona, per i beni materiali. Vuole un Messia totalmente schiacciato sul successo personale, facendo grandi segni. Pensiamo al contrasto tra queste proposte e la strada di amore totale che porterà Gesù sulla Croce, verso la sua Pasqua di redenzione. All’inizio della quaresima, noi siamo invitati ad accogliere lo Spirito di Cristo, che come credenti, non ci risparmia le tentazioni e anche la sofferenza legata all’inclinazione al male, ma nella fede non ci lascia soli perché Lui è con noi.

3.Come attualizzare questa contemplazione delle tentazioni di Cristo? Anzitutto con la capacità di fare deserto, silenzio dentro di noi, fino ad arrivare con grande umiltà alla verità di noi stessi, con le nostre tentazioni predominanti. Oggi noi tutti siamo tentati di poca speranza, di rassegnazione, di scoraggiamento davanti a una pandemia che non passa. Siamo tentati di non accettare il nostro limite. Come adulti siamo in ritirata nel campo educativo, soprattutto nei confronti dei nostri ragazzi adolescenti. Quante tentazioni che si riassumono nel dubitare persino dell’efficacia della fede nella nostra vita. Allora torniamo all’invito di Isaia :  “Non digiunate tra liti e alterchi”. La ginnastica quotidiana della gestione dei conflitti all’interno della famiglia, è una buona palestra di quaresima. I nostri ragazzi possono apprendere in casa che la stima di se stessi e la stima data all’altra persona passa dalla capacità di ciascuno di accettarsi fragile e diverso dagli altri. Questa accettazione di sé e dell’altro nella sua fragilità, aiuta a gestire i conflitti come luoghi di crescita e di maturazione. Gesù stesso ci ama non perché siamo santi, anzi il contrario, perché siamo peccatori e glielo dichiariamo nella Confessione. Solo in questo modo Lui può intervenire con la sua grazia. Che senso avrebbe vivere la quaresima con digiuni e preghiere se questo non sfocia in uno sguardo nuovo su di sé e sugli altri, soprattutto i nostri familiari? Tutti siamo preoccupati per gli episodi di autolesionismo fino a sfiorare il suicidio dei nostri ragazzi anche piccoli, e nello stesso tempo la violenza dei ragazzini nelle piazze che è accaduta anche a Melegnano, ci fa proprio sottolineare che occorre anche in famiglia imparare l’arte del vivere e gestire i conflitti. Se non è così, i nostri ragazzi, causa anche la compressone della pandemia, deflagrano nelle piazze come sta accadendo. Parliamo in famiglia, cerchiamo di vigilare sulla “saturazione informatica” come la chiama papa Francesco, cioè l’ondata di informazione che rende la famiglia un luogo di gente isolata, ognuno davanti al suo pc o tablet o computer o tv. E’ una vera emergenza spirituale ed educativa quella stiamo vivendo! La quaresima ci dia la grazia d poter concretizzare quel vero digiuno che ci riavvicina gli uni gli altri, come fratelli e sorelle del Signore.

Domenica 14 Febbraio 2021  ultima dopo l’Epifania detta           “del perdono”  B

1.”Tu perché giudichi il tuo fratello?”. Carissimi, in questa domenica, che precede l’inizio della quaresima, detta “del perdono”, sentiamo rivolta a noi la domanda dell’apostolo Paolo nell’epistola ai cristiani di Roma. La ragione di questo interrogativo, che si accosta anche all’altra domanda “Tu perché disprezzi il tuo fratello?”, sta tutta nella contemplazione della morte di Gesù sulla Croce, una morte offerta per amore, per la remissione dei peccati. Quel fratello che giudichi e disprezzi, sembra dire l’apostolo, è una persona come te, per la quale Gesù ha versato il suo sangue. A partire da questa realtà, guardiamo la parabola evangelica del pubblicano e del fariseo. I farisei che compaiono spesso nel vangelo, sono delle persone molto religiose, osservanti di tutti i precetti di Mosè, ma col rischio di curare una religiosità solo esteriore. I pubblicani sono gli esattori delle tasse, ladri, a volte senza scrupoli. Nel vangelo ne conosciamo almeno due: Matteo che Gesù chiama ad essere apostolo e Zaccheo, che incontrando Gesù, cambia vita. Presumiamo che queste due persone descritte dalla parabola, dicano una fatica già presente nella prima Chiesa lucana. Una fatica che è quella di essere una Chiesa aperta a tutti, soprattutto con le braccia spalancate, come quelle di Cristo in croce, per i peccatori, per chi è lontano. Ci sono i cristiani della prima ora che come il figlio maggiore della parabola del “figlio prodigo”, non hanno mai sgarrato di un centimetro, ma non hanno mai fatto esperienza dell’amore senza misura del Padre, di Dio. Il rischio di una Chiesa, di cristiani così, è la chiusura come per una setta di perfetti. In questo modo, con una preghiera simile a quella del fariseo, si chiudono le porte della salvezza a chi la cerca. Al contrario, Gesù è sempre alla ricerca di anime da salvare, e desidera che coloro che sono già nel recinto della Chiesa, non si chiudano e non lo chiudano nei tabernacoli, ma siano strumenti, perché coloro che sono lontani, trovino una comunità accogliente, che sa perdonare come Dio perdona, che non giudica dalle apparenze, che sa distingue il peccato dal peccatore, che faccia come Gesù: ami il peccatore e disprezzi il peccato.

2.Il pubblicano invece, è il modello di Chiesa e di cristiano che Gesù predilige. Osserviamo gli atteggiamenti del suo corpo mentre prega: “fermatosi a distanza, non osava alzare gli occhi al cielo si batteva il petto”. La preghiera  del pubblicano,  invoca semplicemente il perdono, con una chiara consapevolezza delle proprie miserie.  Gesù commenta dicendo che questa preghiera è accolta da Dio, invece l’altra del fariseo no. Questo significa che l’umiltà, la capacità davanti a Dio di essere coscienti delle proprie miserie, è la condizione per fare un esperienza spirituale che salva, rinnova e cambia la vita. Solo l’umiltà, apre un varco al Signore, perché possa entrare in noi e salvarci. Se la nostra preghiera è solo domanda, lamento e tristezza, il Signore non ha un cuore in cui entrare e riversare il suo amore. Da una preghiera così, nasce una comunità aperta, capace di accogliere, che la smette di giudicare e di parlarsi alle spalle, ma sa comunicare il tesoro dell’amore di un Dio, che  nella sua Pasqua, ha offerto se stesso per tutti gli uomini e le donne della storia, e se ha fatto una preferenza, l’ha fatta e la fa per chi è come il pubblicano.

3.Chiudo con una bella preghiera del Beato Charles de Foucauld: “Umiliamoci! Umiliamoci nella preghiera, sempre. Quando dobbiamo umiliarci di più se non quando siamo soli con Dio, noi così sporchi, così peccatori, così ingrati, così mancanti, lui così grande e così santo! Umiliamoci in tutto. . In pensieri, in parole, in azioni; abbiamo dei bassi sentimenti verso di noi, non lasciamo il nostro spirito divagare in vane e orgogliose chimere, manteniamolo in quell’umiltà che è la verità. Le nostre parole, il nostro tono, il nostro amore del silenzio, siano riempiti di umiltà”.

Domenica 7 Febbraio 2021  penutima dopo l’Epifania detta “della divina clemenza”  B

1.”Sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato”. Carissimi, questa domenica e la prossima, che precedono l’inizio della Quaresima, sono connotate dall’accoglienza della divina clemenza e del perdono. L’esperienza della peccatrice perdonata, che dimostra il suo amore al Signore Gesù col gesto delle lacrime sui piedi del Maestro, e dei capelli che lo asciugano, scandalizza il fariseo che aveva invitato Gesù. Ma la clemenza del Signore è infinita, per chi si rivolge a Lui. Possiamo proprio dire che Gesù ridà VITA a questa donna, ormai morta per la società che l’aveva catalogata per i suoi errori. Il perdono restituisce la vita agli altri e la rinnova in chi lo dona. Applichiamo questa cura della vita degli altri allo stimolo che ci viene dalla XXV giornata per la vita, che si celebra oggi in tutte le Chiese d’Italia. “Constatiamo purtroppo sempre più spesso come la vita umana sia rifiutata e disprezzata come un oggetto. Pensiamo agli atti di violenza tra le mura domestiche, alle uccisioni fisiche e morali degli altri…Ma ancor di più alle derive abortistiche ed eutanasiche della maggior parte delle legislazioni nazionali e come molteplici atteggiamenti di chiusura, indifferenza, ingiustizia e violenza feriscano gravemente la dignità dell’uomo nelle varie stagioni ed avvenimenti dell’esistenza. E’ necessario oggi considerare attentamente la gravità del delitto dell’aborto non soltanto perché costituisce un omicidio, ma anche perché purtroppo un’insistente propaganda, tende ad assuefare le coscienze, e anche molti cristiani sono indotti a pensare che sia legittimo o addirittura doveroso garantire una sorta di “diritto all’aborto”, che non può sussistere in quanto si tratta di un male grave ed oggettivo. Molti cristiani ragionano così: “io sono contrario all’aborto, però è giusto che ci sia una legge che lo permette, perché chi lo vuole fare per svariatati e gravi motivi, lo faccia”. Questa è la deriva attuale della morale soggettivistica, che non riconosce più la verità oggettiva dei valori che fondano l’esistenza, tra cui la salvaguardia della vita nascente. Non si ha più così il coraggio di chiamare col proprio nome le realtà, tra cui l’aborto, che è un omicidio di una vita umana indifesa. La piaga disumana e incivile dell’aborto ha assunto da anni proporzioni spaventose: nel 2020 è stata la principale causa di morte nel mondo con 42,6 milioni di vittime a fronte dei 17,9 milioni morti per infarto, 8,7 milioni morti per cancro, 1,8 milioni morti per covid-19 e 1,7 milioni morti per HIV (dati dell’OMS). È la legge naturale scritta nel cuore dell’uomo, che dovrebbe condurre al rifiuto di ogni attacco alla vita e all’efferato delitto dell’aborto, ma soprattutto la coscienza cristiana e la fede cattolica devono condurre tutti noi a contrastare con coraggio la deriva morale e culturale che considera l’aborto un diritto e una decisione praticabile. Parandosi dietro la difesa dei diritti delle donne, si calpesta e si uccide un innocente.  Santa Teresa di Calcutta, che, in occasione del conferimento del premio Nobel per la pace, proprio in quel contesto, fece questa dichiarazione: «Io sento che il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta, un’uccisione diretta, un omicidio commesso dalla madre stessa. (…) E noi siamo qui, perché i nostri genitori ci hanno voluto. Non saremmo qui se i nostri genitori non ci avessero voluto. I nostri bambini li vogliamo, li amiamo, ma che cosa è di milioni di loro? Tante persone sono molto, molto preoccupate per i bambini in India, per i bambini in Africa dove tanti ne muoiono, per malnutrizione, fame e così via; ma milioni muoiono deliberatamente per volere della madre. E questo è il grande distruttore della pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio stesso bambino nella culla del suo grembo, chi potrà fermare me e te dall’ucciderci reciprocamente? Nulla» (Oslo, 11.12.79). 

Lo stesso Papa Francesco ha usato espressioni inequivocabili e chiare circa la pratica dell’aborto: «Si potrebbe dire che tutto il male operato nel mondo si riassume in questo: il disprezzo per la vita. La vita è aggredita dalle guerre, dalle organizzazioni che sfruttano l’uomo, dalle speculazioni sul creato e dalla cultura dello scarto, e da tutti i sistemi che sottomettono l’esistenza umana a calcoli di opportunità, mentre un numero scandaloso di persone vive in uno stato indegno dell’uomo. Questo è disprezzare la vita, cioè, in qualche modo, uccidere. Un approccio contraddittorio consente anche la soppressione della vita umana nel grembo materno in nome della salvaguardia di altri diritti. Ma come può essere terapeutico, civile, o semplicemente umano un atto che sopprime la vita innocente e inerme nel suo sbocciare? Io vi domando: è giusto “fare fuori” una vita umana per risolvere un problema? E’ giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Non si può, non è giusto “fare fuori” un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema. E’ come affittare un sicario per risolvere un problema» (Udienza 10.10.2018).  Riflettiamo tutti su queste parole e cerchiamo di aprire un dialogo coi nostri ragazzi, i nipoti su questo tema importante.

(parti del testo sono prese dal messaggio del vescovo di Ventimiglia- Sanremo Mons Suetta)

31 Gennaio 2021  Festa della Sacra Famiglia  B

1.”Il tuo Figlio venendo a assumere la nostra condizione di uomini, volle far parte di una famiglia”. Carissimi, le parole del prefazio, ci introducono nella festa della Sacra famiglia, che nel nostro rito ambrosiano, sigilla la meditazione natalizia con la festa odierna, e con quella che celebriamo il 2 febbraio, la presentazione di Gesù Bambino al tempio. Le parole della preghiera liturgica, ci ricordano che Dio, incarnandosi per nostro amore, ha scelto la modalità della famiglia, ha voluto un padre adottivo: Giuseppe, una madre, Maria, che lo ha portato in grembo e lo ha dato alla luce. Il prefazio continua enunciando la motivazione profonda di questa scelta “per riportare la vita familiare alla dignità alta e pura della sua origine”. Questa dignità alta e pura, è data dalla comunione con Dio, dalla presenza dello Spirito Santo. Quando in una famiglia c’è spazio per Dio, per la preghiera, circola tra i componenti l’Amore di Dio, allora si vive la stessa esperienza della famiglia di Nazaret. “Famiglia nascosta ai grandi della terra e alla fama del mondo, più nobile per le sue virtù che non per la sua discendenza regale”, così ancora il prefazio ci comunica. Dunque il Figlio di Dio vive la sua incarnazione in una famiglia normale, per mostrare la vicinanza di Dio a ogni famiglia. Gesù mostra la sua divinità con l’episodio evangelico di oggi, ma resta pienamente un ragazzo, un uomo che vive le dinamiche familiari dell’ubbidienza e della crescita, come ci dice la finale del vangelo. Diamo onore alla famiglia, guardiamo alle nostre famiglie come ambienti di vita amati dal Signore. Vediamo la famiglia come un dono voluto dal Signore. Oggi, dove ci è quasi impedito affermare che la famiglia è fatta da un uomo e da una donna aperti alla vita e uniti nel sacramento del matrimonio, oggi dove dire che c’è un papà e una mamma è confuso come atto discriminatorio, contempliamo la scelta di Dio: ha voluto nascere, crescere vivere fino a 30 anni in una famiglia. Traiamo le conseguenze da tutto ciò.

2.C’è un aspetto però che va notato nel vangelo, che leggiamo non tanto e solo come un episodio di cronaca accaduto, quanto come un momento di rivelazione di chi è Gesù. Gesù non si trovava per tre giorni. Già questa indicazione è simbolica della Pasqua. Poi una volta trovato, rivela ai genitori che lui deve occuparsi delle cose del Padre che è nei cieli. Pensiamoci: un autentico shock per Maria e Giuseppe. Eppure questa santa coppia di sposi, ci comunica che quando Dio non si trova nella famiglia, va cercato fuori. Dio si nasconde e lo fa per farsi trovare. Non vi sembri un gioco di parole, ma la realtà di questo smarrimento di Gesù, che può essere la perdita di Dio, della fede, nella famiglia. Maria e Giuseppe lo cercano insieme. La coppia fa insieme un cammino di fede e la comunità dei credenti (Gesù è trovato nel Tempio) è un luogo adatto per trovarlo, nel nascondimento della Sua Parola, nell’infinito rimpicciolimento di questo Dio nel sacramento dell’Eucarestia, nell’apparente bruttezza di chi è povero e solo. Anche qui Cristo si nasconde. Allora, ecco il messaggio che riceviamo: quando Dio si nasconde apparentemente alla vita di una famiglia, in realtà dà un segnale perché lo si cerchi proprio nel suo nascondimento. Dio si fa trovare la dove non pensiamo si possa cercarlo. La famiglia è una piccola Chiesa, dove insieme si cerca il Signore nella vita quotidiana, come la vita nascosta di Nazareth. Nella famiglia c’è chi ha fede e chi l’ha persa. Penso in questo omento ai giovani. Ma quando una coppia di coniugi vive insieme la fede, e non intendo solo il culto la S.Messa ma le scelte che nascono dalla fede, allora i figli assimilano. Oserei dire, apprendono col latte materno la fede stessa. Allora preghiamo per tutte le famiglie, perché forse la crisi del nucleo portante della società è anche e forse solo una crisi di fede. Ci sono troppe famiglie che hanno smarrito la fede, che non credono più, che non fanno battezzare i figli. Se manca il Signore manca tutto. E noi che abbiamo la grazia di essere qui, non lasciamo sole le famiglie in difficoltà. Con la preghiera per loro, sentiamoci missionari di questo vangelo della famiglia.

Domenica 24 Gennaio 2021  III dopo L’EPIFANIA  B                                      1.”Egli vide una grande folla, sentì compassione”. Carissimi, nell’episodio dei pani e dei pesci che sfamano la folla, noi accogliamo una nuova epifania-manifestazione del Signore Gesù. La compassione che Gesù sente per la gente che lo segue tutto il giorno, è concreta. Questo popolo ha fame! Gesù mostra il suo volto paterno e materno.  Il suo volto, il suo cuore è quello di Dio per noi. L’icona del deserto che contraddistingue l’esperienza del popolo d’Israele descritta nella prima lettura del libro dei Numeri, dice la nostra situazione in questo momento. Una situazione tanto simile a quella degli Israeliti, stanchi e affamati nel cammino verso la terra promessa. In questo deserto le tentazioni sono due: rimpiangere il passato, l’Egitto dove si mangiavano “cetrioli, cipolle, porri e aglio” e l’atra tentazione è la mormorazione. Il tutto si trasforma in una voracità che si dimentica degli altri, quando dal cielo arrivano le quaglie, la carne da mangiare. Questa immagine, è ciò che Gesù trova nella folla che poi lo seguirà perché ha riempio la loro pancia, lo cercherà solo per quello, per il cibo che perisce. Cosa prevale nel nostro animo in questo periodo? Quanto la paura del presente e del futuro ci chiude in noi stessi, dimenticandoci degli altri?

2.Contempliamo il gesto di Gesù che prefigura l’Eucarestia: “Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli alla folla”. Gesù nel nostro deserto, ci offre questo gesto che noi oggi rinnoviamo. Anzitutto siamo invitati a benedire Dio per quello che c’è e non lamentarsi per quello che manca. Benedire Dio per i frutti della terra e per quello che siamo, per il dono delle persone. Oggi noi rendiamo grazie per il dono dell’Eucarestia, che è la più grande epifania di Dio per noi. Vogliamo vivere al meglio questo dono di Gesù, questo miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci che ancora continua oggi, adesso. In questo gesto eucaristico, siamo coinvolti anche noi: i discepoli di oggi. Ci dice Gesù: “Voi stessi date loro da mangiare”. Questo invito di Gesù, ci aiuta a capire che il nostro essere qui oggi a ricevere Cristo nella sua Parola e nel pane eucaristico, non è solo un momento privato tra noi e Lui. La fede in Lui, non può ridursi a un momento solo consolatorio per stare bene, e il resto viaggia per conto proprio. La vera epifania di Gesù nella Santa Comunione, apre il nostro cuore agli altri. Qui c’è la risposta al nostro deserto, dove prevale il lamento per ciò che ci manca. Gesù, venendo a noi come pane moltiplicato, ci dice di guardarci attorno e di moltiplicare questo pane, nell’attenzione prima che a noi stessi agli altri. Per quello che possiamo fare, noi siamo quel pane moltiplicato per la gioia degli altri. Il vangelo dice che tutti furono sfamati e “portarono via dodici ceste piene”. Sappiamo che questo numero è simbolico: il nuovo Israele è la Chiesa, fondata sui dodici apostoli, riceve questo cibo avanzato e lo deve portare in tutto il mondo, perché il volto di questo Dio che in Gesù si dona ad ogni uomo, possa essere da tutti conosciuto.

3.Non possiamo concludere senza chiederci quali frutti procura nella nostra vita l’essere qui, al miracolo della S.Messa. Sappiamo che ciò che il Signore gradisce, sono tanti piccoli gesti quotidiani fatti per amore suo e dei fratelli. Pertanto è necessario domandarci: “quale fame hanno coloro che sono attorno a me? Come posso anch’io dare loro da mangiare?”

Domenica 17 Gennaio 2021  II dopo L’EPIFANIA  B

 1.”Riempite d’acqua le anfore”. Carissimi, l’epifania alle nozze di Cana, è il primo segno-miracolo che fa Gesù. Egli anticipa la sua Pasqua, la sua ora, con la vittoria sul peccato e la morte. Lui colma sempre le nostre attese. Il vino nuovo squisito, è la sua presenza nella nostra vita. Quando c’è il Signore, tutto cambia, tutto si trasforma. La fede in Lui è già un miracolo, che addirittura trasforma la morte e il dolore in salvezza. Questa presenza di Gesù nella nostra vita, vuole essere quella di uno sposo. La simbolica nuziale è quanto mai significativa. Egli, Gesù, desidera che noi siamo nella gioia. Ma questa gioia c’è solo se Lui è con noi. Siamo noi che dobbiamo permettergli di entrare nella nostra vita. Se Lui è presente, Lui che questo vino squisito, noi siamo portatori di gioia agli altri.

2.Il primo passo però è quello di saper riconoscere come Maria “non hanno vino”. La propria fragilità, la propria piccolezza. Questo è il passo necessario per far entrare il Signore nella nostra vita. “Uno dei paradossi del nostro tempo, nel quale la nostra fragilità è così evidente, non solo per la crisi Covid con le sue conseguenze, è che facciamo tutto quello che possiamo fare per calcolare ed eliminare e nascondere le nostre fragilità, non ammetterle, mascherarle. Anche il movimento negazionista è segno di questa non accettazione del limite e della fragilità umana. Ma vivere è rischiare con le nostre fragilità. Quello che rende l’insegnamento di Cristo così fresco e provocatorio, è la sua insistenza su questo punto. Egli lo dice in molti moti: seguire me è pericoloso, ma correre questo rischio è il modo con cui essere liberi e, in definitiva, raggiungere la gioia. Mi sembra dunque legittimo domandarci: la nostra collettiva e ossessiva ricerca di sicurezza, per assurdo, non ci porta piuttosto a sentirsi ansiosi, chiusi e tristi? Lo stress di proiettare un’immagine di noi stessi che non corrisponde alla nostra verità più profonda, può fiaccare una persona nella propria vitalità, al punto da minacciare l’intero senso del sé, fino ad arrivare a non trovare senso nella vita se essa non è efficiente o secondo i parametri che la società impone. Tutto questo diventa anche scontro sociale in questo momento. Perché iniettare il vaccino in un uomo di 103 anni? In questi giorni sui social si sono riversati moltissimi commenti e anche insulti, contro questa persona e questa scelta. Voi capite che se manca il vino buono del vangelo, che ci fa mettere al centro l’amore, la dignità di ogni persona, la società scivola in una giungla. Il papa dice nel messaggio per la prossima giornata del malato: “Una società è tanto più umana, quanto più si fa carico dei più fragili”. Chi sta pensando oggi al vaccino per il terzo mondo, per le nazioni più povere? Voi ne sentite parlare in tv?

3.Ecco il senso di questa presenza di Gesù come vino nuovo, vino dell’amore crocifisso e risorto, che noi oggi incontriamo. I credenti come noi, sono chiamati a dare questo sapore di vita e di gioia all’esistere. Questo anche perché, ci ricordava il capo dello stato Mattarella nel suo discorso di fine anno: “Noi non stiamo vivendo una parentesi della storia” io aggiungo come se fossimo in un frigorifero, ibernati, ma diceva, “siamo chiamati oggi ad essere costruttori” io aggiungo : non demolitori. Ecco perché, se ci fermiamo all’acqua della nostra inadeguatezza, del nostro limite, degli errori del passato, non andiamo da nessuna parte. Dobbiamo vivere oggi e vivere da cristiani cioè, con la presenza quotidiana del Signore Gesù, che trasforma le nostre fragilità, anzi agisce attraverso di esse, e ci chiede di vivere, di sognare il futuro, di fare la nostra parte. Termino ancora con le parole di papa Francesco che sempre ci scuotono: “Quando si riduce la fede a sterili esercizi verbali, senza coinvolgersi nella storia e nelle necessità dell’altro, allora viene meno la coerenza tra il credo professato e il vissuto reale. Il rischio è grave; per questo Gesù usa espressioni forti, per mettere in guardia dal pericolo di scivolare nell’idolatria di sé stessi”

Domenica 10 Gennaio 2021  BATTESIMO DEL SIGNORE  B

 1.”Tu sei il Figlio mio, l’amato”. Carissimi, la festa del Battesimo del Signore Gesù, chiude il tempo liturgico di Natale. Si apre un cammino di cinque domeniche, in un tempo liturgico chiamato “dopo l’Epifania”. Tra queste domeniche, ci sarà il segno della Sacra Famiglia, la divina clemenza e il perdono: le due domeniche che precedono la quaresima. La liturgia, seguendo la chiave di lettura epifanica, ci porrà la domanda: “ Come si manifesta il Signore nella nostra vita?”. Nella domenica del Battesimo di Gesù, la risposta è nella voce del Padre, che conferma  quello che Giovanni Battista ha detto di Gesù. Lui “è l’amato, il Figlio del Padre”. Gesù, in tutto il suo ministero, ha mostrato quanto il Padre gli aveva detto con la sua voce al fiume Giordano. Gesù ha mostrato con la sua vita, tutta la bellezza del suo essere Figlio amato. Lo ha mostrato con la confidenza nella preghiera, pensiamo solo al “Padre nostro”. Lo ha mostrato agli altri con la sua premura per i malati, i poveri e i peccatori. Lo mostra a noi adesso in questa Eucarestia.

2.La Chiesa oggi col Battesimo del Signore Gesù, vuole andare ai suoi figli e figlie, perché guardino alla dignità del loro battesimo. Noi non siamo stati battezzati con l’acqua del Battista, ma con lo Spirito Santo. Questa è la nostra epifania personale. Dal giorno del nostro battesimo, in noi c’è la vita del Figlio di Dio, il suo Spirito. Se Lui è l’amato, anche noi lo siamo. Riflettiamo su questa grandissima dignità. Allora si tratta di andare a riscoprire la bellezza interiore, che ciascuno di noi ha. Questo riscoprire il Battesimo, ci aiuta ad andare al profondo di noi stessi e chiederci ancora una volta : “Ma chi sono io?” “Tu sei mio figlio l’amato”. Siamo FIGLI NEL FIGLIO GESU’. Vedete, questa capacità di andare alla radice di tutto, il battesimo, ci aiuta a riscoprire la bellezza che è in noi e negli altri. Sappiamo bene che questa bellezza interiore è puro dono di Dio e non è un merito, è un regalo che ci è stato fatto per sempre.

3.Domandiamoci: cosa mostriamo di noi stessi agli altri? L’epifania di Dio è l’epifania dell’uomo. Dio si mostra in Gesù, perché anche noi lo possiamo mostrare agli altri. Ci sono due modi per mostrare agli altri la bellezza di essere figli amati come Gesù: il primo è la carità verso gli altri. Essere uomini donne di carità, gioire perché l’amore di Dio ha il nostro cuore come deposito e le nostre mani come strumento per mostrarlo, con tutta la nostra persona. Riscoprire per il battesimo la bellezza della carità fraterna. Questo lungo periodo di pandemia, per molti, è stato questa conversione concreta alla gioia di mostrare l’amore di Dio, con gesti gratuiti di aiuto agli altri. Stimoliamo soprattutto i giovani non chiudersi nella cerchia ristretta dei soliti amici, ma con la fantasia dello Spirito, aiutiamoli ad aprirsi ai bisogni degli altri. Solo così si può mostrare la verità di quell’essere amati da Dio, che ci è stato dato nel Battesimo.

4.Un secondo modo per mostrare la bellezza interiore è l’arte, la bellezza, che l’uomo ha prodotto nei secoli, soprattutto rappresentando il divino attraverso strumenti umani. Un quadro, la musica, una poesia, un capolavoro letterario, parlano della bellezza divina. Sto pensando anche al creato e ai santi, veri esempi di bellezza battesimale. In questa basilica, osservando l’opera d’arte più importante e conosciuta, quella del Battesimo di Gesù di Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone nel 1506, ci domandiamo: ma quale interiorità avrà avuto questo autore per aver fissato su una tela la scena del battesimo al Giordano in modo così perfetto? Ognuno di noi risplende della gloria e dell’amore di Dio: troviamo sempre il modo di mostrarlo agli altri!

Domenica 3 Gennaio  2021  dopo L’OTTAVA di NATALE  B

 

1.””Voi però non siete sotto il dominio della carne ma dello Spirito”. Carissimi, vorrei in questa domenica dopo l’Ottava del S.Natale, riflettere sulle parole di Paolo nell’Epistola ai Romani (8,3b-9a) che abbiamo ascoltato. Gesù, il Verbo di Dio, che nel seno del Padre esiste da sempre, facendosi uomo, assumendo la nostra carne mortale, ha dato a tutti noi la possibilità della rinascita, non secondo la carne ma secondo lo Spirito. Commenta San Leone Magno: “..Mentre celebriamo in adorazione la nascita del nostro Salvatore, ci troviamo a celebrare il nostro inizio: la nascita di Cristo segna l’inizio del popolo cristiano; il natale del Capo è il natale del corpo”. Questo corpo di Cristo è la Chiesa, siamo noi che rinasciamo con Lui, mediante il sacramento del Battesimo. Il Battesimo ci ha incorporati a Cristo, e il suo Spirito abita per sempre in noi. Ecco allora la vita cristiana, è una lotta tra CARNE e SPIRITO. Dice l’Apostolo Paolo “La carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace”. Ma cosa intende Paolo per vita secondo la carne e vita secondo lo Spirito? Il termine carne è usato dall’Apostolo in senso negativo, significa la tendenza a vivere per se stessi, ostili a Dio, eliminando il comandamento dell’amore, vivendo come se Dio non ci fosse, una vita schiacciata solo sull’elemento materiale. La vita secondo lo Spirito invece è protesa alla ricerca di Dio e sbilanciata sugli altri, sul modello della vita di Gesù, aperta al comandamento dell’Amore. Questa lotta che avviene dentro di noi per tutta la vita, si manifesta nel nostro comportamento quotidiano. Alla sorgente di tutto però, c’è la nostra vita spirituale, che è l’appartenere a Cristo, l’unire la carne di Cristo alla nostra, rinnovando in noi la presenza del suo Spirito. Se lo Spirito del Signore abita in noi, allora la vita secondo lo Spirito porta veramente a frutti meravigliosi, e apre la certezza della gloria eterna. Quando invece è la carne a prevalere, i frutti sono deleteri e le vicende della vita, al posto di suscitare in noi nuovi slanci, ci schiacciano. In noi però i due aspetti a volte convivono, si mischiano e come un pendolo noi andiamo verso una o l’altra parte. A volte cadiamo in una vita doppia, perché da una parte il culto la preghiera, la Messa alcuni slanci spirituale ci fanno intuire che la vita secondo lo spirito è migliore, ma poi l’attrazione della carne , il demonio che ci tenta, fa scivolare in ciò che è carnale. Qui però l’Apostolo è perentorio “Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio”. Nella lettera ai Galati, l’Apostolo elenca al capitolo 5 i frutti della carne e i frutti dello spirito: “Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio,  idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni,  invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio.  Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;  contro queste cose non c’è legge.”.

Vorrei concludere con le parole di Gesù alla sinagoga di Nazareth: “Oggi si è computa questa Scrittura che voi avete ascoltato”. L’incontro con Gesù non è virtuale, il dono del suo Spirito in noi non è questione emozionale, perché avviene oggi, adesso, nella grazia di questa incarnazione sacramentale della sua Parola, che ci raggiungere e del suo corpo e sangue che possiamo ricevere. Il suo Natale è il nostro Natale, una rinascita, un rimpostare la nostra vita con la sua compagnia. Aiutandoci gli uni gli altri, a seguire non la logica della carne, ma quella del suo Spirito.

Giovedì 31 Dicembre  2020  Ottava del Santo Natale nella circoncisione del Signore Melegnano ore 17,30

 

1.Il sangue di Gesù Bambino che scorre per la circoncisione, è già presagio della sua Passione salvifica. Il colore rosso che la nostra veneranda liturgia ambrosiana usa oggi, richiama questo significato profondo del Natale. Quel Bambino divino che nasce a Betlemme, è il Cristo Pasquale che si fa uomo, per salvare l’umanità dal peccato e dalla morte e riaprire per tutti le porte del cielo. Noi siamo qui al termine di questo anno così difficile, per ringraziare il Signore. A causa della pandemia tutto si è fermato, ma non si è mai fermata l’azione delle Spirito Santo che Gesù ci ha donato, l’azione dello Spirito nelle anime. Anzi l’impressione è che lo Spirito Santo abbia agito ancora di più, glielo abbiamo permesso, perché in questa situazione tante persone si sono riavvicinate al Signore. Ci sono state conversioni. Si è dato più spazio alla preghiera, facendo delle nostre case delle vere e proprie Chiese domestiche. Le morti solitarie dei nostri cari, sono state morti sante, come santa è la morte di Gesù, quelle morti in solitudine, hanno commosso il cuore del Padre che ha atteso ciascuno per riabbracciarlo. Ci siamo accorti in questo tempo, che il sangue di Gesù, la sua passione dolorosa, si è riverberata nella nostra passione sofferta di questo tempo. Per chi si è lasciato condurre dallo Spirito, ha portato salvezza, ha dato la grazia di arrivare alle sorgenti del cuore di Cristo, un cuore che ama e che ha sete del nostro amore. Ecco il nostro Grazie di questa sera nel canto del solenne Te Deum: il tempo che ci è stato dato, è stata occasione di conversione, di umiltà, di abbandono nelle mani di Dio, di atti di fede e di fiducia in lui e nella sua santissima Madre Maria. Il fiume, l’oceano di preghiere che è salito dalla terra al cielo, non è stato inascoltato e tante grazie divine nascoste sono piovute dal cielo, anche nelle nostre anime.

Concludo: davanti a un capolavoro non è il pennello che si ammira, ma il capolavoro stesso e soprattutto l’artista che ha guidato, usato il pennello.  L’artista è lo Spirito Santo, il pennello siamo noi. Ecco perché anche al termine di questo anno, osiamo ringraziare perché il lavorio segreto dello Spirito nelle anime, non si è fermato. Allora con la liturgia osiamo pregare così: “Signore Dio che salvi e proteggi, fa che i nostri cuori si aprano al lavorio segreto del tuo Verbo, perché gli infecondi deserti del nostro spirito, verdeggino di vita nuova e di opere sante” (orazione ufficio delle letture IV settimana di avvento domenica)

Domenica 27 Dicembre  2020  San Giovanni evangelista  B

 1.”Se voglio che egli rimanga finché venga, a te che importa?”. Carissimi, la risposta che Gesù dà a Pietro, riguardo al discepolo amato, Giovanni, è quanto mai enigmatica. A pochi giorni dal Natale, la liturgia celebra “i compagni di Gesù”, coloro che lo hanno testimoniato e sono stati segno della sua incarnazione: Santo Stefano, il primo martire, San Giovanni e domani i Santi Innocenti. Cosa significa la frase di Gesù rivolta a Giovanni “colui che nella cena si era chinato sul suo petto”? Il vangelo stesso lo dice, non si allude al fatto che non sarebbe morto, ma che sarebbe stato fino alla vecchiaia, testimone del Signore Gesù, che non sarebbe morto del martirio di sangue come tutti gli altri apostoli. Giovanni ha vissuto con Maria, a lui affidata da Gesù ai piedi della croce. Dunque, immaginate da quale fonte Giovanni attinge per i suoi scritti! La tradizione dice che Giovanni sarebbe vissuto a Efeso fino a tarda età, sfiorando i cento anni. Potemmo dire che Gesù rivolge la stessa frase a ciascuno di noi: “Voglio che tu rimanga finché io venga”. Ci vuole testimoni della sua presenza, del fatto che noi siamo chiamati, come scrive Giovanni nella sua prima lettera, ad annunciare “quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto coi nostri occhi, quello che contemplammo e le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita”. Giovanni è il discepolo, l’evangelista, il teologo, che più di tutti riesce a penetrare la profondità del mistero di Gesù. Non descrive il Natale di Gesù  nei fatti concreti, come i vangeli di Matteo e Luca, ma soprattutto con l’avvio del suo Vangelo, il famoso prologo, arriva ad affermare che Gesù di Nazareth che egli aveva conosciuto e sperimentato con tutti i sensi è “Il Verbo”, il Figlio di Dio che si è fatto carne e come tale, come Dio, esiste da sempre: “in principio era il Verbo…il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare tra noi”. Voi sapete che Giovanni per questa sua profondità e capacità di salire alle altezze del Mistero di Dio, ha come simbolo accanto a sé l’aquila, l’animale che sa salire in alto, ma soprattutto, si dice sia l’unico che riesce con gli occhi a guardare il sole e a fissarlo. Il sole è Cristo. Ecco, Giovanni ha sondato le profondità di Dio, attraverso l’incontro con Gesù e lo ha testimoniato con la sua vita.

2.Verrebbe da chiederci: ma noi, a differenza di Giovanni non possiamo vedere, toccare coi cinque sensi Gesù il Dio fatto uomo, come possiamo farne l’esperienza per essere poi annunciatori? Per noi ci sono due strade: il legame con la comunità dei credenti, che attraverso le pagine immortali dei vangeli ci dà la possibilità di conoscere Gesù. Penso che la prima strada sia la ricerca personale, una ricerca non solo intellettuale, ma una ricerca contemplativa, che nasce dal toccare con mano con una familiarità coi testi evangelici e del nuovo testamento, come sorgente del nostro entrare nel cuore e nelle profondità di Cristo. Poi c’è una seconda strada più concreta, quella della carne di Cristo nella carne dei fratelli, soprattutto i più poveri i bisognosi. Ricordiamo la frase di Gesù “l’avete fatto a me”. Queste sono le piste, queste sono le strade. Non una senza l’altra. Ci è dato oggi davanti al presepe, su ispirazione di San Giovanni, di chiedere il dono della profondità, della capacità di abbandonare nella vita la superficialità, soprattutto nel giudizio facile che si accontenta del sentito dire, di quello che appare nella pura cronaca. Giovanni, l’aquila di Dio, ci insegna che quanto più sappiamo contemplare con gli occhi e con tutti i sensi spirituali il Verbo di Dio fatto uomo, tanto più diventiamo persone profonde, capaci di indicare agli altri delle strade di uscita e di interpretazione dei fatti e degli avvenimenti della vita, che nascono dalla nostra fede. Allora oggi preghiamo così: “Signore Gesù, vorrei avere le ali di un’aquila e spiccare voli sempre più alti verso di Te, che sei l’Altissimo e non accontentarmi delle basse quote”.

Giovedì 24 Dicembre  2020  S.NATALE Melegnano ore 20,45

 

1.”Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”. Abbiamo appena ascoltato queste parole del prologo di Giovanni, che diventano per noi un nuovo Natale adesso, nell’incontro misterioso e reale con questo Santo Bambino, il Figlio di Dio, Lui che è “luce da luce”. Lui nasce adesso nel bel mezzo di questa pandemia, perché è sempre con noi, in ogni avvenimento che ha assunto su di sé, con l’incarnazione nel grembo di Maria. E’ importante nella fede, affermare che Lui che è Dio fatto uomo, che non ci ha abbandonato in questo deserto, di cui sospiriamo la fine. Lui è con noi come “luce vera” ci ha detto Giovanni, una luce che illumina ogni uomo, dunque, ciascuno di noi. LASCIAMOCI ILLIMINARE DA LUI! Nell’incanto del presepe, che per noi diventa questo santo altare, Gesù Bambino si fa pane nella mangiatoia di questo tempo. I suoi occhi sono gli occhi di Dio, la sua fame è la fame di Dio, quelle mani che si tendono verso la madre sono le mani di Dio, che si protendono verso di me, verso di te, verso tutti noi. Vogliamo rifiutare questo incontro d’amore? Carissimi, questo è il suo desiderio: farsi uomo perché noi possiamo assaporare, che solo nel suo Amore possiamo vivere, e dare senso alla vita. Lasciamoci illuminare!

2.”A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare Figli di Dio”. Come ogni uomo che nasce, Gesù vivrà solo se qualcuno si prenderà cura di Lui, vivrà solo perché amato. Dio viene ed è subito, con tutto se stesso, solo “mendicante d’Amore “ con me spesso diceva Santa Teresina del Bambino Gesù. Dio si mette nelle tue mani, vivrà se tu lo ami. TU PUOI ESSERE LA CULLA O LA TOMBA DI DIO.

3.Se vuoi essere la culla di Dio, allora si vedrà e si vede, perché Lui è la luce che illumina ogni uomo. Allora il tuo ottimismo, la tua speranza, la tua capacità di non perderti interiormente nella pandemia, nascerà da qui, dal fatto che lo vuoi accogliere, che ti lasci amare da Lui e lo ami. Se è così, i tuoi fratelli, le tue sorelle, lo vedranno, anzi già lo vedono, perché le tue relazioni saranno riempite dalla sua presenza e a te importerà solo che sia Lui a guidare i tuoi passi, fino a riconoscerlo in tutti. Questo è il tuo vero Natale!

 

Venerdì 25 Dicembre  2020  S.NATALE Melegnano ore 10,15

1.”Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce””. Carissimi, questo popolo della profezia di Isaia, siamo noi oggi. Siamo nel buio di questo anno così difficile: quanti malati! Quanti morti! Quante famiglie vivono un  Natale al buio! Eppure oggi noi vediamo la “GRANDE LUCE”, la Luce che è Cristo, che nasce per noi. Come si può vedere questa luce? Il Vangelo di Luca, che descrive la nascita di Gesù a Betlemme, ci mostra da un lato la normalità di questa nascita, dall’altro la straordinarietà. Una nascita, un’ esistenza di questo Bambino che viene da Dio, con un insieme di elementi straordinari: una vergine che partorisce un figlio rimanendo tale, l’apparizione degli angeli ai pastori, il loro canto alla grotta. Lo straordinario irrompe nell’ordinario, nel normale, nella povertà di una grotta adibita a stalla. Ma tutto questo può avvenire, perché due creature umane come noi, Maria e Giuseppe, hanno accettato nella loro umiltà, nella loro piccolezza, di abbracciare una chiamata, una richiesta di Dio, che ha bussato alla porta del loro cuore. Loro per primi si sono messi da parte, si sono fatti piccoli, per dare spazio ai disegni di Dio, ai suoi progetti di salvezza per l’umanità. Allora per noi, che siamo qui oggi a incontrare il Signore, con il bagaglio di questo peso, del buio di questo anno; anche per noi, questa luce che è il Santo Bambino Gesù, potrà illuminarci, se anche noi come, Maria e Giuseppe, sapremo dare spazio a Lui a Gesù. Per dare spazio, bisogna un po’ mettere da parte il proprio io, i ragionamenti immediati che bloccano la via alla speranza. Gesù nasce per il SI di Maria e Giuseppe al progetto di Dio. Loro, questi santi genitori, si accorgono di non sapere cosa riserverà loro il futuro, ma hanno la luce, hanno questo Bambino che è Dio. Questo Bimbo è così piccolo, bisognoso di tutto, ma è proprio Lui che dà loro l’Amore necessario per andare avanti. Allora anche noi, come Maria e Giuseppe, accogliamo Gesù Bambino, che col suo Amore, ci sprona ad andare avanti, illuminati dalla sua presenza.

2.Nei secoli, l’arte ha rappresentato in diversi modi il Natale. Anche noi siamo ricchi di molte rappresentazioni natalizie. L’immagine che avete ricevuto per Natale, è il quadro del 1600 che si trova accanto al presepe. E’ un quadro natalizio, ma già pasquale. Quel Bambino è già l’ostia santa che tra poco riceveremo, ostia frutto del frumento macinato, che allude alla sua passione, di cui l’agnello offerto dai pastori, già pronto al macello, è simbolo. L’amore di questo Bambino per l’umanità è concreto, consiste nel dare la sua vita per noi, per liberarci dal peccato e dalla morte.

Nel battistero quest’anno c’è un quadro devozionale del 1700, che ritrae Maria con in braccio Gesù Bambino e due santi Sant’Antonio di Padova e Sant’Antonio Abate. Probabilmente il committente di questo quadro si chiamava Antonio. Quello che colpisce e ci richiama il Natale, è la tenerezza di Maria che guarda in basso, guarda la terra  nella sua umiltà, guarda noi. Il Bambino Gesù, benedice con due dita unite, segno della sua umanità e divinità unite nella sua persona. Guarda gli angeli, guarda il cielo per indicarci a meta. Dei due angeli sulla sinistra, colpisce quello di sinistra,  perché ha un volto furbetto, forse per richiamarci quella scaltrezza evangelica, che ci fa accumulare tesori per il cielo. Del resto Gesù è nato per indicarci questa strada. Poi i due santi: alla sinistra Sant’Antonio di Padova (1195-1231)  con le braccia incrociate, lo sguardo a Maria e al Santo Bambino. Uno sguardo e un volto il suo, quasi in estasi. Riveste il saio francescano con la classica corda e ai suoi piedi ha un giglio, segno della purezza e un libro, dove esce qualche pagina.Antonio di Padova il grande predicatore, uomo di cultura che Francesco aveva autorizzato a predicare. Proprio sul dorso di questo libro c’è una data, che è l’anno in cui è stata dipinta questa tela: 1733. A sinistra l’altro Sant’Antonio, questa volta è Antonio Abate del deserto (251-356) l’eremita, riconoscibile dal bastone con la campanella legata con un filo rosso, e dal fuoco ai suoi piedi. E’ il famoso santo che guariva con grasso del maiale, la malattia che ha preso il suo nome: “fuoco di Sant’Antonio”. Più anziano di Sant’Antonio di Padova, Antonio del deserto ha un volto che il pittore ha quasi scolpito, disegnando le rughe della vecchia, ma anche la saggezza dell’ ”uomo di Dio” che sa contemplare il Mistero. Tutto il suo corpo, inginocchiato davanti a Maria e al Dio–Bambino fatto uomo, si protende verso quella visione. Guardando questi due santi, impariamo a contemplare il Natale. Concludendo metto sulle loro labbra e sulle nostre, la poesia d un altera mistica: Madre Anna Maria Canopi, fondatrice del monastero benedettino dell’Isola di San Giulio sul lago d’Orta e già volata verso l’altra vita nel 2019. Ecco le sue parole scritte nel Natale del 1971:

 

 

Se Tu volessi, o Madre,

darmi in braccio un momento,

solo un momento,

il tuo Bambino;

se tu volessi passarmelo

così addormentato,

lo terrei lievemente sulle braccia.

Lievemente,

per non fartelo svegliare.

Vorrei sentire

quanto è dolce il suo peso

e soave il suo respiro

con le labbra socchiuse

ancora umide di latte.

Se tu volessi , o Madre ,

cedermi un momento ,

solo un momento,

il tuo Bambino,

mi colmerei di gioia

e tenerezza

per tutti i giorni

della mia vita.

Grazie

Domenica 22 Novembre 2020          II di Avvento B

 1.”I figli del Regno”. Carissimi, compiamo il secondo passo per preparaci al Natale del Signore. Noi siamo figli del Regno di Dio a una condizione: se la nostra fede in Lui converte ogni giorno la nostra  vita. La testimonianza forte e coerente di Giovanni Battista nel deserto della Giudea, ha un solo obiettivo: preparare i cuori ad accogliere il Signore che viene, attraverso un invito al cambiamento. Il Gesù che Giovanni Battista descrive, non è proprio tenero, perché indica la sua divinità col dono dello Spirito, lo presenta anche come Giudice che raccoglie il frumento, ma anche “brucia la paglia col fuco inestinguibile”. Questa ultima immagine dice il percorso di conversione che in ciascuno di noi è possibile: bruciare al fuoco dell’incontro col Gesù ciò che nella nostra vita è la paglia della paura, dello scoraggiamento, della chiusura in noi stessi. Noi siamo in un deserto come Giovanni Battista, e Dio in Gesù ci viene incontro in questo deserto. Da qui, da questo incontro convinto, nasce e si sviluppa un processo di conversione…E’ necessario smettere di far guerra a Dio, accusandolo di essersi dimenticato di noi perché c’è la pandemia. Ricordiamo il famoso episodio della tempesta sul lago di Galilea, quando gli apostoli svegliano Gesù per la paura. Ma Lui è sulla barca in tempesta. Allora vale la pena accogliere tutto il momento presente, nei suoi singoli istanti, perché questo tempo, questi istanti che ognuno vive, sono visitati da Lui. Il Signore sta chiedendo a ciascuno di noi in questa pandemia, una sincera conversione, un cambiamento in meglio, anzitutto a livello personale. Se non ci convertiamo adesso, quando lo potremo fare ancora? Certo le parole di Giovanni bruciano, sembrano persino offensive. “Razza di vipere…Fate un frutto degno della  conversione”.

Dunque, i “Figli del Regno” sono uomini e donne come noi, siamo noi che abbiamo la grazia di incontrare Cristo nel deserto dell’ora presente. Questi figli e figlie, portano il Regno di Dio anzitutto in famiglia e poi negli ambienti di vita, in tutti.  Incontrare volti di persone dove abita Cristo, è un dono per migliorare il mondo. La conversione personale a Cristo fa non solo bene all’uomo o alla donna che decidono il cambiamento, ma cambia anche il volto del mondo intero. La conversine è un processo lento, ma parte sempre da un incontro con Cristo, che vince in noi gli ostacoli che ci portano verso il basso. Domandiamoci oggi: “Io incontro adesso Gesù . La mia fede in Lui in questo tempo concreto, a quale cambiamento interiore mi conduce?”

2.Non c’è conversione senza preghiera. La preghiera apre la strada al Signore. Basta poco ogni giorno, nella forma che ognuno preferisce. Occorre però dare al Signore la possibilità di incidere nella nostra interiorità, per trasformarla. Anche alla sera, stanchi della giornata, possiamo dare al Signore un po’ di silenzio, per far risuonare nella nostra anima la forza della sua Parola. Ci accorgiamo che la conversione a cui siamo invitati, non è un miracolo improvviso, ma è uno stato d’animo permanente, un dono del Signore che ci permette di guardare all’oggi, al momento presente, come una grazia che ci avvicina a ciò che Lui desidera da noi. La grande conversione della vittoria sull’egoismo o oggi ancor più sulla paura, è il dono nascosto che il Signore vuole farci in questo tempo. Lasciamoci toccare dal suo amore!

Domenica 15 Novembre 2020          I di Avvento B

 1.”La venuta del Signore”. Carissimi, con questo annuncio inizia il tempo liturgico dell’Avvento e il nuovo anno. Il tempo che ci è dato di vivere, sarà scandito da sei passi che corrispondono alle sei settimane di Avvento, verso il Natale del Signore Gesù. Questa venuta del Signore, oggi si preannuncia con lo sguardo verso la fine della storia. Osservando il tempio di Gerusalemme, uno dei discepoli fa notare a Gesù le belle costruzioni e le pietre del tempio stesso. Gesù prende spunto da questa osservazione, per comunicare che ogni cosa materiale avrà una fine, anche il mondo. Giunti sul monte degli ulivi, i tre apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni riprendono il discorso e sono preoccupati del “quando e del come” cioè quando sarà la fine di tutto e come accadrà. Ma Gesù nel pronunciare questo lungo discorso, usa il metodo dei profeti e si serve di immagini apocalittiche, ma il suo intento non è mettere paura, ma aiutare a coltivare la vigilanza. Non ci si deve fermare alle immagini descritte da Gesù, perché anche noi siamo convinti che la storia dell’uomo sulla terra è costellata da guerre, rumori di guerre e anche pestilenze, come stiamo vivendo tutti noi, in tutto il mondo in questo anno.

Ciò che importa, è cosa suggerisce Gesù in attesa della sua venuta finale, descritta al termine del vangelo di oggi. Riascoltiamo le sue parole: “Non allarmatevi”: è un invito a vivere di fede in questo momento difficile, la fede scaccia la paura. Il Signore ama molto che noi compiamo molti atti di affidamento a Lui in questa situazione. Poi Gesù aggiunge “badate a voi stessi”, cioè la vigilanza su noi stessi non solo per la paura, ma per non mettere la nostra speranza e attesa su ciò che passa. Infatti fino a ieri ci sentivamo onnipotenti, questa pandemia mette allo scoperto la nostra crisi spirituale, la crisi di un intero continente, l’Europa, che ha rinnegato in più riprese la fede cristiana. Ancora Giovanni Paolo II parlava di “una apostasia silenziosa dell’Europa”. Ci siamo dentro tutti. Questo invito a vigilare su noi stessi, diventa una domanda: “In cosa pongo la mia speranza?”. Il vaccino risolverà tutto? Certo potrà risolvere la pandemia, ma non colmare un vuoto spirituale che si annida nei cuori delle persone. Ecco allora la venuta del Signore, l’attesa della venuta finale, che non ci fa mettere da parte il pensiero alla morte e soprattutto lo sguardo alla gloria, al paradiso. Santa Tesina di Lisieux di cui sto leggendo l’epistolario scrive: “Gesù ama molto quelle anime che pur imperfette si affidano ogni giorno a Lui a Gesù”. E aggiunge “dedicati alle cose esteriori ma il tuo scopo sia unico: far piacere a Gesù e unirti a Lui intimamente”. Questo concretamente corrisponde al “Badare a noi stessi” di cui parla Gesù perché “Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”. E’ chiaro che questo rapporto con Gesù nell’ora della prova, ci impegna a rivedere la vita, domandandoci quanto stiamo scommettendo e impostando la vita stessa, sui valori del Vangelo, in particolare sulla carità, l’amore al prossimo. Anche in questo momento di grande distanza fisica tra le persone, il comandamento dell’amore non è cancellato. Ci sono molti modi per essere vicini, anche se non possiamo oggi incontrarci personalmente. La sofferenza per non poter incontrare i nipoti, è un peso per tutti i nonni, ma è il momento in cui possiamo recuperare il contatto telefonico e dire che preghiamo per loro, che li invitiamo alla fiducia oltre che alla prudenza.

2.Concludo: Avvento è un tempo forte, il Natale del Signore per noi non è il mangiare il panettone, ma far nascere in noi il Cristo Gesù, generandolo nella preghiera quotidiana e con la carità. Vi invito a non trascorrere invano questo tempo, e a programmare momenti di preghiera e gesti di carità personali e in famiglia, perché il Signore viene.

Domenica 8 Novembre  2020   CRISTO RE    A

1.“Il mio Regno non è di questo mondo”. Carissimi, con la solennità di Cristo Re, si chiude l’anno liturgico. Quasi ricapitolando il cammino percorso dallo scorso Avvento, col Natale, la quaresima, la Pasqua, la Pentecoste e il cammino che ne è seguito, la liturgia ci invita a fissare il nostro sguardo sul centro di questo cammino: Cristo Re. La frase che Gesù pronuncia, è una risposta a Pilato, rappresentante del potere romano e ai Giudei che sono voce dell’Ebraismo in attesa del Messia- re politico. Gesù con la sua risposta spiazza tutti. Di che Regno si tratta? Un regno  che vuole rendere “testimonianza alla verità”. Avete già compreso che Gesù desidera dalla croce e per la sua risurrezione, conquistare il cuore degli uomini, per attrarli al vero Dio, a quel Padre di cui solo Lui ha conoscenza. Con quali mezzi? Con la sua Chiesa che vive nella storia, a cui ha affidato i mezzi di salvezza, i sacramenti con la sua Parola. Chi incontra Cristo abbraccia la Verità che è Lui stesso. Non è paragonabile la libertà di chi è conquistato da Gesù, rispetto a quella di chi si fa schiavo della mentalità del mondo. Possiamo anche essere costretti per la pandemia alla chiusura per prudenza, chiusi in casa, ma Cristo può aprire questo cuore e farlo parlare, chiedere che anch’esso collabori alla propagazione nel mondo del suo Regno di verità. Il Regno di Cristo non ha confini, perché chiunque può decidere di lasciarsi attrarre da Lui crocifisso e risorto. Ognuno può diventare suddito e ancor più collaboratore del suo Regno, in casa, in un ospedale, nella società, dappertutto, dove vive un essere umano lì ci può essere il Regno di Dio. Ma il punto centrale è lasciarsi conquistare ogni giorno da Lui. Contemplare la croce che è il suo trono, collaborare non da soli ma insieme a diffondere il suo Regno.

2.”Ma il mio Regno non è di quaggiù”. Le parole del Signore Gesù a Pilato, sembrano dire chiaramente che la Chiesa non deve avere un potete temporale. Eppure sempre in ogni epoca assistiamo alla lotta di queste due esigenze: il Regno di Cristo non è di quaggiù eppure la Chiesa vive sulla terra, è una società fatta di persone, ha bisogno di mezzi, di chiese, di strutture. Si comprende, e anche il papa lo sa, che il problema non si risolve vendendo la basilica di San Pietro per soccorrere i poveri del mondo, perché anche la basilica e la piazza servono per i fedeli. La Chiesa ha sempre tenuto un equilibrio tra il servizio ai poveri e la cura dell’intero corpo nella vita di fede, del culto, della catechesi, delle aggregazioni, pensiamo agli oratori. Voi lo sapete meglio di me, per mantenere una casa ci vogliono risorse, ma la casa se siamo in quattro non deve essere troppo grande, non serve. Noi viviamo un momento in cui la Chiesa soprattutto in occidente, in Itala, a Milano, è sovradimensionata, ha troppe strutture e le deve abbandonare, perché non ce la fa più a tenerle bene per il servizio della Chiesa. Ma ecco il dramma che sto vivendo da tre anni: quattro chiese antiche, due strutture di oratori, nessun ambiente a posto…Come sapete, molto del patrimonio immobiliare è stato venduto per intervenire su quello che abbiamo…Sarebbe un momento in cui fare in modo radicale delle scelte economiche che si sbilancino di più sulla carità, magari nel creare luoghi in cui si possono aiutare i poveri, le famiglie che sono in difficoltà. Nella situazione in cui siamo non si può, perché tutto quello che abbiamo è concentrato nel sanare una parte degli ambienti.. Cosa fare? Non è semplice capire cosa il Signore vuole dalla sua Chiesa oggi, da questa Chiesa. Certamente al centro la carità per chi ha bisogno e questo non lo dimentichiamo, anche se si vorrebbe fare di più. Ma qui è arrivato il tempo in cui non possiamo mantenere e tenere tutte le chiese che abbiamo, tutti gli ambienti che abbiamo…Il Signore ci sta chiedendo di essere una Chiesa più povera, magari di ambienti ma più ricca di persone, di cuori che collaborano al suo Regno. Preghiamo il Signor nella sua Divina Provvidenza, perché ci indichi la via e ci liberi dall’ansia elle cose. AMEN

Domenica 1 Novembre  2020  TUTTI I SANTI   A

1.“In tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a Colui che ci ha amati”. Carissimi, le parole dell’apostolo Paolo nella lettera ai Romani aprono la nostra vita ai sentieri della santità. Chi sono i santi e chi siamo noi cristiani? Direbbe sempre l’Apostolo: sono coloro che hanno creduto all’Amore di Dio. Sono amati, dal Signore Gesù, hanno immerso tutta la loro vita in questo Amore pasquale di Gesù e ne hanno fatto una sorgente del loro vivere, soffrire e morire. Noi crediamo all’Amore di Dio? Ne facciamo sempre l’esperienza in ogni S. Messa. Forse nella vita ci sono molte realtà che vorrebbero separarci da questo amore, una di esse è la violenza di questi giorni, il virus che dilaga…Ma  “In tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a Colui che ci ha amati”. Questo ci insegnano i santi: hanno fondato la loro vita sull’Amore di Cristo. Il verbo che declina questo consegnarsi all’Amore di Cristo è il verbo abbandonarsi, fidarsi, credere sempre all’Amore di Dio. Avete tutti conosciuto la testimonianza di Carlo Acutis questo ragazzo di 15 anni che, mettendo al centro della sua vita l’Eucarestia, il sacramento dell’Amore di Dio per noi, vive la sua breve vita con intensità e anche nei suoi ultimi tre giorni di vita esprime questa certezza, offrendo le sue sofferenze al Signore perché è certo del paradiso. Diceva: “L’Eucarestia è la mia autostrada verso il cielo”. Come lui, ci sono tanti giovani che in tutto il mondo hanno dato testimonianza di questa fede così forte ed entusiasta. Un altro giovane Nicola Perin morto nel 2015, a 18 anni per una leucemia diceva: “La mia vita senza la fede sarebbe arida, la croce che sto portando non avrebbe senso”.

2.Quello che ci colpisce sono le opere dei santi e il loro modo di affrontare la croce, la malattia, la morte. Essi vivono la beatitudine “Beati gli affitti perché saranno consolati” da Dio. Infatti il ricordo dei santi, ci induce ad alzare gli occhi al cielo: non per dimenticare le realtà della terra, ma per affrontarle con più coraggio, con più speranza, con più fede. I santi sono i campioni della fede, della speranza, della carità cristiana, perché si affidano ogni giorno a Dio. In questo tempo di sofferenza, di paura, di violenza, di disagio sociale, ci fa bene conoscere, leggere la vita dei santi. Loro come noi hanno sofferto, ma come dice la prima orazione di questa S.Messa di oggi: “hanno sofferto col Redentore e con Lui sono stati glorificati”. Questo costante sguardo alla promessa del paradiso, ha caratterizzato i loro giorni. Uomini e donne di tutte le età come noi, che hanno vissuto con la certezza del cielo. Teresina di Lisieux che dice: “lo scopo dell’essere su questa terra è quello di essere pronti per il cielo” e aggiunge: “Quando sarò in cielo quante grazie chiederò per voi! Tormenterò tanto il buon Dio che se dapprima volesse non ascoltarmi, la mia importunità lo forzerebbe a esaudire i miei desideri! Questa storia  vangelo”. Con queste parole, comprendiamo che la festa di oggi non è solo un ricordo di chi ci ha dato l’esempio e uno sprone ad imitarne la vita. Oggi la Chiesa ci invita a coltivare la comunione dei Santi. Il loro intervento presso il Signore è certo, per questa ragione il culto dei santi è una forza per la Chiesa. Noi siamo sostenuti da loro nella corsa della vita , come scrive la lettera agli Ebrei, siamo circondati da un così gran numero di testimoni che pregano per noi. Vi invito a coltivare la lettura della vita e delle opere dei santi. A pregarli, invocarli. Nel contempo sarebbe buona cosa che nella scelta del nome dei bambini per il S.Battesimo si valorizzassero i nomi dei santi e si facessero conoscere ai bambini. La Chiesa, con il culto dei santi, associa la venerazione delle loro reliquie, in particolare dei loro corpi, strumenti di santità nella vita terrena. La nostra Basilica è ricchissima di reliquie e dunque circondata dalla protezione dei santi. Oggi su tutti gli altari sono visibili le reliquie.

3.Termino: rileggendo alcune Beatitudini le trasformiamo in preghiera per ricordarci che come sono state un percorso di santificazione per chi ci ha preceduto, così lo sono per noi.

Signore Gesù Cristo, che hai detto: “Beati quelli che piangono perché saranno consolati”, dona alla tua Chiesa di saper capire e condividere i dolori degli uomini.

Signore Gesù Cristo, che hai detto: “Beati i miti, perché possederanno la terra”, fa’ che non continuiamo a dilaniarci fra noi. Signore Gesù Cristo che hai detto: “Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”,
ispira ai governanti la passione della giustizia e della pace.

Signore Gesù Cristo, che hai detto: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”, aiuta i giovani a vivere nella integrità e nella  rettitudine. Amen

Sabato  17  Ottobre 2020 S.Cresima San Gaetano ore 15,00 e 17,30 San Giovanni dom 18 ottobre ore 15,00

1.”La mia casa sarà chiamata casa di preghiera” Carissimi, ragazzi e ragazze che tra poco riceverete la S.Cresima, le parole di Gesù nel Vangelo, sono riferite al tempio di Gerusalemme. La liturgia sceglie questo brano, perché oggi si celebra la dedicazione, la consacrazione del Duomo di Milano, chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani. Voi sapete che la chiesa fatta di mura, anche il duomo così bello, pieno di guglie coi santi, è un segno, un simbolo della Chiesa fatta di persone, che siamo noi. Gesù, con il suo Spirito, entra  nel tempio e lo purifica. Farà così tra poco anche con voi: vi donerà con Dio Padre, lo Spirito Santo, perché entri in voi come ospite permanente e metta ordine nel vostro cuore, farà della vostra interiorità una casa dove può abitare il Signore. Mettere ordine in una casa, significa anche buttar via ciò che non serve, ciò che è sporco e rende brutta quella casa, disordinata, inabitabile. Mi pare che lo Spirito Santo abbia da lavorare n noi, per spazzare via almeno due cose: la paura e la superficialità. Voi sapete che lo Spirito Santo è rappresentato nella Bibbia come vento e fuoco e queste immagini sono assai simboliche, per l’opera che fa in noi lo Spirito. La paura, chi non ne ha di questi tempi, siamo tutti preoccupati del futuro, per questo virus che circola…Ma non possiamo farci intrappolare dalla paura. La prudenza certamente, ma la paura non può guidare le nostre scelte. La paura si sa è cattiva consigliera. Ecco lo Spirito Santo, che voi ragazzi ospitate da oggi dentro di voi in modo permanente, lo Spirito Santo ha vinto la paura degli Apostoli che erano chiusi nel cenacolo.  Chi di loro era scappato davanti alla passione morte di Gesù, con lo Spirito Santo, ha recuperato forza, coraggio. “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera” Cari ragazzi e ragazze, lo Spirito Santo desidera che in voi ci sia sempre uno spazio per Gesù. Solo con la preghiera assidua, quotidiana, con un colloquio e con l’ascolto di Gesù, voi potrete ravvivare il dono che oggi vi viene fatto. Con la preghiera si vince la paura, perché si scopre che Dio in Gesù non ci abbandona col dono del suo Spirito. Vi raccomando, curate la preghiera quotidiana, non saltate la Messa alla domenica perché la S.Comunone al Corpo di Gesù è la nostra forza. Cercate ogni giorno di parlare con Gesù e di leggere la sua parola nel Vangelo. Voi lo sapete che lo Spirito Santo vi conduce sulle strade di Gesù e vi ispirerà sempre la domanda: “Ma cosa vuole Gesù da me? Cosa farebbe al mio posto”. In questo modo, voi fuggirete la seconda malattia che è la superficialità, cioè quando siete ragazzi e ragazze che non sanno vedere e capire ciò che va al di là della superficie delle cose, dei fatti, delle persone. Fuggite la superficialità e per favore curate con l’aiuto dei genitori, di non diventare schiavi del telefonino e del computer. Deve essere lo Spirito Santo a guidarvi e non l’ultimo messaggino che vi arriva. Accettate una disciplina, una regola precisa sull’uso di questi mezzi e cercate di non usarli per fare del male agli altri.

  1. Concludo. Nella seconda lettura, mi ha colpito questa espressione di San Paolo ”In una casa grande”, che è la Chiesa, ci sono diversi vasi. Paolo ci paragona a vasi di diverso tipo, poi aggiunge:che occorre essere un “vaso nobile UTILE AL PADRONE”. Penso alla casa grande che è la comunità cristiana, la parrocchia, l’oratorio. Fare la Cresima vuol dire entrare da adulti nella fede nella Chiesa. Senza l’aiuto della comunità, la fede muore. Per questo chiedo ai vostri genitori e in particolare ai padrini e alle madrine, di non allontanarvi dalla Chiesa, ma di aiutarvi a frequentare il cammino di catechesi che continua. Il cammino che questi ragazzi hanno davanti, è quello che li proietta alla terza media, con la tappa della professione di fede. Ho timore che se noi adulti li abbandoniamo, questi ragazzi si perdono e il dono dello Spirito Santo che oggi ricevono, rischia di essere messo da parte. Vorrei chiedere anche ai padrini e alle madrine che sono i modelli, gli esempi della fede, di non abbandonarli. Seguiteli, informatevi se vanno alla catechesi coi ragazzi della loro età. L’oratorio, la parrocchia ha molte energie di giovani che li guideranno nei prossimi tre anni, anni i prossimi, molto importanti. “Utile al padrone” cari ragazzi e ragazze il Signore Gesù ha bisogno di voi, è per questo che vi dona il suo Spirito, se voi sarete docili diventerete dei capolavori. Finisco additandovi un esempio di capolavoro dello Spirito Santo. CARLO ACUTIS un ragazzo come voi dichiarato Beato sabato scorso ad Assisi. Nato e vissuto a Milano, morto a 15 anni nel 2006. Un capolavoro di giovane guidato dallo Spirito Santo. Vi invito a conoscerlo e a invocarlo per il vostro cammino. Lui diceva “Tutti nasciamo come originali molti muoiono come fotocopie”. Carlo dopo la Cresima, ricevuta il 24 maggio 2003, festa di Maria Ausiliatrice, la sua vita ebbe una forte accelerazione, come ricorda una monaca di clausura che l’aveva conosciuto: “Carlo appariva ancora più spiritualizzato; traspariva dai suoi occhi puri un’anima limpida” Prego perché si possa dire così anche di voi.

Domenica  11  Ottobre 2020  VII dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore   A

1.”Il seminatore uscì a seminare…” Carissimi,  la parabola di Gesù, ci fa contemplare l’opera di Dio in noi: Egli è il seminatore, e il seme è la sua Santa Parola, il terreno è la nostra interiorità. Dice San Paolo “Fides ex auditu”: “la FEDE DIPENDE DALL’ASCOLTO”. (Romani 10,17) Che ascoltatori siamo della Parola? Com’è il nostro terreno? Anzitutto siamo chiamati a fare una grande professione di fede, sulla Parola di Dio contenuta nella S.Scrittura. Parola che ascoltiamo nella liturgia, nella catechesi, nella meditazione personale. Dio ci parla…Quando nella Santa Messa viene proclamata la Parola in quel momento Cristo ci parla. Si Gesù Cristo, perché è Lui la chiave interpretativa di ogni Parola della Bibbia. Nell’ascolto, il lettore o il diacono o il sacerdote dicono: PAROLA DI DIO. PAROLA DEL SIGNOERE. Ci crediamo? Nella Parola annunciata c’è la presenza di Cristo che ci incontro ci parla. L’omelia, la predica del sacerdote, è parte integrante della liturgia della Parola; pertanto, questo momento attualizza la Parola annunciata.

2.Ma veniamo a noi, poiché i terreni elencati dicono la fatica della nostra fedeltà alla Parola.. “Quello seminato sulla strada”, ci dice Gesù, è quando uno ascolta e non comprende e il maligno ruba quel seme gettato e il cuore resta vuoto. Il comprendere significa l’attenzione, l’ascolto di fede, la capacità di capire con la mente e il cuore. Io aggiungerei anche lo sforzo di non lascia cadere quelle iniziative fatte nella comunità pastorale, quando si spiega la Bibbia. Questo significa che ciò che non comprendi non puoi amare. C’è in noi un desiderio di conoscere di più Gesù nella sua Parola? A tutte le età vale la pena leggere il Vangelo, riprendere a casa le letture della domenica, cercare di penetrale , di pregarle… Non servono cristiani superficiali…Aveva ragione San Girolamo: “L’ignoranza delle Sacre Scritture è ignoranza di Cristo”. “Quello che è stato seminato sul terreno sassoso” è colui che inizialmente ascolta, si entusiasma ma è incostante, è prigioniero del “mi sento, non mi sento”, ma poi quando la fedeltà la Parola evangelica chiede un salto di qualità, un impegno in più, subito si ritira. Qui credo che Gesù ci chieda perseveranza. Il frutto dell’ascolto della Parola, non si vede subito. La Parola di Dio non è un libro da leggere ma è un incontro che ci cambia la vita, e se la vita non cambia, vuol dire che l’ascolto è rimasto in superficie. Le tribolazioni: chi non ne ha nella vita! Ma abbiamo la Parola di Dio, che le illumina e pertanto non ci possiamo sottrarre. Se dobbiamo soffrire un po’ per essere fedeli alla nostra vocazione di cristiani: beati noi! Da ultimo, il terreno faticoso è quello tra i rovi, che sono le spine delle preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza, che soffocano la Parola. Qui ci siamo dentro tutti, ma la Parola di Dio ci mostra altre ricchezze, altri tesori. Infine: “Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta”. E’ il cammino che Gesù desidera da noi. E’ la gioia di vedere i santi che hanno realizzato quanto Gesù dice, e portano frutto al di là del tempo. Il Beato Carlo Acutis, beatificato ieri ad Assisi, questo nostro adolescente milanese, morto nel 2006 a 15 anni, è un grande esempio di chi, ascoltando la Parola, porta frutto. Tra i propositi nella sua personale regola di vita di adolescente scrive: “Leggiti ogni giorno un brano della Sacra Scrittura”. In un altro testo comprendiamo che La Parola di Dio lo fa appassionare dell’interiorità e annota: “ perché gli uomini si preoccupano tanto della bellezza del corpo e poi non si preoccupano della bellezza della propria anima?” . Carlo ci comunica la direzione di chi ascolta la Parola, che è il lasciarsi trasformare dalla Parola stessa, per poi trasformare il mondo, la famiglia, la comunità in cui viviamo. Lui, adolescente Beato, ci è riuscito. Anche noi non scoraggiamoci, ma con tenacia accogliamo ogni volta il seme della Parola, che può veramente cambiare la nostra interiorità

Sabato  3   Ottobre 2020 Prima Comunione San Gaetano e Carmine ore 10,30 e ore 15,00. 10-11 Ot S.Giov ore 15,00

1.”Questo è il mio corpo, che è per voi” Carissimi, bambini/ e genitori, Gesù pronuncia queste parole sul pane per voi. Per la prima volte ricevete il suo corpo e il suo sangue, cioè Lui vivo che vi ama e comunica a tutta la vostra famiglia, una iniezione di speranza, perché Gesù è con noi. A voi genitori il compito di aiutare i vostri figli, a vivere questo momento e a prolungarlo tutto l’anno. Ancor di più adesso, con la situazione di pandemia che viviamo, abbiamo bisogno, oltre  all’apporto delle catechiste che ringrazio, della vostra parte attiva, in questo cammino educativo alla fede. Paolo nell’epistola ci ha detto che possiamo correre il rischio di ricevere in “modo indegno” il Corpo del Signore. Ecco il vostro compito, cari genitori, aiutare i bambini a frequentare la Messa ogni domenica, perché possano ricevere il Signore Gesù. Ma ancor di più salutarli alla sera prima di dormire, facendoli, pregare con voi e aiutandoli a fare l’esame di coscienza, non solo con la semplice domanda “Come è andata la giornata?”  ma anche chiedendo “E’ contento oggi Gesù di quello che hai fatto? Ringrazialo. Chiedi perdono”. In questo modo, li aiutate a creare una coscienza cristiana, e ad abituarli almeno una volta al mese, ad accostarsi alla S.Confessione. Sapete, è molto importante recuperare la Confessione frequente, anche per i bimbi, per aiutarli ad avere il rispetto, la venerazione di Gesù nell’Eucarestia, che deve venire a noi sempre in un cuore puro.

2.” Erano perseveranti …. nello spezzare il pane”. La prima lettura, ci ha descritto come viveva la prima comunità cristiana, che era assidua nel celebrare la S.Messa. La comunità parrocchiale, soprattutto l’oratorio, è al vostro fianco in questo cammino di fede e di vita. Viviamo un tempo in cui il virus ci distanzia gli uni dagli altri. Questa distanza di prudenza per la salute, non deve però inculcare nei bimbi e nelle famiglie, la diffidenza e soprattutto non deve oscurare il dono grande che è racchiuso in questo spezzare e donare il Corpo di Cristo. Questo dono è l’amore, la sensibilità verso gli altri, il rispetto delle persone, l’aiuto a chi ha bisogno. Questo amore che si fa servizio, è il frutto più bello del far la Comunione.

3.” Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”. Cari bambini, queste pare di Gesù le vediamo realizzate in un ragazzo che vorrei diventasse vostro amico e modello: CARLO ACUTIS. Un adolescente di 15 anni che sabato prossimo verrà dichiarato Beato, cioè un ragazzo che ha seguito Gesù in modo eroico. Ha vissuto a Milano dove è morto nel 2006. Era innamorato di Gesù nell’Eucarestia, che riceveva tutti i giorni, andando a Messa e fermandosi a parlare con Gesù davanti al tabernacolo. Pensate, ha avulto il permesso di fare la Comunione a 7 anni. E’ stato un bambino e un ragazzo come voi, allegro, giocava, studiava, sentiva il bisogno di amare Gesù nella persona di chi aveva bisogno, i suoi familiari anzitutto, poi con un domestico indiano, andava al pomeriggio a visitare e ad aiutare i poveri che abitavano nel suo quartiere. Pensate che questo domestico, che non era cristiano, grazie a Carlo si è fatto battezzare ed è diventato cristiano. Carlo vive in eterno con Gesù, con Dio Padre lo Spirito Santo e tutti i santi. Io vi affido alla sua intercessione  e dite anche voi come diceva lui: “L’Eucarestia è la mia autostrada per il cielo”, nel senso che la Comunione con Gesù, vi darà sempre la spinta a fare bene il bene, a vincere l’egoismo, ad accorgervi che potete essere strumenti di bene nelle mani di Gesù. Vi invito dunque, con l’aiuto dei genitori, a conoscere Carlo Acustis, il cui corpo è esposto da pochi giorni ad Assisi, la città della mamma e del papà, nella basilica della spogliazione di San Francesco. Concludo con le parole che Carlo diceva durante la S.Messa alla consacrazione del pane e del vino: “ Per il sacro cuore di Gesù e il cuore immacolato di Maria, ti offro tutte le mie richieste e ti prego di esaudirmi”. Ricevuta la Comunione pregava: “Gesù, accomodati pure! Fai come se fossi a casa tua”.

Domenica V  dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore  A          27  Settembre 20120

1.”In Cristo Gesù vale…la fede che opera per mezzo della carità” Carissimi, con le parole dell’Apostolo Paolo nell’epistola ai Galati, commento il comandamento dell’amore che Gesù oggi ci consegna, come unica regola di vita per il cristiano. Paolo sta evidenziando che non è l’atto esterno della circoncisione che costituisce un vero credente, ma la fede in Gesù morto e risorto. Questa fede si vede in modo palese quando si mostra nella carità, nell’amore ai fratelli. Gesù ci comunica che l’amore a Dio e al prossimo sono la stessa cosa. “non si può amare Dio che non vedi se non ami il prossimo che vedi”, (prima lettera di San Giovanni). Qui si gioca tutto il nostro cristianesimo, perché Gesù ci ha insegnato l’amore concreto, che è quello di dare la vita per l’altro, del mettersi al servizio, del mettere da parte il proprio io, col sacrificio di se stessi, per l’altro. Tutta la vita di Gesù è stata un amore incondizionato per Dio Padre, e proprio per questo Gesù ha prolungato questa paternità di Dio nell’esercizio pieno della carità. L’amore di Gesù però non è un generico e vuoto sentimento che passa in fretta. L’amore di Gesù impegna a trovare la sintesi di tutte le regole, di tutti i comandamenti (che erano più di 600) in questa regola d’oro del comandamento dell’Amore.

2.In primo luogo siamo invitati a lasciarci amare dal Signore: la S.Messa, la preghiera personale è un abbraccio d’amore di Dio per noi. Da qui nasce l’autostima che va al di là dei meriti di ciascuno. “Amare il prossimo come se stessi”: è importante perché se manca la stima di sé, quella corretta, diventa difficile l’amore per gli altri. Spesse volte,  lo sappiamo, quando una persona non sta bene con se stessa, fa disastri attorno a sé. Il Signore ci invita con questo comandamento a lasciare entrare Lui e il suo amore nel profondo di noi stessi, per renderci conto che ciò che ci costituisce nella nostra dignità, non sono i successi della vita o le cadute, ma il fatto che Lui Gesù dà la sua vita per noi, perché ama ciascuno di noi di un amore tutto personale. Facciamo ogni giorno questa esperienza! Chi non ha fatto mai l’esperienza dell’Amore di Dio, farà fatica a vivere il comandamento dell’Amore.

3.”Cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?” Dice il salmo  115. Amare il prossimo per un cristiano non equivale allo sforzo della sua volontà, ma significa prolungare l’amore di Cristo per sé anche per chi incontra, per chiunque. I cristiani amano concretamente gli altri con l’amore di Cristo. Gesù, ama tutti, non fa preferenze, ama nella verità e forse questo è l’amore più difficile, perché ci impegna ad essere coerenti col Vangelo. La carità è dar da mangiare all’affamato, ma è anche portare il pensiero di Cristo e della sua Chiesa nel cuore del tempo storico che viviamo. Nella famiglia e nella comunità, la carità cristiana è il nostro compito ogni giorno. Se volete una sintesi si tratta sempre di coniugare verità e carità. Ci sono i santi che ci hanno preceduto, che sono i nostri maestri io qui vorrei citare Carlo Acutis questo adolescente morto a Milano a 15 anni nel 2006 che sarà beatificato ad Assisi l’ 11 ottobre. Un ragazzo normale, da comunione quotidiana, che ha trovato in Gesù l’amore grande per aiutare chiunque. Di famiglia ricca, andava col domestico indiano non cristiano, la sera, a visitare poveri e malati del quartiere. La sua famosa frase sull’Eucarestia ci fa capire questa unità tra amore a Dio e al prossimo: “L’eucarestia, la mia autostrada verso il cielo”. Con lui, vorrei ricordare che abbiamo bisogno di maestri che ci insegnino praticamente ad amare e ad amare da cristiani. Tra 1 mese ricorderemo un grande melegnanese che qui nacque il 25 ottobre 1550, il venerabile Carlo Bascapè, biografo e segretario di San Carlo Borromeo, superiore per tre mandati dell’ordine dei Padri Barnabiti e per 22 anni vescovo i Novara. Ha trovato in San Carlo un maestro di fede e di carità e si definiva così: «Come figliuolo di quel gran padre». Anche noi cerchiamo di trovare dei padri, delle madri, che ci siano guide nel vivere il comandamento dell’amore.

Domenica IV  dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore  A          20  Settembre 20120

1.”I sono il pane della vita” Carissimi, in queste domeniche dopo il Martirio di San Giovanni, la liturgia ambrosiana ci presenta Cristo, il suo volto, la sua essenza. Un volto che si riverbera sulla Chiesa. Oggi ancor di più, la sua presenza nell’Eucarestia rafforza la nostra fede: siamo discepoli di un Dio vivo in mezzo a noi. Nel Vangelo di oggi chi è stato sfamato dalla moltiplicazione dei pani, va a cercare Gesù perché ha riempito la pancia. Ma Gesù chiede di non cercare il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna. Questo cibo è Lui stesso: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame”. Ma per ricevere Gesù, pane della vita occorre credere in Lui. “Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che Egli ha mandato”. Allora dobbiamo confrontarci con questo pane sostanziale, nel quale è presente Cristo vivo nel memoriale della sua Pasqua. Dobbiamo prendere coscienza della grandezza di questo dono. Paolo nell’epistola, ci ha detto che i sacrifici offetti a Dio nel tempio con l’offerta di cibi e animali, non hanno procurato la redenzione eterna. Solo il sacrificio di Cristo che si rinnova in ogni Santa Messa, ci procura la salvezza eterna, riapre le porte del paradiso. Occorre venire alla Messa e fare la Comunione con questa coscienza: si rinnova il sacrificio della Croce e si aprono le porte del cielo. La riforma della S.Messa dopo il Vaticano II ha certo avvicinato gli altari al popolo, la gente partecipa alla Messa, ma a volte la confonde con un evento mondano, i bei canti, i gesti , le esteriorità…Si è smarrito lungo la strada il senso del Mistero a cui si partecipa, al rinnovarsi del sacrificio della Croce per la salvezza dell’umanità. Il senso misterico della Messa, per cui non siamo degni di questa morte, di questa risurrezione. La Grandezza di Dio, e la nostra piccolezza. Da qui il rispetto dell’Eucarestia, l’educazione al culto eucaristico fatto di tanti piccoli gesti, fino ad arrivare all’adorazione,  alla Comunione. Faccio un esempio pratico: quando entriamo il una chiesa dove ci dirigiamo? Il nostro sguardo e il nostro saluto deve essere sempre al tabernacolo, ad adorare e salutare il Signore presente nell’Eucarestia. Quanti di noi entrano e subito vanno ad accendere la candela al Santo alla Madonna. E’ nostro compito educare i bambini alla centralità di Gesù Eucarestia. Sono i nonni che devono spiegare ai piccoli cosa si deve dire a Gesù nel momento della consacrazione, quando il sacerdote eleva il pane e il calice che sono il corpo e il sangue di Cristo. Bisogna insegnare il saluto al tabernacolo (sia lodato..) occorre educarsi al ringraziamento dopo la Comunione. E’ importante la visita eucaristica quando la chiesa è vuota, parlare con Gesù, guardando il tabernacolo. Infine l’adorazione eucaristica: mettersi davanti a Gesù solennemente esposto nel SS Sacramento e lasciarsi amare da Lui, ascoltarlo.

2.Quali gli effetti della Comunione: in questa settimana, ogni tanto capita, una persona mi ha confidato: “ma come può quell’uomo fare la Comunione alla domenica e odiare quella persona, come può ricevere il Signore e rubare, calunniare”. Ecco la Comunione, Gesù nell’Eucarestia ci impegna a diventare come Lui, e quelli che non sono qui con noi alla domenica, giustamente desiderano vederne i frutti. Quando il nostro comportamento è diametralmente opposto alla Comunione che riceviamo, noi creiamo scandalo in chi, anche non credente, ci guarda. Gesù si fa nostro cibo perché noi possiamo attingere da Lui e sfamare i fratelli, aprire il nostro cuore. Che grande esempio questo sacerdote di Como, Don Roberto, che si è immolato come Gesù. Il suo vescovo ha detto che faceva come madre Teresa, prima di uscire e soccorrere i poveri stava tanto in adorazione dell’Eucarestia. Guardate che esempio! Il bene è veramente umile e nascosto. Preghiamo per la sua anima ma direi invochiamolo. Sia il papa che il suo vescovo lo hanno definito: “Martire della carità e della misericordia”. Preghiamo per i suoi fratelli, i suoi genitori, la  sua parrocchia.

3.Vorrei terminare proprio ricordando i sacerdoti. Oggi nella nostra diocesi si celebra la giornata per il seminario. Il seminario il luogo dove i giovani che si sentono chiamati, si preparano con la preghiera, lo studio, il discernimento dei superiori e del vescovo. Noi abbiamo la grazia di avere Marco un giovane di Melegnano che in questi giorni ha iniziato la seconda teologia in seminario. Vi invito a pregare quotidianamente per le vocazioni sacerdotali e per i seminaristi. Ma vorrei essere più audace e chiedervi di pregare perché un vostro nipote diventi prete. Vi dirò di più se partecipate al battesimo di un vostro nipotino, fate come facevano le mamme sante di una volta: offrite al Signore quella creatura chiedendo che nel momento del battesimo infonda la vocazione sacerdotale. Se questo tipo di preghiera non vi viene spontanea vuol dire che i desideri che avete su figli e nipoti sono solo i vostri, quelli del successo mondano, ma non quelli del Signore. Avere un nipote o un figlio che oggi va in seminario e diventa prete, è ancora un onore o è diventato una vergogna?

Domenica 6 Settembre 2020 Oratorio femminile Melegnano

FESTA DI SAN ROCCO ore 17,30

“ Il Signore sarà per te luce eterna” Carissimi, con l’espressione di Isaia vorrei introdurmi in questa meditazione nella festa di San Rocco. Questo giovane santo, realizza questa profezia. Nella sua breve ma intensa vita anzitutto, poi oggi e per l’eternità nella gloria dei cieli. Il Signore fa riverberare sul suo volto la sua luce eterna, luce di gioia, luce di carità, luce inestinguibile, al punto che sulla terra dopo molti secoli, Rocco è ancora ricordato e soprattutto invocato. Nativo di Montpellier, in Francia, dopo aver venduto tutti i suoi beni si mise in cammino verso Roma e attraversò l’Italia curando e confortando i malati di peste. Nonostante le notizie sulla sua vita siano poche e imprecise, è uno dei Santi più amati e popolari. Invocato dal Medioevo come protettore dal terribile flagello della peste, tanto che il Concilio di Costanza nel 1414 lo invocò santo per la liberazione dall’epidemia che era scoppiata. San Rocco è nato dunque a Montpellier fra il 1345 e il 1350 ed è morto a Voghera fra il 1376 ed il 1379 molto giovane a non più di trentadue anni di età. Secondo tutte le biografie i genitori Jean e Libère De La Croix erano una coppia di esemplari virtù cristiane, ricchi e benestanti ma dediti ad opere di carità. Rattristati dalla mancanza di un figlio, rivolsero continue preghiere alla Vergine Maria dell’antica Chiesa di Notre-Dame des Tables fino ad ottenere la grazia richiesta. Secondo la pia devozione il neonato, a cui fu dato il nome di Rocco, nacque con una croce vermiglia impressa sul petto. Intorno ai vent’anni di età perse entrambi i genitori e decise di seguire Cristo fino in fondo: vendette tutti i suoi beni, si affiliò al Terz’ordine francescano e, indossato l’abito del pellegrino, fece voto di recarsi a Roma a pregare sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Bastone, mantello, cappello, borraccia e conchiglia sono i suoi ornamenti; la preghiera e la carità la sua forza.  

Varie tradizioni segnalano la presenza del Santo a Rimini, Forlì, Cesena, Parma, Bologna. Certo è che nel luglio 1371 è a Piacenza presso l’ospedale di Nostra Signora di Betlemme. Qui proseguì la sua opera di conforto e di assistenza ai malati, finché scoprì di essere stato colpito dalla peste. Di sua iniziativa o forse scacciato dalla gente si allontana dalla città e si rifugia in un bosco vicino Sarmato, in una capanna vicino al fiume Trebbia. Qui un cane lo trova e lo salva dalla morte per fame portandogli ogni giorno un tozzo di pane, finché il suo ricco padrone seguendolo scopre il rifugio del Santo. Cosa insegna oggi a noi San Rocco?

I due grandi insegnamenti che troviamo testimoniati nella vita di San Rocco sono: il primato di Dio e la fantasia della carità. Una società non può vivere senza un riferimento all’Assoluto, al mistero che avvolge la nostra vita e ci fa capire la sua profondità e la sua bellezza.

 

PRIMO INSEGNAMENTO DUNQUE E’ IL PRIMATO DI DIO nella nostra vita. Non possiamo fare a meno di Dio. Dopo aver scoperto Dio, san Rocco si è messo in cammino e ha lasciato ogni cosa. Per lui, tutto è diventato secondario. Ciò che conta è mantenere forte il legame con l’Assoluto che dà senso ad ogni avvenimento e indica la rotta del nostro cammino e del nostro pellegrinare. Dio è tutto per noi, è stato il tutto ddella vita di San Rocco. Per Lui Rocco si è messo in viaggio come pellegrino. Non dimentichiamo,che il tempo della nostra vita deve essere avvolto dalla presenza misteriosa, ma reale di Dio, di quel Dio che noi conosciamo e incontriamo in Gesù con la S.Chiesa che ci guida, di quel Dio che visitiamo in tutti i tabernacoli del mondo, il cui pensiero conosciamo nella S.Scrittura e che non ci lascia soli nel cammino.Il primato va dato a Lui nella crescita della vita spirituale. San Rocco ha vissuto con Dio al primo posto per tutti i giorni della sua vita.

 

SECONDO INSEGNAMENTO LA CARITA La carità, l’amore ai fratelli, soprattutto i malati, i più bisognosi  è tutto nella vita di San Rocco. Nella carità si realizza ogni cosa. Amare Dio e amare i fratelli è la sintesi di tutta la Scrittura e di tutta la legge. La carità si esprime in tante forme semplici e quotidiane, direi quasi inavvertite: l’affidamento alla provvidenza, la docilità del cuore, l’attenzione all’altro.

San Rocco è stato un uomo di carità, anzitutto: si è sporcato le mani con gli appestati. Mi colpisce una cosa: si è lasciato così coinvolgere da rimanere egli stesso appestato! Se ami davvero soffri con chi soffre e sei disposto a rischiare, a pagare di persona. Quanti esempi in questo periodo di carità che sa pagare di persona: medici, infermieri, sacerdoti, semplici fedeli. Domandiamoci se questi esempi ci hanno spronato a rivedere la nostra vita, a mettere a nudo quei lati di egoismo che a volte l’avvolgono, a renderci conto dei tanti appelli alla carità lasciati cadere. Penso all’avvio della comunità pastorale con tutte le attività: quanta gente si spende nelle nostre parrocchie, eppure quanti di noi in una vita intera hanno solo occupato il posto in chiesa alla Messa e mai hanno dato un’ora di tempo per la vita di questa nostra comunità.

Rocco ci stimola a non tirarci indietro: se c’è il primato di Dio nella vita, l’amore concreto ai fratelli viene di conseguenza.

Concludo: Rocco è un pellegrino, ha una meta Roma, la città dove l’apostolo Pietro ha testimoniato, confessato la fede in Gesù morto e risorto, col suo sangue. I gesti parlano più delle parole, i nostri figli, i nipoti saranno, quando noi non ci saremo più sulla terra, i testimoni del nostro pellegrinaggio terreno. Cosa ricorderanno di noi? Lo sappiamo bene: la nostra coerenza, i gesti, le parole di fede e di amore e dedizione gratuita, che avremo vissuto. Pensando a questo, chiediamo l’aiuto e l’intercessione di San Rocco.

 

 

 

Domenica 5-6 Settembre 2020  II dopo il Martirio   A

“ Il Padre …ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre” Carissimi, in questa seconda domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore, Gesù sta rispondendo ai Giudei che sono indignati con Lui, perché ha guarito un paralitico in giorno di sabato, nella piscina di Betzaida. Le parole che Gesù pronuncia a sua difesa, manifestano la sua vera identità di Unigenito del Padre, uno con Lui in tutto,  in particolare in due aspetti: il dono della vita eterna e il giudizio che è nelle sue mani. Questa unità di intenti tra il Padre e il Figlio, si manifesta nella salvezza di tutti e nel dare dei segni della vita eterna già sulla terra, nel momento in cui la fede di una persona magari malata nel corpo, quella fede è il segno che Gesù vuole trovare in ciascuno, prima di intervenire, magari guarendo senzaltro l’anima e se lo vuole anche il corpo.

Il tema della vita eterna è ampliamente sviluppato da Paolo nell’epistola tratta dalla prima lettera ai Corinti. In questo testo c’è la famosa frase. “se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini”. Questo significa che la fede non si riduce a una consolazione terrena, perché tutto poi finisce. Ci sono dei cristiani che non credono alla risurrezione di Cristo, usano la fede come una medicina, quando serve, ma questa fede non li aiuta ad andare oltre cioè a vivere coi limiti che la vita umana presenta, e pertanto ad agire e fare pensando alla vita eterna. Gesù è venuto per aprirci la porta della vita che non finisce, porta chiusa dal peccato di Adamo e dal nostro peccato. Questa porta che si apre, è un invito per noi a domandarci: come la mia vita cambia se io veramente credo alla vita eterna? Qui qualcuno potrebbe dire: siccome siamo destinati all’eternità, allora non serve impegnarci sulla terra. Ma noi sappiamo dal Vangelo che Gesù riceve dal Padre il potere di “giudicare” in quel momento. Pertanto questo significa che in paradiso non si va senza la propria responsabilità. Il Regno di Dio non è solo nell’aldilà, ma anche nell’aldiquà. Questo significa la nostra responsabilità personale, di costruire questo Regno qui sulla terra, per poterlo poi vivere senza impedimenti nel cielo. Come sarà il giudizio di Cristo alla fine del mondo? Certo la misericordia non mancherà, ma se avremo usato misericordia.

2.Il profeta Isaia nella prima lettura usa questa espressione per il popolo: “Il Signore sarà per te luce eterna”. Vedete, noi stiamo riprendendo in questo periodo tutte le attività dalla scuola, e anche in questa settimana con la catechesi, le parrocchie si rimettono in azione, dopo questa lunga pausa. La paura per molti non è passata, ma i cristiani non possono fermarsi alla paura, con la luce eterna della fede, occorre lanciarsi nel bene, in nuove avventure di bene. Attenzione a non farsi paralizzare dalla paura o dai cattivi pensieri: mancheremmo di fede. Ritroviamo slancio nei nostri impegni, certo con la prudenza che però non sia un paravento all’egoismo. Questo perché la fede, veramente è una luce eterna in questo momento di prova. Senza questa luce dall’alto, noi non vediamo e questa luce ha un nome, è lo Spirito Santo. Tra poco avremo la grazia di poterlo ricevere, infatti con un mandato speciale dell’Arcivescovo amministro oggi la Cresima a una persona adulta. Ripensiamo in questo momento alla paura degli apostoli dopo la morte di Cristo, alla loro fuga e nascondimento paralizzante. Ricordiamo soprattutto il momento della Pentecoste, quando la luce eterna del Signore è scesa su di loro. La luce dello Spirito Santo tra poco, ci ridonerà la presenza viva di Cristo nel pane eucaristico, che ci darà la forza di entrare con gioia in questo tempo di ripresa. Che lo Spirito Santo, coi sui sette doni che tra poco invocheremo, discenda ancora una volta su tutti noi. Amen

Sabato 29 Agosto  2020  ore 8,30

Domenica 30 Agosto ore 10,15 Festa del Martirio di San Giovanni Battista

1.”Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità?” Carissimi, la domanda che Paolo fa alla comunità cristiana dei Galati, può essere sulla bocca di San Giovanni Battista che per amore della Verità paga con la vita. “Ma cos’è la verità?” si chiedeva Ponzio Pilato davanti a Gesù, che aveva affermato: “Io sono venuto a rendere testimonianza alla Verità”. Sappiamo che Gesù non rispose in quella circostanza, perché la risposta Pilato l’aveva davanti agli occhi: la Verità impersonificata è Gesù stesso. San Giovanni Battista, il nostro patrono, ha fatto della sua vita una testimonianza a Gesù, lo ha indicato come l’Agnello di Dio ai suoi discepoli perché lo seguissero. Ha battezzato per la conversione folle di persone, perché si preparassero ad accogliere Gesù il vero Messia. Per questo e solo per questo il Battista è andato alla morte. Solo seguendo Gesù, conoscendo il suo pensiero, noi arriviamo alla verità sull’uomo, sulla vicenda umana. Il Battista senza Gesù non si comprende, e neppure questo assurdo martirio dettato da un capriccio di rabbia e di orgoglio di un re fantoccio e della sua concubina Erodiade. Il coraggio della verità nasce dal nostro stare con Gesù. San Paolo direbbe “noi abbiamo il pensiero di Cristo”. Sappiamo che “la verità ci farà liberi “se noi la abbracciamo nella persona di Gesù. Oggi noi viviamo in una cultura centrata sul soggetto, che vuole stare bene e questa ideologia soggettivista spesso schiaccia la verità e la piega al proprio tornaconto. Assistiamo in questo ipersoggettivismo, all’eclissi di tutti i valori dalla vita, alla famiglia, alla dignità di ogni persona. Ciò che una persona sente emotivamente, è ciò che conta e deve diventare un diritto, una legge dello stato.

2.Giovanni Battista è testimone nell’episodio della sua morte, di quanto può costare l’aver affermato la santità del matrimonio davanti a Dio. “Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello”. Questa frase gli è costata la testa e dunque la vita. Alla coerenza di Giovanni Battista si contrappone la superficialità del re Erode e soprattutto la cattiveria e l’opera del male nel cuore di Erodiade, ormai totalmente posseduta dalla rabbia, dal rancore che diventa sete di vendetta, nel voler eliminare quella voce che aveva messo a nudo lo stato delle cose. C’è chi davanti alla verità non accetta, non si converte c’è chi invece cambia la vita. Penso alla samaritana, che davanti alla affermazione di Gesù che gli parla dei suoi 5 mariti, lo proclama profeta e Signore e si converte.

3.Veniamo a noi e domandiamoci: ci sono delle teste che anch’io ho messo a tacere perché mi dicono la verità? A volte ci sono delle persone che il Signore ci manda per dirci che è arrivata l’ora della conversione, che ci dicono cose spiacevoli ma vere. Cosa facciamo? Le allontaniamo? Dovremmo invece tenerle come i migliori amici. Infatti un vero amico ha il coraggio di dirci che stiamo sbagliando. Dall’altra parte è necessario chiederci quanto il nostro rapporto personale con Gesù nella comunità cristiana, ci dà il coraggio della verità a nostra volta nei confronti degli altri. Dovremmo sempre coniugare la carità con la verità, perchè spesso soprattutto oggi, il modo di dire le cose è più importante del contenuto. Si accetta di più la goccia di aceto nel barile di miele, che il barile di aceto con la goccia di miele. E’ vero però che lo stile di Giovanni Battista era diretto, senza peli sulla lingua, e questo modo i cristiani oggi lo hanno un po’ perso, adeguandosi al ”politicamente corretto” ed eludendo per timidezza e pusillanimità,  di intervenire su temi che se affrontati creerebbero divisioni e isolamento per chi ne parla. Penso alla difesa della vita, della famiglia, all’accoglienza e tanto altro…

4.Quella testa mozzata di Giovanni ci parla ancora oggi. Nelle numerose opere d’arte che ritraggono il momento in cui la guardia consegna il vassoio a Salomè perché dia la testa del Precursore alla madre Erodiade, tutto è fissato a quel momento. Ma quel sangue versato e quella lingua ormai muta  ci parla, ci comunica che vale la pena, anzi che è più facile essere coerenti con gli ideali a cui crediamo, che condurre una vita doppia che si presenti agli altri come una maschera. I veri testimoni autentici sono proprio i santi. Mi sovvengono, per concludere, le parole del Beato Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster  morto al seminario di Venegono all’alba del 30 agosto 1954. La memoria liturgica si celebra oggi. A pochi giorni dalla morte parlò ai seminaristi dicendo: “La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un Santo autentico, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio. Ricordate le folle intorno alla bara di don Orione? Non dimenticate che il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi. Ha paura, invece, della nostra santità». Invochiamo allora l’intercessione del nostro patrono, perché ispiri in noi il desiderio della santa e coerente testimonianza cristiana.

 

Domenica  IV dopo PENTECOSTE   A     28 GIUGNO 2020

 

1.”Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo” Carissimi, il grande affresco del diluvio universale tratto dal libro della Genesi, ci mette davanti alla sofferenza di Dio. Dio soffre nel profondo del suo cuore davanti al peccato dell’uomo, davanti all’uomo che Lui ha creato e che si è allontanato. Dio è un padre e quando un figlio sbanda o delinque, il padre e la madre hanno una sofferenza indicibile e arriva anche un istante in cui si domandano: “Ma perché ho messo al mondo questo figlio? Me ne pento!”. Penso in questo momento ai figli che sono schiavi della droga, che hanno fallito nella vita matrimoniale, che sono schiavi del denaro e che addirittura sono in carcere, un genitore soffre. E Dio soffre per noi, quando siamo lontani da Lui. Ma Dio ha scommesso sulla nostra libertà, ha grande rispetto della nostra scelta libera, ci rispetta anche quando pecchiamo e lo rinneghiamo. Questa è la grandezza di Dio!

2.”Noè era un uomo giusto e integro, camminava con Dio” “Trovò grazia agli occhi del Signore”. Nella malvagità del mondo, nello sfascio delle famiglie, emerge sempre qualcuno diverso. Dio lo suscita, lo prepara, lo conserva. La santità sta dentro nel peccato del mondo. Dobbiamo farci più caso. Direbbe Paolo “Dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia”. Noè “camminava con Dio”: è molto bella questa definizione, perché ci riguarda. La nostra vita è un cammino, però è importante con chi camminiamo. Il famoso proverbio “Chi cammina con lo zoppo impara a zoppicare” è molto vero, perché “dimmi con chi cammini e ti dirò cosa diventi”. Camminare con Dio significa avere lo sguardo oltre, essere capaci di non fermarsi all’immediato, ma guardare avanti, al cielo, alla meta finale.

3.”Fatti un arca di legno di cipresso”. Nella rilettura cristiana, i padri della Chiesa hanno identificato l’arca di Noè con la navicella della Chiesa. Scrive sant’Agostino: “ L’arca è senza dubbio immagine della città di Dio, pellegrina in questo mondo cioè della Chiesa che è salvata mediante il legno sul quale fu appeso il mediatore tra Dio e gli uomini: Gesù Cristo”. Certamente in un mondo malato e deviato, che non impara mai la lezione, anche noi potremmo chiederci. “chi ci salva?” L’arca della Chiesa è porto sicuro, anche questa nave però è sballottata da tutte le parti. In essa ci sono santi e peccatori, ma siamo certi che in questa arca c’è Lui, c’è Gesù, il Signore che la guida col suo Spirito e “le porte degli inferi non prevarranno”.

4.”Io sto per mandare il diluvio”. E’ certo che questi segni così drastici non sono voluti da Dio, ma c’è una sua permissione divina perché l’uomo si converta. L’acqua distrugge e salva, porta via tutto e pulisce, ma salva Noè e tutti coloro che sono sull’arca: creature umane e animali di ogni specie. La simbolica battesimale è sempre stata vista dai Padri della Chiesa come segno dell’acqua del diluvio. Acqua “che distrugge e fa rinascere”. Allora domandiamoci: quali sono i diluvi della mia vita? Su quale arca mi rifugio? Ho desiderio di camminare con Dio come Noè?

Domenica  III dopo PENTECOSTE   A     21 GIUGNO 2020

 

1.”Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse ” Carissimi, la splendida pagina del libro della Genesi col suo linguaggio parabolico, fa risuonare in noi questi due verbi importantissimi. E’ nostra responsabilità custodire il creato, preservarne la bellezza con comportamenti che lascino ai nostri posteri, un mondo più bello e pulito di come lo abbiamo trovato. Mi domando se si può vivere sani in un mondo, in una natura inquinata, in città costruite come agglomerati senza la cura del verde e la cementificazione selvaggia. Custodire il creato per un nonno una nonna, un genitore significa creare stupore nei figli e nei nipoti ed educarli a guardare al bello di un tramonto, di un fiore che cresce, di un animale educato al rispetto. Non solo custodire ma anche COLTIVARE, nel senso letterale del termine. Coltivare significa educarsi alla grazia del dono del seme, dono di Dio, alla fatica dello scavare e zappare la terra, (mia nonna diceva sempre “la terra è bassa”) la pazienza dell’attesa e la cura del bagnare il seme nella terra perché porti frutto. Coltivare significa entrare in una cultura che non coarta i cicli naturali, rischiando di mettere sulla tavola cibi transgenici e carne cresciuta ad antibiotici. Da questi due semplici verbi, comprendiamo che i credenti in Dio devono essere in prima fila nella cura della città pulita, nel giusto posto dato agli animali, nelle battaglie contro chi vuole arbitrariamente eliminare le poche aree verdi rimaste. Sono due verbi: coltivare e custodire che sono il nostro compito quotidiano come credenti nel mondo, e ci accomunano a tanti uomini e donne di buona volontà che oggi aspirano a un mondo nuovo. In questa Santa Messa, vi invito a pregare per chi ci governa nel mondo, perché molte delle scelte sul futuro della terra dipendono da loro. Credo però che il mondo si cambia anzitutto cominciando a modificare i nostri piccoli comportamenti.

2.Il peccato di Adamo è sanato dall’atto salvifico di Cristo, che dando la sua vita, riporta l’umanità nell’amicizia col Creatore. San Paolo nella lettera ai Romani ha evidenziato questa sproporzione: Adamo con la sua disobbedienza ha tradito la fiducia di Dio e questa tendenza è dentro in ciascuno di noi per le conseguenze del peccato originale. Ma l’atto salvifico di Cristo sulla Croce e la sua risurrezione, hanno immesso nel mondo un riscatto, una capacità nuova di comprendere che si può tornare sui propri passi, solo accogliendo ancora una volta l’amore di quel Dio che ci ha dato il creato come regalo meraviglioso.

3.Ecco allora che il dialogo notturno di Nicodemo con Gesù nel vangelo che abbiamo ascoltato, ci mette davanti al dono più bello che riceviamo anche adesso, in ogni Santa Messa: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Noi cristiani possiamo fare più bello questo mondo, il mondo anche piccolo in cui viviamo, perché siamo amati, sappiamo di essere amati da Dio in Gesù. Certo anche noi, pur avendo Cristo che è la luce, possiamo cadere nelle tenebre e preferire le tenebre, ma alla fine ci perdiamo, perché prima o poi la vita tira la riga e ci fa fare i conti. Gli anni passano e altre logiche diverse da quelle del vangelo di Gesù, ci accorgiamo, non pagano.

Concludo: custodire il creato è trovare Cristo in ogni creatura. Paolo in una delle sue lettere scrive che il Padre Dio, con la forza dello Spirito ha creato tutto “per mezzo di Cristo”. Nel suo nome impegniamoci a custodire e coltivare quel pezzo di creato che ci è stato dato.

Domenica  II dopo PENTECOSTE   A       14 GIUGNO 2020

 

1.”A ciascuno ordinò di prendersi cura del prossimo” Carissimi, la rilettura sapienziale della creazione dell’uomo e della donna che fa il libro del Siracide, ci induce a guardare alla nostra grandezza, alla dignità che il Signore ci ha donato. L’uomo con la sua intelligenza, può discernere il bene e il male, può sconfiggere le malattie, lungo la storia si è evoluto, grazie ai doni di Dio. Veramente la terra potrebbe essere un paradiso, se l’uomo utilizzasse per il bene i doni ricevuti e seguisse alla lettera il comandamento dell’amore al prossimo. Il punto però è quello che abbiamo sperimentato in questi mesi: il limite, l’accettazione del limite di creature finite e mortali che siamo. Il senso del limite è una dimensione dell’amore al prossimo. Lo dobbiamo insegnare ai nostri giovani. “Tu puoi arrivare fino a qui, se vai oltre, distruggi te stesso e fai del male agli altri”. Penso alla nostra città e a tante altre dove i sindaci hanno dovuto proibire la vendita di alcolici e la consumazione nelle piazze, perché in queste prime domeniche di apertura si sono sfiorati delitti e distruzione di opere pubbliche e degrado di vie e di piazze, a causa di questo andare oltre il limite. Questi giorni di chiusura in casa per molti, sono stati non occasione di riflessione su se stessi, ma compressione e frustrazione, al punto che quando si è aperto , come una molla tutto è saltato. Sono convinto però, che le sanzioni servono al momento, ma i problemi sono altri. Il problema è se noi adulti siamo disposti veramente a essere educatori pazienti dei giovani, per portarli sulle strade dell’accettazione del proprio limite e del rispetto degli altri, del bene comune. Questo è un lavoro paziente. In tutte le epoche la crisi di valori, il vuoto interiore dei giovani, è sempre stato anche una assenza degli adulti in campo educativo.

2.Il limite umano non è qualcosa di negativo, ma lascia spazio a Dio, il Creatore. Il limite che sperimentiamo in noi, diventa spazio che possiamo dare a Dio, che ci ha voluto e amato da sempre. Se rileggiamo l’epistola di Paolo ai Romani che abbiamo ascoltato, ci rendiamo conto che l’uomo deve riempire questo vuoto. Se manca Dio, le creature prendono il posto del Creatore, i beni penultimi diventano il fine della vita e il prossimo, gli altri, sono ridotti ad oggetto per raggiungere il fine di mettere al centro se stessi. “Hanno adorato e servito le creature invece del Creatore”. Così sintetizza San Paolo.

3.Se siamo qui oggi, significa che per noi la strada è un altra. Quella parola dell’amore ai nemici che Gesù pronuncia nel discorso della montagna, per i cristiani non è estranea, perché “prossimo” sono tutti, anche i nemici. Il vero banco di prova dell’amore cristiano, è la situazione nella quale riceviamo del male. Come dice papa Francesco: “Questa Parola non va intesa come approvazione del male compiuto dal nemico, ma come invito a una prospettiva superiore, simile a quella del Padre celeste. Anche il nemico, infatti, è una persona umana, creata come tale a immagine di Dio, sebbene al presente questa immagine sia offuscata da una condotta indegna”. L’Amore cristiano non ha limiti e il Pane Eucaristico che riceviamo, il Corpo e il Sangue di Cristo, sono il farmaco, il rimedio ai nostri vuoti d’amore. Nei giorni in cui stiamo celebrando il CORPUS DOMINI, ricordiamo che la grazia di Cristo che viene a noi nella Comunione, la sua presenza che rimane in tutti i tabernacoli del mondo, è il rimedio a tutte le nostre fatiche nel vivere quello che oggi il Signore ci ha detto: ”A ciascuno DIO ordinò di prendersi cura del prossimo”.

Domenica  SS. TRINITA’   A         7 GIUGNO 2020

 

1.Carissimi, la solennità della SS. TRINITA’ che oggi celebriamo con quella del Corpus Domini di giovedì prossimo, diventano nel cammino dell’anno liturgico, una sorta di sintesi. La solennità di oggi risponde alla domanda “Chi è Dio in se stesso?” Quella di giovedì ci fa domandare: “Chi è Dio per noi, come si manifesta?”. Lo sappiamo, il Mistero di Dio come Trinità ce lo ha rivelato Gesù, e il vangelo di oggi è una bella sintesi cattolica di come le tre persone divine, che sono un solo Dio, incidono nella nostra vita. Lo Spirito Santo che è Dio in noi, rende vivo Gesù, rende per noi oggi vere le sue parole, ci costituisce figli come Gesù, capaci di rivolgerci a Dio chiamandolo papà. Non è cosa di poco conto, perché noi tutti spesso fatichiamo a rivolgerci a Dio, al Dio vero che ci ha rivelato Gesù. In tutti noi restano i retaggi del paganesimo che, ci rende più che figli dei sudditi impauriti, con l’idea che Dio è il tiranno che toglie spazi di libertà con regole e comandamenti e castiga se sgarriamo. Ma Dio non è questo, Dio è Amore, è comunione d’Amore delle tre persone divine, che in ogni istante crea e ricrea la nostra interiorità. Dobbiamo imparare a riposare in Lui. Vi consiglio di avere ogni giorno uno spazio di silenzio, nel quali invocare lo Spirito Santo, aprire il Vangelo e stare in silenzio contemplando in Gesù il volto vero di Dio. Ricordiamoci ciò che Gesù ci ha detto: “Tutto quello che il Padre possiede è mio”, in tal senso la nostra preghiera personale non sia fatta solo di parole, di formule, ma ceda spazio al silenzio abitato dalla Parola, per poter stare con gioia davanti al vero volto del Padre del Figlio e dello Spirito, unico Dio.

2.Il libro dell’Esodo che abbiamo ascoltato come lettura, ci porta con Mosè sul monte Oreb, dove Dio si rivela con molteplici segni: il roveto che arde ma non si consuma, segno dell’Amore di Dio che mai finirà, l’invito a togliere i sandali perché su quella terra Dio poggia i suoi piedi, la compassione di Dio che vede la sofferenza del suo popolo e invita Mosè ad andare dal faraone. Infine la rivelazione del nome: “Io sono colui che sono”, un nome non rivelato del tutto, perché conoscere il nome significa possedere la persona, e Dio non si può possedere, Egli è la sorgente dell’essere, dell’esistere. Questo episodio, collocato in questa festa, vuole aiutarci a completare la riflessione su Dio che in Gesù si è rivelato Padre amoroso, vicino a ciascuno di noi, ma resta Dio, inafferrabile totalmente dalla sua creatura, incomprensibile e inarrivabile. Dio resta Mistero. Ne deriva quel senso di rispetto che chiamiamo il SANTO TIMORE DIO, così importante nella vita perché ci aiuta a restare al nostro posto. Lui è Dio, noi siamo creature mortali, destinate all’eternità con Lui. Questo senso del rispetto di Dio, si sposa anche con il rispetto di noi stessi e degli altri. Dal timor di Dio nasce il rispetto e la cura per se stessi e per gli altri. Tutte quelle relazioni di possesso e di subdola influenza sulla libertà degli altri, derivano in effetti dalla mancanza del senso della trascendenza di Dio, del santo timore di Dio. Anche noi allora, recuperiamo l’invito che Dio rivolge a Mosè di togliere i sandali, perché anche la nostra è terra santa, questa città, l’Italia, il mondo intero è terra santa, perché abitata da Dio. La cura della città e di coloro che la abitano per un credente, nasce dal rispetto di Colui che l’ha e ci ha creati.

Domenica  di PENTECOSTE   A         31 Maggio 2020

 

1.Carissimi, ci ritroviamo insieme per rivivere la grande Pentecoste. Si rinnova per noi il dono dello Spirito Santo. “Tutti furono colmati di Spirito Santo”. Anche noi adesso, desideriamo aprire l’animo per ricevere lo stesso Spirito Santo che è Dio: è l’amore che unisce il Padre al Figlio, è il fuoco d’amore che sorregge il mondo. Essere pieni di Spirito Santo poi, significa fare l’esperienza dell’essere amati da Dio. Possiamo proprio dire che il cammino che abbiamo compito, che ci ha portato alla Pasqua di Gesù, ci ha dato questa grazia. Comprendiamo perché gli Apostoli con Maria, la Madre di Gesù, escono entusiasti dal cenacolo, pieni di voglia di fare la missione che Gesù risorto ha loro affidato. Quando una persona si sente amata, fa tutto, è trasformata. E noi ci sentiamo amati da Dio? Ne abbiamo l’esperienza adesso in ogni Santa Messa, con il dono d’amore di Gesù. Se ogni volta usciamo dalla chiesa pieni dell’Amore di Dio, allora in noi abita lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo che nel Battesimo e nella Cresima ci è stato donato in modo permanente, non deve essere un ospite addormentato in noi, lo dobbiamo svegliare, invocare e soprattutto, deve agire in noi. Lo Spirito Santo deve agire nel pensiero , nel giudizio e nelle scelte.

2.Il verbo che riassume la grazia del dono dello Spirito è il verbo APRIRE. Si siamo invitati ad APRIRE la porta del cuore allo Spirito Santo, “ospite dolce delle nostre anime”. Un verbo a noi familiare, perché progressivamente in questa pandemia stiamo aprendo nella prudenza gli spazi, gli ambienti le strade. Su questo fronte, sappiamo che il valore da salvaguardare è la nostra e l’altrui salute. Il distanziamento dagli altri, non è nella nostra natura, ma abbiamo capito che è un modo per avere attenzione e cura di sé e degli altri. Questo stesso valore della cura della salute degli altri, del loro rispetto, va applicato anche agli altri aspetti della vita tra cui la convivenza civile gli uni accanto agli altri. Il rumore notturno, i bisogni fisiologici fatti sui muri delle vie vicino ai bar, bere una birra e lasciare la bottiglia per terra ad esempio, non creano contagio, eppure dopo tutto quello che è successo ancora questi comportamenti sono reiterati. Anche l’autorità è contraddittoria perché nella fase acuta della pandemia sono state date multe anche a volontari di associazioni caritative che andavano a soccorrere i poveri, persino a sacerdoti che celebravano la Messa. Oggi se una persona da un palazzo chiama l’autorità di vigilanza per comunicare che non riesce a dormire la notte per i rumori assordanti di un bar, non si fa nulla. Allora mi domando APRIRE, anche lo Spirito Santo apre le porte e invita ad andare verso gli altri. Ma qui il punto è che il virus dell’egoismo è duro a morire, per cui ci vorrà ancora molta pazienza, molti anni per tornare a vivere insieme, mettendo al centro l’altro prima di me e dei miei bisogni e soprattutto mettendo al centro il vero bene dell’altro, che mi impone a volte qualche rinuncia. I genitori, gli insegnanti i catechisti noi sacerdoti stessi, abbiamo un compito educativo importante, APRIRE, comunicando che lo Spirito Santo abita nel cuore di ogni persona che va amata rispettata e custodita. Ringraziamo il Signore per i tanti esempi nascosti di altruismo e di apertura agli altri che per lo più sono nascosti.

Che la Madonna Santissima che prega con noi in questo momento, come è stata con gli apostoli del suo Figlio in quella prima Pentecoste cristiana, ci conduca a visitare il cuore degli altri, con il rispetto di chi entra nel santuario più importante: il tempio dello Spirito Santo che è ciascuno di noi.

Domenica VII di PASQUA   A         24 Maggio 2020

Ripresa della S.Messa coi fedeli dalla sera del 23 febbraio, causa pandemia coronavirus

1.Carissimi, ben ritrovati dopo questa pausa prolungata in cui tutti abbiamo sofferto in famiglia e anche sofferto con chi soffre. Il pensiero che viene spontaneo è che la lezione sia servita, anche se da questi giorni sembra il contrario. Il nesso tra cura del creato, cura della città, attenzione al bene comune e virus, ci è parso molto stringente. Se c’è una lezione da imparare è quella che la pulizia di una strada pubblica, il decoro di una piazza, la cura che i cani non sporchino la città, il non inquinare l’aria, i fiumi, sono comportamenti che possono salvaguardare la propria e la salute degli altri. Ma purtroppo non basta una pandemia per imparare. Cerchiamo di riflettere su questo: che senso ha mettere una mascherina, lavarsi continuamente le mani e continuare in comportamenti contrari anche piccoli: buttare la sigaretta per terra, portare in campagna i sacchi della spazzatura, buttare la carta per terra ecc. Cerchiamo ameno noi cristiani di essere coerenti. Prendiamoci cura della parte pubblica della area dove viviamo e cerchiamo di sviluppare e di trasmettere ai bambini e ai giovani maggior senso civico, maggiore amicizia civica.

Abbiamo però considerato in questo tempo la preziosità delle persone e questo è molto positivo. Gli altri sono il dono più prezioso che il Signore ci ha fatto, e sono così importanti al punto che ciascuno di noi ha compreso quello che nella Genesi Dio comunica dopo la creazione di Adamo: “non è bene che l’uomo sia solo”. Senza gli altri siamo più poveri. L’incontro con l’umanità di un’altra persona, completa ciò che in noi manca. Gli altri sono uno specchio per conoscersi meglio. Gli altri ci parlano della grandezza di Dio creatore.

2.Del brano evangelico di oggi famoso dei “Discepoli di Emmaus” vorrei solo sottolineare due piccole cose. I due discepoli assomigliano a noi, per quell’aspetto che ci riguarda nella dimensione dello scoraggiamento, anche nei confronti di Dio. Sono stati con Gesù, ma si sono fermati alla morte di croce. Non hanno creduto alla testimonianza delle donne e degli Apostoli, che hanno incontrato il risorto. Sembrano proprio noi questi discepoli, nel momento del dubbio di questi giorni, soprattutto nel dolore terribile delle famiglie che hanno perso una persona cara. Ma Gesù “CAMMINAVA CON LORO”. Questo è il punto: Gesù il Crocifisso risorto, cammina con noi oggi con lo stesso stile: ci ascolta , spiega le Scritture che parlano del senso della sua e della nostra morte e ci apre la mente all’oltre, a ciò che c’è dopo la soglia della morte. Gesù ci porta al centro della vita, perché ancora una volta si spezza e si versa per noi. “Lo riconobbero allo spezzare del pane”. Anche noi tra poco lo riconosceremo. Soprattutto però siamo chiamati col gesto di Gesù, a riconoscere che la vita ha senso se diventa come quel pane. Di solidarietà di questi tempi ne abbiamo vista tanta. C’è tanta gente buona ancora. Ma noi cristiani abbiamo un compito che è quello di essere come quel pane spezzato per i fratelli, per dare speranza e insegnare che questo è il senso del nascere, del vivere e del morire.

5 APRILE 2020   DOMENICA DELLE PALME  A

S.Messa domenica ore 18,00 senza popolo

1.”Misteri che abbiamo celebrato ci rendano santi, o Dio..” Cari fratelli e sorelle, con le parole dell’orazione dopo la comunione di questa Messa della domenica delle Palme, diamo la direzione e lo scopo della celebrazione della settimana santa. Santo è Colui che celebriamo, santi dobbiamo desiderare di essere noi tutti insieme, accostandoci ai misteri della Passione morte e risurrezione del Signore Gesù. Lo sguardo è rivolto a Lui: anche il gesto di Maria di Betania, dice la gloria dolorosa di Gesù, che prende su di sé il peccato di tutti gli uomini, di tutti i tempi che sono stati, sono e saranno. Rileggiamo in questo senso l’oracolo di Isaia della prima lettura denominato “Carme del Servo sofferente”. Allora comprendiamo la ragione profonda di un’altra Pasqua: lo abbiamo affermato rivolgendoci a Dio Padre, nella prima orazione: “Tu ci rinnovi, o Padre, per la beata Passione del tuo Unigenito”. Siamo invitati a rinnovarci interiormente, per andare verso uno slancio nuovo nella la santità.

2.Mi faccio aiutare in questa meditazione dall’epistola tratta dalla lettera agli Ebrei che così si esprime: “avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.”. Mi pare che questo sguardo fisso su Gesù sia il segreto della vita cristiana e il dono che riceviamo nella settimana santa. L’anonimo autore della lettera agli Ebrei, paragona la nostra vita a una corsa allo stadio, dove sugli spalti a sostenerci ci sono coloro che ci hanno preceduto, che hanno creduto prima di noi e sono già col Signore. Questo sguardo a Gesù, che caratterizza tutta la corsa della vita di un cristiano, lo definisce in due modi: “Gesù colui che dà origine e porta a compimento la nostra fede”. Gesù è certo l’origine della nostra fede, è il tutto della fede, ma la porta a compimento. Come? Ci risponde sempre la lettera agli Ebrei al capitolo 2,10 “mediante la sofferenza”. E’ questa scelta libera di Gesù di abbracciare totalmente il piano di salvezza del Padre, che porta a compimento la nostra fede. Noi dobbiamo guardare Lui nella vita, in questa dimensione di dono totale di sé. Noi in questa settimana accompagneremo Gesù che “che di fronte alla gioia che gli era posta innanzi si sottopose alla croce”. Noi dobbiamo contemplare Lui, avere lo sguardo nei suoi occhi, scrutare i suoi gesti, i suoi dolori e la sua morte. Questo ci aiuta a non scoraggiarci, a non “PERDERCI D’ANIMO” come scrive la lettera. Allora, ognuno di noi adesso pensi alle sue lotte, alle sue croci, a quello che sta vivendo adesso. Pensiamo a quello che ha sopportato Cristo e guardiamo a Lui, per non perderci d’animo. La lettera agli Ebrei, termina col versetto 3 ma quello successivo dice una cosa molto importante: “Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato”. Questo ultimo versetto, ci proietta nell’oggi e in questa settimana santa del 2020, nel bel mezzo di una pandemia, con tanti malati e tanti morti. La meta è tenere tutta la vita lo sguardo su Gesù e fare la nostra corsa, la nostra parte. Che la settimana santa aiuti tutti, a recuperare le forze per una lotta che non sarà breve

28-29 MARZO 2020   V DI QUARESIMA A

S.Messa sabato 28 marzo ore 18,00 senza popolo

1.Non ci si può sottrarre alla morte, è un fatto ineludibile, biologico, naturale. Questa realtà della morte e della precarietà della nostra vita, è un dato che la cultura contemporanea ha relegato agli “addetti ai lavori”, per cui non è più parte della crescita di un bambino. Quello che una volta era la visita alla salma di un defunto nella casa, ora è nascosto sia dalle famiglie che dalla cultura contemporanea. La morte è un vero e proprio argomento tabù. L’esperienza di questi giorni però, con tutto quello che sta accadendo, ci ha catapultati davanti a “sorella morte”, come la chiama San Francesco nel Cantico. Siamo davanti alla conta dei morti come in una guerra. Non abbiamo però le categorie mentali e spirituali per elaborarla. Ci soccorre Gesù in questo episodio straordinario della risurrezione di Lazzaro.

2.Da un lato siamo davanti al rischio di un altra morte anticipata, che quella descritta da Paolo nell’epistola di oggi, che è la morte interiore, quella del peccato. Questo tipo di morte, ci impedisce di dare un orizzonte grande alla vita e non riusciamo a comprendere il significato di fede della morte. Con questa morte interiore, ce ne sono tante altre, che simbolicamente sono rappresentate dal viaggio del popolo d’Israele dall’Egitto alla terra promessa, fino al grande passaggio del mar Rosso. Lazzaro rappresenta un caso disperato, simbolicamente, nella rilettura dei Padri della Chiesa, è il segno dell’uomo che è ostinatamente lontano da Dio, e pare ormai definitivamente destinato a essere inghiottito nella morte del peccato. I quattro giorni nel sepolcro, indicano proprio una situazione ormai irreparabile.

3.La contemplazione del miracolo di Lazzaro nei gesti e nelle parole di Gesù, ci comunica la vicinanza di Dio nell’ora della morte. Sappiamo che la morte è stata la conseguenza del peccato e DIO NON HA VOLUTO LA MORTE NEL GIARDINO DI EDEN. E’ l’uomo (Adamo) che se l’è andata a cercare, rifiutando i limiti in cui Dio creatore lo aveva posto nel giardino di Eden. Questo ci comunica che tutto il nostro essere, per come siamo stati creati, la nostra ragione, il cuore e tutto il nostro spirito, non sono fatti per la morte. Noi non siamo stati creati per la morte. Questo è il centro del Vangelo di oggi: “Io sono la risurrezione e la vita”. L’autodichiarazione di Gesù, ci porta al centro del nostro esistere. La risurrezione di Lazzaro è un grande segno della risurrezione di Cristo, che sarà il dono pasquale per tutti noi. Siamo fatti per la vita. La morte per chi crede è come il passaggio del mar Rosso. Sembra una barriera insormontabile, ma per comando di Dio, quel mare della morte si apre e si può passare, c’è una strada che ci porta alla terra promessa, la terra d’origine , quella da cui siamo venuti e siamo incamminati. La vita sulla terra è allora una preparazione a quel momento. La grazia di questi giorni è che il dato della nostra fragilità mortale, ci ha fatto più consapevoli del nostro destino eterno. Prepariamoci allora nell’imminente settimana santa, a risorgere con Cristo.

 

S.Messa domenica 29 marzo ore 18,00 senza popolo

1.“Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là perché voi crediate.” Gesù apposta non va a guarire il suo amico Lazzaro, perché vuole rafforzare la fede dei suoi discepoli. Quasi a dire che, se tu credi davanti alla morte, allora la tua fede è forte, è provata. CREDERE DAVANTI ALLA MORTE dei nostri cari, e di ogni persona: è questo forse il dono grande che imploriamo. Siamo certi che la morte è la prova più grande per la fede, e con essa anche la malattia, Gesù apposta desidera che i suoi discepoli siano credenti davanti alla morte. Ci accorgiamo però che anche per loro questo miracolo di Lazzaro non basterà, perché anche loro scapperanno ai piedi della croce. Questo significa che la fede davanti alla morte non è questione di vedere dei segni o di impegnarsi in un certo modo, ma è un dono dall’alto che nasce in noi a partire dal nostro abbandonarci a Lui, che è risurrezione e vita. Preghiamo allora per tanti di noi, che sono provati dalla morte dei loro cari, in questo periodo di coronavirus.

2.”Signore se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”. Questa frase che suona come un rimprovero, è sulle labbra di ambedue le sorelle di Lazzaro. E’ chiaro: se la prendono con Gesù che sembra le abbia abbandonate. “Ma come” sembrano dire, “noi siamo i tuoi amici, tu vieni sempre da noi a riposarti, ti trovi bene con noi. Sei contento di mangiare con noi, sei uno di famiglia. Eppure ci hai abbandonato nel momento del bisogno”. Questo rimprovero ci appartiene, perché nella nostra fragilità anche noi rimproveriamo Dio in questa ora di prova. Anche il papa, commentando il vangelo della tempesta sul lago ha detto “Dio non lasciarci nella tempesta!”. Noi ancora di più affermiamo: “Sono arrabbiato col Signore perché non risponde, non risolve questa situazione”. E’ umano dire così. Ma ricordiamo che se crediamo, le grazie arrivano, come è stato per la risurrezione di Lazzaro. In effetti, dobbiamo anche andare avanti nell’affermazione delle sorelle di Lazzaro che subito affermano con fiducia. “Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio Egli te la concederà”. Si giunge alla domanda personale “Credi tu?”. Allora, carissimi, chiedere, arrabbiarsi col Signore, rimanere delusi, va bene, è umano, ma mai dubitare di Dio, mai metterci al suo posto. La preghiera col papa dell’altro giorno, è un esempio per tutto il mondo. Ci si è messi con umiltà davanti a Gesù, implorando la liberazione e poi Lui ha benedetto il mondo che ama. Si supera la paura, nasce la fiducia, si combatte con più forza, ci si stringe insieme e si ritorna ad essere fratelli e sorelle figli dell’unico padre. Imploriamo questa risurrezione!.

21-22 MARZO 2020   IV DI QUARESIMA A

S.Messa sabato 21 marzo ore 18,00 senza popolo

“Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano, prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che nel fonte battesimale gli viene donata”. Sono le parole del prefazio di questa quarta domenica di quaresima, che ci mostrano il dono pasquale del battesimo, nell’efficacia del vedere ciò che non si è mai visto. Si tratta di una guarigione di una persona che è nata cieca, dunque non sa come è il sole, i colori, i volti delle persone, se non per una percezione tattile. E’ un mendicante che rappresenta tutti noi. Infondo tutti noi siamo mendicanti di gioia, di senso, di significato da dare alla vita. Soprattutto in questi giorni, condividiamo questo vivere alla giornata, senza sapere cosa sarà domani. In questa prospettiva il cieco vive una progressiva illuminazione, non solo fisica ma spirituale. Gli viene data la vista della fede, con il gesto del fango che assomiglia tanto alla creazione di Adamo. Per avere la vista nuova dobbiamo accettare di essere ricreati, di “rinascere dall’alto” come Gesù dirà a Nicodemo. “L’illuminazione battesimale” permette di vedere Gesù all’opera, fa vedere ciò che prima era invisibile. Ma per arrivare a questo dono siamo interpellati personalmente, come i catecumeni adulti che prima del battesimo nella notte di Pasqua, vengono interrogati e invitati a CREDERE prima di essere battezzati. Il dialogo finale tra Gesù e il cieco, a questo proposito, è straordinario e ci identifichiamo veramente in quest’uomo: incontratolo gli disse: «Tu credi nel Figlio dell’uomo?».  Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?».  Gli disse Gesù: «Tu l’hai visto: colui che parla con te è proprio lui».  Ed egli disse: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi”. Ecco il dono che ci fa Gesù: dal non vedere al vedere, con gli occhi della fede. E vedere cosa? Vedere Lui all’opera. Dal VEDERE AL RICONOSCERE la sua presenza nei segni quotidiani. Esercitiamo pertanto gli occhi della fede. Teniamo conto, concludendo, che staccandoci dalla fede, noi assistiamo a un progressivo accecamento e questo è il rischio che corriamo in questi giorni, con il CORONAVIRUS. Nel vangelo, tutti coloro che assistono al miracolo e quelli che ne sentono parlare, dai capi dei farisei, dai vicini, ai genitori, si allontanano progressivamente dalla verità di questo fatto, accecati dalle loro convinzioni e pregiudizi, e soprattutto dall’orgoglio del proprio io. Pertanto la domanda finale viene a noi: “Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo forse ciechi anche noi?».  Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane».

 

S.Messa domenica 22 marzo ore 18,00 senza popolo

«Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?».  Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.

Vorrei partire da questa affermazione, che fa emergere anche in noi la questione del male fisico, legato alla colpa dell’uomo. Un ragionamento che spesso facciamo anche noi quando diciamo: “Cosa ho fatto di male per meritare questo. Oppure quella persona non meritava”. Attribuiamo indirettamente a Dio la colpa di un male fisico, legato a un nostro peccato o a quello di qualche antenato. Questa visione è presente nell’antico testamento col nome di “teologia della retribuzione”. Questa interpretazione, persino troppo facile del male del mondo, salta già nell’antico testamento col libro di Giobbe, l’emblema del giusto che subisce il male di ogni tipo. Infatti quel libro scardina per sempre il nesso tra peccato personale e mali fisici su di sé o alle persone vicine. Ma Gesù, con a sua Passione, è la manifestazione della risposta che dà ai discepoli che, davanti al cieco gli chiedono:”chi ha peccato perché nascesse cieco”. La risposta di Gesù apre nuovi sentieri: “: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.”. C’è una strada diversa davanti alla permissione divina al male. Dio non lo infligge, ma permette il male che molte volte è dovuto alla libera scelta dell’uomo, per portare avanti la sua opera. La passione di Cristo ne è un emblema e un modello per tutti. Dietro la croce c’è la risurrezione. Allora gli occhi della fede ci devono condurre verso l’opera che Dio sta compiendo con questa situazione mondiale. Nessuno osi parlare di castigo divino perché sarebbe una bestemmia contro la rivelazione del Dio cristiano che Gesù ci ha rivelato. Ognuno però trovi nella preghiera la possibilità di percorrere la strada che porta alla domanda: “Ma quale opera Dio sta compiendo con questa situazione tragica del coronavirus?” La frase appesa ai balconi “Andrà tutto bene” trova ispirazione nella mistica Giuliana di Novic (1300-1400) che dopo la visione che ha della Passione del Signore, si sente dire da Gesù stesso con una estrema dolcezza “Ma tutto andrà bene”. Solo nella prospettiva della Pasqua di risurrezione, può avere senso questa frase.

14-15 MARZO 2020   III DI QUARESIMA A

S.Messa sabato 14 marzo ore 18,00 senza popolo

Che differenza tra il dialogo di Gesù con la Samaritana della scorsa domenica e coi Giudei che dicevano di avere creduto in Lui! Nella donna di Samaria dalla vita sbagliata, abbiamo trovato un cuore aperto, qui (i Giudei) dei cuori arroganti, chiusi, già certi di essere giusti e salvati.

Gesù nel dialogo con questi capi dei Giudei, si trova nel Tempio di Gerusalemme e per lui i giorni stanno diventando pericolosi. C’è già un piano per arrestarlo e farlo fuori. Gesù non ha paura e richiama ai suoi interlocutori i pilastri della fede d’Israele.

1.L’Alleanza di Dio con Abramo. Abramo diventa il modello. Ce lo descrive bene l’epistola di Paolo ai Galati. “Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia”. La fiducia di Abramo, una fiducia non triste ma speranzosa, egli sa che ciò che Dio promette, lo realizza. Badate che Abramo non vede coi suoi occhi il realizzarsi della promessa, o meglio la vede in parte col dono del figlio Isacco. Comprende però che è necessario partire, andare nella direzione che Dio gli indica, anche se non vede i risultati. Quella discendenza promessa ad Abramo, “numerosa come le stelle del cielo”, si realizzerà in futuro. Dice il prefazio di oggi: “La moltitudine di popoli preannunciati al patriarca come sua discendenza, è veramente la tua unica Chiesa, che si raccoglie da ogni tribù, lingua e nazione”. Ecco l’uomo di fede, Abramo, che non vede, ma si fida e si rende conto che la sua parte per Dio, il suo “si” è fondamentale perché Dio porti avanti il suo progetto.

2.Il secondo pilastro è la legge di Mosè data sul Sinai. Lo abbiamo ascoltato nella prima lettura. Ma anche qui, Mosè sale due volte sul Sinai per ricevere le “10 parole” i comandamenti, che in precedenza aveva rotto (le tavole di pietra), perché il popolo aveva fatto il vitello d’oro. Ma qui ancora Dio dà un’altra possibilità.

Ora il punto del dialogo tra Gesù e i Giudei che pretendono di essere figli di Abramo semplicemente perché la loro etnia è giudica, diventa contrastante con la vita e le opere di Abramo. “Se siete fogli di Abramo, fate le opere di Abramo” dice loro Gesù. Le opere di Abramo sono la fede in Dio, l’apertura di cuore, il desiderio di conversione.

Ora carissimi, in questo tempo di prova per il coronavirus, ci stiamo interrogando su cosa significhi avere fede. Ora la fede è UNA SEMPLICE ASSICURAZIONE SULLA VITA, PERCHE’ DIO ASCOLTI I NOSTRI DESIDERI oppure il contrario la FEDE significata che NOI CI METIAMO AD ASCOLTARE I DESIDERI DI DIO?

Nella S.Messa di domani approfondiremo ciò che Gesù dice ai Giudei “La verità vi farà liberi”.

7-8 MARZO 2020   II DI QUARESIMA A

S.Messa sabato 7 marzo ore 18,00 senza popolo

Che governa la Chiesa è il Signore è Lui li’ al pozzo della nostra vita…

Mi viene alla mente la tempesta sul lago di Matteo 8,26 “Perché avete paura uomini di poca fede”

Ancora mi torna alla mente la frase di San Paolo nella            2 Corinti 12,9: “Ti basta la mia grazia, la mia potenza si manifesta pienamente nella tua debolezza”

Il prefazio di oggi così parla della Samaritana che siamo noi è la Chiesa anzi il mondo: “chiedendo da bere a una donna samaritana, le apriva la mente alla fede”.

 

Domenica 8 MARZO ore 18,00 Basilica Melegnano

1.“Come esiste un inquinamento atmosferico che avvelena l’ambiente e gli esseri viventi (noi potremmo aggiungere un virus che avvelena l’organismo umano), così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale”. (Benedetto XVI Pentecoste 2009. La Samaritana si trova in questa situazione di inquinamento interiore.

2.Nel commento Sant’Agostino dice che questa donna straniera è figura della Chiesa “Ascoltiamo noi stessi in lei”.

3.MA QUALE LO SCOPO DI QUESTO INCONTRO?

Ce lo comunica ancora il prefazio della Messa di oggi: “A rivelarci il Mistero della sua CONDISCENDENZA verso di noi, Gesù stanco e assetato volle sedere al pozzo”.

CONDISCENDENZA, IL MISTERO: di cosa si tratta? Il termine descrivere l’azione di Cristo, è molto usato dai padri della Chiesa, in particolare San Giovanni Crisostomo. CONDISCENDENZA indica l’atteggiamento per il quale DIO è venuto e si è ABBASSATO fino a noi per stare con Noi. Sempre il Crisostomo definisce il Battesimo “sacramento della condiscendenza”.

Ma come si manifesta il cuore di Cristo quindi di Dio alla Samaritana? Gesù l’aspetta al pozzo a mezzogiorno, scende a suo livello, non ha paura di incontrarla. La guarisce con l’acqua della Parola, adatta il suo parlare a quello di questa donna e consegna se stesso.

CONCLUSONI

1.Gustiamo nella preghiera della Quaresima la condiscendenza di Dio per noi (pregare la Parola)

2.Viviamo la medesima condiscendenza anche a partire dalle circostanze difficili che stiamo vivendo. Siamo noi gli uni per gli altri sacramento della condiscendenza di Dio.

Domenica 23 Febbraio 2020 ultima dopo l’EPIFANIA dettta “del PERDONO”   A

 

1.“Suo padre lo vide ebbe compassione, gli corse incontro..” Carissimi, in questa domenica che precede l’inizio del tempo liturgico della Sacra Quaresima, la liturgia ambrosiana sceglie di farci vivere la “domenica del perdono”. Il nostro sguardo è anzitutto concentrato a contemplare il volto del Padre della parabola. Questo è il grande dono che oggi riceviamo: l’abbraccio, la contemplazione di Dio che è questo padre tenero e misericordioso. Questo Padre ci attende sempre, non smette mai di amarci, fa festa quando torniamo. Per Lui, noi siamo sempre figli! Questo è importante: in qualunque situazione della vita siamo, per Dio noi siamo sempre figlii amati. L’abbraccio e il bacio al figlio minore, è il centro della parabola ed è il cuore della rivelazione cristiana. Veniamo in chiesa ogni domenica, per lasciarci abbracciare e amare da Dio, che non guarda al nostro merito e ai nostri peccati, perché noi per Lui siamo come Gesù, figli amati, divenuti tali col Santo Battesimo. Verrebbe da chiedersi: ma è questo il Dio a cui crediamo? Abbiamo forse tutti bisogno di convertire l’immagine che ci siamo fatti di Dio. Questo incontro col Padre è incoraggiante per tutti noi, ci educa a non disperare mai, anche quando il dolore, il fallimento si abbatte su di noi. Dobbiamo tornare a questo abbraccio, che spesso si concretizza nel sacramento della Confessione, che ci rende nuovi ogni volta. La parabola ci dice che questo Dio, che è Padre, ci aspetta sempre.

2.Il Figlio minore, esprime la richiesta di autonomia e ha una forte autostima di sé quando chiede con l’eredità di andarsene, ma la sua motivazione è egoistica, per godere solo lui, per divertirsi. Questo figlio ha una libertà malata…Noi siamo questo figlio, che non ha mai vissuto da figlio, cioè non ha mai sperimentato l’amore gratuito del Padre e quindi non è mai stato fratello. Rientra per fame ma al Padre. Al Padre non interessa la motivazione del suo rientro, lo ritrova vivo e lo riammette come figlio, semplicemente perché è tornato. Questo figlio non ha meriti, anzi ha fallito, eppure il Padre gli fa capire che è solo l’Amore che riabilita e questo Amore da parte del Padre, non è mai venuto meno. A volte mi domando cosa può servire una logica solo punitiva per chi ha sbagliato se manca l’esperienza di un amore gratuito una persona non potrà mai risollevarsi!

3.L’altro figlio, il maggiore, ha le sue ragioni, ma mostra un cuore duro, anche lui ha bisogno della tenerezza e della misericordia del Padre, che probabilmente non ha mai sperimentato. Anche Lui non conosce l’Amore del Padre e quindi non vive da fratello. Faticare tanto e non ricevere nulla in cambio, amare e non essere corrisposti dai figli dai parenti: ma vale la pena? Nella parabola ciò che conta è l’amore totalmente gratuito che non solo rigenera, ma addirittura converte e dà una svolta nella vita. Il figlio maggiore pensa di realizzarsi col solo senso del dovere, con la logica del “do ut des”, ma questo non riempie la vita, lascia aridi, non fa sperimentare il voler bene per puro amore. Ambedue i figli non hanno mai sperimentato un amore gratuito.

4.Venendo a noi: siamo qui per ricevere il regalo gratuito dell’Amore di Cristo, che nell’atto eucaristico si rinnova per tutti noi. E’ un dono essere qui nella casa del Padre: anche noi però possiamo essere qui come il figlio che scappa, cioè il figlio che ritiene che questo incontro non centri nulla con la vita e che le vere gioie si trovano altrove. Oppure possiamo come il figlio maggiore: persone che non hanno mai sgarrato nella vita, ma non credono che è questo Amore gratuito del Padre possa dare la gioia vera. Lasciamoci invece incontrare da questo amore misericordioso, per essere noi stessi, durante i giorni feriali, persone meno giudicanti e più capaci di dare agli altri la loro vera dignità che è quella di “Figli di Dio”.

Domenica 9 Febbraio 2020 V dopo l’EPIFANIA   A

 

1.“Il Signore Gesù andò di nuovo a Cana di Galilea” Carissimi, ricordiamo tutti il segno che Gesù ha fatto a Cana per gli sposi, un segno molto importante, un segno pasquale: l’acqua mutata in vino è il segno della sua Pasqua, e dice quanto abbiamo bisogno nell’amore umano che sia Cristo a ispirarlo, col suo stesso modello di Amore. Non possiamo fare a meno di ricordare questo a tutti i coniugi e invitarli a dare il segno di questo amore di Cristo nel loro volersi bene quotidianamente. Questo segno è un dono per i figli, è una scuola per i nipoti, perché si impara dall’esempio, dal vedere giorno per giorno come il rispetto reciproco tra marito e moglie e il sacrificarsi per il bene dell’altro e della famiglia, educa all’amore. Nell’episodio miracoloso di oggi, è in gioco il rapporto tra questo padre che è un funzionario del re Erode e il figlio che sta male, sta addirittura morendo. Ogni padre e ogni madre farebbero di tutto per far vivere il figlio, darebbero la vita per il proprio figlio. Nella tragica vicenda di questo padre, ravvisiamo il dramma della perdita dei figli in senso anche spirituale. Qui un figlio sta morendo e questa malattia che conduce alla morte, segna una separazione, una distanza, una perdita. E’ chiaro che il messaggio grande che riceviamo è quella della fede sulla parola di Cristo, ma dentro a questo grande messaggio noi troviamo la domanda seria di ogni genitore che guarda ai figli piccoli o grandi e anche adulti, per domandarsi come fare a non perdere interiormente questi figli. E’ un dialogo interiore quello che si svolge nella vita tra un genitore e i suoi figli. Quando questo dialogo sparisce, la vita diventa tutta fatta di atti esteriori pur buoni, ma tra figli e genitori si è creata una distanza. C’è per tutti i genitori una vicinanza eccessiva ai figli che li soffoca e una distanza eccessiva che li fa diventare degli estranei. Infondo la decisione di un genitore è quella di saper calibrare questa distanza e questa vicinanza ai figli. Distanza per educare i figli all’autonomia e vicinanza per accompagnarli nel cammino ma non sostituirsi a loro.

2.”Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino” La fede totale e abbandonata in Gesù di questo padre disperato, dice l’atteggiamento di un genitore che è chiamato a salvare i propri figli. Il segno della fede è più importante del risultato. Qui Gesù elogia quest’uomo perché come Abramo si è fidato ed è partito. Nel cammino coi figli bisogna moltiplicare gli atti di fede in Dio, anzitutto affidando a Lui il dono più prezioso che Egli ha fatto alla coppia genitoriale cioè i figli. Questi atti di fede in Dio, aiutano un genitore a non sentire come proprietà privata i figli, ma a ricordarsi ciò che è stato chiesto nel giorno del matrimonio.   “Volete accogliere i figli che Dio vorrà donarvi?” CHE DIO VORRA’ DONARVI! Questa fiducia in Dio, si esprime nell’accoglienza della parola di Cristo. Ricordiamo tra parentesi quello che Maria dice a Cana ai servi: “quello che vi dirà fatelo”. Dunque l’affidamento quotidiano dei figli al Signore, intercedendo Maria Santissima è un grande segno di fede. Questo atto di fede diventa anche fiducia nei figli, che devono percepire che il genitore si fida, dà loro diverse possibilità di fiducia.

3.I segni della fede. Il vangelo di oggi ci invita a cogliere il segno più grande che è la fiducia nella parola di Cristo. Noi lo sperimenteremo tra poco, perché riconosceremo Cristo vivo nel pane e nel vino consacrati. Questo ci libera dal pretendere segni eclatanti e nello stesso tempo ci apre e ci educa a vedere i piccoli segni del Signore che ci accompagna. Se entriamo con fede nelle vicende della famiglia e rivisitiamo nella fede anche i fatti e gli avvenimenti quotidiani del mondo, sapremo vedere segni che solo la fede coi suoi cinque sensi spirituali ci fa vedere, udire, toccare, annusare e gustare.

Domenica 2 Febbraio 2020 Festa della presentazione del Signore  

1. Carissimi “Quaranta giorni dopo il Natale, la Chiesa celebra il mistero di Gesù presentato al tempio da Maria e da Giuseppe. Con tale rito Cristo intendeva assogettarsi alle prescrizioni della legge antica, ma la sua presentazione assume significati più profondi. Il Dio, a cui il Bambino viene presentato, è il Padre che ha tanto amato il mondo da sacrificare il suo Figlio unigenito; così la gioia natalizia, già turbata dal feroce e fallito tentativo di Erode, si colorò coi rossi riverberi del sangue che verrà versato sul Calvario. Già nel tempio Gesù va incontro alla sua gente che da secoli lo aspetta. Simeone e Anna, nella cui lunga vita si riflette la speranza secolare del popolo ebraico, illuminati dallo Spirito santo, vengono al tempio, riconoscono il Signore ed esultando gli rendono testimonianza. Anche noi, riuniti dal medesimo Spirito in questa casa di Dio, andremo incontro a Cristo, lo riconosceremo nello spezzare del Pane, non lo abbandoneremo di fronte al sacrificio e alla sofferenza, nell’attesa che egli venga a noi e si manifesti nella sua gloria”(Dall’introduzione alla liturgia del 2 febbraio, secondo il rito ambrosiano).

  1. “Luce per illuminare le genti” questa parola di Simeone che la Chiesa tutte le sere nella Compieta ha fatto sua, ci ricorda che anche nel calare delle tenebre esteriori e soprattutto interiori, Cristo resta la vera luce che illumina il mondo. Nelle leggi di molti stati, anche in parte il nostro, le tenebre di morte sono entrate da tempo, con la legalizzazione dell’aborto, con l’eutanasia anche per i bambini, con un serpeggiante valore dato alla vita solo se è in salute, prestante ed efficiente. Il papa coi nostri vescovi, ci chiedono di rifiutare la cultura dello scarto a tutto raggio: dalla difesa dei neonati nel grembo materno, alla cura dei malati terminali, distinguendo il confine tra accanimento terapeutico e cure palliative di fine vita. Questa difesa della vita e della dignità di ogni persona, si estende all’accoglienza di chi bussa alle porte dell’Europa per disperazione e all’educazione dei bambini, chiamati a crescere in una cultura che rispetta la dignità sacra della vita dell’uomo e della donna. Ascoltiamo queste frasi tratte dal messaggio dei nostri vescovi per questa giornata: “la vita non è un oggetto da possedere o un manufatto da produrre, è piuttosto una promessa di bene, a cui possiamo partecipare, decidendo di aprirle le porte. Così la vita nel tempo è segno della vita eterna, che dice la destinazione verso cui siamo incamminati. Tutto nasce dalla meraviglia e poi pian piano ci si rende conto che non siamo l’origine di noi stessi.

Se diventiamo consapevoli e riconoscenti della porta che ci è stata aperta col dono della vita, e di cui la nostra carne, con le sue relazioni e incontri, è testimonianza, potremo aprire la porta agli altri viventi. Nasce da qui l’impegno di custodire e proteggere la vita umana dall’inizio fino al suo naturale termine e di combattere ogni forma di violazione della dignità, anche quando è in gioco la tecnologia o l’economia. l’unica via perché la uguale dignità di ogni persona possa essere rispettata e promossa, anche là dove si manifesta più vulnerabile e fragile. Qui infatti emerge con chiarezza che non è possibile vivere se non riconoscendoci affidati gli uni agli altri”.

3.Da ultimo la vita consacrata. In questa giornata in cui la Chiesa celebra il gesto di Maria e Giuseppe di portare al tempio il bambino Gesù, perché venga totalmente offerto al Padre e così sarà la sua vita, si celebra il dono di tanti uomini e donne che offrono la loro vita totalmente al Signore. All’interno di un contesto in cui anche all’interno della Chiesa qualcuno dubita del valore di una scelta così, la presenza dei consacrati ci fa guardare avanti: SOLO DIO BASTA. La dedicazione di tanti sacerdoti, suore, frati, monaci ha cambiato e cambia il mondo, lo rende più umano e quindi più divino. Non può il peccato e l’infedeltà di pochi (che in ogni caso è gravissima e fa male all’intera Chiesa) offuscare il dono grande di chi realmente si è consegnato tutto a Dio e quindi ai fratelli, imitando la povertà, la castità e l’obbedienza di Cristo. Carissimi, ognuno di noi se ripensa al suo cammino di credente, può senz’altro elevare il suo GRAZIE a Dio per il dono di quel sacerdote, di quella Suora che soprattutto nell’adolescenza e nella giovinezza, hanno segnato il proprio cammino. Preghiamo per i nostri consacrati e invochiamo la grazia di nuove vocazioni tra i nostri giovani.

Domenica 26 Gennaio 2020   Festa della Sacra Famiglia   A

1. Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio”. Carissimi, l’epifania di Dio nella famiglia, la sua manifestazione, si mostra con le parole di Gesù dodicenne al tempio. Dio abita nella famiglia, se lo sguardo è rivolto verso l’alto, se gli adulti che la guidano, sanno educare a occuparsi delle cose del Padre eterno. La festa liturgica odierna, con quella di domenica prossima 2 febbraio, la presentazione di Gesù bambino al tempio, continuano la gioia del Natale. Gesù si è fatto uomo veramente, cresce come ogni bambino, è educato dai suoi santi genitori, ad andare ogni anno a Gerusalemme per la festa della Pasqua ebraica. Gesù ormai ragazzo, a 12 anni già maggiorenne per l’epoca e la religione, conosce bene il tempio, è un ragazzo che si interroga, ma nel contempo è depositario di un tesoro grande che è la sua identità di uomo vero e Dio vero, tesoro che i suoi genitori non comprendono ancora, perché sarà necessario, soprattutto per Maria seguire questo figlio adulto nel suo ministero pubblico, fino alla croce e risurrezione. Qui il vangelo di Luca mette un anticipo importante: Gesù appena 12enne già è sulla strada di chi ha una relazione da Figlio con Dio Padre. Questo suo discutere tra i maestri del tempio, esperti della Sacra Scrittura e della tradizione ebraica, non è per Gesù un momento in cui presenta i suoi dubbi su Dio, se mai il contrario, è Gesù stesso che chiarisce chi è questo Dio a cui tutti dicono di credere. Infatti l’evangelista commenta: “tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte”. 2. Quali insegnamenti ricaviamo per le nostre famiglie da questo episodio? In un periodo in cui si fa fatica ad educare le giovani generazioni, è venuta meno anche l’educazione alla fede. Qui vediamo invece che questo giovane Gesù, è stato educato dalla sua famiglia e si prende la sua autonomia, anche nel campo religioso. Pensiamo solo all’educazione alla preghiera: quanto è importante che per ciascuno di noi ci sia stato il genitore, il nonno, il catechista che abbia insegnato a pregare. “La preghiera, luogo dove si educa il desiderio di Dio. Il desiderio di Dio è la sorgente del desiderio dell’altro, perché l’altra persona non sia solo la saturazione del nostro bisogno”. Credo che questo desiderio di Dio, apre il cuore e metta ordine nella nostra vita in questo modo: con una educazione alla preghiera, che è un rapporto personale con quel Dio che anche noi dovremmo chiamare come Gesù :“PADRE MIO”. Allora i beni materiali, l’istruzione, la scuola, il lavoro, il divertimento, l’incontro con gli altri, non sono solo ulteriori tappi del nostro bisogno egoista che altrimenti esploderebbe, ma sono addirittura luoghi in cui troviamo Dio.              3.C’è un ultimo aspetto su cui vorrei soffermarmi, stupito anch’io come voi dall’intelligenza di Gesù adolescente e dalle sue risposte: si tratta dell’aspetto culturale nella vita di una famiglia. C’è uno studio sociologico recente in Italia che afferma che : “Nell’epoca della società opulenta e del consumismo, l’enorme ricchezza, materiale e finanziaria, accumulata dalle due generazioni del dopoguerra, ci ha concesso il lusso di abbassare l’asticella della qualità degli studi nella scuola e nell’università. La massificazione dell’istruzione ha avuto come effetto collaterale, forse non previsto e non voluto, l’impoverimento del livello effettivo dell’istruzione ». Alle famiglie è richiesta «una riscoperta dell’alleanza con la scuola e gli ambienti formativi, anche delle nostre comunità cristiane, penso ai nostri oratori. I docenti non sono nostri nemici nella formazione dei figli. Una società che non apprezza i suoi maestri è destinata a un traumatico tramonto». Questo tema dell’alleanza educativa, mostra però un punto debole:” Viviamo una grave difficoltà ad educare : le famiglie, attonite, cercano intorno qualcuno che dia loro una mano nella formazione dei figli. Spesso incontro genitori di adolescenti scoraggiati. Anche la denatalità sembra favorita dalla paura che nasce dal compito educativo, il quale per molti è diventato un’impresa impossibile. Da qui , a mio avviso il moltiplicarsi dei cani al posto dei bambini (guardate i supermercati…!) Occorre stare accanto ai genitori, perché riscoprano la bellezza della casa come luogo degli affetti per crescere e far crescere: diciamo loro che bisogna dare ai figli meno cose e più presenza, più stimoli, incentivi, sostegni, sogni e speranze». Ritorna quanto mai necessario recuperare concludendo, l’icona della COMITIVA di Gesù: “credendolo nella comitiva”…Questo viaggio verso Gerusalemme era fatto insieme, ecco l’alleanza educativa che va insieme verso un’unica direzione. Dobbiamo sforzarci di andare insieme per il bene dei figli, verso la medesima direzione educativa. In questo modo potremo anche ritornare a coniugare i verbi del sacrificio, della fatica, dell’accettazione del limite, della correzione. Invochiamo queste grazie dalla Sacra Famiglia.                                                            

Nota la parte con le virgolette è citazione dell’Omelia di Mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, lo scorso 22 gennaio per la festa di San Gaudenzio.

Domenica 19 Gennaio 2020   II dopo L’EPIFANIA   A

 

1. Non hanno vino”. Carissimi, l’epifania delle nozze di Cana, ci mostra in Gesù, il volto di Dio attento ai bisogni più profondi di ognuno di noi. Sappiamo che la simbolica dell’acqua tramutata in vino buono, l’accenno all’”ORA” della passione, fanno di questo episodio il SEGNO evidente dell’anticipazione del dono totale di Gesù sulla croce, per la salvezza del mondo. Il contesto nuziale, così caro a diversi libri della Sacra Scrittura, dice la relazione d’amore profonda che Cristo desidera instaurare con la sua Chiesa-sposa, con ciascuno di noi. La vittoria sul peccato e sulla morte con la risurrezione, è adombrato in questo miracolo dell’acqua che si trasforma in vino. Del resto, sull’altare ogni volta, con gli occhi della fede, noi assistiamo al medesimo miracolo nel pane che è il corpo e nel vino che è il sangue di Cristo.

2.In questa epifania di Cana, è evidente la presenza di Maria che COMPRENDE cosa sta accadendo, quale piega sta prendendo questo banchetto nuziale. Vorrei riflettere con voi sul COMPRENDERE di Maria per educarci a nostra volta a comprendere. La comprensione profonda di Maria sale al cuore di Dio, che compie il prodigio di vino squisito e abbondante. Ma come comprende Maria la situazione? Cosa vuol dire COMPRENDERE? Vedete, ognuno di noi ha un lato che mostra all’esterno e uno interiore. Comprendere significa riuscire a intuire cosa esprime esternamente una persona quando la guardiamo, cosa nasconde del suo cuore. Comprendere significa non fermarsi alla pura esteriorità di una persona o di un avvenimento. “Comprendere è una attitudine interiore che nasce e cresce a partire dalla capacità di lavorare nel profondo di noi stessi.. Ogni uomo porta in sé un mondo interiore, possiede atti, eventi, stati d’animo che dapprima sono nascosti ma che pio arrivano alla parola, si esprimono in parole, moti del volto, gesti, atteggiamenti, azioni e possono rendersi manifesti”. (Guardini “Virtù”) COMPRENDERE vuol dire allora leggere e percepire ciò che s’intende interiormente da quanto esteriormente si può vedere. Non è facile, ma è importante comprendere. Maria fa esattamente questo a Cana di Galilea. Vede i volti, si interroga, osserva, vede il vino che è terminato e comunica a Gesù questo disagio. Il percorso di Maria è quello della Chiesa nel mondo, è il cammino di ciascuno di noi che vive in famiglia, nella comunità. Saper vedere come Maria che questa mancanza di vino nasconde altro, l’assenza della gioia, l’assenza di Dio nella vita degli sposi. Mi pare che Maria ci chieda di accogliere il disagio prima di giudicarlo. Si, il disagio dell’altro. Solo permettendo all’altro di essere se stesso accogliendolo, solo così è possibile poi farsi la domanda e chiedersi: “ma perché si comporta così, perché non hanno curato il fatto che il vino è finito?”. Comprendere non è dare la colpa a qualcuno e non è neppure lamentarsi. Comprendere è lo sguardo profondo sull’altro, non fermandosi al dato esterno, sensibile, ma andando in profondità.

Permettetemi di concludere con la famosa preghiera di Madre Teresa:

Rendimi capace, Signore, di comprendere e dammi la fede che muove le montagne, ma con l’amore.

Insegnami quell’amore che è sempre paziente e sempre gentile; mai geloso, presuntuoso, egoista o permaloso; l’amore che prova gioia nella verità, sempre pronto a perdonare, a credere, a sperare e a sopportare.

Infine, quando tutte le cose finite si dissolveranno e tutto sarà chiaro, che io possa essere stato il debole ma costante riflesso del tuo amore perfetto.

Domenica 12 Gennaio 2020 BATTESIMO DEL SIGNORE A

1. “Gesù venne da Giovanni per farsi battezzare”. Carissimi, le epifanie di Gesù, continuano e al Giordano Gesù mostra che quel Bambino di Betlemme, è nato per MOSTRARE il vero volto di Dio: un Dio vicino ai peccatori. San Massimo di Torino scrive: “Oggi Cristo viene battezzato nel Giordano. Ma che genere di battesimo è questo, dove colui che viene immerso è più puro della stessa fonte?” Questo commento all’evento del battesimo di Gesù, sottolinea lo stile di Dio nel mostrarsi e avvicinarsi a noi, potremmo proprio parlare del CORAGGIO DI DIO che si manifesta nella scelta di Gesù del farsi battezzare. Gesù non ha timore nell’avvicinarsi all’uomo di sempre carico di peccato. Con la scelta del battesimo di Giovanni, Gesù anticipa la croce. Gesù non è peccatore, eppure si pone infila coi noi peccatori. Possiamo dire che già col battesimo Gesù si addossa la colpa di tutti i peccati dell’uomo di sempre, accettando il destino di una storia di peccato. Si prende sulle spalle le nostre colpe e paga per noi. Questo atto così coraggioso lo porterà a redimerci, a vincere per sempre il peccato e la morte. L’immersione nelle acque del giordano anticipano la sua morte e la sua risurrezione. Gesù è un Dio che, pur conoscendo bene le nostre incoerenze, non smette di amare la sua creatura. Gesù vive da vero uomo nel suo contesto e combatte la battaglia del bene, ma col suo stile che lo porterà al dono della croce e della risurrezione Lui ci dice che ha già vinto questa lotta. Dunque lottare da cristiani per essere coerenti nella nostra vita con accanto il Signore e vivendo il suo Vangelo, è una bella lotta. Ci vuole coraggio per essere cristiani fino in fondo. Però Gesù ci dà l’esempio, soprattutto non si scandalizza del nostro peccato, ma ci invita a fare delle nostre cadute delle occasione di per rialzarci, riimmergendoci nelle acque per purificarci e ripartire e ripartire. L’incontro con Gesù dona il CORAGGIO DI RIPARTIRE SEMPRE: questo è molto importante.

2.Veniamo al nostro battesimo: momento sorgivo epifanico del Signore Gesù nella nostra vita. La giornata di oggi è, al termine del tempo liturgico di Natale, la festa della nostra nascita. Il Battesimo è la nostra Betlemme: in quell’evento soprannaturale, siamo nati come cristiani. In noi c’è il seme della vita eterna di Cristo, siamo figli come Lui è figlio di Dio, membri della Chiesa. E’ iniziata in quel giorno l’avventura della nostra fede. Voi sapete chi è il Cardinale Giovanni Battista Montini, San Paolo VI? Ebbene, tornando al suo paese dove è nato ed è stato battezzato, Concesio in provincia di Brescia, si è recato nella sua chiesa parrocchiale al fonte battesimale dove è nato come cristiano. Allora era arcivescovo di Milano, era il 16 agosto 1959. Disse queste parole:“rendiamo grazie a Dio per il dono grande del battesimo, che ci ha fatto rinascere a vita nuova, ci ha resi figli di Dio, fratelli di Cristo Gesù, templi vivi dello Spirito, membri della santa Chiesa; e nello stesso tempo, con umiltà e fiducia, chiediamo al Signore di vivere ogni giorno in fedeltà e generosità il dono ricevuto. In questa chiesa sono diventato cristiano, qui ho ricevuto la vita spirituale, la vita soprannaturale, qui sono stato fatto figlio di Dio e virtualmente del cielo….Sono diventato cristiano qui, qui sono diventato figlio di Dio, qui ho avuto in dono la fede. Ebbene mi verrebbe voglia di dirvi che cosa io ho fatto di questo dono del Signore. Dovrei fare la confessione di tante debolezze di cui è segnata la vita umana. Non apprezziamo mai abbastanza il dono che il Signore ci fa con il Santo Battesimo. E anch’io sento la responsabilità di avere ricevuto questo dono regale e di non averlo né compreso abbastanza, né abbastanza assecondato. La Chiesa, comunità dei credenti in Cristo, è a sua volta comunità di educatori alla fede attraverso i nostri genitori e le nostre famiglie, pietre vive di questo tempio santo». E continua: «La fede che ho ricevuto in questa chiesa con il sacramento del santo battesimo è stata per me la luce della mia vita… Se ho potuto fare qualche cosa di bene, se mi pare di avere dato una qualche direzione alla mia vita, se qualche insegnamento ho potuto dare ai miei fratelli, a quelli che hanno attinto dal mio ministero parole e gesti, è venuto di là. E rendo davanti a voi testimonianza a questa fede: è la luce della vita». Poi proseguiva il card. Montini:«Che cosa ne avete fatto voi della fede?.. Dico questo perché so, e lo so per esperienza che siamo tutti tentati nella fede. È un momento di oscurità che grava sul mondo. C’è sul mondo una grande tentazione di apostasia, di abbandono della fede, di credere che la fede non serva a niente altro che a perdere il tempo e non abbia nessun valore intrinseco. Siamo tentati». E concludeva con un appello a ringraziare il Signore per il dono della fede. «Non rinunciate al vostro battesimo, dove avete giurato fedeltà a Cristo…La fede è la vita». Facciamo tesoro di queste parole.

Domenica 6 Gennaio 2020 EPIFANIA

 

1. Alcuni Magi da oriente”. Carissimi, al culmine del Natale di Gesù vogliamo specchiarci in questi misteriosi personaggi. “Magoi” dice il testo greco del vangelo di Matteo, una espressione che probabilmente indica i sacerdoti del Zoroastrismo, uomini saggi, astronomi e astrologi, venuti da est, probabilmente dalla Persia, l’Iran attuale. I Magi arrivano da un mondo mitico del passato, ma ancora ben presente nella cultura biblica dell’evangelista Matteo. Erano uomini esperti di stelle e di scienza. E’ bello vedere che alla grotta di Betlemme arrivano persone così, dove un lungo viaggio fisico e intellettuale li ha portati a riconoscere Dio nel Bambino di Betlemme. Questo primo aspetto, il CAMMINO, sottolinea quanto nella nostra vita sia importante la ricerca intellettuale di Dio, la capacità di scrutare certo i segni, in questo caso la stella, ma di interpretarli. La passione per la lettura spirituale, per quella stella luminosa che è la Parola di Dio, possono essere l’applicazione di questo cammino dei Magi. Si apre per noi il capitolo della cultura e della cultura cristiana, stella fondamentale che ci fa mettere le nostre orme sui passi di chi prima di noi ha intrapreso il cammino della fede. Quanto è importante appassionarsi del bello, del vero, del buono che c’è nel mondo. Sono tutte strade che ci possono portare ad adorare insieme Dio, che continua ad incarnarsi nella storia dell’uomo. La scienza stessa, troppe volte ci è stata presentata come nemica della fede. Nel caso dei Magi è stata invece la porta che li ha condotti alla fede, che li ha mossi da lontano per condurli ad adorare il Dio vero, concreto, incarnato nel Bambino di Betlemme.

La STELLA è fondamentale, perché è il segno della specifica attitudine di questi misteriosi pensatori venuti da lontano, che avevano negli astri il libro da consultare quotidianamente. E’ necessario trovare la propria stella che ci riporti ad adorare il vero Dio, quando il nostro ginocchio si piega davanti ad altro, soprattutto davanti all’altare del nostro egoismo. Trovare la stella e aiutare gli altri a trovarla, soprattutto le giovani generazioni. Questa stella non è il Dio della nostra vita, ma ci deve portare a Dio: lo sport, la musica, l’arte e tanto altro. Il vero problema è che l’indizio, la stella che ci fa camminare è spesso confusa con il fine della vita, diventa un idolo, prende spesso il posto di Dio. La Chiesa lungo i secoli ha accolto tutte le stelle, è stata la prima a fare le scuole, gli ospedali, i musei, e tanto altro. Ma ci insegna che tutto quello è solo una stella che brilla e poi si spegne per condurci a credere in Dio, piegando nella gioia il nostri ginocchio davanti al fatto che Lui, Dio, continua ad incarnarsi. Per questo la stella, ricordiamolo, spesso si presenta col grido del fratello e della sorella che soffrono e che diventano la strada per riportarci a Dio. La grande stella della chiamata alla carità, che ci apre e ci fa volare come una farfalla verso l’aiuto a chi soffre, perché lo sappiamo, quel bambino, continua ad incarnarsi oggi nel volto di chi è povero e sofferente, ce lo dirà Lui nel suo Vangelo “lo avete fatto a me”.

2.”Aprirono i loro scrigni e offrirono in dono oro incenso e mirra”. Soffermiamoci concludendo sui doni che, come sappiamo, rappresentano l’identità del bimbo Gesù: oro per la regalità, incenso per la divinità, mirra per quel corpo che nella Pasqua sarebbe stato unto morto, in attesa della risurrezione. Ci sono dunque dei doni che fanno risplendere l’identità di Dio. Sappiamo che ogni dono è ambivalente, può essere fatto per interesse, per un contraccambio oppure esprime totale gratuità. E’ questo secondo aspetto che caratterizza i doni dei magi al Santo Bambino. E’ certo che solo un dono fatto con completo disinteresse, ci fa vivere in Dio, con Dio, per Dio. Lui per primo con noi agisce così, a partire dal dono della vita e dal fatto che fa sorgere il sole “sui buoni e sui cattivi”.

Cari fratelli e sorelle, ricomincia da domani il cammino ordinario con la scuola, il lavoro, i ritmi normali delle famiglie, le preoccupazioni, i sogni e le aspettative. Non smettiamo di seguire il cammino di ricerca del Signore, e non abbiamo paura di seguire la logica del dono gratuito: solo così anche noi, potremo provare quella “grandissima gioia” che i Magi provarono alla grotta di Betlemme.

Domenica 5 Gennaio 2020 DOPO L’OTTAVA del S.NATALE

 

1. Lo Spirito del Signore è sopra di me””. Carissimi, nella sinagoga di Nazareth, Gesù già adulto, legge il profeta Isaia e tiene una brevissima omelia. Attribuisce a sé l’oracolo messianico del profeta. Letto nel tempo di Natale, questo brano vuole aiutarci a recepire il compito umano di Gesù che è la Sapienza in personificata, descritta dal libro del Siracide, che riceve l’ordine dall’Altissimo di fissare “la tenda in Giacobbe e prendere in eredità Israele”. Nella scorsa domenica abbiamo riflettuto sulla divinità del Bambino di Betlemme, che è il “Logos”, il Verbo fatto carne, che esiste come Dio dal principio. Abbiamo sottolineato come la cancellazione oggi della sua divinità, lo rende un uomo ammirabile, esemplare, ma non certo Salvatore. Se non si professa la divinità del Verbo, si cancella il fatto, lo scopo salvifico della sua venuta. Solo l’uomo ingenuo, crede di poter padroneggiare il male che insidia il mondo. Soprattutto la risposta alla vittoria sul peccato e sulla morte, ce la può dare solo un Salvatore, Dio che ci raggiunge.

2.Ma l’umanità del Verbo? La sua carne? Che posto ha nel cammino della fede la carne di Cristo. Il termine “Carne” è usato da San Giovanni nel suo prologo e da Paolo nell’epistola ai Romani che abbiamo ascoltato. I due autori danno due connotazioni diverse al termine “SARX” in greco. Giovanni lo usa per dichiarare la grandezza dell’amore di Dio, che per amore dell’uomo, per salvarlo dal peccato e dalla morte, si fa “carne”. Qui carne significa fragilità, cioè il fatto di essere umani e di sperimentarne il limite circoscritto di un corpo. Cristo assume questa carne fragile in modo totale, tranne il peccato, con tutti i suoi bisogni e i suoi limiti, fino a subire la morte, perché ciascuno di noi a sua volta, fatto di fragile carne, possa sentire e sperimentare la vicinanza di Dio nell’ora della fragilità umana. Per Giovanni “il Verbo si è fatto carne” significa che Dio in Cristo si è fatto piccolo, bisognoso di tutto, fragile, vulnerabile, ma anche raggiungibile, amabile nel corpo di un bimbo che diventa uomo. Di contro invece, l’apostolo Paolo parla di “carne” in senso negativo, intendendo la carne che tende al peccato, agli istinti bassi, all’egoismo e edonismo. Questa carne Cristo è venuto a redimere, consegnandoci lo Spirito. Ecco allora il richiamo e l’attribuzione a sé del passo di Isaia nella Sinagoga di Nazareth, dove Gesù è portatore dello Spirito che dà una direzione alta alla carne, che da sola, come dice l’Apostolo, “non giova a nulla”. Comprendiamo a questo punto il richiamo dell’Apostolo Paolo: “quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio”. Allora il Natale di Cristo ci aiuta a dare un senso a quel fatto fondamentale che è quello, non tanto di avere, ma di essere un corpo. La Chiesa per troppo tempo ha portato avanti un dualismo platonico tra corpo e spirito, un manicheismo tra una parte buona, lo spirito, e una negativa che è il corpo. Questo ha portato a vedere sempre come peccato la sessualità e il suo esercizio e ha formato persone a volte poco libere, perché cresciute come in doppi ambienti, uno molto basso: il corpo e la corporeità e uno troppo alto lo spirito e le altezze spirituali irraggiungibili. L’unità del Figlio di Dio in un corpo abitato dallo Spirito, aiuta tutti noi credenti a creare unità in noi. Non c’è corporeità senza un progetto spirituale e viceversa è finita la spiritualità di chi vive senza un coinvolgimento del corpo col mondo degli affetti. Questo equilibrio rafforza ad esempio in ogni vocazione sia alla vita consacrata che a quella matrimoniale, l’impegno della castità intesa come capacità di lasciar guidare il corpo dagli ideali dello Spirito ed educarsi al rispetto di sé e degli altri che sono, come noi per noi stessi, autentici santuari della divina presenza. La Chiesa alla luce dell’incarnazione del Figlio di Dio nel Natale, ancora propone ai giovani che si preparano al matrimonio la capacità di astenersi dai rapporti carnali alla luce del progetto spirituale di Dio sulla coppia, che si attua nel sacramento del matrimonio che fa dei due “una carne sola”. Un corpo che assume la connotazione interiore e fisica dello Spirito divino: questo accade nel corpo santo di Gesù. Questo siamo chiamati nella vita a diventare anche noi, pur con tante ma tante fragilità e peccati.

Domenica 29 Dicembre 2019 Nell’OTTAVA del S.NATALE

 

1. Il Verbo si è fatto carne…il Verbo era Dio”. Carissimi, la gioia del Natale continua nella contemplazione del Bambino Gesù che da sempre è Dio con il Padre e lo Spirito Santo. La meditazione di San Giovanni arriva alle altezze e alle profondità del Mistero di Cristo. Lo scandalo della grotta di Betlemme è che davanti a quel Bambino, tutti coloro che lo visitano, si pongono in ginocchio. Nella sua piccola carne adorano Dio:questo è lo scandalo: tutto Dio in un cucciolo d’uomo! Quel Bambino è il “Verbo che si fa carne”. Nel libro della Sapienza, che gli studiosi dàtano vicino alla nascita di Cristo, 120-80 a.C., la Sapienza impersonificata parla e pare riecheggiare l’espressione dell’Apostolo Paolo ai Colossesi, quando afferma che Cristo Gesù “il figlio dell’amore del Padre”, attraverso Lui “furono create tutte le cose”. Siamo davanti alla contemplazione della sua divinità. Giovanni la presenta in modo filosofico, i vangeli dell’infanzia di Luca e Matteo in modo pratico. Il Verbo di Dio che si fa carne nel grembo di Maria, rimane Dio, non perde nulla della sua divinità ed è insieme uomo completo. E’ fondamentale questa fede nella divinità del Verbo, perché lo riveste del compito salvifico, ci aiuta a comprendere lo scopo della sua venuta. Perché il Verbo si è fatto carne? Perché conserva la sua divinità? Lo sappiamo: perché in questo modo, con un corpo, può incamminarsi sulla strada della Pasqua e con quell’atto redentivo salvare l’umanità dal peccato e dalla morte.

2.Dobbiamo riflettere sul fatto che il Verbo venuto fra i suoi e nel mondo “non è stato accolto”. Questo mistero di chi è al buio e vuole restare nel buio, mostra la realtà del male che sopraffà l’uomo di sempre. Certo la non accoglienza è frutto della libertà dell’uomo, ma è altrettanto chiaro che il potere del male sovrasta l’uomo, lo autodistrugge e l’uomo da solo non ce la fa. Il male e il suo potere, necessita di un intervento trascendente. Ognuno di noi deve rendersi conto di questo potere del male, di Satana e della convinzione che per vincerlo non basta la volontà ma ci vuole la Grazia di Cristo. (qui vorrei fare una parentesi sulle Confessioni e le situazioni che sono ritenute irreversibili: liti tra fratelli, tradimenti coniugali, peccati che sono diventati vizi….La volontà più importante non è il proposito, ma la Grazia di Cristo, il cammino spirituale, l’incontro con Cristo nei sacramenti, nella Parola, con una assidua preghiera) Ci si deve affidare al potere della Grazia, che scaturisce dalla venuta fra noi di Gesù Cristo, uomo e Dio, per potersi salvare. L’incarnazione dice che Lui c’è come Dio fra noi, ed è vivo, proprio perché è Dio. La necessità di questo intervento trascendente per sconfiggere il male, è il cuore dell’affermare la divinità del Verbo. “Il Verbo si fa carne” per questo!

3.Attenzione perché la negazione della divinità, annienta il fatto salvifico di Cristo, lo riduce a un mero modello umano da imitare. Qui cito il famoso testo del Cardinale Biffi che commenta l’opera “Il raccolto dell’anticristo” del teologo russo Solov’ëv (SOLOVIOV 1853-1900). In questo testo comprendiamo che non è così scontata l’attribuzione salvifica al Bambino di Betlemme, e cosa avviene quando a Gesù è negata la divinità. «Verranno giorni – dice Solov’ëv, e anzi sono già venuti, diciamo noi -, che il cristianesimo sarà ridotto a pura azione umanitaria, nei vari campi dell’assistenza, della solidarietà, del filantropismo, della cultura. Il messaggio evangelico identificato nell’impegno al dialogo tra i popoli e le religioni, nella ricerca del benessere e del progresso, nell’esortazione a rispettare la natura». Ma se il cristiano, per amore di apertura al mondo e di buon vicinato con tutti, quasi senza avvedersene, stempera sostanzialmente il Fatto salvifico nella esaltazione e nel conseguimento di questi traguardi secondari, allora egli si preclude la connessione personale con il Figlio di Dio, crocifisso e risorto, consuma a poco a poco il peccato di apostasia e si ritrova, alla fine, dalla parte dell’Anticristo”.

4.Allora ci rendiamo conto che il regalo che noi possiamo fare al mondo e al male del mondo è Il “Verbo che si fa carne per noi”. E’ questo avvenimento, che è la persona del Verbo vivo e vitale che è Dio, che può ancora salvare il mondo.

Mercoledì 25 Dicembre 2019 S.NATALE Melegnano

 

1. Il Figlio eterno ineffabile di Dio, Dio nostro egli stesso, vinto da tenero amore, scese nel mondo, per ritrovare la sua creatura smarrita e in modo sapiente e divino, da Dio qual era, si mise alla sua ricerca”. Carissimi, è Natale, il Natale del nostro Salvatore Gesù Cristo. Le parole dell’innografo bizantino Romano il Melode, del VI secolo, ci comunicano la sintesi della Parola di Dio che si fa carne. “Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale”, così profeticamente il libro della Sapienza ha intuito. Noi siamo qui in questo mistero che si avvera, e con Maria e Giuseppe e tutti coloro che vanno alla grotta di Betlemme viviamo suo svelamento nel S.Bambino che è venuto a cercarci. Oggi noi riviviamo questo: Dio in Gesù, il Figlio fatto uomo, ci viene a cercare nel silenzio della notte, nel nascondimento di Betlemme, nelle situazioni in cui non ci accorgiamo, Lui c’è. Consideriamo la bellezza di poter celebrare nel Natale questo fatto quotidiano nel mistero dell’incarnazione della nostra vita, di quella di tutti coloro che, vicini o lontani, noi incontriamo. Pensiamo a questa incarnazione di Dio che continua, nel farsi corpo per noi del Signore Gesù nell’Eucarestia. NATALE: DIO VIENE A CERCARCI NEL SILENZIO DELLE NOSTRE NOTTI INTERIORI. Scrive il Beato Isacco della Stella, siamo nell’anno 1100: “ Cristo rimane nove mesi nel seno di Maria, rimarrà nel tabernacolo della fede della Chiesa fino alla consumazione dei secoli; e nella conoscenza e nell’amore dell’anima fedele, per i secoli dei secoli”. Siamo dunque invitatati al Natale interiore, che si prolunga nella personale ricerca del Signore Gesù in tutti i giorni del nostro anno e della nostra vita. Sappiamo in questo di non essere soli, abbiamo la famiglia di Gesù che è la Chiesa a cui apparteniamo che, con la pedagogia fondamentale dell’anno liturgico, ci dà la possibilità di rendere concreto questo incontro, non da soli ma insieme.

2.”A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (“Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”).Dio si fa uomo e se diventa come noi, uguale a noi, significa che il peccato non è irreparabile per Dio. Quella creazione che, come scrive la Genesi era “cosa buona”, con l’uomo creato diventa per Dio “cosa molto buona”. L’umano, la creatura umana, assume alla luce del Natale una dignità divina. Concretamente chi accoglie Gesù nel Natale diventa un propagatore della grandezza dell’umano, di ogni uomo. Non c’è posto per il razzismo, l’antisemitismo e qualsiasi discriminazione nei confronti degli altri per chi celebra il Natale. Chi celebra l’umanità di Dio, dice chiaramente che ogni creatura umana è luogo dove Dio mostra la sua divinità. Nasce un compito importante per noi alla grotta di Betlemme, ed è quello di essere gli apostoli della dignità di ogni uomo, del rispetto di ciascuno, perché è troppo grande questo evento di Dio che per farsi conoscere agli uomini diventa come uno di loro, piccolo, bisognoso di tutto, ma vero uomo. Tutto questo ci fa ritornare nel quotidiano, in quell’esercizio interiore che troviamo esplicitato negli incontri che Gesù fa nel vangelo. Gesù riconosce dignità a tutti, anche quando ha accanto pubblici peccatori o persone da tutti disprezzate. Gesù disprezza i comportamenti negativi, ma ama sempre la persona. Il Natale si prolunga così anche per noi, nella incarnazione del divino nell’umano, cioè nel riconoscere in tutti l’impronta del Figlio di Dio che incarnandosi riempie di sé tutte le creature umane. ”Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui”, scrive l’apostolo. (Col 1,16)

In questa sosta di preghiera che ci porterà a questa mangiatoia che è il Santo altare, gustiamo l’incontro con Cristo Gesù vivo e presente nel sacramento e riviviamo i sentimenti di Maria, di Giuseppe dei pastori quel giorno alla grotta di Betlemme.

Domenica 22 Dicembre 2019   VI DI AVVENTO   A

DIVINA MATERNITA’ DI MARIA. DOMENICA DELL’INCARNAZIONE

 

1. Rallegrati popolo santo; viene il tuo Salvatore” Carissimi, il versetto del salmo dice l’animo della Chiesa che, come Maria, attende la nascita del Salvatore. Tutte le letture trasudano di gioia. Anche la profezia di Isaia prefigura questa venuta: “e tu sarai chiamata ricercata, città non abbandonata”. Questo siamo noi agli occhi del Signore, così il Signore stesso attende di incontrarci, per colmare la nostra solitudine, per dirci che ci cerca, non ci ha abbandonato. Però questa profezia già parla di “veste rossa” e di “abiti come quelli di chi pigia il tino”. Così, di questo colore è rivestito il Salvatore. Lo sguardo è rivolto, nella rilettura cristiana, alla passione: il Salvatore che viene, dona per noi la sua vita. Questo è lo scopo del suo venire al mondo: salvarci dal peccato e dalla morte. Non scordiamo questo profondo significato nella poesia del Natale! Allora la gioia deve essere nell’animo di tutti: “viene il Salvatore”. L’epistola di Paolo ai Filippesi è tutto un inno alla gioia: “Siate lieti nel Signore ve lo ripeto siate lieti…Non angustiatevi per nulla”. Abbiamo bisogno di sentire parole così, e le sentiamo da un apostolo che si trova in carcere a causa del Signore Gesù. Le sue parole, ispirate da Dio, oggi ci raggiungono in qualsiasi condizione ci troviamo.

2.”Rallegrati piena di Grazia”. Ma è Maria che oggi ci prende per mano e guida tutta la Chiesa in questa gioiosa attesa. Ci immergiamo nella sua chiamata ad essere la madre del Salvatore. Con stupore accogliamo il brano evangelico di Luca e lo ascoltiamo come se fosse la prima volta. Maria era già promessa sposa di Giuseppe. Il matrimonio ebraico comprendeva la firma del contratto tra le due famiglie prima del matrimonio vero e proprio e la coabitazione. Pensiamo allo sconvolgimento della vita di Maria. Questa ragazza di 14 15 anni che è stata educata all’ascolto della Parola, alla meditazione e all’ubbidienza ad essa. Si sente dire: “rallegrati”, sii contenta perché sei “piena di grazia”. Questo verbo “kekaritomene”, è un passivo teologico cioè esprime un azione passata che continua nel presente. “Sei stata e sei amata da sempre da Dio Padre”. Questo è il punto della gioia, questo è il dono del Natale del Salvatore per la Chiesa e per il mondo. E’ questa l’esperienza che è il motore del nostro esistere come credenti. Il Figlio di Dio, nascendo da Maria, estende su tutti questa grazia. Maria diventa Madre perché accoglie questa grazia! L’amore eterno di Dio manifestato in Maria, è il fondamento non solo della gioia, ma dell’universo intero. Allora domandiamoci a pochi giorni dal Natale: dov’è finita la gioia nella nostra vita? E’ un abito interiore che nasce dalla fede o è solo legata ai fatti belli della vita? San Giovanni nella sua prima lettera dice ai cristiani “noi abbiamo conosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4,16). Ecco: Maria diventa madre per questo, e continua ad esserlo perché ha creduto o ora vede l’amore che Dio ha per noi. E l’amore che Dio ha per noi è “il frutto benedetto del “ suo “seno”: Gesù Cristo il nostro Salvatore!

3.”Ecco sono la serva del Signore”. Maria esprime così la sua maternità, con lo stesso stile di Dio che si fa servo dell’uomo, diventando come lui. L’amore a cui Maria ha creduto, non è un sentimento emotivo momentaneo, ma è la donazione di tutta se stessa al Signore che è quel bimbo. Il servizio è il modo autentico di amare che Maria ci insegna, anche con la sua scelta di andare dalla cugina Elisabetta. Lo spirito di servizio in famiglia, nella comunità in ogni ambiente, è quello che contraddistingue il cristiano. Mi permetto di sottolineare che Maria è madre-serva del Signore e della Chiesa con GIOIA. “Dio ama chi dona con gioia” (2Cor 9,7). Viviamo con questo stile i momenti natalizi, i raduni di famiglia, ricuciamo nell’umile servizio, gli strappi della vita tra parenti e amici. Il Natale è alle porte: come scrive Sant’Ambrogio nel “commento al vangelo di Luca”: “Sia in noi l’animo di Maria, sia in noi lo spirito di Maria a esultare in Dio”

Domenica 15 Dicembre 2019 V di AVVENTO A

 

1.San Paolo VI spesso diceva: “QUESTA CHIESA che continuamente cerca il suo Cristo”. Mi pare felice questa espressione, per introdurci nel quinto passo di Avvento verso il S.Natale, nella domenica detta del “PRECURSORE”. Giovanni Battista è il modello di questa ricerca per tutta la Chiesa e ci invita a volgere lo sguardo verso Colui che viene. Egli nel testo del Vangelo di Giovanni per riferirsi a Gesù, usa due parole : “EGLI è AVANTI A ME ed E’ PRIMA DI ME”. Se ci riflettiamo qui c’è il tutto dell’esperienza della fede e dunque della vita cristiana. La coscienza anzitutto che abbiamo bisogno di una guida che ci sta davanti: Cristo la guida della nostra vita. Le sue parole sono, per usare l’espressione del salmo “lampada per i nostri passi”…Oggi l’uomo contemporaneo sente ancora il bisogno della guida di Cristo e del suo Vangelo? Ma anche il secondo aspetto è importante Gesù è PRIMA DI NOI. Questo aspetto, che allude alla sua divinità, ci aiuta a prendere coscienza della nostra finitudine, ma ancor più del dono che ci precede che è Lui, segno del Mistero del Dio Amore per mezzo del quale “sono state fatte tutte le cose”. Noi ci accorgiamo che non è possibile accogliere il Natale di Cristo se manca questa coscienza del dono che ci precede, e questo dono è la vita, la fede ricevuta e tanto altro che è frutto semplicemente di un Amore con la “A” maiuscola, che ci precede e ci guida. Giovanni Battista allora è un riferimento per noi, perché vivendo queste due dimensioni, ci indica in Gesù il volto vero di Dio…”Dio nessuno lo ha mai visto è il Figlio unigenito, è lui che lo ha rivelato”…Ci vuole Giovanni che ce lo indichi. Ed ecco una situazione che può essere la nostra, che ci mette nella condizione di non darci troppa importanza, perché importante è un Altro. Uno stile come quello del Battista, ci invita all’autenticità e all’umiltà di chi non cade nella trappole dell’apparenza e del successo falso, ma toglie la maschera, perché è solo Lui, Gesù, la sorgente di ogni bene…”Non era lui la luce ma doveva rendere testimonianza alla Luce”. Guardate, non è facile ammettere di non brillare di luce propria, non è facile essere autentici, è più semplice mettere la maschera dei supereroi, non riconoscendo i propri limiti, dicendo pure di aver sbagliato. “Io non sono la luce ma voglio dirvi chi è la luce .” Ci dice Giovanni Battista. Vedete questo è il Mistero del Natale che si avvicina…Una festa dove noi siamo solo dei testimoni di qualcun altro…

  1. Testimoni per chi? Certo non solo per noi stessi, ma per chi ci sta attorno…Qui c’è da preparare un Natale veramente cristiano, per noi e per i nostri cari, magari anche per qualche collega di lavoro. Noi siamo abituati a pensare alla fede come a un fatto privato tra la nostra coscienza e Dio, poi abbiamo molti “rispetto umano” che si traduce in vergogna di dare dei segni agli altri della nostra fede. Penso in questo momento al dono del sacramento della Confessione per il S.Natale come occasione concreta per ciascuno di noi, ma non solo per noi ma anche per altri. Forse, se non lo ricordiamo noi ai figli, ai nipoti, loro non ci pensano che il Natale cristiano è l’incontro sacramentale con Cristo. Nello stesso tempo, noi stessi come possiamo essere testimoni del Signore se prima non ci accostiamo a Lui con gioiosa coscienza? Ora mi diceva una Signora più che novantenne che si è voluta confessare quando sono andato a benedire a casa sua, che per lei il Natale era quel giorno, il resto è tutta esteriorità, ma la sostanza è che “mi sono confessata”. Ecco allora chiediamo al Signore di preparaci bene al suo Natale, volgendo lo sguardo verso di Lui e domandiamoci in questa settimana, a poche giornate dal S.Natale: “Come posso testimoniare la Luce che è Cristo? In che modo concreto? In quale ambiente? Con quali persone? Con quali gesti ?”

 

 

Domenica 8 Dicembre ore 10,15 e lunedì 9 dicembre 2019 ore 8,30 e ore 18,00.   IMMACOLATA CONCEZIONE

 

1.”Con l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e stabiliamo che è stata rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale; pertanto, questa dottrina dev’essere oggetto di fede certa ed immutabile per tutti i fedeli”. Così scrisse il Beato PIO IX l’8 dicembre 1854 nella costituzione apostolica “Ineffabilis Deus”. Noi intuiamo che il saluto dell’angelo a Maria “piena di grazia”, ha fatto compiere alla Chiesa un lungo cammino. Già in quel saluto era contenuto ciò che Dio Padre, per mezzo di Cristo nello Spirito Santo, ha compiuto in Maria. La Chiesa ha sempre creduto che Maria non poteva essere sporcata dal peccato di Adamo, in ragione della chiamata ad essere la Madre del Salvatore del mondo: Gesù Cristo. Quella umanità sognata da Dio prima del peccato di origine, è visibile in Maria.

2.”Santi e immacolati al suo cospetto nella carità” l ‘Apostolo che ci invita ad accogliere questa chiamata di Dio, ci aiuta a declinare nell’oggi questa contemplazione della purezza immacolata di Maria. Il contesto culturale in cui viviamo e i dati statistici, non fanno emergere certo una bella umanità. Siamo dentro una cultura pessimista, diffidente gli uni degli altri, collocati in contesti in cui si scarica spesso la propria responsabilità sugli altri, invocando un salvatore solo per i bisogni immediati. La solennità di Maria Immacolata va verso il segno opposto, perché ci porta a contemplare la bellezza dell’uomo che si fida completamente di Dio e scommette su un modello: Gesù Cristo. Cristo “il frutto del grembo verginale di Maria” è l’uomo nuovo, perché ci consegna una vita nell’amore, nel dono di noi stessi agli altri. Sono altre le ricchezze che Cristo ci propone. Maria è redenta in anticipo dalla Pasqua del suo Figlio, e vive degli ideali evangelici. La bellezza di una umanità trasparente, pura, casta è la nostalgia e l’ideale che oggi la Chiesa con Maria, vuol far risorgere in ciascuno di noi.

3.Allora osserviamo la vita di Maria e il suo posto oggi nella Chiesa. Questa Madre Immacolata, non ci è donata solo come Colei che intercede per noi. Non è una sorta di dea o di oracolo da consultare, nei momenti in cui tutto si sgretola e va male. “Ti seguiamo Maria Immacolata, attratti dalla tua santità”. Così recita un antifona liturgica. Infatti è questo lo scopo, l’obiettivo di ogni devozione mariana: non fermarsi all’emotività del momento, del singolo santuario, dove magari Maria è apparsa. Occorre in realtà avere un rapporto personale con Maria, per imitarla, in particolare imitarne la fede, la disponibilità, la forza nell’ora della croce e l’operosità al servizio di tutta la Chiesa. Vorrei citare per conclude un autore del XVIII secolo, che è uno degli scrittori cattolici che ha più influenzato la pietà mariana anche del nostro tempo, mi riferisco a San Luigi Grignon de Monfort. Mi riferisco al testo fondamentale che è il “Trattato della vera devozione a Maria”. Il santo papa Giovanni Paolo II, ad esempio, ha attinto tutta la sua pietà mariana da questo santo. Questo autore dice che ogni cristiano deve far vivere Maria in se stesso e propone la famosa consacrazione a Maria. San Luigi scrive: “Si progredisce più in poco tempo di sottomissione e dipendenza da Maria, che durante anni interi di iniziative personali, appoggiati soltanto su se stessi”. Questo incontro con Maria Immacolata, contribuisca per ciascuno di noi, a un passo concreto verso di LEI, perché la sua bellezza, la sua santità non solo ci commuova, ma ci spinga a imitarla.

Domenica 8 Dicembre 2019 IV di AVVENTO

1.L’INGRESSO DEL MESSIA. Vi sarete accorti che il Vangelo che abbiamo ascoltato, è il medesimo della domenica delle Palme. Gesù come Messia, entra festoso a Gerusalemme, la città santa. E’ una caratteristica tutta ambrosiana di recuperare questo ingresso come AVVENTO di Cristo nella città degli uomini, nella Gerusalemme che è il nostro mondo interiore, e il momento storico che stiamo vivendo.

La presenza di Cristo è una consolazione . Così inizia l’oracolo di Isaia rivolto al popolo da parte di Dio, un popolo in diaspora, in esilio. La presenza di Cristo è concreta: “un corpo mi hai preparato”, la lettera agli Ebrei ci comunica già la concretezza dell’incarnazione nell’atto di ubbidienza di Gesù al Padre. “Entrando nel mondo” con un corpo, Cristo dice “ECCO IO VENGO PER FARE O DIO LA TUA VOLONTA’”. Ecco, siamo davanti al Si di Gesù, al suo Eccomi, al suo bussare alla nostra porta nel Natale imminente. La sua presenza è indispensabile nell’accompagnare il nostro cammino, nel rivestire della sua carne la nostra carne. Tra poco faremo la S. Comunione : ecco, il suo corpo che ancora una volta ci ha preparato, è questo il suo ingresso in quella Gerusalemme interiore che è la stanza segreta dei nostri pensieri, del nostro cuore a volte inquieto e malato di egoismo. Egli entra nell’oggi di questa storia, non si tiene per sé, ma entra in questo oggi. Noi tutti abbiamo la tentazione di ritirarci nel privato, nel chiudere non solo i cancelli di casa per timore di ladri e malfattori, ma anche di chiuderci agli altri, soprattutto a chi ha bisogno. L’entrare di Gesù, del Messia, corrisponda a un nostro entrare nelle situazioni da credenti, da cristiani…Quanto entriamo da cristiani nei luoghi di lavoro, nelle banche, nei progetti educativi dei figli, nella scuola, nel mondo sportivo, negli ospedali…Cristo entra…e i cristiani o entrano nella città di oggi o stanno fuori o peggio si chiudono nel ghetto? E’ proprio vero che la Chiesa o è missionaria o non è chiesa…e questo ingresso di Gesù è un grande atto missionario, Egli si propone, non si impone…I cristiani allora sono delle persone appassionate delle vicende del proprio tempo, capaci di riempire della presenza di Cristo la realtà in cui vivono…Gesù insomma lo fanno entrare dappertutto.

2.Ma c’è uno stile da salvaguardare. La cavalcatura di Gesù in questo ingresso è “un asina e un puledro”…E’ un ingresso non trionfale ma umile, mite. Ecco lo stile dell’ingresso di Cristo. Scrive l’Apocalisse:  “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. (Ap 3,20).Questo stile ci deve contraddistinguere: non imporre ma proporre. Richiamiamo papa Benedetto XVI che diceva spesso che la Chiesa si diffonde non per proselitismo, ma per attrazione. E’ lo stile di Cristo che con delicatezza incrocia le nostre strade e ci attira a sé…Dovrebbe essere il nostro stile nell’entrare nella vita degli altri, penso all’educazione dei figli…Come fare per educare ai valori importanti, proponendoli ai figli con forza ma anche educando la loro libertà a scegliere i valori positivi perché hanno capito che sono valori? Ecco lo stile paziente di chi non cade né nel lassismo neppure nel rigorismo dei NO perentori…Entrare nella vita degli altri non da padroni! (è aberrante e diabolico ciò che accade quando si pretende di sopprimere la vita di un nascituro o si propaganda la possibilità di eutanasia come scelta di libertà…)…Come entrare nella vita degli altri? Rendiamoci conto che ogni giorno noi con una parola, con un gesto, con un omissione entriamo, incidiamo nella vita degli altri…Chiediamo al Signore di entrare come Lui, nella verità, con carità, con mitezza e umiltà. Termino con uno sguardo a Maria, che festeggiamo Immacolata oggi e domani. Chi più di lei ha fatto entrare il Cristo, il Messia Salvatore nella sua vita? Chiediamo a lei di gustare questa settimana con una assidua preghiera, il particolare il S.Rosario, una appartenenza a Gesù più piena. Oggi (ieri) 7 dicembre, festeggiamo S.Ambrogio, il nostro massimo patrono, il padre da cui prende il nome la nostra veneranda Chiesa…Così Egli parla di Gesù: “ Cristo è tutto per noi. Se vuoi curare una ferita, egli è medico; se sei riarso dalla febbre, egli è la fonte; se sei oppresso dall’iniquità, egli è giustizia; se hai bisogno di aiuto, egli è la forza; se temi la morte, egli è la vita; se desideri il cielo, egli è la via; se fuggi le tenebre, egli è la luce; se cerchi cibo, egli è l’alimento. Cristo è tutto per noi”. (De Virginitate 99)

Domenica 1 Dicembre 2019   III DI AVVENTO     anno A

Le profezie adempiute. Questa è la cifra con cui compiamo il terzo passo d’Avvento verso il S.Natale del Signore. Dio è fedele, ciò che promette realizza, non si ferma alle nostre infedeltà, ma abbiamo imparato che la sua misericordia accolta da noi, ci rilancia verso nuove possibilità. Gesù è la profezia adempiuta di Dio Padre, che ci viene donato attraverso la potente azione dello Spirito Santo anche in questa celebrazione. Ma chi è il profeta? Sappiamo, è colui che parla a nome di Dio, ha uno sguardo, una mente penetrante, che sa vedere oltre, che sa osare la speranza di Dio nel bui della notte interiore e del mondo. Impariamo da Gesù a recuperare anche la nostra missione profetica, che ci è data per la somiglianza a Lui nel Battesimo. Nel vangelo ascoltato, c’è un dialogo a distanza tra Giovanni Battista ormai in carcere, attraverso i suoi discepoli e Gesù . “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?” Qui notiamo che nella risposta ci viene detto indirettamente chi è il profeta, cioè colui che è segno della fedeltà, delle promesse di Dio adempiute. Riferite a Giovanni “ i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano…”. Dunque Gesù è modello del profeta perché Egli fa quello che dice…Questi sono i segni che i profeti dell’antico testamento riconoscevano per sapere chi era il Messia. Gesù li realizza perché è completamente sbilanciato verso i poveri….Dunque la coerenza tra il parlare e il fare…In realtà negli ambienti di lavoro, nei luoghi sociali e nella Chiesa stessa, coloro che sono più cercati, e segretamente ammirati, sono le persone coerenti, che vivono quello che dicono. Si chiede più volentieri un consiglio a loro sulle scelte da fare o un parere su un problema, perché si sa che quando parlano hanno una coerenza di vita che parla più delle parole. Oggi dunque siamo chiamati a una profezia della coerenza. Per un cristiano, imitare il Maestro, significa osare, aprire quando tutti chiudono, certo non essere imprudenti, ma aprire ponti e non alzare muri, come spesso dice il papa.

2.In secondo luogo impariamo da Giovanni Battista. Gesù lo elogia tanto. “Cosa siete andati a vedere nel deserto?”. Con questa domanda Gesù ammira la profezia del suo Precursore, perché sa porre dei segni che affermano la sua identità e la sua missione senza le parole. Ancora il profeta è colui che sa mettere davanti agli occhi degli altri dei segni che parlano di Dio. Giovanni non ha morbide vesti, ma è un profeta….Non ha peli sulla lingua, paga di persona con la vita per aver detto la verità sul matrimonio anche a Erode e tanto altro…Profeta nelle parole e nelle scelte del proprio stile di vita! Giovanni è un messaggio anche per chi non lo ascolta. Vorrei fare una applicazione ai genitori dei figli adolescenti. E’ noto come il problema dell’uso e abuso di alcol si abbassa sempre più alla prima e seconda media nelle loro feste. Mi capita ogni tanto di sentire la cronache delle loro feste di compleanno, dove girano anche piccole dosi di superalcolici e spesso qualche adolescente deve essere ricoverato per coma etilico…Non c’è festa dove non ci si ubriachi. Un ragazzo cristiano può fare festa, ma è profeta se accetta di essere se stesso, limitato, creatura semplice, magari con un carattere timido, ma si accetta così. Un genitore cosa può fare? Non basta dire “non bere, stai attendo..” Ci vuole di più, è un complesso di atti educativi che partono da lontano dove la coppia genitoriale fin dall’infanzia con l’esempio, deve comunicare cosa vuol dire fare festa e andare contro corrente coalizzandosi con altre famiglie, nel guidare questi ragazzi ed educarli a fare festa, mettendo al centro la persona. Certe feste di compleanno eccessive anche dei bambini dell’asilo, preparano lo sballo di quando saranno adolescenti, perché la logica è il chiedere sempre di più, sempre di più…Termino…Dio adempie le sue promesse, la compagnia di Gesù è la nostra bussola. In questa settimana nella preghiera personale lasciamoci guardare da Gesù e diciamogli “Signore finché lo sguardo e le scelte degli altri influenzerà così tanto la mia vita e le mie scelte, io non potrò mai dire che Tu hai un posto importante nella mia vita”

Domenica 24 Novembre 2019 II AVVENTO A

 

1.“I figli del Regno”: questa è la cifra del secondo passo di Avvento. Chi accoglie Gesù nella sua vita, diventa FIGLIO DEL REGNO. Lo è già per il Battesimo, ma lo diventa con gli atti, coi gesti, con l’operosità. La passione per il progetto del REGNO di Dio, ci fa attenti costruttori di relazioni simili a quelle di Gesù, appassionati delle vicende del nostro tempo, capaci di un AVVENTO del Signore nei mondi in cui viviamo. Dipende anche da noi la costruzione di questo Regno di Dio sulla terra.. L’ EPISTOLA di Paolo ai Romani ce ne dà le caratteristiche. Il centro sta nell’espressione: “Il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù” e ancora “Ciascuno cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo” “Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi…”. Dunque è chiaro: l’AVVENTO di Gesù ci aiuta ad andare al profondo della nostra identità, per scoprire che in noi abita il Signore…In un mondo dove il male viene amplificato, dove spesso i nostri giovani sono attratti da esempi negativi, penso in questo momento al dilagare della droga anche da noi, in questo contesto siamo chiamati a farci FIGLI DEL REGNO…

2.Ma quale caratteristica oggi di Gesù e quindi del Regno è più necessaria? L’esperienza di Giovanni Battista illumina il cammino dell’Avvento, e traspare in lui una onestà di fondo, una capacità di stare al proprio posto, una coscienza della presenza di Gesù come Messia, inviato di Dio, che gli fa fare un passo indietro. Quanto è importante nella vita saperlo fare! Giovanni Battista svolge il suo compito di precursore e chiede esplicitamente che per accogliere “colui che deve venire” è necessario prendere in mano la proprio vita e lasciarla trasformare da Lui. La coscienza che il popolo che accorre al Battista fa emergere, è un grande desiderio di onestà, di trasparenza, di capacità di rendersi conto che si può fare ancora molto per aiutare chi è in difficoltà. C’è in altre parole un desiderio di imitare lo stile di Giovanni Battista. Ma non basta fare dei buoni propositi per cambiare, occorre che sia un incontro a cambiarci. Questo incontro è con “Colui che deve venire”. Veniamo ai consigli di Giovanni Battista: “Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha e chi ha da magiare faccia altrettanto”. Ai pubblicani cioè a coloro che rubavano, erano i corrotti e i corruttori di allora, Giovanni dice: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato” E anche i soldati chiedono cosa fare, Giovanni risponde: “ Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, accontentatevi delle vostre paghe”. Vi rendete conto che questi consigli sono la logica conseguenza di chi accoglie Gesù! Sono indicazioni attuali per il tempo che stiamo vivendo, dove sembra che tutti si accontentino di una VITA MEDIOCRE. Qui non si tratta di rispettare una legge, ma l’onestà, la trasparenza, il rispetto di ogni persona e tanto altro, aggiungiamo anche il non rubare, nascono da altro, nascono da quel fuoco bruciante che è l’amore di Dio che ci apprestiamo ad accogliere nella venuta di Cristo. Citiamo pure le parole di Giovanni Battista su Gesù:” ..viene colui che vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco..” La presenza di Dio, del fuoco del suo amore, nella vita di ciascuno di noi, mette in moto dei dinamismi e dei desideri nuovi di onestà, trasparenza. Rifiutiamo allora la mediocrità, anche se viviamo a volte, in ambienti mediocri come certi luoghi di lavoro e diciamo anche le nostre famiglie a volte, sono in questa categorie di mediocrità, di ideali bassi solo materiali. Nel cammino verso il Natale, in questo avvento, troviamo il modo di fermarci a pregare, a riflettere sulla nostra vita e cerchiamo anche noi di fare la nostra domanda al Battista: “Io cosa devo fare perché l’Avvento di Gesù possa lasciare un segno in me e negli atri?”

Sabato 16 Novembre 2019 S.Messa tra i vesperi                          I di AVVENTO   ANNO A

 

“Sul mondo sfinito rinasce il fiore della speranza” così l’inno di questa S.Messa vigilare d’Inizio Avvento. La speranza rinasce perché Cristo Gesù “sposando l’umana natura nel grembo di Vergine madre” viene “indulgente a salvarci”…Nel segno della luce con cui è iniziata questa liturgia, anche noi sappiamo che chi lo segue, chi segue Cristo “ha già vinto le tenebre…e “AVRA’ LA LUCE DELLA VITA” Eterna…

Questa venuta finale del Signore per ciascuno di noi nell’ora della nostra morte, poiché questo è l’Avvento, la venuta definitiva per tutti noi, è splendidamente oggi annunciata…

Nei salmelli abbiamo pregato cantando: “Apparirà il Signore su candida nube”…E citando Apocalisse si è pregato : “Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita…CHE STA NEL PARADISO DI DIO.

In questa battaglia quotidiana che è la vita e ancor più la vita cristiana, non dimentichiamo la meta e il premio che il Signore ci promette. Se avremo combattuto con lealtà, potremo anche noi come Maria nel Magnificat che canteremo al termine di questa celebrazione, elevare a Dio il nostro GRAZIE per ciò che Egli ha compiuto in noi.

Come nube d’incenso la nostra preghiera salga al cospetto del Dio uno e Trino. La Parola accolta e il cibo spirituale che è il corpo di Cristo, ci siano di viatico nel pellegrinaggio terreno. BUON AVVENTO!

 

 

Domenica 17 Novembre 2019         I di Avvento A

 

1.Noi iniziamo con la S.Chiesa ambrosiana un nuovo anno liturgico. Quale il significato?

Non si tratta di vedere un film già conosciuto, un copione già imparato. L’anno liturgico è il cammino della Chiesa che entra nel Mistero di Cristo. Ricominciamo dall’inizio, sapendo però che è lo Spirito Santo che ci conduce nelle profondità di Dio che in Gesù si è reso visibile. Quindi non si tratta di riacquistare tutti i biglietti delle 53 domeniche con uno spettacolo già visto, ma è in atto l’incontro con Cristo, con la sua Parola e col gesto d’amore che Egli rinnova sull’altare. A noi è chiesto di lasciarci incontrare da Lui e di mettere almeno nelle sue mani il desiderio di conoscerlo di più, con la nostra intelligenza e il nostro cuore. Questa non è una scuola, ma è una assemblea di Figli di Dio che insieme come Chiesa incontrano e sono incontrati dal Signore. Mi permetto di suggerire a tutti un certo gusto liturgico nel senso che la liturgia è fatta di segni, di gesti di parole…Tutto converge a Cristo. Noi stessi siamo segno di Cristo, la nostra partecipazione corale, direbbe la “Sacrosantum Concilium”: “la partecipazione attiva, consapevole e fruttuosa” è la condizione per cui ognuno può contribuire a che il Cristo sia percepito dall’intera assemblea….Egli entra in questa assemblea nella persona del sacerdote che presiede “in persona Cristi” e ci porta nel vortice del cuore del Mistero di Dio, illuminandoci con la sua Parola e il suo Sacramento.

2.Rivolgimoci al primo passo di Avvento: “La venuta del Signore”…”NELL’ATTESA DELLA TUA VENUTA” diciamo proclamando la fede nel Cristo presente sull’altare…Avvento è dunque attesa, vigilanza e consapevolezza della nostra morte. La liturgia ci parla di questa venuta….Il vangelo tratto dal discorso escatologico di Gesù, vale anche per noi , non solo per la comunità di Matteo che ha vissuto la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. Infatti l’attesa della venuta, ci aiuta a non dare alla realtà che viviamo un potere assoluto. Del discorso di Gesù mi hanno colpito due espressioni: “si raffredderà l’amare di molti”. Gesù parla della persecuzione della Chiesa, dei momenti in cui fare i cristiani sul serio implica il pagare di persona, anche con la vita. Davanti a questo c’è chi si raffredda…Ecco facciamo il conto anche con questa freddezza il cui significato sta nell’”essere senza cuore”, come se ciascuno ogni mattina si inietti un forte dose di anestetico per sopravvivere…Così non va! Dice Gesù. Attendere la sua venuta, significa lasciarsi scaldare il cuore per non essere freddi e indifferenti a tutto e a tutti, soprattutto a chi è nella necessità.

“Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”. Qui Gesù ci invita a chiedere il dono della perseveranza davanti alle tante tentazioni e non una perseveranza qualsiasi, ma la perseveranza finale, quella che ci fa morire “in pace col Signore e con i fratelli”.Un dono molto importante, frutto dello Spirito Santo, dono della sua Grazia. La perseveranza finale è un dono che si costruisce nella perseveranza quotidiana, educandoci a fare la volontà di Dio nei doveri quotidiani. Nel prefazio liturgico della sua festa di S. Teresa di Lisieux si dice : “offrendosi a te in filiale abbandono, imparò a consacrarti ogni giorno tutto il suo cuore”. A partire da questo, osserviamo come San Francesco vive la venuta, l’Avvento finale della sua vita con la morte. Dalle fonti francescane: “ Si rivolse al medico: –Coraggio frate medico, dimmi che la morte è imminente: per me sarà la porta della vita- (fonti francescane n 810).

In questa prima settimana di Avvento meditiamo sulla seconda venuta di Gesù per chiederci: “quali frutti ne nascono?”

Domenica 10 Novembre 2019 CRISTO RE C

Gionata mondiale dei poveri, Giornata diocesana CARITAS

 

1.“Quando mai ti abbiamo visto malato, affamato, straniero?”. Carissimi, la domanda sorpresa di chi ha compiuto nella vita gesti di carità altruista, guida la nostra preghiera. E’ la solennità di Cristo Re, la domenica che chiude l’anno liturgico. Inevitabilmente siamo invitati a guardare indietro all’anno trascorso, per rileggerlo alla luce di quella carità che è scaturita da questo incontro eucaristico con Cristo. Se non fosse chiaro, il vangelo del giudizio finale ce lo chiarisce: l’incontro con Gesù per noi nel sacramento della Parola e dell’Eucarestia, è un dono per imitarne nella vita l’amore di Cristo. E’ bene domandarsi oggi: “in questo anno, venendo a Messa tutte le 53 domeniche dell’anno, posso dire di avere fatto 53 gesti gratuiti d’amore a chi mi chiedeva di aiutarlo?” E’ una domanda paradossale, perché viviamo in tempi in cui prevale la paura dell’altro, la cronaca ci rende diffidenti di tutti, persino verso i familiari. Eppure il Vangelo non cambia, al centro c’è la carità e l’ostinazione di Cristo Gesù a chiederci di collaborare a estendere il Regno di Dio, Regno di amore, giustizia e pace. Proiettandoci verso il giorno del giudizio, il vangelo di oggi ci fa riascoltare una delle parabole di Gesù più sorprendenti e sconcertanti. Gesù anticipa ciò che accadrà alla fine. Perciò chiedendoci: “chi è colui a cui ho dato da mangiare, da bere, ho dato aiuto magari per caso, è una persona che forse non vedrò più, che non so come si chiama?”. Quel povero è il Signore: questa la certezza che ci comunica il Vangelo di oggi. Gesù ci anticipa questa sorpresa finale, e sembra ricordarci che quelle persone che per caso abbiamo incontrato, sono il Signore. Noi siamo avvisati. Questa parola ci ricorda che nel povero abita il Signore. Dare al povero è offrire a Gesù. Sono tante le occasioni nelle quali, per caso, possiamo vivere la carità, fare del bene. Non lasciamoci fuggire quelle occasioni, ma riconosciamo in quelle situazioni quotidiane, la presenza del Signore che ci chiama, che ci invita a donarci interamente, perché in quel bisognoso abita Lui.

2.Accanto a questo c’è la comunità che ci affianca e ci stimola a non dimenticarci di chi vive accanto a noi e non ha lavoro, non ha la casa, non ha il cibo, nè vestito. Una certa cultura strisciante, vorrebbe selezionare la carità, a partire da slogan che prendono l’emotività della gente, ma non sono verità. Non si seleziona tra chi ha bisogno a partire dal colore della pelle o della nazionalità, non si specula coi soldi destinati ai poveri e nello stesso tempo ogni comunità cristiana è chiamata a sostenere sul territorio quegli organismi che mettono in atto la carità e hanno contatto quotidiano con i poveri. Qui a Melegnano, il centro di ascolto Caritas, fa un gran lavoro, spesso nel nascondimento e senza grande sostegno della comunità, con pochissime risorse. Credo che ognuno di noi, se è veramente cristiano, dovrebbe nel proprio bilancio personale domandarsi quanto dà per la carità. Non si tratta solo di risorse economiche, ma anche di tempo libero, di occasioni educative nei confronti dei figli e dei nipoti, per educarli alla carità cristiana. Viviamo in un grave tempo di crisi! Penso alla piaga della mancanza di lavoro: chi ha funzioni imprenditoriali, chi ha la possibilità per la sua posizione di intervenire nelle scelte delle aziende, non può avvallare scelte economiche che penalizzano i posti di lavoro, per aumentare la ricchezza di pochi. La carità si fa con tutti i mezzi, ma prima della carità viene la giustizia: dare lavoro non è atto di carità o meglio è un atto di giustizia, un alto atto di giustizia che è lo specchio della carità.

3.Termino con un espressione di un padre della Chiesa, San Gregorio Nazianzeno che scrive: ” Finché navigate col vento in poppa, tendete la mano a chi ha fatto naufragio. Finché avete salute e denaro, soccorrete gli afflitti. Non aspettate di imparare a spese vostre quanto sia odioso l’egoismo e quanto sia bello aprite il cuore a chiunque si trova nel bisogno. Per chi è privo di tutto, il vostro aiuto sarà poco più che nulla. Ma non così per Dio, se avrete mostrato il massimo impegno. La vostra sollecitudine supplisca all’irrilevanza del vostro dono. Se poi non avete niente, offritegli le vostre lacrime. Basta un po’ di partecipazione, un po’ di amore sincero ad attenuare l’amarezza del patire”.

Domenica 3 Novembre 2019 II dopo la  Dedicazione C

 

1.“Preparerà il Signore per tutti i popoli, un banchetto”. Carissimi, la simbolica del banchetto nella profezia di Isaia, dice la volontà del Signore di voler salvare ogni uomo e donna, di ogni cultura e di tutta la storia dell’umanità. La visione di Isaia, prefigura ciò che Gesù definisce come Regno di Dio sulla terra, dove i popoli si incontrano e si accettano nella loro diversità, riconoscendosi figli di un unico Dio e Padre. Per questo grande progetto, Dio Padre ha inviato il suo Figlio, che desidera contrarre matrimonio con l’umanità. Ecco la parabola evangelica di oggi, del banchetto nuziale del figlio del re. Questa immagine più precisa del banchetto nuziale, è ancora più importante, perché dice il desiderio di Dio di avere una intimità profonda con le sue creature. Isaia ci ha anche comunicato che, sul monte dove Dio prepara il banchetto, si deporranno le armi e Dio stesso “eliminerà la morte per sempre”. Questo particolare, applicato al vangelo, ci ricorda che si sta parlando non solo di salvezza terrena, ma qui si sta descrivendo il banchetto eterno, quello a cui parteciperemo dopo la morte. Per parteciparvi però, dobbiamo tenere conto degli inviti del Signore durante la vita terrena. Pensiamo bene tutti: quante volte il Signore ci manda questi inviti, quanti suoi servi ci hanno recapitato gli inviti di Dio! Noi leggiamo nella parabola che questo re è molto generoso con noi, ci invita tutti. Ma noi siamo attenti ai suoi inviti? Il particolare dell’abito nuziale che manca a un invitato anonimo nella finale della parabola, ci fa comprendere che tipi di inviti ci rivolge il Signore. Ni sappiamo che Dio non ci chiederà quanto di materiale abbiamo guadagnato, ma quanto abbiamo donato noi stessi agli altri. LA CARITA’, l’AMORE GRATUITO E DISINTERESSATO: è forse questo l’abito nuziale che manca! In questo senso, gli inviti numerosi a queste nozze, sono le infinte occasioni che Dio ci manda, perché possiamo vivere la sua stessa logica che è quella di un amore gratuito. Varrebbe la pena domandarci se non pensiamo mai al giudizio finale di Dio? Non per spaventarci, ma per chiederci ciò che resterà agli occhi non degli uomini, ma di Dio, della nostra vita! Siamo davanti a tante scuse “quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo chi ai propri affari”. Le scuse, il guardare ma non vedere, quello che chiamiamo le omissioni oppure l’affermare; “in fondo non faccio nulla di male io non do fastidio a nessuno”…Credo che umilmente dobbiamo riconoscere che anche noi ci siamo dentro.

2.”Andate ai crocicchi delle strade”. Questo invito del re, assomiglia molto a ciò che papa Francesco sta chiedendo alla Chiesa oggi. Non dimenticarsi dei poveri, vincere l’indifferenza, non fare di Gesù un borghese le cui parole non inquietano più, ma sono come una melassa consolatoria che va bene solo per le nostre liturgie. Ricordo una preghiera della liturgia ambrosiana che chiede a Dio il dono di pastori, preti, vescovi, papi che “inquietino la falsa pace delle coscienze e le ridestino agli impegni ella rinascita battesimale”. Mi pare che questa positiva inquietudine deve attraversare la coscienza di ciascuno di noi, per ricordarci che possiamo essere strumenti di aiuto, di provvidenza nelle mani di Dio, solo se ci fidiamo di Lui. Solo così, possiamo avere il coraggio di andare verso chi non è ancora entrato nella sala del banchetto. Sappiamo che per la Chiesa, questa apertura, ha sempre voluto dire ieri e oggi: promozione umana ed evangelizzazione, senza distinguere i due piani. In questo senso, recuperiamo il dono dell’abito nuziale, che richiama la purezza della veste battesimale, per ricordarci che sono gli atti di umanità che allargano il Regno di Dio. Cristo per sposare l’umanità e salvarla, ha bisogno di servi fedeli, umili semplici, che lavorino solo per Lui e mettano al centro l’uomo in quanto uomo.

3.Guardiamo al tempo della settimana che abbiamo davanti e domandiamoci: cosa vuol dire per me accettare questo invito? Come concretamente posso farmi servo/a di questa capacità di vivere, indossando solo l’abito della carità di Cristo?

Domenica 27 Ottobre 2019 I dopo la  Dedicazione C

 

1.“Lo Spirito Santo disse: – Riservate per me Barnaba e Paolo per l’opera alla quale li ho chiamati -”. Carissimi, le parole che lo Spirito ha suggerito alla comunità di Antiochia, diventano attuali per noi in questa domenica detta “del mandato missionario”. Tra poco, col gesto responsabile dell’elezione dei membri del nuovo consiglio pastorale, anche noi saremo chiamati ad essere strumenti dello Spirito Santo, perché alcuni fratelli e sorelle possano intraprendere per i prossimi 4 anni questa missione. Si tratta di CONSIGLIARE il parroco e i suoi collaboratori, per fare le scelte che lo Spirito desidera da questa nostra comunità pastorale di Melegnano. Ma questa non è una delega in bianco, perché tutti noi siamo chiamati a interrogarci su quanto facciamo nostra la realtà di essere missionari del Vangelo. La parola di Dio nelle tre letture, ci parla di questa natura missionaria della Chiesa, e del mandato di Cristo prima di ascendere al cielo. Deve essere chiaro però: nessuno di noi è missionario per gli altri se non è convinto che è bello essere cristiano, che è una grazia. Faccio riferimento alla Esortazione Apostolica di papa Francesco “Evangelii Gaudium” del 24 novembre 2013, documento fondamentale del pontificato e riferimento per tutte le comunità cattoliche del pianeta. Il papa scrive che missione della Chiesa ha al centro l’Amore di Dio in Cristo per ciascuno di noi: “la certezza di essere infinitamente amati da Dio, al di là di tutto”. L’esperienza cristiana è un incontro con questo amore personale. Da qui il desiderio che questa grazia l’abbiano tutti: ecco la missione! La fede non è anzitutto una sorta di precetti a cui ubbidire, non è uno statuto di regole di morale, ma è questo sguardo al Crocifisso e questo abbraccio d’amore tra il Creatore e la sua creatura, che va oltre la vita e diventa vita eterna. Questo fa muovere passi verso gli altri e fa nascere un cristianesimo in “uscita” come spesso dice il papa: una Chiesa in uscita, verso le periferie esistenziali. In questo senso, per te missione cosa può voler dire? Sei qui a Messa, ricevi il pane dell’Amore, il cibo dei forti; verso chi, verso dove lo Spirito Santo ti riserva, ti manda? Anche nella tua famiglia ci sono persone alla periferia della fede, anche nella tua comunità… Ecco dove il Signore ci manda! Ma attenzione: dobbiamo difenderci da un cristianesimo solo emozionale, fatto di piccole devozioni, messo insieme col collante della liturgia staccata dalla vita. Gesù lo dobbiamo accogliere tutto, non solo nella sua divinità ma anche nel corpo della sua umanità bisognosa, ferita, malata. Non è chiaro e scontato questo, perché anche noi sentiamo che terminata la Messa tutto finisce. In realtà dopo la Messa inizia la missione verso gli altri. Penso alla fatica di metterci a disposizione per un servizio nella comunità parrocchiale. Come mai? Sono tanti i motivi, ma credo che dobbiamo essere più forti nella fede, cioè del tesoro che abbiamo tra le mani, che ci spinge ad amare concretamente la famiglia e la comunità nella concretezza.

2.”Il sogno missionario di arrivare a tutti”. Pensiamo: quanti nostri fratelli e sorelle battezzati hanno perso da anni la strada di casa? Quanti non frequentano più la Chiesa? Il papa ci chiede il coraggio di osare di più. In che modo? Con un invito, un momento di ascolto, maggior fiducia nell’opera dello Spirito Santo che si serve di noi. Questo è osare di più, cercando di essere un segno, una testimonianza della bellezza e della gioia di aver incontrato Cristo nella nostra vita. Non dobbiamo aver paura di dirci cristiani, dobbiamo essere orgogliosi di questa grazia. Forse il riavvicinamento alla fede di quella persona, può dipendere anche dalla nostra parola. (gli esempi sono tanti).

“Se qualcosa deve santamente inquietarci, scrive il papa, e preoccupare nella nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita”.

3.Nel guardare a questa missione, nella quale anche noi siamo chiamati ad essere collaboratori, ci consola una parola dell’Apostolo Paolo: “La Parola di Dio non è incatenata”. Dio porta avanti la sua opera non senza di noi.

20 Ottobre 2019 Solennità della Dedicazione del Duomo di Milano

Articolo preso dal sito della diocesi di Milano ottobre 2018

Appassionati dell’opera comune, chiamati a costruire la Chiesa di pietre vive, mai conclusa, che siamo tutti noi. I fedeli ambrosiani che, nella terza di domenica di ottobre, affollano il Duomo per la tradizionale a antichissima festa della Dedicazione della loro Chiesa madre, la Cattedrale, hanno – quest’anno -, una ragione in più per radunarsi tra le Navate: ringraziare, insieme, come Diocesi, papa Francesco per la Canonizzazione di Paolo VI, avvenuta esattamente una settimana fa nelle stesse ore, in cui oggi, in Cattedrale monsignor Delpini presiede il Pontificale solenne della Dedicazione. Festa sempre celebrata nella terza domenica di ottobre, a ricordo di una singolare scansione temporale attraverso i millenni. Nel V secolo, infatti, la cattedrale di Santa Tecla – una delle due da cui sarebbe sorto il Duomo – fu distrutta dai barbari di Attila; il vescovo Eusebio ne curò la ricostruzione e la terza domenica di ottobre del 453 la consacrò solennemente. E, quando, nell’836, fu consacrata la cattedrale di Santa Maria Maggiore (l’altra Cattedrale), fu scelto il 15 ottobre, che in quell’anno cadeva alla terza domenica del mese. La data della terza domenica di ottobre divenne talmente radicata nella tradizione liturgica ambrosiana che, nel 1418, quando papa Martino V, di ritorno dal Concilio di Costanza, fu invitato a consacrare l’altare maggiore del nuovo Duomo, fu scelta sempre la terza domenica di ottobre, che cadeva in quell’anno il giorno 16. Analogamente san Carlo consacrò l’attuale Duomo il 20 ottobre 1577, che era, appunto la terza domenica del mese e, quando, al termine degli imponenti lavori di restauro statico si procedette anche alla ristrutturazione del presbiterio con una nuova collocazione dell’altare già consacrato da Martino V, ancora una volta l’antica tradizione milanese fu rispettata: l’altare maggiore fu consacrato dal cardinale Carlo Maria Martini il 19 ottobre.

E un altro Arcivescovo, proprio Giovanni Battista Montini divenuto santo, cita, nel suo intervento di benvenuto, l’arciprete, monsignor Gianantonio Borgonovo che concelebra con il Capitolo metropolitano della Cattedrale. «Il 18 ottobre 1958, l’allora arcivescovo Montini, ebbe a dire: “Non guardate questo Duomo con l’occhio miope del turista, né con quello profano dello storico o dell’esteta, guardatelo con quello intelligente di chi vin scopre la parola dello Spirito».

Quello sguardo che hanno, appunto coloro che sono «appassionati all’opera comune e convocati per costruire», per usare le prime espressioni della riflessione dell’Arcivescovo che, per l’occasione, indossa l’anello, la croce, la mitria, il pastorale e il pallio montiniani (quest’ultimo utilizzato anche da papa Francesco per la Canonizzazione), mentre sull’altare maggiore, e posto il grande dipinto di Montini arcivescovi di Milano, normalmente conservato nella Sala dei Ritratti all’interno dell’Episcopio.

«La Chiesa non è una roccaforte costruita per difendersi dall’assalto dei nemici: la difende il Signore. La Chiesa non è un rifugio tranquillo che non si lascia raggiungere dalle inquietudini della storia. La Chiesa – secondo l’immagine della Lettera ai Corinzi, appena proclamata -, è un’impresa ancora da compiere. Siamo quindi convocati per l’impresa di costruire il tempio di Dio che è il popolo cristiano». Gente convocata, dunque, che, proprio per questo, «ha stima di sé, vive una specie di fierezza dell’obbedienza e della docilità: non si vanta, ma si rallegra di essere stata stimata degna di collaborare con Dio. La gente convocata per l’impresa è gente che non si lascia scoraggiare dalle difficoltà, amareggiare dalle critiche, spazientire dal tanto tempo che la pazienza di Dio prevede per completare l’opera. E’ gente operosa e lieta, efficiente e paziente, aborrisce le chiacchiere, ma ascolta anche le critiche e ne fa tesoro; è gente fiduciosa senza essere ingenua, è gente coraggiosa senza essere temeraria, è gente prudente, senza essere pavida».

Insomma, quello che dovrebbe essere il popolo di Dio che deve (o dovrebbe) avere sempre a cuore ciò e come costruisce. Il richiamo è, ancora, alla simbolica Paolina: «La paglia, il fieno non sono buoni materiali di costruzione. Forse, iniziative ed eventi si rivelano fuochi di paglia, contributi troppo precari, materiali troppo inadeguati, per edificare il tempio di Dio. Talvolta, i calendari delle comunità sono congestionati da molta paglia e molto fieno che si ripropone con una specie di inerzia di anno in anno: ma poi resta qualche cosa di queste tante fatiche, iniziative, imprese?», si chiede monsignor Delpini.

E, ancora, l’oro, l’argento, le pietre preziose non sono buoni materiali di costruzione: «il gusto del grandioso, l’ossessione per i numeri, il tributo eccessivo alla rinomanza e alla gloria mondana orientano alcuni momenti della vita di una comunità, impegnano molte risorse, suscitano anche molta meraviglia: ma è così che Dio vuole il suo tempio?».

Come sempre, la via giusta viene dalla Parola del Signore: «Gesù non sembra tanto preoccupato dell’organizzazione e delle iniziative, ma di un rapporto di conoscenza e di sequela, di condivisione di vita e di pensieri. L’indicazione del cammino è quindi chiara ed esigente per la nostra Chiesa: dobbiamo seguire Gesù. Pertanto merita di interrogarci su come conosciamo e ascoltiamo la voce di Gesù». Attenzione cruciale – questa – che, non a caso, diventerà un punto di verifica nella Visita pastorale che inizierà nel prossimo Avvento, annuncia l’Arcivescovo.

«Ciascuno stia attento a come costruisce il proprio rapporto personale con Gesù. Ascoltando la sua Parola e seguendo i suoi passi, vogliamo costruire sull’accesso alla comunione trinitaria e su tutti i santi. La figura di Paolo VI, nostro Vescovo, maestro, esempio di una fede vissuta come un fremito di zelo e di inquietudine, di intuizioni luminose e di delicatezze personali, ci aiuti. Confidiamo nella sua intercessione, continuiamo ad accogliere il suo magistero come indicazione per il cammino».

Infine, al termine della Celebrazione, monsignor Delpini con i concelebranti si porta in processione presso l’altare laterale di Sant’Ambrogio dove è stata posta, temporaneamente, l’urna con la reliquia di san Paolo VI: la sua maglietta macchiata di sangue dopo l’attentato da lui subito a Manila nel 1970. «Dunque, Paolo VI è qui con il suo sangue e il suo affetto. Vorrei che ciascuno di noi si faccia dovere di leggere qualche sua pagina o espressione», conclude monsignor Delpini.

Domenica 13 Ottobre 2019 VIII dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore

Anticipiamo la giornata MISSIONARIA MONDIALE. DI SEGUITO IL MESSAGGIO I PAPA FRANCESCO

Battezzati e inviati:
la Chiesa di Cristo in missione nel mondo

 

Cari fratelli e sorelle,

per il mese di ottobre del 2019 ho chiesto a tutta la Chiesa di vivere un tempo straordinario di missionarietà per commemorare il centenario della promulgazione della Lettera apostolica Maximum illud del Papa Benedetto XV (30 novembre 1919). La profetica lungimiranza della sua proposta apostolica mi ha confermato su quanto sia ancora oggi importante rinnovare l’impegno missionario della Chiesa, riqualificare in senso evangelico la sua missione di annunciare e di portare al mondo la salvezza di Gesù Cristo, morto e risorto.

Il titolo del presente messaggio è uguale al tema dell’Ottobre missionario: Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo. Celebrare questo mese ci aiuterà in primo luogo a ritrovare il senso missionario della nostra adesione di fede a Gesù Cristo, fede gratuitamente ricevuta come dono nel Battesimo. La nostra appartenenza filiale a Dio non è mai un atto individuale ma sempre ecclesiale: dalla comunione con Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, nasce una vita nuova insieme a tanti altri fratelli e sorelle. E questa vita divina non è un prodotto da vendere – noi non facciamo proselitismo – ma una ricchezza da donare, da comunicare, da annunciare: ecco il senso della missione. Gratuitamente abbiamo ricevuto questo dono e gratuitamente lo condividiamo (cfr Mt 10,8), senza escludere nessuno. Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi arrivando alla conoscenza della verità e all’esperienza della sua misericordia grazie alla Chiesa, sacramento universale della salvezza (cfr 1 Tm 2,4; 3,15; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48).

La Chiesa è in missione nel mondo: la fede in Gesù Cristo ci dona la giusta dimensione di tutte le cose facendoci vedere il mondo con gli occhi e il cuore di Dio; la speranza ci apre agli orizzonti eterni della vita divina di cui veramente partecipiamo; la carità, che pregustiamo nei Sacramenti e nell’amore fraterno, ci spinge sino ai confini della terra (cfr Mi 5,3; Mt 28,19; At 1,8; Rm 10,18). Una Chiesa in uscita fino agli estremi confini richiede conversione missionaria costante e permanente. Quanti santi, quante donne e uomini di fede ci testimoniano, ci mostrano possibile e praticabile questa apertura illimitata, questa uscita misericordiosa come spinta urgente dell’amore e della sua logica intrinseca di dono, di sacrificio e di gratuità (cfr 2 Cor 5,14-21)! Sia uomo di Dio chi predica Dio (cfr Lett. ap. Maximum illud).

È un mandato che ci tocca da vicino: io sono sempre una missione; tu sei sempre una missione; ogni battezzata e battezzato è una missione. Chi ama si mette in movimento, è spinto fuori da sé stesso, è attratto e attrae, si dona all’altro e tesse relazioni che generano vita. Nessuno è inutile e insignificante per l’amore di Dio. Ciascuno di noi è una missione nel mondo perché frutto dell’amore di Dio. Anche se mio padre e mia madre tradissero l’amore con la menzogna, l’odio e l’infedeltà, Dio non si sottrae mai al dono della vita, destinando ogni suo figlio, da sempre, alla sua vita divina ed eterna (cfr Ef 1,3-6).

Questa vita ci viene comunicata nel Battesimo, che ci dona la fede in Gesù Cristo vincitore del peccato e della morte, ci rigenera ad immagine e somiglianza di Dio e ci inserisce nel corpo di Cristo che è la Chiesa. In questo senso, il Battesimo è dunque veramente necessario per la salvezza perché ci garantisce che siamo figli e figlie, sempre e dovunque, mai orfani, stranieri o schiavi, nella casa del Padre. Ciò che nel cristiano è realtà sacramentale – il cui compimento è l’Eucaristia –, rimane vocazione e destino per ogni uomo e donna in attesa di conversione e di salvezza. Il Battesimo infatti è promessa realizzata del dono divino che rende l’essere umano figlio nel Figlio. Siamo figli dei nostri genitori naturali, ma nel Battesimo ci è data l’originaria paternità e la vera maternità: non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come madre (cfr San Cipriano, L’unità della Chiesa, 4).

Così, nella paternità di Dio e nella maternità della Chiesa si radica la nostra missione, perché nel Battesimo è insito l’invio espresso da Gesù nel mandato pasquale: come il Padre ha mandato me, anche io mando voi pieni di Spirito Santo per la riconciliazione del mondo (cfr Gv 20,19-23; Mt 28,16-20). Al cristiano compete questo invio, affinché a nessuno manchi l’annuncio della sua vocazione a figlio adottivo, la certezza della sua dignità personale e dell’intrinseco valore di ogni vita umana dal suo concepimento fino alla sua morte naturale. Il dilagante secolarismo, quando si fa rifiuto positivo e culturale dell’attiva paternità di Dio nella nostra storia, impedisce ogni autentica fraternità universale che si esprime nel reciproco rispetto della vita di ciascuno. Senza il Dio di Gesù Cristo, ogni differenza si riduce ad infernale minaccia rendendo impossibile qualsiasi fraterna accoglienza e feconda unità del genere umano.

L’universale destinazione della salvezza offerta da Dio in Gesù Cristo condusse Benedetto XV ad esigere il superamento di ogni chiusura nazionalistica ed etnocentrica, di ogni commistione dell’annuncio del Vangelo con le potenze coloniali, con i loro interessi economici e militari. Nella sua Lettera apostolica Maximum illud il Papa ricordava che l’universalità divina della missione della Chiesa esige l’uscita da un’appartenenza esclusivistica alla propria patria e alla propria etnia. L’apertura della cultura e della comunità alla novità salvifica di Gesù Cristo richiede il superamento di ogni indebita introversione etnica ed ecclesiale. Anche oggi la Chiesa continua ad avere bisogno di uomini e donne che, in virtù del loro Battesimo, rispondono generosamente alla chiamata ad uscire dalla propria casa, dalla propria famiglia, dalla propria patria, dalla propria lingua, dalla propria Chiesa locale. Essi sono inviati alle genti, nel mondo non ancora trasfigurato dai Sacramenti di Gesù Cristo e della sua santa Chiesa. Annunciando la Parola di Dio, testimoniando il Vangelo e celebrando la vita dello Spirito chiamano a conversione, battezzano e offrono la salvezza cristiana nel rispetto della libertà personale di ognuno, in dialogo con le culture e le religioni dei popoli a cui sono inviati. La missio ad gentes, sempre necessaria alla Chiesa, contribuisce così in maniera fondamentale al processo permanente di conversione di tutti i cristiani. La fede nella Pasqua di Gesù, l’invio ecclesiale battesimale, l’uscita geografica e culturale da sé e dalla propria casa, il bisogno di salvezza dal peccato e la liberazione dal male personale e sociale esigono la missione fino agli estremi confini della terra.

La provvidenziale coincidenza con la celebrazione del Sinodo Speciale sulle Chiese in Amazzonia mi porta a sottolineare come la missione affidataci da Gesù con il dono del suo Spirito sia ancora attuale e necessaria anche per quelle terre e per i loro abitanti. Una rinnovata Pentecoste spalanca le porte della Chiesa affinché nessuna cultura rimanga chiusa in sé stessa e nessun popolo sia isolato ma aperto alla comunione universale della fede. Nessuno rimanga chiuso nel proprio io, nell’autoreferenzialità della propria appartenenza etnica e religiosa. La Pasqua di Gesù rompe gli angusti limiti di mondi, religioni e culture, chiamandoli a crescere nel rispetto per la dignità dell’uomo e della donna, verso una conversione sempre più piena alla Verità del Signore Risorto che dona la vera vita a tutti.

Mi sovvengono a tale proposito le parole di Papa Benedetto XVI all’inizio del nostro incontro di Vescovi latinoamericani ad Aparecida, in Brasile, nel 2007, parole che qui desidero riportare e fare mie: «Che cosa ha significato l’accettazione della fede cristiana per i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi? Per essi ha significato conoscere e accogliere Cristo, il Dio sconosciuto che i loro antenati, senza saperlo, cercavano nelle loro ricche tradizioni religiose. Cristo era il Salvatore a cui anelavano silenziosamente. Ha significato anche avere ricevuto, con le acque del Battesimo, la vita divina che li ha fatti figli di Dio per adozione; avere ricevuto, inoltre, lo Spirito Santo che è venuto a fecondare le loro culture, purificandole e sviluppando i numerosi germi e semi che il Verbo incarnato aveva messo in esse, orientandole così verso le strade del Vangelo. […] Il Verbo di Dio, facendosi carne in Gesù Cristo, si fece anche storia e cultura. L’utopia di tornare a dare vita alle religioni precolombiane, separandole da Cristo e dalla Chiesa universale, non sarebbe un progresso, bensì un regresso. In realtà, sarebbe un’involuzione verso un momento storico ancorato nel passato» (Discorso nella Sessione inaugurale, 13 maggio 2007: Insegnamenti III,1 [2007], 855-856).

A Maria nostra Madre affidiamo la missione della Chiesa. Unita al suo Figlio, fin dall’Incarnazione la Vergine si è messa in movimento, si è lasciata totalmente coinvolgere nella missione di Gesù, missione che ai piedi della croce divenne anche la sua propria missione: collaborare come Madre della Chiesa a generare nello Spirito e nella fede nuovi figli e figlie di Dio.

Vorrei concludere con una breve parola sulle Pontificie Opere Missionarie, già proposte nella Maximum illud come strumento missionario. Le POM esprimono il loro servizio all’universalità ecclesiale come una rete globale che sostiene il Papa nel suo impegno missionario con la preghiera, anima della missione, e la carità dei cristiani sparsi per il mondo intero. La loro offerta aiuta il Papa nell’evangelizzazione delle Chiese particolari (Opera della Propagazione della Fede), nella formazione del clero locale (Opera di San Pietro Apostolo), nell’educazione di una coscienza missionaria dei bambini di tutto il mondo (Opera della Santa Infanzia) e nella formazione missionaria della fede dei cristiani (Pontifica Unione Missionaria). Nel rinnovare il mio appoggio a tali Opere, auguro che il Mese Missionario Straordinario dell’Ottobre 2019 contribuisca al rinnovamento del loro servizio missionario al mio ministero.

Ai missionari e alle missionarie e a tutti coloro che in qualsiasi modo partecipano, in forza del proprio Battesimo, alla missione della Chiesa invio di cuore la mia benedizione.

Dal Vaticano, 9 giugno 2019, Solennità di Pentecoste

 

FRANCESCO

Domenica VI dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore C         6 Ottobre 2019

1.”Chi accoglie voi, accoglie me” Carissimi, si parla di accoglienza, accogliere coloro che Cristo manda come suoi inviati. Gesù sta terminando il discorso missionario e fa una sintesi. L’accoglienza è lo stile del cristiano. Osserviamo la vedova di Sarepta che accoglie il profeta Elia, che dà quel pugno di farina e quel poco olio: è tutto ciò che aveva. Questa donna sperimenta che quel gesto di accoglienza estrema, scuote il cuore di Dio che non la fa piombare nella carestia. Anche la lettera agli Ebrei è in questa direzione di fraternità e di accoglienza. “Qualcuno praticando l’ospitalità, senza saperlo, ha accolto degli angeli”. Qui si allude ad Abramo, nel famoso episodio delle Querce di Mamre, quando accolse i tre personaggi misteriosi nella sua tenda e gli offrì il pasto. Papa Francesco direbbe:”no alla cultura dello scarto”. Ma qui guardiamo alla comunità: si tratta anche di vincere la cultura dell’indifferenza, che maschera un grande individualismo e la conseguente sindrome del talento che mi mette sottoterra. La Parola di Dio ci comunica che noi siamo fatti per donare agli altri ciò che siamo, e per aprire il cuore a chi bussa. La comunità deve risplendere dei doni di tutti e proprio perché ognuno di noi è battezzato, è missionario. Si tratta di trovare la propria strada per edificare la Chiesa. Ma cosa sarà per te quel bicchiere d’acqua fresca che puoi donare alla comunità? Quale ambito tu puoi arricchire coi tuoi talenti? La tua preghiera senz’altro, ma il Regno va avanti con l’apporto di tutti, la testimonianza di tutti.

  1. Vorrei applicare al consiglio pastorale queste parole, perché possiamo dire che c’è da collaborare nei prossimi 5 anni a stendere una “strategia di accoglienza, un piano missionario nel nostro territorio”. Abbiamo bisogno che ognuno di noi diventi un distributore di “acqua fresca”. Quest’acqua è la Parola di Dio, il messaggio di salvezza che molti, anche nella nostra comunità, non conoscono. Il nuovo consiglio pastorale con me e i sacerdoti, è chiamato ad attuare quel piano missionario che i documenti dei pontefici da molto tempo evidenziano. Penso a San Paolo VI con l‘ “Evangelii nuntiandi”, documento fondamentale sul modo missionario di condurre una comunità. Penso a San Giovanni Paolo II con la “Redemptoris missio”, a papa Benedetto XVI con gli interventi sulle virtù teologali: fede speranza e carità. Ancor più al documento di papa Francesco “Evangeli gaudium”. Mi piacerebbe suggerire a tutti la lettura di questi documenti, soprattutto quello di papa Francesco, un testo molto concreto per il futuro della Chiesa. Infatti, in questi prossimi anni, abbiamo il compito di rinnovare la nostra pastorale, che deve tenere e lavorare con chi è già nel recinto della Chiesa, ma non può chiudersi in se stessa, si ammalerebbe, dice papa Francesco, deve essere una Chiesa in uscita, un cristiano in uscita insieme ai suoi fratelli “a due a due”, come Gesù mandava i suoi discepoli verso coloro che erano lontani e indifferenti. Questo stile che non è proselitismo cioè conquista degli altri, si caratterizza di un unico elemento che può attrarre tanti alla Chiesa: si tratta della testimonianza. Con questo stile “attraente”, molte persone possono avvicinarsi a Cristo. Uno stile così lo possiamo vivere nella quotidianità e certamente l’accoglienza dell’altra persona è il primo passo. Il nuovo consiglio pastorale deve lavorare in questa direzione missionaria, concretizzando in scelte precise lo stile pastorale della comunità intera. Faccio un esempio: pensate che negli anni cinquanta non c’erano i catechisti che preparavano i bambini alla prima comunione, perché le famiglie erano tutte cristiane e bastava qualche incontro che il parroco faceva prima del sacramento. Accorgendosi che le famiglie non seguivano più i bambini, la Chiesa ha fatto la scelta di preparare degli adulti che, come catechisti, formassero i bambini, di fatto supplendo alle carenze delle famiglie. Penso in questo momento ai pochi battesimi a Melegnano nel 2018, solo 61 (nelle tre parrocchie). Tenuto conto del crollo delle nascite e della presenza di famiglie di altre religioni, ci rendiamo conto che diverse famiglie non battezzano più i bambini: occorre andare loro incontro impostando una pastorale diversa. Ecco il lavoro del consiglio pastorale che deve maturare scelte missionarie. Concludo “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi”. Noi tra poco riceveremo la Santa Comunione, in questo modo Cristo ci accoglie così come siamo. Questo stesso stile siamo chiamati a vivere con tutti, anche in un contesto di indifferenza e diffidenza come il nostro. Se possiamo cerchiamo di vivere nella comunità parrocchiale un piccolo servizio nella linea di questa accoglienza.

Domenica V dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore C         29 Settembre 2019

1.”Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”

Carissimi, il cammino spirituale di questo tempo liturgico chiamato “dopo il martirio di San Giovanni il Precursore”, ci consegna il cuore del messaggio di Gesù: la misericordia. Gesù nel discorso chiamato della pianura, nella versione del vangelo di Luca che abbiamo ascoltato, che è parallela al discorso della montagna in Matteo, ci comunica il suo desiderio più grande su noi, sua Chiesa. Non vi sfugga il fatto che domenica scorsa abbiamo contemplato il Mistero di Gesù nell’Eucarestia. E’ logica conseguenza quella di chi riceve con fede la Comunione al corpo e al Sangue di Cristo e, da questo incontro di misericordia e di amore, viene stimolato ad agire di conseguenza. Potremmo dire che le parole forti di Gesù: l’amore ai nemici e la preghiera per loro, fino a porgere l’altra guancia, non sono il manifesto di chi è contrario alla giustizia, ma rappresentano la strada di coloro che non bloccano l’amore di Cristo che, nella sua passione e risurrezione che rinnoviamo celebrando la Santa Messa, ci viene donato. Qui si tratta non tanto di proporsi l’impossibile, ma di assumere lo stile di Gesù che è lo stile di un amore che è totalmente gratuito, così gratuito che si dirige verso tutti, senza distinzioni. Contempliamo questa grazia dell’incontro con l’amore di Cristo, perché è un dono che apre tante porte, fa ripartire tante vite fallite, dà speranza a tutti, anche a chi si è comportato e si comporta da nemico, da imbroglione, per chi ha fatto della vita la ricerca del suo interesse a tutti i costi.

2.Questo stile di Gesù, disegna il volto della Chiesa e delle comunità cristiana. La parrocchia, che è questa porzione di Chiesa che vive tra le case (sapete che è questo il significato letterale di “parrocchia” Paroikia, tra le case). La comunità cristiana è creata dall’amore gratuito e misericordioso di Cristo. Questa logica regge la sua vita interna. Ci è data la possibilità di fare questa esperienza, cercando di trovare il nostro posto in un piccolo servizio alla parrocchia. Se lo stile è quello del vangelo, uno serve la sua comunità in modo disinteressato. Anzitutto lo fa per il Signore e ama così tanto la Chiesa, la sua Chiesa, che non può fare a meno di aiutarla. Oggi io vorrei fare appello a tutti: c’è tanto bisogno nella parrocchia del vostro aiuto, vi invito a scegliere un ambito di servizio gratuito per la comunità. Nella giornata di oggi tutti siamo interpellati, mi auguro che questo invito non cada nel vuoto.

3.Vorrrei spendere una parola per il servizio di chi è chiamato o si propone come consigliere del “consiglio pastorale”. E’ un impegno bello e importante, poter contribuire alle scelte future per questa nostra comunità pastorale di Melegnano. Chi si mette disponibile per questo servizio, è chiamato col parroco e gli altri sacerdoti, a pregare lo Spirito Santo e a conoscere il magistero del Papa e del nostro Arcivescovo, per poterlo attuare qui nel nostro territorio. Io invito tutti a considerare l’importanza dell’offrirsi per questo servizio.

4.Se la gratuità misericordiosa edifica la parrocchia, c’è un tarlo che la rovina ed è il pettegolezzo, il parlare alle spalle gli uni degli altri. Le critiche sono doverose, ma vanno fatte direttamente alla persona, anche al parroco. Vorrei citare uno dei tanti interventi di papa Francesco contro il pettegolezzo che rovina le famiglie e le comunità, perché tutti possiamo riflettere:” Se parli male del fratello, uccidi il fratello. Ogni volta che lo facciamo, imitiamo il gesto di Caino, il primo omicida della storia”. Ancora: “Non ci sono chiacchiere innocenti. Quando usiamo la lingua per parlare male del fratello o della sorella, la usiamo per uccidere Dio. Meglio mordersi la lingua. Ci farà bene: la lingua si gonfia e non si può parlare, così non si possono fare chiacchiere”. E infine:” Voi avete visto in tv cosa fanno i terroristi. Buttano la bomba e scappano. Le chiacchiere sono come il terrorismo, distruggono tutto e soprattutto distruggono il tuo cuore, che diventa arido”. Abbiamo di che riflettere su quale stile abbiamo nella vita della comunità a cui apparteniamo, perché risplenda non lo stile del mondo, ma quello del Vangelo.

Domenica IV dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore C         22 Settembre 2019

 

1.”Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”

Carissimi, in questo momento noi possiamo sperimentare la bellezza di queste parole nel sacramento dell’Eucarestia. Gesù ci ha detto che questo pane è la sua carne perché il mondo viva. Gesù è presente nella sua Chiesa e attraverso lei nel nostro mondo come cibo per la nostra vita, potremmo dire per darci luce, speranza. Riflettiamo su questo dono ricordando che nell’ostia consacrata, in ogni tabernacolo, c’è Lui, vivo in corpo anima e divinità. Non è una presenza simbolica (non siamo protestanti) ma reale, viva operante in chi lo riceve: “come io vivo per il Padre così chi mangia di me vivrà per me”. Richiamiamo alla nostra mente la fede nella presenza reale di Cristo, domandiamoci se siamo consapevoli di questo tesoro grande. Chiediamoci se riceviamo la S.Comunione con le giuste disposizioni: un ora di digiuno, pensare e sapere chi si va a ricevere e soprattutto essere in grazia di Dio. Su questo ultimo punto è necessario accostarsi spesso alla S.Comunione, per non rischiare di ricevere la comunione addirittura in peccato mortale o se non in peccato mortale almeno con la superficialità di non curare i peccati veniali. E’ segno di finezza e di grande fede in Gesù presente nel pane eucaristico, accostasi almeno mensilmente alla Confessione. La coscienza , con la Confessione frequente, diventa più raffinata e si fanno passi avanti nella vita spirituale. Accanto a questo se la nostra fede in Gesù nell’Eucarestia cresce, sentiamo il desiderio della Comunione quotidiana. Iniziare la giornata con la S.Messa e ricevendo la comunione, è veramente diverso che iniziare senza. Inoltre la visita silenziosa in chiesa in ginocchio davanti al tabernacolo o meglio ancora l’adorazione eucaristica prolungata davanti a Gesù esposto solennemente nel SS Sacramento, abitua a un colloquio quotidiano con Lui, incontro indispensabile perché Egli cresca in noi.

2.Il dono dell’Eucarestia ci viene consegnato attraverso la Santa Liturgia e la pedagogia dell’anno liturgico. Liturgia che è azione di Cristo e della Chiesa. La liturgia è normata dalla Chiesa. La liturgia non è un contenitore da riempire, ma è “Opera di Dio “ che ci viene incontro. “Servire la liturgia e non servirsi della liturgia”, con grande rispetto, sapendo che l’emotività è certo un punto importante, ma non è il tutto della celebrazione liturgica.(quante volte basiamo l’efficacia della partecipazione alla Messa solo sull’emotività del momento!) Questo perché Cristo si fa presente anche nell’ultima Messa celebrata, magari da un prete sciatto. Per questo motivo, l’unica cosa necessaria per partecipare all’Eucarestia è la fede che non è scontata neppure nei praticanti. (si può essere ancher qui adesso ma SENZA FEDE, allora non serve a niente.)

3.La liturgia va curata perché il Signore si serve di noi per farsi presente nelle due mense: la Parola e l’Eucarestia. Penso in questo momento all’importanza della figura ministeriale del lettore che proclama la Parola di Dio, che presta la sua chiara voce a Dio perché oggi parli alla sua Chiesa, al suo popolo. Nel nostro bel rito ambrosiano, questo lo si comprende ogni volta quando il lettore chiede la benedizione e segnandosi si sente dire dal sacerdote: “Leggi nel nome del Signore “ e così il diacono che proclama il Vangelo. Vorrei ringraziare i lettori che con generosità e preparazione compiono questo servizio. I lettori sanno che prima di proclamare, devono leggere e rileggere il testo sacro, soprattutto però sono chiamati a porsi in preghiera davanti a quel testo, per capirlo ma soprattutto per cogliere quella Parola che Dio che rivolge a ciascuno di loro. Questo vale per ciascuno di noi. Faccio appello a questa nostra assemblea, perché altri di voi si facciano avanti per questo servizio molto importante. Voi sapete che la prima parte della Messa con l’ascolto della Parola, prepara la mensa eucaristica e il riconoscere Gesù nell’ostia santa.

4.Vorrrei concludendo, ricordare che la S.Messa non è una preghiera personale o meglio è personale nella misura in cui si vive come atto comunitario. E’ un corpo quello che prega, è il corpo della Chiesa, dei Battezzati, unito al capo che è Cristo. Da questo punto di vista, non bisogna isolarsi nella chiesa, ma partecipare insieme, rispondere, ma soprattutto cantare. Il canto all’unisono nella liturgia è fondamentale, perchè i cuori si uniscano e si percepisce di essere la Chiesa. Il canto liturgico, appropriato per i tempi liturgici e per il momento della Messa che si sta vivendo (un conto è l’offertorio, un conto la comunione o l’ingresso) dischiude nei cuori la presenza di Dio. Da questo punto di vista è molto importante la guida dei canti, lo strumento liturgico principe che è l’organo, che eleva l’animo a Dio. Ringrazio le diverse persone e i cori che si prestano a questo servizio, e invito tante alte persone a unirsi a loro, perché le liturgie siano ben fatte, preparate e il canto non sia improvvisato, perché il Signore dobbiamo trattarlo bene. Pensate quale cura si ha per preparare gli eventi mondani, le feste i compleanni ecc…Dobbiamo aver grande cura ne preparare la liturgia perché in essa agisce il Signore.

4.Concludo : Gesù non ci ha detto nel Vangelo che tutto si conclude nella liturgia, ma che l’Eucarestia ci apre alla carità. Il principio latino “Lex orandi, lex credendi” cioè “la legge della preghiera è la legge del credere”: che vuol dire che se la liturgia è ben celebrata, preparata e nel rispetto delle norme della Chiesa, ne hanno giovamento i fedeli perché la loro fede si rafforza e se si rafforza la fede, si fa avanti una carità operosa. E’ l’invito che faccio a ciascuno di voi nel domandarvi: come posso mettermi a diposizione perché la liturgia sia così?

Domenica III dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore C         15 Settembre 2019

 

1.”Le opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato” Carissimi, in queste domeniche chiamate dalla liturgia ambrosiana “domeniche dopo il martirio di San Giovanni il Precursore”, la liturgia della Parola ci presenta il Cristo Gesù nella sua vera identità, così come lo ha testimoniato il Battista e ce lo comunica presente nella Chiesa. Oggi il vangelo di Giovanni ci fa ascoltare la confessione stessa di Gesù, che comunica la sua identità divina di “Figlio di Dio”, di “Figlio dell’uomo”: uno col Padre e come tale capace di dare la vita eterna. Questo è il segno grande che è nascosto in tutti i segni e miracoli che Gesù, come Dio, compie. Ma l’ultima frase del vangelo che ho citato all’inizio, ci dice che la sua divinità e umanità si manifestano con le opere, e noi poteremmo aggiungere, con le tante opere di misericordia che Gesù ha compiuto. Queste opere oggi si prolungano nella vita della Chiesa. La comunità cristiana, noi Chiesa, singoli battezzati, che formiamo insieme la Chiesa del Signore Gesù risorto, noi siamo il prolungamento delle sue opere.

  1. Stiamo riprendendo il cammino della comunità parrocchiale e pastorale e io, i sacerdoti miei collaboratori coi diaconi, siamo mandati a guidare la comunità. Ma la Chiesa non è una dittatura illuminata, i laici hanno un ruolo importante. Il vostro primo compito è innervare di vangelo la vita quotidiana, essere segno del Signore risorto nell’”agorà”, nella piazza dei luoghi in cui si vive. Ma i laici hanno un ruolo importante di collaborazione e ancor più di corresponsabilità, nella comunità cristiana. Alla fine del mese di ottobre, in tutte le parrocchie della diocesi, saranno eletti i nuovi consigli pastorali. Anche noi, l’ultima domenica di ottobre compiremo questa elezione. Lo scopo della Chiesa è la missione: annunciare Gesù risorto, per questo è necessario consigliare nella Chiesa cioè farsi strumenti dello Spirito Santo per suggerire ai pastori le scelte da fare nei prossimi cinque anni. Siamo invitati a dare la nostra disponibilità e a suggerire al parroco e ai sacerdoti le persone adatte, con le migliori energie per questo servizio.

2.Richiamando la lettera pastorale del nostro Arcivescovo Mario Delpini “La situazione è occasione”, sentiamo di dover rileggere così il tempo che ci è dato. Non è il tempo una sorta di vuoto da riempire, ma al contrario è già pieno della Gloria , dell’Amore di Dio che ci è dato in Cristo. A parie da questo “Kairos”, tempo opportuno, propizio, ognuno di noi è chiamato a interrogarsi oggi, circa quali opere può porre in atto per edificare questa nostra Chiesa che è a Melegnano. Certo, ognuno ha i suoi doni, i suoi carismi da mettere a disposizione. Il seme che feconda l’azione è la preghiera e questa è fondamentale perché, come dice il Salmo 126, “se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori”. Qui vorrei richiamare ‘l’importanza delle due ore di adorazione che ci sono in basilica, con delle intenzioni particolari per la Chiesa locale, universale per il mondo. Dalla preghiera all’azione, dalla Messa, al domandarsi quale posto ciascuno di noi occupa nella comunità cristiana, nella vita della parrocchia. Questo momento concreto, la ripresa di un nuovo anno, può rivelarsi come occasione opportuna per farsi avanti. Ricordo però lo stile con cui ciascuno è chiamato a operare nella comunità cristiana, ed è lo stile della comunione cioè lo stile umile di chi agisce non per un tornaconto o per avere un suo piccolo potere, ma di chi lo fa per il Signore e per amore dei fratelli e della propria comunità e perciò non divide ma unisce, così agisce lo Spirito Santo in noi. Aggiungerei anche che occorre tanta umiltà. In genere gli impegni più appariscenti e gratificanti sono i più ambiti nella parrocchia, quelli nascosti, invisibili e umili, sono i più disertati. C’è bisogno soprattutto dei secondi. Concludo: l’epistola ci dice il segreto della vita della Chiesa, e di chi si impegna per edificarla, curarla, farla crescere in collaborazione coi pastori che il vescovo ha designato. Dice così l’ autore della lettera agli Ebrei: “Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù”.

Domenica 16 Giugno 2019 Festa della SS TRINITA’     C

 

1.”Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti”. Carissimi, le parole di Abramo alle Querce di Mamre rivolte ai “tre uomini” che “stavano in piedi presso di lui”, sono un segno del Mistero di Dio che bussa alla porta del cuore di ogni creatura umana, per essere ospitato. Sono tre eppure Abramo si rivolge a loro dicendo “Mio Signore”. Si adombra già il Mistero trinitario di un Dio che è tale, perché è comunione di tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Ospitare Dio nella nostra vita, nella casa interiore: questo è un primo messaggio che ci raggiunge in questa festa che, col Corpus Domini e la festa del Sacro Cuore, sintetizzano la nostra fede. La liturgia con queste tre feste, sembra educarci a fare una sintesi sul Mistero di Dio totalmente altro a noi, solo percepibile dalla nostra fragile mente umana, eppure così vicino fino a diventare cibo per noi e cuore che batte, trafitto d’amore per l’umanità. Ospitare Dio come Abramo! Gesù nel Vangelo ascoltato ci dice che è possibile: “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”….Poi aggiunge “Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Ma come è possibile ospitare Dio, il Dio uno e Trino in noi? Occorre fornire al Signore delle occasioni e cogliere le opportunità che Lui stesso prepara. Una esperienza profonda di Dio segna la vita di ciascuno di noi nel profondo, e la cambia, la trasforma. Tante occasioni sono sotto i nostri occhi: da quelle ordinarie a quelle più straordinarie, bisogna coglierle tutte. Penso all’estate che è iniziata: perché non provare una volta ad abitare un luogo silenzioso, un monastero, una casa di esercizi e fare magari anche con la famiglia una esperienza di Dio più profonda? A volte abbiamo paura a dare più spazio a Dio perché temiamo che ci chieda troppo, che ci chieda tutto. Ed è effettivamente è così, ma alla fine Lui stesso si dà tutto a noi. In questo senso ci sono delle occasioni che Lui ci prepara, perché noi lo possiamo incontrare. La natura di Dio è relazionale, comunionale: sono tre persone diverse che si amano e danno vita all’universo. E quando la loro creatura si perde (l’uomo), non lo lasciano solo, ma mandano Gesù che si spoglia della sua divinità e si fa uomo come noi. Ascendendo al cielo ci fa dono del suo Spirito, che porta avanti tutta la vita della Chiesa. Le occasioni di Dio sono tutti i momenti in cui noi siamo chiamati ad accogliere un imprevisto. Abramo ce lo dimostra: senza saperlo, in quei tre uomini, ha accolto Dio stesso. Quanti imprevisti nella nostra vita, anche una malattia è un imprevisto, anche la morte, anche una persona che ti viene a trovare senza preavviso. Risentiamo le parole di Gesù: “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”…Abramo ha il dono di un figlio nella vecchiaia. Ogni incontro con Dio autentico, porta fecondità, rinnovamento, nuova giovinezza interiore. Non è una emozione passeggera è qualcosa di più . Segna la profondità di noi stessi e fa impostare la vita nella logica del DONO DI SE’ che è l’essenza del Dio cristiano: il Padre ama e si dona al Figlio, che lo ama e si dona tutto a Lui. Lo Spirito Santo è la terza persona della SS Trinità, che manifesta al mondo questa essenza d’Amore.

Diamo Gloria e lode a Dio con la nostra vita, perché questo è lo scopo di noi, sue creature: lodarlo con una esistenza degna del suo Amore!

Domenica 9 GIUGNO 2019   PENTECOSTE   C

 

Vorrei iniziare questa omelia di Pentecoste, con le parole di un padre della Chiesa del quarto secolo, Evagrio Pontico:“E’ malato di superbia chi si separa da Dio, attribuendo alle proprie forze le opere rette che compie”. La stessa parola “superbia” è usata dalla liturgia, nel prefazio, per descrivere la realtà umana senza lo Spirito Santo: “ la confusione che la superbia aveva portato agli uomini, è ricomposta in unità dallo Spirito Santo”. Noi oggi riceviamo lo Spirito Santo promesso da Gesù, perché ci possiamo rendere conto che noi, lasciati da soli, in balia di noi stessi, non riusciamo a dirigere la barca della nostra vita e la navicella della Chiesa, verso la direzione del Vangelo e quindi del bene. Se manca lo Spirito Santo c’è la confusione e ognuno, in modo superbo, attribuisce a sé addirittura il potere divino. “Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Paraclito” . Gesù in questo discorso di addio ai suoi discepoli di ieri e di oggi, ci comunica la necessità dello Spirito Santo come “Paraclito”, persona che ci sta accanto, che ci dona la forza, che ci suggerisce il vangelo di Gesù, che spinge la Chiesa verso le nuove frontiere della missione. Pertanto è proprio l’errore di attribuire a sé il bene che si fa, che ci impedisce di vedere l’opera dello Spirito Santo. Nella prima lettura, in quella prima Pentecoste a Gerusalemme nel cenacolo gli Apostoli con Maria, sperimentano un frutto importante dello Spirito Santo che è l’unità…Noi siamo fatti per essere uniti nell’amore ed è questo che fa lo Spirito Santo: apre strade di dialogo, abbatte i muri, dà il coraggio di ritentare là dove si è fallito. Penso in questo momento all’unità nelle nostre famiglie, ma ancor di più all’unità interiore dentro di noi. Lo Spirito Santo ci fa recuperare un’unica lingua che è quella della carità di Cristo, con una grande libertà interiore. A volte ci troviamo nella condizione di chi ha perso le chiavi di casa e non le trova e non riesce a entrare…Questo smarrimento è l’assenza di un orizzonte spirituale, più vasto , l’orizzonte di Dio, del Vangelo di Gesù che ci dà lo Spirito Santo….Ma questa unità che lo Spirito costruisce dentro e fuori di noi non significa appiattimento e omologazione, ma spinta verso la Verità tutta intera. Gesù chiamo lo Spirito Santo:” Spirito di verità”.

“Lo Spirito non è dunque un ansiolitico o un sedativo. Non viene a ratificare i comodi armistizi che talvolta stipuliamo con le nostre incoerenze; non favorisce le nostre propensioni a non distinguere più tra il bene il male. Lo Spirito brucia, inquieta, tormenta. Però non conduce mai all’angoscia o, tanto meno, alla disperazione. Al contrario, vuol portarci, magari attraverso il travaglio dell’autocontestazione, a una serenità non illusoria e a una speranza che non possa mai venire smentita. Ci pone sì in una tensione incontentabile verso una mèta che ci trascende; ma non ci avvilisce, anzi alimenta sempre in noi un umile e deciso coraggio”. (Biffi G.) Lo Spirito Santo mentre porta avanti in noi e fuori di noi l’unità, lo fa nella verità cioè nella coerenza del vangelo di Gesù, che resta la nostra bussola.

Allora abbiamo bisogno di pregare maggiormente lo Spirito Santo, di accoglierlo nel silenzio delle nostre giornate così distratte. Questo significa avere il coraggio di trovare anche nei giorni più caotici, il nostro spazio per entrare in noi stessi e domandarci “Dove mi sta portando lo Spirito Santo? Quale forza domando? Quale parola di Gesù fa emergere in me in questo momento?”

“Vieni, Santo Spirito,manda a noi dal cielo un raggio della tua luce…. O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli. Senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò ch’è sviato….AMEN”

 

 

Domenica VII di PASQUA   C         2 Giugno 2019

 

1.”Perché tutti siano una cosa sola”. Carissimi, abbiamo da poco celebrato la solennità dell’Ascensione e ci prepariamo a una nuova Pentecoste, dove rinnoviamo in noi la presenza dello Spirito Santo. Stefano prima di morire, nella prima lettura, si rivolge ai suoi uccisori parlando di Gesù e annunciando la sua morte salvifica, la sua risurrezione e ascensione al cielo, dove anch’egli ha la certezza di andare. Ma Stefano in maniera franca si rivolge ai Giudei e dice: “Voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo”. Esattamente questo deplora Gesù, nella sua preghiera al Padre nel cenacolo. In quella preghiera ci siamo anche noi e vorrei far notare che, alla vigila della sua passione, Gesù non prega per se stesso, ma dice al Padre: “non prego solo per questi ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola”. Per tre volte chiede al Padre il dono dell’unità per i suoi e dunque per noi: “CHE SIANO UNO”. Esattamente è questa l’opera dello Spirito Santo, opporsi significa dividere, frazionare, primeggiare sugli altri. Lo Spirito Santo ci porta alla comunione cioè a sperimentare quella comunione così bella intima e profonda che Gesù ha con il Padre. E’ talmente bella e fondante questa esperienza di Gesù col Padre, che Egli la desidera anche per i suoi, anche per noi.

2.Ma che risonanza hanno questi desideri di Gesù per noi? Quante divisioni in noi, nelle famiglie, nelle aggregazioni, nella società e persino nella Chiesa!. Un discepolo di Gesù mai divide, sempre unisce, in questo modo fa agire lo Spirito Santo. L’unità con gli altri si fa sempre con il coraggio della verità, verità detta nei dovuti modi: “Veritas et Charitas”….“Charitas in veritate”….. Domandiamoci sinceramente: dove pongo resistenza alo Spirito Santo? Dove sono tentato di dividere e ho smesso di fare tentativi per unire? E ancora, quanto la mia preghiera contribuisce per la sua profondità, a condividere questo desiderio di unità che esprime Gesù? Da questo desiderio di Gesù noi dovremmo recuperare un compito importante, che è quello non solo di comporre i conflitti, ma di gestirli e prevederli. Penso in questo momento a due mondi: l’interno delle famiglie e i luoghi di lavoro. La nostra testimonianza cristiana in questi ambienti vitali, passa attraverso l’esercizio dell’ASCOLTO RECIPROCO. Qualche saggio diceva che il Signore non per niente ci ha donato due orecchie e una bocca, quasi per sottolineare che l’ascolto deve essere il doppio della parola. Su questo fronte invochiamo sempre lo Spirito Santo, perché ci dia la giusta parola, per riuscire ad ELEVARE in alto il conflitto e ad avere pazienza, perché come basta poco per rompere i rapporti con le persone, così per ricucirli ci vuole tanto tatto, fede, pazienza, carità.

3.Concludo nell’epistola di Paolo agli Efesini che abbiamo ascoltato: c’è un’espressione curiosa e molto bella che voglio evidenziare. Dice l’apostolo: “Il Signore illumini GLI OCCHI DEL VOSTRO CUORE”…Il cuore ha occhi cioè tutto parte dallo sguardo interiore che, se è illuminato dallo Spirito Santo, spiritualizza, altrimenti se è uno sguardo solo carnale, materiale, arriva a ridurre l’altro a un oggetto senza dignità e come tale scartabile, schiacciabile, come una spazzatura da buttare. In questa settimana che precede la Pentecoste, vi invito ad invocare ogni giorno lo Spirito Santo come Spirito di unità, Spirito di collaborazione, di verità e di carità. AMEN

Domenica VI di PASQUA   C         26 Maggio 2019

 

1.”Un poco e mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”. Carissimi, la frase enigmatica di Gesù, allude chiaramente alla sua Ascensione al cielo, che celebreremo insieme giovedì, a 40 giorni dalla Pasqua. Vedere e non vedere, non è un gioco di parole, ma la realtà della presenza di Cristo che, col suo corpo glorioso, ritorna al Padre e proprio per questo, è sempre con noi, con tutti noi. Ma il cuore di questa realtà è il dono dello Spirito Santo: Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”. Noi abbiamo già ricevuto lo Spirito Santo nel battesimo e nella Cresima, e lo dobbiamo far lavorare per portarci sempre alla verità della vita, alla verità su noi stessi. Si dice che la verità fa male, ma libera l’uomo da tanti condizionamenti. A quale verità ci porta lo Spirito del Padre e del Figlio Gesù Cristo? Noi possiamo vedere questo processo di verità nello Spirito Santo, attraverso la vicenda di Saulo che abbiamo ascoltato dalla sua viva voce nella prima lettura di Atti degli apostoli. Paolo è a Gerusalemme, in stato di arresto e ottiene il permesso di parlare al popolo. Paolo parla della sua vicenda, il suo ruolo di persecutore dei cristiani, l’approvazione dell’uccisione del diacono Stefano, la svolta sulla via di Damasco con l’incontro con Gesù risorto, l’aiuto di Anania e finalmente la missione di apostolo delle genti. Ciò che colpisce, è che nelle battute finali che registrano il dialogo tra Paolo e Gesù risorto, l’apostolo fa presente che non sarà accettato dai cristiani, perché lo conoscono come persecutore, ma Gesù non gli dà retta, comunicandogli il suo progetto: “Va perché io ti mando lontano alle nazioni”. Gesù riporta Paolo alla sua vera identità, lo libera dal passato, lo proietta al futuro, ma soprattutto gli restituisce la vera visione di sè stesso. Mi pare che questo aspetto sia molto importante per tutti noi: la libertà da noi stessi, la libertà di essere se stessi, come il Signore ci vuole. E’ la comunione con Gesù che si manifesta col dono dello Spirito che ci fa liberi. Noi, quanto più viviamo di questa comunione, tanto più facciamo lavorare in noi lo Spirito Santo. Fuori da questa comunione spirituale, c’è il rischio di farsi tante schiavitù. Pertanto vale la pena porsi la domanda: io sono me stesso, sono autentico, alimento questa mia vera autenticità e libertà a partire dal dono dello Spirito Santo che mi è stato dato? Per essere veramente liberi, occorre continuamente far riferimento alla nostra dimensione più vera…Chi sono io? Io sono un discepolo del Signore Gesù che è padre, marito, moglie, figlio, medico operario, ma un discepoli di Gesù. Ecco cosa fa in noi lo Spirito Santo, difende Gesù in noi, ci ricorda la verità delle sue parole e per questo ci rende liberi, anzitutto da noi stessi. L’esempio di Paolo è eloquente, perché egli è pesato dal suo passato, ma Gesù risorto lo incontro e gli dice “Tu non sei quello, la tua vera identità sarà quella di essere apostolo delle genti”. Paolo ha capito che il male è dentro di lui e solo l’accoglienza di Cristo lo può liberare dal suo passato. Lo Spirito Santo ci porta sulla strada di quello che siamo profondamente: siamo figli di Dio, discepoli del Signore Gesù…Noi spesso dimentichiamo CHI SIAMO VERAMENTE e lo Spirito Santo che ci è stato donato, ci porta a recuperare questa realtà profonda di noi stessi. Se noi vivessimo di questa realtà profonda, forse certi errori e peccati non li faremmo più…Ma dobbiamo lasciarci guidare. Ma da chi, da cosa ci facciamo guidare? Questa è un’altra domanda importante che occorre farsi.

Termino guardando alla Beata Vergine Maria, a conclusione del mese di Maggio. Questo tempo a lei dedicato, si chiude con la festa della visitazione che è profondamente l’incontro tra Cristo e il precursore, tra l’antico e il nuovo testamento. Ma questa festa ci comunica l’animo di Maria, la serva del Signore, lei che gravida del Salvatore, parte per mettersi al servizio della cugina Elisabetta. Ecco: da Maria impariamo la libertà dello Spirito, che ci consegna l’unica legge che ci rende autentici, che è la legge dell’amore. Invochiamo da Maria questa libertà di spirito.

Domenica V di PASQUA   C         19 Maggio 2019

 

1.”Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato”. Carissimi, siamo ancora dei “discorsi di addio” che Gesù pronuncia nel cenacolo, dopo che Giuda è uscito per tradirlo. Qui rimaniamo attoniti, perché Gesù chiama “Gloria” l’atto del tradimento e la conseguente sua morte in croce. Non è una sconfitta, ma un evento di gloria per il Padre e per Gesù, che si apprestano a donare all’umanità lo Spirito Santo. Qui c’è una visione al contrario, ciò che noi chiamiamo sconfitta, Dio lo chiama “Gloria”. Ma cosa vede Dio? Nel Figlio consegnato alla morte, il Padre vede l’amore totale per l’umanità, per la nostra redenzione. Gesù stesso nel vangelo di Giovanni, non guarda la sua passione con gli occhi della carne, con il pensiero mondano, ma con il cuore di chi sa che “non c’è amore più grande di chi dà la vita”. Dunque, la passione e il sigillo definitivo della risurrezione, sono GLORIA di Dio e degli uomini, perché manifestano la potenza dell’Amore di Dio che salva. La croce è gloria non perché è strumento di dolore, ma perché è il segno della fine inflitta a chi ha amato, a chi è giusto, a chi liberamente e per amore ha deposto la propria vita per gli altri. Per noi è un insegnamento per la vita. Chi non soffre? Ognuno di noi ha la sua croce, dobbiamo guardare Gesù, alleviare il dolore..Ma se non è in nostro potere umano superarlo, occorre sempre guardare alla gloria della croce. Penso in questo momento alla Madonna di Fatima che ai tre pastorelli nella prima apparizione il 13 maggio 1917 chiedeva : “ Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, come atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?”. Vedete come è trasformato il dolore, così come Gesù crocifisso e risorto soffre perché ama fino alla fine, e il suo dolore salva l’umanità dal peccato e dalla morte.

2.Comprendiamo allora il comandamento dell’amore, come l’eredità più importante che Gesù ci ha lasciato: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. Solo questo è il distintivo di chi è discepolo di Gesù. La prima lettura degli Atti degli Apostoli, ci parla di questo amore nella comunità, la primitiva comunità cristiana : ”aveva un cuore solo e un anima sola”. Ancora di più nell ‘epistola Paolo ai Corinzi, ci propone il famoso inno alla carità, che non è altro che un autoritratto di Gesù, del cristiano e della comunità. L’inno alla carità, ci mostra concretamente come ama Gesù, e come siamo invitati ad amarci gli uni gli altri. Vorrei terminare ricordando un aspetto della carità di Cristo menzionano dall’apostolo Paolo: “la carità non tiene conto del male ricevuto”. Quando uno ama come Gesù, arriva a questo grado di libertà, che è l’anticamera del perdono. Da questo punto di vista, occorre tenere a bada un sentimento che sorge in queste circostanze negative, che è il RANCORE. Questo sentimento nasce non solo quando si riceve del male, ma anche quando si vede nell’altro una attesa tradita, un comportamento, un modo di fare e di porsi che non corrisponde a quello che noi ci attendiamo da lui o da lei. Il rancore è un sentimento che nasce da un amore di possesso che non è amore, sorge quando noi pensiamo che amare sia possedere l’altra persona, assogettata a noi, alla visione che noi abbiamo di lei o di lui. Questo sentimento, sorge con tutti, anche coi familiari. Come curare il rancore? Con l’amore di Cristo. Infatti, come dice l’apostolo: “la carità si rallegra della verità”, il che vuol dire che deve guarire il nostro sguardo sugli altri. Qualora ci fosse realmente qualcuno che vuole il male e lo fa, noi dobbiamo intervenire, ma non smetteremo di amarlo, perché sappiamo molto bene che chi compie il male è malato di egoismo e quando si è malati dentro, tutti i mali vengono di conseguenza. Guardiamo Gesù: egli ama tutti, perché si è conservato puro dentro nell’amore. Concludo: c’è qualcuno che nella nostra vita facciamo fatica ad accettare e ad amare, magari anche tra i nostri cari? Ebbene è con lui o con lei, che noi siamo invitati a mostrarci come discepoli. Ricordiamo anche che amare vuol dire vivere la virtù della prudenza, ma anche saper rischiare col sostegno dell’amore di Dio che è l’unico motore che ci muove.

Domenica IV di PASQUA   C         12 Maggio 2019

56ma giornata mondale di preghiera per le vocazioni

1.”Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” Carissimi, le parole di Gesù sono dette nel cenacolo, dopo che Giuda è uscito per tradirlo, sono parole testamentarie e diventano per noi l’eredità più importante che Gesù ci lascia: il suo Amore, l’Amore del Padre di cui Gesù come uomo ha vissuto. Questo impegno, ci aiuta a comprendere le parole dell’apostolo Paolo quando afferma: “Se siete risorti con Cristo”…Essere risorti con Cristo, significa sforzarsi ogni giorno di amare come Lui: questo è lo scopo della vita di un cristiano e sarà questa l’eternità, amati per sempre da Dio. Nella 56ma giornata mondiale di preghiera per le vocazioni di speciale consacrazione, vogliamo rendere grazie al Signore per il dono dei sacerdoti, dei religiosi e religiose che hanno servito la nostra comunità e che qui sono nati e stanno donando la vita per il Signore e per la sua Chiesa. Melegnano ha sempre avuto tanti preti bravi e suore esemplari, pur peccatori come tutti noi. Noi oggi vogliamo ricordarli e pregare per le vocazioni tra i nostri giovani. Il papa ha intitolato così il messaggio per questa giornata: “IL CORAGGIO DI RISCHIARE PER LA PROMESSA DI DIO”. La vita di tutti noi è una vocazione a vivere il comandamento dell’amore che Gesù ci ha lasciato. Noi siamo portatori di una promessa di Dio a cui crediamo, cioè noi crediamo di essere amati da Dio in Gesù, sempre. Giocarsi su questa promessa, implica un rischiare per Dio, impostando la vita su questa promessa che è la Pasqua di Gesù, lo stile di vita di Gesù. Citando il vangelo, il papa mostra nella vita dei primi chiamati, gli apostoli, le delusioni, le reti vuote. Scrive il papa: “Sono queste le situazioni ordinarie della vita, nelle quali ciascuno di noi si misura con i desideri che porta nel cuore, si impegna in attività che spera possano essere fruttuose, procede nel “mare” di molte possibilità in cerca della rotta giusta che possa appagare la sua sete di felicità. Talvolta si gode di una buona pesca, altre volte, invece, bisogna armarsi di coraggio per governare una barca sballottata dalle onde, oppure fare i conti con la frustrazione di trovarsi con le reti vuote” Ma come ogni esistenza delusa, Gesù si avvicina alla nostra vita e il ripartire sempre da Lui, ci rilancia a ricominciare ogni volta. Ogni vocazione si rinnova con questo incontro. Da qui la necessità di fare silenzio, di avere ritmi di vita spirituale che permettano di percepire la sua Parola. Questo non vale solo per chi sta scegliendo e scoprendo la vocazione personale, ma per tutti, anche per chi da anni ha detto il suo “Si”. Infatti se la fedeltà alla propria vocazione non si rinnova con Colui che ci chiama, il “Si” diventa stanco ed è facile tradire, andare fuori strada, smarrire “l’amore di un tempo”.

2.”Non c’è gioia più grande che rischiare la vita per il Signore”. Così scrive il papa nel suo messaggio “Nell’incontro con il Signore qualcuno può sentire il fascino di una chiamata alla vita consacrata o al sacerdozio ordinato. Si tratta di una scoperta che entusiasma e al tempo stesso spaventa, sentendosi chiamati a diventare “pescatori di uomini” nella barca della Chiesa attraverso un’offerta totale di sé stessi e l’impegno di un servizio fedele al Vangelo e ai fratelli. Questa scelta comporta il rischio di lasciare tutto per seguire il Signore e di consacrarsi completamente a Lui, per diventare collaboratori della sua opera. Tante resistenze interiori possono ostacolare una decisione del genere, così come in certi contesti molto secolarizzati, in cui sembra non esserci più posto per Dio e per il Vangelo, ci si può scoraggiare e cadere nella «stanchezza della speranza»” Guardiamo con speranza ai giovani, che ancora oggi rispondono a questa chiamata, perché sono un miracolo di Dio. Lo scorso ottobre il rettore del nostro seminario mi ha invitato a celebrare una Messa per tutti i seminaristi . A Venegono dove c’è il nostro grande seminario, ci sono circa 150 i giovani che si preparano a donarsi al Signore e alla Chiesa come preti. Guardandoli dall’altare, mi sono commosso nel vedere i loro giovani volti puliti ed entusiasti. Il Signore tocca ancora il cuore dei giovani e li attira a sé per un servizio al suo popolo. Mi sono però anche detto che ciascuno di loro è frutto della preghiera semplice e costante del popolo di Dio e dell’offerta dei sacrifici nascosti per le vocazioni. Affido anche a voi questa intenzione quotidiana di preghiera: le vocazioni consacrate e la perseveranza di chi già ha risposto.

 

Domenica 5 Maggio 2019   III dopo PASQUA C

1.”Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” Carissimi, in questa terza domenica di Pasqua, siamo invitati dalla Parola evangelica a fissare gli occhi del nostro cuore sul volto luminoso del Risorto. Gesù si trova nel tempio, nel periodo della festa ebraica dei Tabernacoli:una festa di natura agricola, che celebrava il raccolto finale dei prodotti dell’anno. Una festa anche di natura storica, era un memoriale dei giorni che Israele aveva vissuto in tende nel deserto. Infine una festa di natura soprannaturale, aveva lo scopo di rinnovare e mantenere nel popolo d’Israele «uno spirito di gratitudine e di ubbidienza, guidandolo a considerare profondamente i grandi favori che aveva ricevuto dalle mani del suo misericordioso Dio» durante il lungo e difficile tragitto tra l’Egitto e la terra promessa. Gesù nel tempio e in particolare nell’atrio delle donne, fa questa affermazione. Si esprime così non casualmente, perché lì venivano accese delle grandi fiaccole che espandevano la loro luce che si vedeva anche da lontano. Gesù si definisce “Luce del mondo” in ragione del suo rapporto col Padre. E’ da Dio Padre che Egli riceve questa Luce ed è luce con Lui e invia la luce sulla terra che è lo Spirito Santo. Lo diciamo anche nel CREDO: “LUCE DA LUCE, DIO VERO DA DIO VERO”. Ci accostiamo oggi a Cristo Risorto, bisognosi di essere illuminati dalla sua presenza. Facciamo questo esperienza nella Santa Comunione al suo Corpo e al suo Sangue. Come questo incontro porta luce in noi? E ancor di più, in che modo ci sentiamo di illuminare di questa luce di Cristo risorto, la vita di chi ci sta accanto? Nella grande veglia pasquale del sabato santo, il CERO PASQUALE che è qui accanto all’altare, simbolo di Cristo risorto, è entrato con la sua luce ed ha illuminato la nostra basilica, accendendo le fiaccole di tutti i fedeli. Questa immagine dice il nostro compito di cristiani nel mondo. Domandiamoci: io di quale luce brillo? La luce che è Cristo Risorto ha illuminato e fatto camminare molti uomini e donne lungo la storia della Chiesa. La prima lettura ci mostra l’Apostolo Paolo agli arresti domiciliari a Roma, ormai alla fine della vita, prima del martirio. Egli ha ancora la forza di annunciare il Cristo Risorto come salvezza per tutte le genti. Incontrare la luce che è Cristo, significa sentirsi amati personalmente da Dio. Questa esperienza che la Chiesa vive nel tempo di Pasqua, ci comunica che Dio Padre in Cristo risorto si interessa di ciascuno di noi. Se illuminati, noi illuminiamo, altrimenti contribuiamo al buio del mondo. I cristiani nel mondo sono come delle piccole luci accese da Cristo risorto, che a loro volta ne accendono tante altre. La luce di Cristo è luce di eternità, è luce di speranza, è luce di carità e di amore. In un mondo egoista, in un mondo che non crede più in Dio, noi cristiani dobbiamo risplendere come fiaccole sul lucerniere della vita. Maria santissima, che invochiamo in questo mese a lei dedicato dalla devozione popolare, ci sostiene e ci guida nel cammino. Lei ci è accanto ed è Madre della Chiesa pellegrina nel mondo. Accanto a Maria, noi siamo protetti e sicuri, soprattutto quando è difficile nel buio della vita, illuminare noi stessi e gli altri con la fede. Affidiamoci a lei!

Domenica 29 Aprile 2019   II dopo PASQUA C

1.Guardiamo oggi l’apostolo Tommaso. Quanti dubbi anche per noi! Ma qui impariamo a non spaventarci dei nostri dubbi anche quelli di fede. Impariamo da Tommaso a dialogare coi propri dubbi e soprattutto a portarli davanti a Cristo, alle sue parole alle sue piaghe gloriose…Questo essere di Tommaso di fronte a Gesù, al Gesù Crocifisso e risorto, scioglie i suoi dubbi. Lui è invitato a toccare il Cristo, a mettere la mano nella ferita del cuore, per recuperare quello che ha perso. Forse è proprio vero, la risurrezione per noi è quella di recuperare il cuore. Solo col cuore si può ragionare parlando della VITA. Chi è senza cuore vede la vita come una macchina e non come un dono. Una macchina quando non va più la butti via così si fa con la vita, quando non è più efficiente la butti via. Invece se hai nel tuo cuore il cuore di Cristo, davanti a una vita malata, il tuo amore aumenta si moltiplica. Papa Francesco in visita alla parrocchia romana di San Giulio, così ha risposto alla domanda di chi gli chiedeva se aveva avuto dubbi di fede nella sua vita:”Ho avuto tanti dubbi, di fronte a calamità, per esempio, ma anche davanti a cose che sono successe nella mia vita. Come ne sono uscito? Non ne sono uscito da solo, non si può uscire da soli dal dubbio per questo è importante avere sempre degli amici, un gruppo e parlare con Gesù”. E’ interessante come anche Tommaso è stimolato nella sua ricerca dalla prima comunità apostolica e proprio a loro confessa il suo dubbio.

  1. In fondo, la fede non è mai un’esperienza agevole. Per la maggioranza delle persone è un’esperienza difficile. Anche coloro che stanno dentro nel recinto della Chiesa e partecipano con regolarità alla sua vita, sentono che la fede non è un dato pacifico. Sia l’Antico che il Nuovo Testamento ci mostrano itinerari di fede non lineari, spesso contorti e faticosi, proprio da parte di coloro che diventano nelle Scritture i destinatari privilegiati dell’agire di Dio, i suoi testimoni e quindi anche i modelli per il discepolo. Questa è anche l’esperienza delle donne e degli uomini di oggi. Per nessuno la fede è un lungo fiume tranquillo, ma è sempre un cammino, una tensione che non raramente vive più di dubbi che di certezze. La fede non è un possesso definitivo, una certezza acquisita una volta per tutte. Partecipa, piuttosto, dell’insicurezza che caratterizza la libertà della persona e per questo credo che nel cuore di ogni credente ci sia una certa simultaneità di fede e di incredulità. Il dubbio fa parte del credere, quindi la precarietà, l’incertezza fa parte della fede: ogni giorno la fede si rinnova vincendo il dubbio, accettando di non sapere, decidendo di acconsentire liberamente a una promessa, vivendo come pellegrini mai residenti, sentendosi non soli ma insieme ad altri, come in una carovana. In fondo, la preghiera più bella di tutto il Nuovo Testamento l’ho sempre rintracciata nel vangelo di Marco nelle parole del padre del bambino epilettico che si rivolge a Gesù in questi termini: «Credo, aiutami nella mia incredulità!» (9, 24).

S.PASQUA   21 Aprile 2019

 

1.“Dona perché piangi? chi cerchi?”. Carissimi : è Pasqua! Nella appassionata ricerca della Maddalena, siamo rappresentati noi, ciascuno di noi. Ma questa donna si trova davanti Gesù vivo e risorto e non lo riconosce. La Maddalena cerca il cadavere di Gesù e resta chiusa nella tristezza del passato. Un pericolo che corriamo anche noi, quando non ci lasciamo sorprendere dall’iniziativa di Gesù che non è un cadavere, ma un Vivente, che ci viene a cercare proprio nelle nostre lacrime di dolore. Noi siamo invitati a domandarci in questo giorno: “Io continuo a cercare il Signore? Mi lascio trovare? “. La Maddalena deve essere purificata nella sua ricerca, perché Gesù non si presenta più come l’ha conosciuto prima della morte, se fosse così l’avrebbe riconosciuto, ma Gesù è da cercare e trovare nella luce della fede. Alla presenza storica di Gesù, nel tempo della Chiesa, quello che noi stiamo vivendo, succede un modo nuovo di presenza, il quale rende possibile e doveroso un modo nuovo di cercare e trovare. Qui dobbiamo farci aiutare da altre parole che Gesù ha detto ai suoi discepoli: “Non vi lascerò orfani, ritornerò a voi…. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. E ancora: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Infine vorrei ricordare una delle parole più importanti di Gesù dette dopo la sua risurrezioni: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. Ritornando alla Maddalena possiamo dire che questa ricerca di Gesù, deve essere fatta nella fede, con la fede della Chiesa, di coloro che credono e si fidano della Parola di Cristo e fondano la loro vita su di Lui. Alla risurrezione nessuno era presente, i vangeli ci testimoniano che il sepolcro era vuoto e Gesù è apparso col suo corpo glorioso a tanti cristiani della prima ora. Da allora, molti hanno impostato la loro vita su di Lui, hanno creduto, lo hanno lasciato agire nella vita col suo Spirito. Tocca a noi adesso fondare in lui la nostra speranza, tocca a noi comprendere che la risurrezione ce lo restituisce vivo e operante mediante il suo Spirito nella Chiesa. Egli col Padre prende dimora in noi mediante il dono del suo Spirito: questa è la grazia della Pasqua. La Maddalena và dai suoi fratelli e diventa la prima apostola di questo annuncio che, da 21 secoli, attraversa tutta la terra e fonda la comunità dei risorti. E’ nostro compito cercare, lasciarsi trovare, non trattenere, ANNUNCIARE. Questi quattro verbi disegnano l’itinerario della Chiesa del Risorto: una comunità come la nostra che cerca ogni giorno Gesù, lo trova nella sua Parola, nei suoi sacramenti. Lo trova nell’amore fraterno e si sorprende, perché Lui viene a cercarci nelle circostanze della vita, soprattutto quelle dolorose, Lui che ha sperimentato il dolore e la morte, non può che farci assaporare in quei giorni il profumo della sua risurrezione. Annunciarlo, andare dai nostri fratelli come testimoni del Risorto: questo è nostro compito. Noi cristiani l’ottimismo non ce lo diamo da soli, ma nasce dalla fede in Cristo risorto. Vi invito in questo giorno di Pasqua a considerare dove ci manda il Signore a portare questa sua presenza positiva. Chi in questo momento ha più bisogno di noi ?…Se ce lo domandiamo e ci facciamo messaggeri di questo annuncio, noi comprendiamo come la Chiesa vive della Pasqua del suo Signore, da questo fatto recupera nuova energia per vivere in questo mondo con impegno, ma con lo sguardo ai beni eterni.

Domenica DELLE PALME   C         14 Aprile 2019

S.Messa con la processione e benedizione delle Palme

 

1.Carissimi, vorrei provare a far parlare l’asinello che ha portato Gesù nel suo ingesso a Gerusalemme all’inizio della settimana santa, chiamata più precisamente “Autentica”, perché è il modello di ogni settimana.

*Ciao io sono l’asinello che ha portato Gesù, dovete sapere che il mio padrone è un grande amico di Gesù, e aveva saputo del suo arrivo a Gerusalemme e ha voluto fargli un regalo. Tra noi asini e cavalli è iniziata una cosa spiacevole. I cavalli hanno cominciato a dire: “Certo il padrone sceglierà uno di noi, il più slanciato, quello con la criniera più lunga e lucida e voi asini morirete di invidia”. Ma addirittura tra loro cavalli cominciavano a litigare, perché tutti volevano farsi vedere dalla tanta gente che era arrivata a Gerusalemme per la Pasqua. Quando invece il padrone è arrivato a prendere me, tutti sono rimasti sconcertati. Tra gli asini poi, io non sono quello più forte, sono il più giovane e fin d’ora solo dei bambini erano saliti sulla mia groppa. Immaginate cosa è successo tra i cavalli. “Ma chi è quello lì per portare Gesù? E’ un semplice asino, ma il padrone si sarà sbagliato”. E invece no, è venuto proprio da me ed io dalla cima del monte degli ulivi, ho avuto la gioia e l’onore di portarlo. Non ho mai visto una festa così grande, i bambini prendevano i rami di ulivo e palma e li agitavano al nostro passaggio..che festa, che gioia! Io ero proprio contento e orgoglioso.

**Ma figuratevi alla sera, quando sono tornato nella mia stalla, tra i miei fratelli asini, tutti mi hanno chiesto di raccontare. Poi la domanda che tutti mi hanno fatto è stata la stessa: “Ma perché ha scelto te per entrare a Gerusalemme?” Sapete, io non ho proprio risposto, ma ho raccontato come ho visto io Gesù su di me quel giorno. Non ho mai visto una persona così umile e buona, non ho mai visto una persona così mite e mansueta…Mi sono detto, forse ha scelto me perché noi asini non siamo animali appariscenti, sembriamo animali stupidi e ignoranti ma non è vero. Ho capito che Gesù non guarda l’apparenza, ma vede il cuore. Io ho visto in Gesù un grande amore per me e per tutti. Vi dirò un piccolo segreto: Gesù quando è arrivato alla fine del cammino dalla cima del monte degli ulivi alle porte di Gerusalemme è sceso dalla mia groppa e mi ha fatto sul muso tre carezze, io ho pianto perché ha capito quanto Gesù ci vuole bene. Lo auguro anche a voi: seguite Gesù in questa settimana santa, andate a vedere nel cenacolo quando lava i piedi ai suoi apostoli e poi dice che il pane spezzato è Lui stesso. Ma mi raccomando, non lasciatelo solo quando il venerdì santo alle tre andrà in croce. Andate a dargli un bacio il venerdì santo…Ma tutto non finisce qui, perché domenica prossima è la sua PASQUA: Gesù passerà dalla morte alla vita, e vi chiederà, come ha chiesto a me, di portarlo ovunque…Si, perché la mia missione è la vostra: portare Gesù ovunque andiate: RICORDATELO!

Domenica V di QUARESIMA   C         7 Aprile 2019

 

1.”Lazzaro si è addormentato ma io vado a svegliarlo” Carissimi, la Pasqua di risurrezione è vicina. Il cammino della Quaresima ci ha preparato ad accogliere il Signore risorto. Oggi il grande miracolo della risurrezione di Lazzaro ne è una sua anticipazione. Anzitutto Gesù chiama la morte: sonno. Questo è un elemento importante in questo episodio, perché dice lo sguardo credente sulla morte. La morte per un cristiano è un sonno, dal quale subito viene risvegliato per la potenza vitale del Dio creatore. A due settimane dalla Pasqua, il Signore Gesù si presenta come Colui che può svegliare dal sonno della morte. Egli si rivolge a ciascuno di noi, con la medesima domanda che rivolge a Marta e a Maria, affrante per la perdita del fratello: “Credi tu questo?”. Siamo invitati a dare la nostra risposta, in particolare, è necessario domandarci come cristiani: come guardiamo la morte? La risposta dovrebbe essere quella della fede: chi è morto si è addormentato, è entrato nel riposo attivo di Dio, nella vita eterna. Varrebbe la pena domandarci se crediamo alla vita eterna, se i lutti che abbiamo subito ci hanno incamminato sulla strada della fede. Occorre chiederci se ci fidiamo delle parole di Cristo e ancor più della sua risurrezione, che dà forma alla nostra e a quella dei nostri cari. Noi ci siamo già detti, alla luce della fede, magari davanti alla tomba dei nostri cari: “un giorno ci rivedremo?”

2.Dopo questa considerazione, vorrei ricordare che diversi Padri della Chiesa, da Agostino, Ambrogio e altri, vedono in Lazzaro morto da quattro giorni, la situazione del peccatore impenitente, della morte del peccato in cui non c’è più nulla da fare. Se Lazzaro è la nostra anima privata della Grazia di Dio e prigioniera del peccato, la Pasqua è la liberazione, il perdono totale e la salvezza, che avviene solo attraverso l’intervento di Cristo, che dice a gran voce anche a noi: “Vieni fuori”. Per il Signore Gesù, nessuno è così morto dentro, da non poterlo risuscitare. Il fatto che Lazzaro sia da 4 giorni nel sepolcro, dice la situazione disperata. L’intervento di Gesù, ci comunica che per Lui tutto si può salvare.

3.Allora guardiamo al sacramento della guarigione, al sacramento della salvezza che è la Santa Confessione. Ci è dato di vivere questo sacramento, come una risurrezione. Anzitutto confessione la lode al Signore per tutti i benefici che ci ha dato fino ad oggi, come Gesù, che prima di resuscitare Lazzaro ha ringraziato il Padre. Poi deponiamo ai piedi del Signore i nostri veri peccati, la radice profonda dei peccati esterni, che è l’egoismo, l’eccesso di amor proprio, l’orgoglio. Siamo invitati nella confessione, a dire realmente cosa ci dà la morte interiore. Infine l’assoluzione sacramentale ci ridona la vita di Cristo, ma deve essere accompagnata dal dolore dei peccati e dal proposito, da un proposito che ci rilanci verso la prossima Confessione. Il proposito che chiude la Confessione è importante, perché Cristo ci dà la sua vita, ma la dobbiamo mantenere.

Vi invito, carissimi, a preparare bene la confessione pasquale, facendo sintesi del cammino di Quaresima.

Domenica IV di QUARESIMA   C         31 Marzo 2019

 

1.”Voi non siete nelle tenebre, siete tutti figli della luce” Carissimi, l’espressione di Paolo nell’epistola odierna ai Tessalonicesi, ci comunica la grazia dell’esserci anche noi lavati nella piscina di Siloe, che significa Inviato. Col Battesimo, sacramento che ci ha immersi nella Pasqua di Gesù, noi siamo stati lavati, purificati, illuminati. In noi abita la luce dello Spirito Santo. Con questa luce dello Spirito di Colui che è l’Inviato dal Padre, noi siamo chiamati a vedere e a illuminare. Nel bellissimo vangelo del cieco nato, stupisce però che davanti all’evidenza del miracolo, i vicini, i farisei, i Giudei e i genitori stessi, per paura non credono. Possiamo proprio dire che quando il cuore è chiuso, neanche un miracolo così grande come dare la vista a un cieco nato, può aprire gli occhi della fede. In questo senso, la Quaresima ci sta preparando ad accogliere la Pasqua, perchè l’esercizio di maggior preghiera, della penitenza, dell’attenzione a chi è in difficoltà, ci dovrebbe aprire il cuore ai suoi miracoli, alla sua luce. Com’è il nostro cuore alla vigilia della Pasqua?

C’è anche un idea sbagliata che emerge nel vangelo cioè che colui è malato, il cieco che non vede, è così perché è nato e ha commesso peccati. E’ un idea che qualche volta affermiamo anche noi quando ci ammaliano o ci capita una disgrazia. Diciamo: “Dio mi ha castigato” oppure “Io non meritavo questo, non ho fatto niente di male”. In questo modo anche noi ragioniamo con la teologia di questi Giudei intransigenti, che pensano a un Dio che retribuisce le grazie in base al merito o demerito personale. Gesù alla domanda esplicita dei discepoli che chiedono “Chi ha peccato lui o i suoi genitori perché ia nato cieco?” risponde: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché in lui siamo manifestate le opere di Dio”. Ricordiamo questa risposta di Gesù, perché quando siamo malati, dobbiamo adottare tutti i mezzi per guarire e chiedere anche al Signore di guarire, ma Gesù stesso ci chiede di mostrare la gloria di Dio con la luce della nostra fede. Molte volte capita che nelle malattie e nelle contrarietà, ci è data una vista nuova, ci sono delle grazie del Signore racchiuse nelle disgrazie.

2.Il cieco nato siamo noi. Senza il tocco di Cristo, che ricrea con saliva e fango, come nella creazione di Genesi, l’uomo nuovo non nasce. Quella piscina è il fonte battesimale, che fa nascere i cristiani che sono uomini di fede, con una vista nuova, che prima non avevano. Non è forse vero che senza la fede siamo ciechi? Allora esercitiamoci in questa settimana a vedere con gli occhi della fede. Dovremmo dire anche di noi stessi al termine di questa Santa Messa: “Mi ha aperto gli occhi e ci vedo”. Questo miracolo del vedere con gli occhi della fede, con la luce che è Cristo, non è per noi stessi, ma è un dono per gli altri. Il nostro compito di credenti, illuminati da Cristo, è quello di vivere come “figli della luce”, come ci dice il rito battesimale alla consegna della candela accesa ai genitori dopo il Battesimo. Siamo illuminati per illuminare. Pertanto è questo il nostro impegno, soprattutto col coraggio di illuminare chi incontriamo: abbiamo il coraggio in questi giorni di quaresima verso la Pasqua, di reinterpretare il vissuto di chi ci confida una pena, una tristezza, lo scoraggiamento e la lamentela, di illuminare con la fede quel vissuto. Cerchiamo poi di dire più spesso a chi non è contento, che pregheremo per lui , per lei. Questo è illuminare con la luce di Cristo la nostra vita e vedere coi suoi occhi.

Domenica III di QUARESIMA   C         24 Marzo 2019

 

1.”Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” Carissimi, nel cammino verso la Pasqua siamo oggi davanti a Gesù che dialoga in modo acceso con un gruppo di “Giudei che gli avevano creduto”. In questo dialogo, si scopre in realtà che queste persone di fede ne avevano poca, erano più ancorati a una certa tradizione e a convinzioni, che in realtà, non cambiavano di una virgola la loro vita. Ecco che Gesù, per prepararci alla sua Pasqua, ci invita a considerare come la vera fede in Lui ci rende liberi. Il peccato al contrario, ci fa schiavi di cattive abitudini e queste abitudini spesso nascono da idee sbagliate, che diventano trappole. La fede rende liberi!. Questa convinzione è molto importante, ma occorre capire cosa significa avere fede. La fede è il consegnare con fiducia se stessi a Gesù. La fede non è un semplice atto intellettuale, che fa aderire a delle verità astratte. La fede è rispondere a una domanda di Gesù? “Mi ami più di costoro?” Se ricordate, è la domanda che Gesù fa a Pietro dopo la sua risurrezione. La fede è una relazione personale. Per questo vi invito a domandarvi se nella vostra vita, avete una relazione quotidiana con Gesù, se gli parlate, se lo ascoltate, se è Lui il riferimento per le vostre scelte. In questo senso il cammino della fede libera, perché ci fa compiere un percorso di progressiva consegna del nostro cuore a Gesù. In questo cammino, le nostre convinzioni cambiano, e si diventa veramente liberi, anzitutto da se stessi e poi dalle mode, dai pensieri del momento e soprattutto, in Gesù, si ha la forza di superare anche le tentazioni, le schiavitù delle cose, delle abitudini cattive, dei pensieri che ci tormentano…. Sant’Agostino commenta questo passo evangelico: “Le tentazioni del mondo sono numerose e frequenti: ma più forte è Colui che ha creato il mondo; abbondano le tentazioni, ma non viene meno chi pone in lui le sue speranze, perché Egli non può venir meno”. Queste parole sottolineano l’importanza nella vita spirituale, di una disciplina e di un esercizio anche di rinuncia, per non cadere nella tentazione. Ma ciò che tutto muove è questa adesione personale a Cristo. Cosa porta questo cammino di fede, questa libertà che ci assicura Gesù? Credo che conduca verso un’unica strada: la libertà di amare come Lui, di fare sempre il bene che Lui ci indica. Quando siamo davanti a un bivio, la liberazione della fede in Cristo ci indica sempre la strada: “Tu in ogni caso, ama come Gesù, non fermarti mai solo al buon senso, al rispetto umano, al fatto che in fondo non fai nulla di male.., Tu ama come amerebbe Gesù, il bene fallo sempre…” . Allora guardando la Pasqua, proviamo in questa settimana a domandarci: “Ma su quale aspetto di me sono poco libero? C’è una schiavitù da cui posso liberarmi attraverso la fede?.” Concludo sempre citando Sant’Agostino nel commento a questo brano evangelico:” Il mondo in cui sei entrato è solo un viaggio: sei venuto per uscirne, non per restarvi. Compi il tu viaggio, questa vita è soltanto una locanda. Serviti del denaro come il viaggiatore si serve, alla locanda, del tavolo, dei bicchieri, dei piatti, del letto, ma per andartene subito dopo, non per rimanervi”.

Domenica 17 Marzo 2019 II DI QUARESIMA C

 

“All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. Così papa Benedetto scriveva nell’enciclica “Deus chiarita est”. Effettivamente noi costatiamo che l’incontro tra Gesù e la Samaritana, segna un inizio , una vita nuova per questa donna. Perché? Non certo per il fatto che Gesù la rimprovera o gli dà una regola da seguire, ma perché la incontra e con la “scusa” dell’acqua da bere, gli parla di un’altra acqua che “zampilla per la vita eterna”. E quest’acqua è Dio, l’amore di Dio, che non ha mai smesso di amarla. L’acqua è il battesimo, è Cristo stesso l’acqua viva, che non si prosciugherà mai. Anche per noi che siamo qui, ci diciamo gli uni gli altri che è questo incontro con Cristo che ci salva e ci dà speranza. Il dilemma è che noi , come la samaritana, non sappiamo di averne bisogno, crediamo che a salvarci potrà essere altro, altri…”Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice – DAMMI DA BERE- tu avresti chiesto a Lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Allora cosa ci è chiesto in questo secondo passo di quaresima verso la Pasqua di Gesù? Ci è chiesto di CREDERE all’Amore, credere che Dio in Cristo Gesù ama questo mondo “traviato”, ama tutti personalmente. Credere che siamo amati sempre: ecco la GRAZIA. Da qui nasce l‘ottimismo cristiano, essere incontrati, essere amati.

Nel prefazio di questa Messa si dice che “Gesù stanco e assetato, volle sedere al pozzo e, chiedendo da bere a una donna samaritana, le apriva la mente alla fede…. e le accendeva nel cuore la sete di Dio”.

2.Ci sono due piccole conseguenze a questo fatto. La prima: è necessario trovare il tempo per sederci a quel pozzo che è Cristo stesso, per potersi dissetare…L’occasione dei Santi esercizi spirituali e della missione giovani è preziosa…

La seconda è uno sguardo nuovo su chi ci sta vicino. Mi pare che il verbo proposto dalla nostra Caritas ben si adatti al Vangelo di oggi e colga il cuore di Gesù e il nostro cuore nei confronti degli altri. Chi si sente amato come si è sentita la Samaritana, si riconcilia con la sua storia e col suo passato e ha uno sguardo nuovo sugli altri.

Comprendere: gli altri sono un dono da scoprire ed apprezzare.

Gli altri vanno abbracciati con il cuore e la mente per entrare in comunione con loro. Per comprendere occorre incontrare, non solo vedere, ascoltare, non solo sentire. Comprendere è un’azione personale. E’ coltivare una sensibilità aggiuntiva, un sesto senso. Comprendere è anche uno sforzo comunitario, è un popolo , la Chiesa tutti noi, che siamo chiamati ad avere una opinione nuova sulle tante samaritane e samaritani che siedono al pozzo del nostro mondo occidentale…Magari non possiamo fare nulla, ma alla luce dello stile di Gesù, è possibile COMPRENDERE, non cadere nella tentazione di un giudizio superficiale e istintivo nei confronti dei poveri, dei diseredati, dei profughi e di tanti altri fratelli e sorelle vicini o lontani che si presentano davanti ai nostri occhi. Chiediamo questo dono: COMPRENDERE L’ALTRO come Gesù al pozzo di Giacobbe.

 

Domenica I di QUARESIMA   C         10 Marzo 2019

 

1.”Non di solo pane vive l’uomo” Carissimi, la Quaresima ritorna nel nostro cammino, come una grande grazia. La sapienza della Chiesa, ci prepara alla Pasqua del Signore col cammino di quaranta giorni, per assaporare il percorso del popolo d’Israele nel deserto, che anela alla terra promessa, per seguire Gesù nel suo deserto, che lo porta, dopo le tentazioni, a iniziare il suo ministero. C’è bisogno di prepararsi bene alla Pasqua, per arrivare al triduo sacro, alla grande veglia pasquale, con animo pronto e cuore puro. Questo cammino, per usare il linguaggio del teologo milanese Sequeri, crea in noi e di conseguenza nella Chiesa e nella società civile, degli anticorpi che ci rendono forti contro gli attacchi del demonio e immettono nelle relazioni sociali, delle cellule positive. In che senso? Per capirlo dobbiamo guardare e immedesimarci nelle tentazioni di Gesù. Dal brano evangelico, evinciamo che riguardano i tre rapporti fondamentali con le cose, con se stessi e gli altri, e con Dio. Anticorpi positivi si rigenerano in noi, quando cogliamo da queste tentazioni le due piste di fondo che contrappongono Gesù al demonio: “POSSEDERE LA VITA, OPPURE RICEVERLA COME DONO?” Questo è il dramma, questa è la tentazione, questa è la lotta quotidiana dentro di noi. Dal possesso al dono! Figli di Dio o figli dell’Adamo peccatore, che vuole rubare ciò che gli è donato? Vivere come dono di Dio la vita, ci rende forti interiormente davanti a tutto. Vale la pena ascoltare la Parola della Chiesa, che ci invita in quaresima a seguire le tre piste: preghiera, penitenza ed elemosina. Sono tre consigli che ci pongono esattamente nella dimensione del vivere la vita come un dono, che ogni giorno riceviamo, e non come un possesso.

2.Comprendiamo ora la deriva cui ci sottopone il demonio nelle tre tentazioni di Gesù, che sono anche le nostre. L’idolatria delle cose: “dì che queste pietre diventino pane”: sappiamo molto bene quanto siamo tentati di possedere le cose, quanto facciamo dipendere la nostra vita dall’avere e non dal donare. La quaresima, per prepararci ad accogliere Gesù risorto e la sua vita risorta, ci vuole educare alla libertà dalle cose. A cosa sono attaccato? La mia vita è legata a qualcosa a cui non posso fare a meno? Nel vangelo però Gesù è tentato anche dal demonio, che vuole cambiare il suo progetto messianico. L’idolatria di Dio che fa disporre di Dio stesso, in senso miracolistico: “non tentare il Signore Dio tuo”. Anche qui, occorre passare dal possesso al dono, educandoci a una preghiera più abbandonate in Dio e meno pretenziosa. La volontà di Dio ci è davanti agli occhi tutti i giorni: noi dobbiamo solo chiedere la forza di attuarla e accettare ciò che non è in nostro potere cambiare. Infine il potere sugli altri, il possedere le persone, per portale dove vogliamo noi. Noi possiamo solo amare chi ci è accanto, e non possederlo. Siamo invitati a imitare quel rispetto che Dio ha della libertà delle sue creature, al punto che non le costringe neppure a fare il bene, ma desidera che ognuno di noi, liberamente lo segua.

3.La quaresima: una palestra per poter abbandonare la logica del possedere e passare all’impostare la vita nel donare, anzitutto ogni mattina, ricevendo dalle mani di Dio il dono della vita. Con San Paolo diciamo : “perché tutto è vostro: …. il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro!  Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”. (1 Corinzi 3,21-23). Carissimi, coltiviamo in quaresima questa appartenenza, e arriveremo con gioia alla Pasqua del Signore.

Domenica 17 Febbraio 2019   VI dopo l’EPIFANIA

1. Non si è trovato nessuno che tornasse a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?” Carissimi, in questo episodio evangelico, noi notiamo come Gesù ci comunichi che anche in questa circostanza, sia uno straniero a dar lezioni a tutti di fede. Come il centurione del vangelo della scorsa domenica, qui un Samaritano diventa il modello. I samaritani erano considerati dagli Ebrei persone impure per eccellenza, perché i Samaritani erano scismatici, si erano staccati dalla purezza della fede ebraica. Il samaritano dunque era considerato un “lontano da Dio, uno scomunicato, un nemico” ed era trattato come persona indegna e spregevole. Basti ricordare che per offendere e screditare Gesù, i Giudei un giorno gli diranno: “Tu sei un Samaritano! “. Eppure questo lebbroso samaritano, unico sanato tra i dei dieci, torna a ringraziare Gesù: solo lui! Il tema dei popoli stranieri che vengono alla fede, è trasversale nelle tre letture di oggi, ma ancor di più ci comunica che per Dio nessuno è straniero. Da dove nasce questa capacità di lodare Dio e di ringraziarlo? Entrando con più profondità nel vangelo ascoltato, siamo obbligati a chiederci perché i 9 non sono tornati? Tutti avevano chiesto ad alta voce a Gesù la guarigione, come mai non tornano? Potremmo rispondere che in loro è mancata una presa di coscienza di ciò che è avvenuto. Di chi è Colui che li ha guariti e soprattutto si accontentano della sola guarigione fisica, non hanno interesse di essere guariti nel profondo del loro animo.

2.Noi che siamo qui, cosa chiediamo al Signore, quale guarigione chiediamo? Questa domanda aiuta a comprendere il Samaritano che torna a rendere lode a Dio. Infatti questo episodio ci comunica la necessità della introspezione, della presa di coscienza della realtà, della coltivazione della profondità di noi stessi. E’ bello sottolineare che c’è un momento necessario per ciascuno di noi, in cui rientriamo in noi stessi e riscopriamo i doni di Dio. Lo sappiamo, c’è un andare al fondo della nostra coscienza che è distruttivo perché dà sempre la colpa di tutto agli altri e coltiva solo la dimensione del rancore e della rivalsa. C’è invece un rientrare in se stessi davanti a Dio, che fa scaturire il ringraziamento. Questo fare silenzio dentro di sé, aiuta a non far scivolare via le grazie del Signore e, a poco a poco, costruisce un ANIMO GRATO, capace di fare addirittura della vita una lode a Dio. Riflettiamo su questo aspetto, che significa anzitutto stare davanti alla verità di se stessi: “sono lebbroso, il mio problema è questo, io ho questo difetto, sono fragile”. Questo è il punto di partenza…Oggi purtroppo la colpa è sempre degli altri e questo assolvere sempre se stessi, blocca la gratitudine, soprattutto blocca il ricorso a Dio . ”Gesù Maestro abbi pietà di noi”. Così si rivolgono i lebbrosi a Gesù..Solo chi sa consegnare il suo limite a Gesù, torna a ringraziare.

3.La Chiesa intera si identifica in questo lebbroso. La Chiesa universale è fatta di stranieri, che diventano familiari attraverso l’incontro con Cristo. L’atto di guarigione totale è la Pasqua di Gesù, che tocca ciascuno. In altre parole è l’incontro con l’AMORE DI CRISTO, che ci guarisce totalmente. La celebrazione eucaristica che, come sapete, significa proprio RINGRAZIAMENTO, è l’atto di Cristo che rinnova ogni volto, con il suo dono totale al Padre per la nostra salvezza. Ecco perché la Chiesa è un popolo di persone in perenne stato di gratitudine, perché è scaturita da un atto gratuito di Dio in Cristo Gesù, che si rinnova oggi con la potenza dello Spirito Santo. Siamo invitati a domandarci: dove è finita la gratitudine nella nostra vita? Quanto questo atteggiamento spirituale permanente, prevale su tutto il resto? Addirittura il papa ci dice spesso che la vita delle famiglie, dipende da questa parola che ci si dice speso: “GRAZIE”.

Andiamo alla fine della vita. Bernanòs, il famoso romanziere francese permeato della spiritualità di Teresina di Lisieux, che pone sulle labbra del suo “Curato di campagna”, nell’omonima opera letteraria titolata appunto: “Il diario di un curato di campagna”, queste parole, che sono veramente la sintesi di una vita cristiana vissuta nella consapevolezza dei doni di Dio. Le parole sono queste “TUTTO E’ GRAZIA!” Vi auguro di vivere così.

Domenica 10 Febbraio 2019   V dopo l’EPIFANIA

1. Gli venne incontro un centurione che lo scongiurava” Carissimi, continuano le epifanie di Gesù, che oggi si manifesta a un uomo pagano, guarendo il suo servo. Gesù è ammirato dalla fede e dall’umiltà di quest’uomo non ebreo, romano, membro dell’esercito straniero. Eppure attraverso la sua fede, fede nella Parola di Gesù, avviene il prodigio. Questo elemento dell’unità della fede di Cristo, che chiama tutti i popoli, ci è comunicato anche nell’epistola di Paolo ai Romani quando afferma: “ Chi crede in lui non sarà deluso…non c’è distinzione tra Giudeo e Greco dato che lui stesso è il Signore di tutti”. Così Ezechiele nella prima lettura profetizza che i ritorno dall’esilio di Babilonia, permetterà, per la fede, ai due Regni d’Israele separati, di riunirsi. Questo primo aspetto, sottolinea l’esito e la verifica del nostro cammino di fede, come singoli e come comunità. Cosa significa nella fede tenere unita una famiglia? Cosa significa unire una comunità di tre parrocchie? La Parola di Dio ci comunica che è la fede, che opera per mezzo della carità, che affratella. “Erano un cuor solo e un anima sola”. Torna alla mente questa espressione degli Atti degli Apostoli, che richiama lo stile della prima comunità cristiana. Si tratta di coltivare una appartenenza, penso alla parrocchia, che non sia un arma che fa primeggiare sugli altri, cedendo alla tentazione del perenne confronto, ma occorre entrare nell’ottica di condividere dei doni, con uno sguardo missionario sulla città.

  1. Ma c’è una condizione per tutto questo e ce la suggerisce il centurione del Vangelo: fidarci totalmente della PAROLA DI CRISTO. Riascoltiamo le sue parole, che la Chiesa nella Santa Messa, ha recuperato letteralmente per creare in noi la giusta disposizione nel ricevere la Santa Comunione: “Signore io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”. Fidarsi della Parola del Signore e provare a viverla. Soprattutto dopo ogni santa Messa domandarsi: “Ma come posso custodire una Parola del Signore e viverla questa settimana?”. Il Vangelo non è un libro da leggere, ma è l’incontro con Cristo che ci comunica Parole di vita, da vivere. Allora è importante recuperare le parole che fanno una comunità di parrocchie e pastorale, e nello stesso tempo è necessario prendere coscienza delle tentazioni che rovinano la vita di una comunità. Le parole che costruiscono una comunità sono anzitutto l’invito a volersi bene come ci vuole bene Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” e queste parole si mostrano nel servizio, nel dono di sé nella comunità, a prescindere dalle gratificazioni. “Gareggiate nello stimarvi a vicenda” dice l’apostolo Paolo. Di contro dobbiamo vigilare su ciò che rovina le comunità: il confronto che fa gareggiare nel primeggiare. Anche nel linguaggio verbale va superato il “noi …voi” . Il papa richiama spesso su quella che è la peste della vita delle comunità, che è lo sparlare alle spalle delle persone: In particolare, ha detto il Papa ai dipendenti vaticani: «c’è una cosa che ci fa tristi nel lavoro e ammala l’ambiente di lavoro è il chiacchiericcio: per favore, non parlare male degli altri, non sparlare, “Sì, ma quello mi è odioso”, eh, prega per lui, ma non parlare, non sparlare, perché questo distrugge l’amicizia, la spontaneità, criticare questo, l’altro… Stai zitto, se hai qualcosa contro di lui diglielo direttamente, punto, ma non sparlare. C’è una bella medicina per non sparlare: mordersi la lingua, quando ti viene la voglia, morditi la lingua – ha detto il Papa suscitando le risate dei presenti – e così non sparlerai». Queste parole valgono anche per la vita della comunità.

3.Allora occorre continuare insieme a porci all’ascolto fiducioso della parola di Dio, con l’umiltà e la fede del centurione. Sappiamo che il miracolo di guarigione che compie Gesù, in realtà è il segno del miracolo interiore, di un cuore unificato in lui e in comunione con gli altri. Diamoci delle occasioni per crescere come comunità, in ascolto della Parola, e cerchiamo di fare esperienza di convergere tutti attorno a un’unica parola. E’ la grazia della giornata a Caravaggio che vivremo il prossimo 24 febbraio. Siete tutti cordialmente invitati.

Domenica 3 Febbraio 2019   IV dopo l’EPIFANIA – 41ma giornata per la vita

1. Coraggio sono io non abbiate paura” Carissimi, il Signore Gesù ci vuole assicurare che Egli non ci abbandona nell’ora della prova, quando il vento delle difficoltà si fa forte, e pare che la barchetta della nostra persona affondi. Solo lo sguardo a Lui ci salva, se non è così, la nostra persona si smarrisce. Mi colpisce nel vangelo questo vento contrario su quella barca, mentre i discepoli coi remi cercano di guadagnare la riva. Gesù non c’è sulla barca, ma è a terra a pregare. Come è vera questa esperienza per ciascuno di noi! La Parola di Dio ci dice oggi che Gesù, che è Dio, è il Signore di tutto il creato . Già nel libro di Giosuè, quel fiume Giordano che si apre al passaggio dell’arca portata dai sacerdoti, perché il popolo cammino all’asciutto, ci comunica la potenza divina che apre dei varchi sul nostro cammino, dona spiragli di luce nelle tenebre. “Per grazia siete salvati” scrive l’apostolo Paolo agli Efesini, con un espressione certamente autobiografica, mentre aggiunge: ”Dio ricco di misericordia…. ci ha fatto rivivere con Cristo”. Tutto questo vale anche per noi: continuiamo a cercare Gesù anche nelle bufere della vita, non rinneghiamolo quando le cose vanno male, ma invochiamolo nel vento forte delle tentazioni e delle prove dell’esistenza. La preghiera di Cristo ci conforta in quei momenti, è la preghiera di tutta la Chiesa, che prolunga la sua preghiera. Crediamo alla potenza della preghiera nella prova! Vediamo che il camminare di Gesù sulle acque del mare di Galilea, ci dice che Lui viene incontro e ci salva, non ci abbandona.

2.La presenza di Gesù nell’ora della prova, ci aiuta a considerare la preziosità del dono della vita. Lui viene per rafforzare la nostra vita, per ridonarcela sempre nuovamente. La salvaguarda di questo dono, è nostro compito importante. Agli occhi del Signore, ogni vita è preziosa, dal concepimento fino alla morte naturale. I nostri vescovi hanno intitolato così il messaggio per la 41ma giornata per la vita: “E’ vita è futuro”. Questo slogan ci fa pensare subito alla terribile piaga dell’aborto in Italia. Quel bambino di poche settimane che è nel grembo della sua mamma deve nascere, è vita, è futuro, non è un grumo di sangue o di cellule sparse, ma è già vita umana da amare e salvaguardare. Guardando a questo inverno demografico italiano, i vescovi scrivono nel messaggio: “Si rende sempre più necessario un patto per la natalità, che coinvolga tutte le forze culturali e politiche e, oltre ogni sterile contrapposizione, riconosca la famiglia come grembo generativo nel nostro paese”. Pensate che questa mentalità abortista è giunta nello stato di New York a proporre la legge dell’aborto a 8 mesi di gravidanza: di fatto uccidendo con un sistema particolare un bambino già formato.

3.La difesa della vita per noi cristiani nasce non semplicemente da un dato naturale e scientifico e basterebbe questo, ma ha per fondamento il dono di Dio, che ci rende partecipi della sua stessa esistenza, donandoci l’alito di vita. L’incontro con Cristo, che è il volto di Dio per noi, rigenera in ciascuno la consapevolezza che solo per amore suo, noi veniamo alla vita. Se perdiamo questo sguardo che ci raggiunge sempre, anche noi rischiamo di dimenticare il dono che senza merito ci è stato fatto e di conseguenza non lo riconosciamo più negli altri. Oggi l’ambito sociale in cui la vita è spesso calpestata è la famiglia: quante violenze in famiglia! In questo modo i figli che crescono, che rispetto avranno della vita degli altri, se tra le mura di casa non c’è rispetto tra mamma e papà, ci si offende verbalmente e si passa anche alle mani e poi ai coltelli? Il rispetto della propria vita e di quella altrui inizia in casa. Riflettiamo su questo!

Concludo con una espressione che ci fa pensare al futuro e un monito del papa Francesco. Si, perché spesso le nostre generazioni, quando pensano ai figli che nascono, si domandano: “Ma in che mondo li mettiamo?” Rispondono i nostri vescovi nel messaggio odierno : “Per aprire il futuro, siamo chiamati all’accoglienza della vita prima e dopo la nascita, in ogni condizione e circostanza in cui essa è debole, minacciata e bisognosa dell’essenziale”. Papa Francesco, sull’aereo di ritorno da Panama, ha raccontato come in America Latina in diversi paesi e anche lì, al suo passaggio, i genitori sollevano i bambini perché il papa li veda. In questo modo, ha detto, mostrano il loro orgoglio, il loro futuro. Parlando dell’Europa e dell’Italia in particolare, il papa si chiedeva: “Ma qual è l’orgoglio di queste nazioni a crescita sottozero, senza più bambini: la villa, il turismo il cagnolino?”. Il Signore doni la grazia di uno scongelamento demografico, perché si ritorni a guardare al futuro con speranza, con le culle che si riempiono di bambini.

Domenica 27 Gennaio 2019   Festa della SACRA FAMIGLIA

 

” Egli si alzò, prese il bambino e sua madre” Carissimi, la figura forte e silenziosa di San Giuseppe, guida la riflessione di questa festa della Sacra famiglia. Una realtà preziosa, composta da Gesù Maria e Giuseppe, che diventa il modello per le nostre famiglie. Potremmo riassumere il breve vangelo con tre verbi che caratterizzano la vita di Giuseppe e riguardano tutti noi: ASCOLTARE, CUSTODIRE e DIFENDERE.

1.ASCOLTARE noi vediamo con quanta cura Giuseppe si pone al servizio di un progetto più grande di Lui. Il sogno nella Bibbia rappresenta il luogo in cui Dio mostra la sua strada, la sua divina volontà. Giuseppe si mette in ascolto e agisce di conseguenza. Era stato così anche quando si era trattato di prendere una decisione per la sua vita, se prendere con sé Maria che era incinta o ripudiarla. Anche qui Giuseppe è visitato dal sogno di Dio, che gli rivela cosa può fare, lasciandolo nella libertà di scegliere. In questo assomiglia a Mosè che è descritto nella lettura sapienziale del Siracide, perché anche questo patriarca è ricordato per questo accesso diretto ai voleri di Dio. Come possiamo tradurre questo aspetto nella vita pratica delle nostre famiglie? Potremmo dire, una famiglia che ascolta è una famiglia CHE PREGA. E’ necessario trovare in modo costante momenti, occasioni, punti fissi dove la voce di Dio entri nelle nostre case. Penso all’appuntamento della Messa della domenica, come luogo dell’ascolto di Dio. Possiamo proprio dire che nelle Sacre letture, Dio ci parla e in Gesù, con la forza del suo Spirito, ci comunica i suoi sogni. Su questo aspetto però quante famiglie sono poco presenti, anche chi ha tanti anni di matrimonio non sempre dà l’esempio di presenza precisa settimanale alla Messa. Ma domandiamoci: come Giuseppe avrebbe potuto conoscere i desideri di Dio se non ci fossero stati i sogni? Così è per noi, come possiamo sintonizzarci sulla volontà del Signore su noi, sui figli, sulla vita, sul mondo, se spesso disertiamo questo appuntamento settimanale? Io vi invito a fare il proposito come coppia di essere più presenti, cercando di dare l’esempio ai figli, ai nipoti. Si perché se non ci siamo noi, come potranno loro mettersi in sintonia coi sogni di Dio? E i sogni di Dio ci danno i grandi orizzonti, addirittura ci aprono la vita eterna, danno luce anche a quelle pagine familiari così difficili che sono il dolore e la morte.

2.CUSTODIRE. Giuseppe è proprio il custode della sua famiglia e in particolare sente come primaria la custodia del figlio Gesù. Dall’epistola agli Efesini, noi sappiamo come una famiglia può custodire il tesoro dei figli, lo fa quando marito e moglie si amano, si rispettano, curano la loro vita di coppia e la aprano agli altri, ad altre famiglie, e in particolare si educano a non essere felici da soli, ma condividono con parenti, amici, anche la dimensione del mutuo aiuto. Maria e Giuseppe si vogliono bene, alimentano in Dio il loro amore, e vivono le parole che l’Apostolo Paolo ha descritto nella lettera agli Efesini che abbiamo ascoltato. Custodire i figli significa custodire la coppia. Se la coppia genitoriale smette di curare la propria crescita, i figli non fanno altro che assorbire litigi e tensioni che li danneggiano. Come si cura la vita di coppia? Col dialogo trovato e difeso a denti stretti, senza farsi travolgere dai ritmi frenetici della vita divenendone schiavi, ma facendo scelte anche contro-corrente rispetto ai modelli proposti dalla cultura. Se un marito, una moglie non trova ascolto e affetto in famiglia, lo va a cercare altrove. In questo senso le generazioni dei nonni, possono fare molto perché le giovani coppie abbiano momenti di ascolto e confronto. Come comunità cristiana, mi sento di lanciare con più forza la possibilità dei GRUPPI-FAMIGIA, che si ritrovano mensilmente insieme e alla luce del vangelo, trovano un momento di crescita e confronto. Oggi è più necessario di ieri.

3.DIFENDERE. Questo ultimo verbo vede Giuseppe attentissimo a difendere il piccolo Gesù e Maria, dalla furia dei re sanguinari: Erode e Archelao. Sul suo esempio, anche la famiglia oggi deve difendersi dagli attacchi continui che la vogliono sgretolare. Penso anzitutto al concetto di famiglia, che è l’unione stabile, per noi cristiani, di un uomo e di una donna uniti nel sacramento del matrimonio, aperti alla vita. Anche solo la confusione su questo concetto, ci porta dritti a confutare le ideologie GENDER, che ormai imperversano anche nelle scuole. Perfino ai bambini piccoli delle elementari, sono indottrinati con lezioni e libri. Noi cristiani difendiamo la famiglia, non per un dettame ideologico, ma per un dato naturale che Gesù prende e eleva alla dignità di sacramento. Su questo punto credo che noi dovremmo esporci di più, e non confondere il rispetto delle diversità, con il sovvertimento dei legami familiari voluti da Dio e incisi nella natura profonda di ogni creatura umana. Non vado oltre: bisogna difendere sempre la famiglia, e adoperarci perché le separazioni tra i coniugi, siano prese per tempo, perché sappiamo, i bambini soffrono per tutto questo.

Concludo: “Giuseppe si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazareth”. La sacra famiglia vive alla periferia e per 30 anni e Gesù fa una vita normale. Questo messaggio ci comunica la forza dei piccoli passi, della ferialità, che costruisce la fedeltà quotidiana al legame sponsale, e sa educare i figli a vivere il proprio dovere quotidiano, come principale segno e strumento di crescita e di lode a Dio. Chiediamo oggi questi doni al Signore per le nostre famiglie.

Domenica 20 Gennaio 2019   II dopo L’EPIFANIA  

1. Oggi è un giorno speciale per me; se così piace al re, venga egli con Aman al banchetto che oggi io darò”” Carissimi, vorrei iniziare con una breve spiegazione della prima lettura, tratta dal libro di Ester, un testo del primo o antico testamento, datato dagli studiosi attorno al secondo secolo avanti Cristo. Gli Ebrei, stabilitisi in Persia, sono minacciati di sterminio dall’odio di Aman che è il primo ministro del re Artaserse. Il pericolo è grave! Una giovane e bella ragazza ebrea Ester viene scelta dal re come regina, avendo il re ripudiato la moglie. Sarà lei a salvare il suo popolo, intercedendo presso il re attraverso l’invito al banchetto dove svelerà il tradimento del suo primo ministro. Vi invito a leggere questo libro molto bello, soprattutto le parti delle lunghe preghiere di Ester a Dio, nell’ora del pericolo per il suo popolo.

La tradizione cristiana ha sempre assimilato Ester a Maria, la madre di Gesù, che a Cana, durante un banchetto di nozze, salva il fallimento di quella festa, segnalando che “non hanno vino”. Venendo al vangelo, noi ci domandiamo in questo tempo dopo l’EPIFANIA: ma come si manifesta Gesù a noi oggi in questo segno di Cana? Qual è la sua epifania per noi? Come si mostra? La risposta è molto bella e semplice: EGLI E’ IL NOSTRO SPOSO. Voi sapete molto bene che nella bibbia il banchetto nuziale è spesso usato come metafora del rapporto di alleanza tra Dio e il suo popolo, inoltre è segno dell’eternità, del “banchetto eterno”. Inoltre qui gli sposi, i festeggiati di queste nozze, sono in ombra, non sono i protagonisti del brano. Abbiamo Maria, i servi, il maestro di tavola e soprattutto Gesù. Nei gesti e nelle parole di Gesù, c’è un chiaro rimando all’ora della croce. Anche la presenza di Maria, come viene chiamata da Gesù “donna”, è il medesimo termine che Egli usa nel momento in cui crocifisso affida la madre a Giovanni. Insomma qui si anticipa il matrimonio d’amore tra Cristo Sposo e noi sua Chiesa-sposa, che sarà consumato sulla croce e fiorirà nella risurrezione col dono dello Spirito. Un matrimonio che dura ancora oggi. Ma attenzione, questo legame sponsale, scaturisce da una osservazione di Maria: ”non hanno vino”. Cosa rappresenta il vino nella Bibbia? Il vino è il segno della gioia, dell’amore, della festa. Dunque, perché Gesù decide di essere lo sposo della Chiesa e dell’intera umanità? Perché manca il vino, manca l’amore, manca la gioia. Lui vuole unirsi a noi per donarcela. Noi siamo qui alla Santa Messa che rinnova queste nozze. Noi abbiamo bisogno di bere l’amore di Cristo, perché la vita non si annacqui. Viviamo in tempi in cui il cinismo e la cattiveria, rischiano di farci dimenticare che siamo nati per amare. Ma quale amore? Quello di Cristo. Unirci a Lui, lo sposo delle nostre anime, rivitalizza i legami umani. Quanti matrimoni avrebbero bisogno di bere il vino buono di Cana? Quante coppie di sposi sono qui perché effettivamente hanno attinto nella loro vita da questa sorgente di grazia e santità? Non smettiamo di pregare perché i nostri giovani ritornino all’altare del Signore, perché è qui che si impara ad amare e si riceve l’amore. Allora, per sposarsi nel Signore, per arrivare a capire in tempo, come ha fatto la Madonna, che quel matrimonio se non si interviene fallisce, è necessaria LA FEDE. Si la fede, che opera per mezzo della carità. Qui noi possiamo fare molto per i giovani, possiamo mostrare quanto questo incontro eucaristico ha salvato e ha donato slancio a nostri matrimoni. Termino una grande santa sposata: Santa Gianna Beretta Molla, che ha risposto alla vocazione matrimoniale. Dai suoi scritti ricavo queste parole per il suo futuro marito ing. Pietro Molla: “Quando penso al nostro grande amore reciproco, non faccio che ringraziare il Signore. È proprio vero che l’amore è il sentimento più bello che il Signore ha posto nell’animo degli uomini”. E infine sulla gioia:

“Il mondo cerca la gioia ma non la trova lontana da Dio. Il segreto della felicità è di vivere momento per momento, e di ringraziare il Signore di tutto ciò che Egli, nella sua bontà, ci manda giorno per giorno”.

 

Domenica 13 Gennaio 2019   BATTESIMO DEL SIGNORE  

1. Il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo” Carissimi, l’epifania del battesimo di Gesù, chiude il tempo liturgico di Natale. La liturgia però non lascia cadere le epifanie-manifestazioni del Signore. Infatti nel tempo liturgico DOPO-L’EPIFANIA, siamo stimolati a incontrare altre manifestazioni della divinità di Gesù, attraverso la sua umanità. Lo vedremo domenica prossima con l’epifania delle nozze di Cana e tra due domeniche, con quella moltiplicazione dei pani e dei pesci che ha tutto un valore eucaristico.

Ma domandiamoci: cosa avviene al Giordano? Gesù è già adulto, alla vigilia dell’inizio del suo ministero pubblico. Egli sceglie la modalità del Battesimo di Giovanni, per mostrare la sua identità di uomo-Dio. Lo fa non innalzandosi al cielo, ma abbassandosi al livello di chi, peccatore, chiedeva a Giovanni un Battesimo di conversione. Questo cielo aperto, lo Spirito che discende come colomba e la voce del Padre, affermano che Gesù è Dio, è il Figlio, l’amato, l’epifania di Dio sulla terra. E’ veramente sorprendente contemplare l’UMILTA’ di Dio al Giordano: Egli sceglie l’abbassamento totale per mostrare la sua divinità. Qui c’è un chiaro parallelo con la croce. Gesù qui è fra i peccatori, là sarà tra i due ladroni. Qui la voce del Padre che rivela l’identità di Gesù, là il velo del tempio che si squarcia, è segno che il nuovo tempio è la carne di Cristo sacrificata per noi.

2.Il Messaggio è molto chiaro: come Dio mostra nell’umiltà il suo vero volto di amante dell’umanità, così noi, sue creature, in lui battezzate, portiamo la medesima impronta. “chi sono io?” Quante volte nelle diverse stagioni della vita, ci siamo posti questa domanda, magari dopo un fallimento o un insuccesso esistenziale. Non dobbiamo smarrirci, nell’umiltà di riconoscerci abitati dallo Spirito di Cristo per il Battesimo, possiamo riconoscere la nostra vera identità personale e di popolo. “Tu sei Figlio mio l’amato”. Le stesse parole del Padre, sono rivolte a noi e questa è la vera nostra identità. Tutto questo ci aiuta a non fare della nostra personalità una bandiera o una spada contro gli altri, ma nell’umiltà, di saperci difettosi e peccatori, siamo invitati a riconoscere la nostra identità più profonda di persone amate dal Padre, epifanie viventi del suo amore. La medesima cosa vale per la nostra identità di popolo davanti ad altre culture e altre religioni. La nostra religione cristiana e l’appartenenza ad essa, è una grazia, segna la nostra cultura, l’identità della nazione e dell’Europa, ma non va bandita come una bandiera o una spada contro qualcuno o contro altri popoli. Ricordiamoci: l’umiltà di Gesù al Giordano che pone al servizio del suo popolo e dell’intera umanità il suo manifestarsi come Dio. Siamo battezzati, cristiani; lo siamo per migliorare noi stessi e il mondo per portarlo a Cristo.

3.Termino: vorrei solo accennare al meraviglioso quadro di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone (per aver lavorato per commissione di queste famiglie alla certosa di Pavia), che ritrae la scena evangelica del Battesimo di Gesù. Il quadro è in basilica al Battistero. L’autore dipinge una grande pala d’altare per la nostra basilica di cui è rimasto solo il quadro del Battesimo, siamo nel 1506. Il resto dei dipinti è stato trafugato dalle truppe napoleoniche. Vi invito a contemplare come l’autore dipinge Gesù, la sua umiltà. Abbiamo parlato di umiltà, voi la potete vedere coi vostri occhi ritratta su quel favoloso dipinto, da una mano straordinaria quale quella di Ambrogio da Fossano. Gesù in ginocchio, il candore delle sue vesti, la colomba, la presenza dello Spirito, il Battista i due angeli che guardano e uno tiene in mano le vesti di Cristo. Se guardiamo intensamente questo quadro, siamo portati nella scena evangelica e comprendiamo cosa è UMILTA’. Può essere l’atteggiamento per rivivere il nostro Battesimo in questa settimana.

Domenica 6 Gennaio 2019   EPIFANIA  

1. La gloria del Signore brilla sopra di te” Carissimi, è una vera grazia poter celebrare questa solennità dell’Epifania. E’ una festa liturgica che personalmente attendo tutto l’anno. Questa festa è luminosissima perchè la gioia del Natale che abbiamo contemplato, la nascita del Figlio di Dio, si espande in tutto il mondo attraverso questa MANIFESTAZIONE. Questo è il significato del termine EPIFANIA, manifestazione che si realizza attraverso il cammino e la grande gioia dei Santi Magi. Noi desideriamo vivere lo stesso itinerario attraverso i Santi Magi che : VEDONO LA STELLA, CAMMINANO INSIEME, OFFRONO I DONI.

1.VEDONO LA STELLA. Il Vangelo ci comunica questo sguardo al cielo e lo sguardo poggia su una stella. Si legge “la SUA STELLA” cioè la stella del Signore, un segno dall’alto non così evidente, perché molti lo vedono e solo pochi lo capiscono. Le stelle di Dio, lo sguardo al cielo. Tutto questo guardare ci comunica la sintonia coi sogni di Dio. Noi, sappiamo metterci in sintonia coi grandi sogni di Dio? Coi suoi progetti? I Magi sembrano interrogarci: “QUALE STELLA SEGUI NELLA TUA VITA?” La salute, la forma fisica, il successo, l’apparenza, l’egoismo…Ci sono tante strade, tante luci, ma una sola ci porta a Betlemme ad adorare il Dio Bambino. La stella è certamente la Parola di Dio, che i Magi interrogano attraverso i sapienti di Israele, ma quella luce rappresenta i segni di Dio nella nostra vita che possiamo scorgere solo se facciamo silenzio, se non ci disabituiamo a entrare in noi stessi.

  1. I MAGI CAMMINANO. Alla luce di quella stella intraprendono un viaggio, è la vita, è la nostra vita. IL VIAGGIO DELLA VITA! Questo viaggio è fatto di rischi, di imprevisti. E’ un viaggio insieme. I Magi camminano in carovana e affrontano insieme tutte le sfide. Portano per il viaggio ciò che è essenziale e in questo modo approdano alla grotta di Betlemme: la meta del loro cammino. Adorano Dio in quel Bambino e si sentono infinitamente amati da Lui. In questo modo ritrovano la verità di loro stessi, verità che forse avevano smarrito. Sapete che ne abbiamo bisogno anche noi, perché il rischio è quello di smettere di camminare e di cercare Dio nella vita. Chi smette di camminare, di cercare il Signore che ci cerca, perde se stesso, non capisce più perché è al mondo, cade nella tentazione di smettere di camminare. E’ bello sottolineare la grandissima gioia dei Magi arrivati a Betlemme, quando: “videro il Bambino e sua Madre”…E’ la gioia che tiene in piedi una vita intera, e la bellezza di questa gioia è data da un cammino insieme. Ecco la Chiesa, ecco la missione della Chiesa: portare a quella grotta tutti i popoli della terra, come abbiamo cantato nel salmo. La gioia di sentirsi amati da Dio, colma tutti i sacrifici e dà senso all’intera esistenza.

3.Infine i MAGI OFFRONO DONI. I Santi Magi ci comunicano la direzione della vita quando è visitata dalla luce che è Cristo Gesù: è una vita, donata gratuitamente. Il Vangelo si realizza quando noi doniamo per il Signore, senza pretendere nulla in cambio. Fare il bene senza calcoli, anche se non ci fa guadagnare nulla. E’ questa la logica che scaturisce da questo incontro. Gesù il Dio Bambino fatto uomo, già dalla grotta di Betlemme è un dono gratuito d’amore e ci insegna a realizzarci attraverso questa via. Dare il proprio tempo, dare il perdono, fare qualcosa per gli altri con la stessa logica: questo è il senso dei doni che i Magi offrono a Gesù Re (oro) Sacerdote (incenso) e Morto-Risorto (mirra). Non siamo più abituati ad agire così, persino quando doniamo qualcosa fatichiamo a dire che lo facciamo per amore, esprimiamo una giustificazione tipo: “tanto non ne avevo bisogno oppure te lo dono perché non mi serve…”. Qui la logica del dono è diversa, è imitazione del dono dei doni: Gesù. Pensiamo allora, ricominciando il cammino ordinario, a un dono gratuito da fare agli altri senza contraccambio, sarà gradito al Signore e chiediamo a Gesù la grazia di scoprire la gioia di donare.

Concludo andando alla cappella degli Scrovegni a Padova. Giotto (siamo nel 1303) dipinge la scena dell’adorazione dei Magi a Gesù e l’offerta dei doni. E’ interessante che questo genio della pittura, dipinge i tre Magi in età diverse: uno anziano, uno di mezza età e un giovane, quasi a dire che non c’è età per intraprendere questo cammino spirituale e non si è mai finito di convertirsi e di essere chiamati dalla stella. Ma il particolare che più colpisce è che prima di consegnare il dono che ora è nelle mani di un angelo, questo anziano Re Magio si inginocchia e toglie la corona ai piedi del Santo Bambino. Una scena meravigliosa, che ci invita a ricordare che davanti al Signore è ben altro quello che conta, e la vera corona è il potere della carità di Dio in noi. BUON CAMMINO!

Domenica 30 Dicembre 2018   NELL’OTTAVA DEL NATALE  

1. E il Verbo si fece carne” Carissimi, l’evangelista Giovanni nel prologo del suo Vangelo, ci porta a scrutare le profondità del Mistero di Dio, in particolare ci presenta l’identità di Gesù e il grande Mistero della sua Divinità e umanità.

Nella prima parte del testo noi siamo introdotti nel Mistero intimo di Dio “In principio (archè) …il Verbo era presso Dio , il Verbo era Dio”. La parola “Verbo”, “Logos” nella lingua greca, significa la Parola, il pensiero, il discorso, il ragionamento, così intendono i filosofi greci il termine Logos. Giovanni quasi unisce il pensiero ebraico-cristiano reinterpretandolo con le categorie della filosofia greca. Il Messia atteso dai profeti è Gesù di Nazareth, e Gesù di Nazareth è il Logos che prima della creazione del mondo era in Dio ed era Dio. Ma Giovanni non fa questo ragionamento della preesistenza divina di Cristo attraverso una astrazione, ma alla luce della sua esperienza, infatti in una delle sue lettere scrive: “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato”..“la vita si è fatta visibile”. Questo ci fa comprendere lo sguardo alla creazione, lo sguardo a quella sapienza incarnata di cui parla la prima lettura: “tutto è stato fatto per mezzo di Lui”. Attenzione allo gnosticismo e al neo gnosticismo, si tratta di una riedizione di quell’eresia che crede che solo la conoscenza astratta può salvare. Così lo specifica la congregazione della dottrina della fede, in un documento dello scorso febbraio, dal titolo “Placuit Deo” su alcuni aspetti della salvezza cristiana. Cito il n 3: “Un certo neo-gnosticismo, dal canto suo, presenta una salvezza meramente interiore, rinchiusa nel soggettivismo. Essa consiste nell’elevarsi «con l’intelletto al di là della carne di Gesù verso i misteri della divinità ignota». Si pretende così di liberare la persona dal corpo e dal cosmo materiale, nei quali non si scoprono più le tracce della mano provvidente del Creatore, ma si vede solo una realtà priva di senso, aliena dall’identità ultima della persona, e manipolabile secondo gli interessi dell’uomo”.

  1. “Il Verbo si è fatto Carne” “O Logos Sacrx eghéneto” . Questa espressione dice il tutto del Natale. Il Logos, la Parola, Dio nella sua essenza di Figlio, lascia la divinità nel senso che, come scrive Paolo “Non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio ma spogliò se stesso “. C’è contrasto tra la “sarx” e il “Logos”, perché “sarx” indica la fragilità dell’umanità. Dio si è fatto fragile, si è fatto umano. C’è da riflettere su questo svuotamento di Dio che contempliamo nella capanna di Betlemme, Dio che è Dio in tutta la sua pienezza e potenza, prova la sua gioia di creatore e padre svuotandosi di sé, pur non rinunciando ad essere Dio, di fatto diventa fragile, bisognoso di tutto come un bambino, fino a vivere il dolore e la morte. Perché tutto questo? “Venne ad abitare tra noi”: eschenosen, dice il greco. Cioè per porre la sua tenda tra noi, per abitare con noi. Ecco il dono del Natale interiore, Egli si fa fragile carne per porre la sua tenda fra noi, per inabitare nel profondo di noi stessi. “oh admirabile commercium” affermano i padri. “O mirabile scambio, Gesù assume la nostra natura umana perché possiamo giungere alle altezze divine del cielo”. Ricordiamoci sempre: LO SVUOTAMENTO DI NOI STESSI E LA GIOIA , COL SIGNORE, STANNO SEMPRE INSIEME!

3.”La luce splende nelle tenebre”. Questo è il nostro compito nel Natale: far brillare questa luce nelle nostre tenebre, nelle tenebre del mondo. Questa è la missione della Chiesa, di ogni cristiano missionario . Vi invito concludendo a contemplare l’immagine che avete ricevuto nelle vostre case per la benedizione. Un bellissimo e famoso dipinto di Gherardo delle Notti: l’ ”adorazione del Bambino”. Guardatelo, contemplatelo: Gesù bambino brilla di luce propria, è Dio: “Dio da Dio, luce da luce…” e guardate Maria gli angeli Giuseppe, sono tutti da Lui illuminati. E’ questo il Natale vero: chi è illuminato illumina, chi resta nelle sue tenebre diffonde buio…Vi auguro di pregare sempre rivolgendovi a Gesù così, come è nella preghiera scritta nel retro dell’immagine: “Tu Gesù sei luce..ci comunichi che una vita donata è luce per gli altri…”. Vi auguro di impostare così il nuovo anno.

Domenica 23 Dicembre 2018   VI DI AVVENTO   C

DIVINA MATERNITA’ DI MARIA. DOMENICA DELL’INCARNAZIONE

 

1. Dite alla Figlia di Sion. Viene il tuo Salvatore” Carissimi, le parole di Isaia ci introducono alla gioia dell’imminenza del Natale e alla causa di questa gioia. Anche l’Apostolo Paolo nella lettera ai Filippesi scrive: “Il Signore è vicino”. Dunque siamo invitati a entrare in questa gioia profonda e reale, perché il Signore è qui, è imminente la sua venuta nel nuovo Natale. Varrebbe la pena rileggere le parole dell’Apostolo, per concretizzare questa gioia che è causata dal solo fatto che Gesù viene, è qui, è imminente la sua venuta: “Non angustiatevi per nulla” e curate l’oggetto dei vostri pensieri, con una pulizia mentale che permetta veramente in pienezza di accogliere il Signore Gesù che nasce. Lo ribadisco sempre: il Natale e tutti i momenti che nell’anno liturgico noi viviamo, non sono commemorazioni di fatti passati ma noi nella fede riviviamo questi fatti della nostra salvezza. Poiché quel Bambino che nasce è il Risorto, Egli è con noi sempre tutti i giorni. Ma in questi giorni noi lo sentiamo così vicino che il cuore si riempie di gioia.

 

2.Maria: guardiamo a lei oggi. E’ la domenica della divina maternità, la domenica dell’incarnazione. Nel Vangelo siamo davanti a tre nomi di Maria. Anzitutto il nome suo proprio, quello con cui è riconosciuta e chiamata, il nome dato dai suoi genitori: Maria. Poi il nome con cui l’angelo la chiama . “piena di Grazia” che significa: “Amata gratuitamente per sempre da Dio”. E infine il nome che Maria dà a se stessa : “Serva del Signore”. Qui abbiamo veramente il cuore del nostro atteggiamento interiore davanti al Natale e al dono della maternità. Una consapevolezza che si concretizza in ogni età e stato di vita: noi davanti a quel Bambino che nasce per il “Si” di Maria Vergine, sperimentiamo di essere chiamati allo stesso modo: “tu sei pieno di Grazia”. Questo stato interiore è lo statuto del cristiano, è la vita della Chiesa, è la nostra missione nel mondo. Auguro a tutti di provare questa emozione, ma ancor di più, di vivere interiormente così la nostra esistenza feriale, come persone amate da sempre e per sempre, gratuitamente da Dio”. Infine contempliamo il nome che Maria si dà davanti a questo evento dopo il suo “Si”: “SONO LA SERVA DEL SIGNORE”. Maria ci insegna che l’avvento del Signore, che deposita per sempre il suo amore in noi, ci fa decidere come vogliamo essere chiamati, ci stimola a scegliere con quale stile di vita vogliamo condurre la nostra esistenza. Per Maria, la cosa più bella è il mettersi al servizio degli altri, con la stessa gratuità con cui è amata. E noi? Qual è il nostro stile di vita come cristiani? Come vogliamo essere riconosciuti dagli altri? Il primo servizio di Maria è la maternità, il “Si” ad essere madre del Signore. Questo è un grande segno per noi che viviamo in un paese a crescita sotto zero. Perché non nascono più bambini? Certo le ragioni principali possono essere economiche, politiche e altro. Ma in fondo tutto dipende dal sentirsi amati da Dio, dal percepire la vita come un dono del Signore e donarla a un’altra creatura. Si tratta di fare della propria vita un servizio, e vivere la gioia di donarla completamente ai propri figli. Molti di voi lo hanno sperimentato e lo sperimentano. Si soffre, si ama, ma alla fine la gioia è maggiore del sacrificio. Impariamo da Maria a dare la vita e a costellare i nostri giorni di scelte e atti di servizio. Penso in questo momento a quello che chiamiamo il volontariato, che a causa della cultura dell’individualismo è in crisi anche nelle nostre comunità. Mio intento è rilanciare questa gara di generosità, che sostiene le nostre comunità parrocchiali. Vorrei terminare con l’espressione di una persona anziana che mi ha molto colpito. Una persona che ha sempre dedicato il suo tempo libero a piccioli servizi nelle nostre parrocchie, spesso servizi umili: Mi diceva: “Io ho ricevuto molto, anzitutto dal Signore e dagli altri nella parrocchia che mi hanno dato l’esempio, ho voluto fare come loro”. “GRATUITAMENTE AVETE RICEVUTO, GRATUITAMENTE DATE!”

Domenica 16 Dicembre 2018   V DI AVVENTO   C

 

1. Il Precursore” Carissimi, a pochi giorni dal Natale, ci lasciamo prendere per mano da Giovanni Battista, il nostro patrono, molto rappresentato in questa basilica da affreschi, dipinti e vetrate. Sarebbe interessante fare una catechesi su di lui, attraverso queste opere d’arte che venivano definite dai nostri antecessori la “vera biblia pauperum”.

E’ terribile come i seguaci di Giovanni, che riportano la notizia che anche Gesù sta battezzando, lo vogliono quasi mettere contro, sono gelosi e vogliono portare Giovanni a provare gelosia per annientare il loro possibile avversario. Del resto, anche i discepoli di Gesù diranno la stessa cosa quando nel Vangelo di Marco comunicano a Gesù dicendogli: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non era uno dei tuoi seguaci. Ma Gesù disse: Non glielo impedite!… Chi non è contro di noi è per noi!» (Marco 9, 38-40). E’ una tentazione che abbiamo tutti, quando vediamo il bene che nasce da un amico, da un conoscente, da un collega di lavoro. Impariamo a stare al nostro posto e a ringraziare Dio per il bene e il successo degli altri. Curiamo invidia e gelosia e non offendiamoci se qualcuno che ci vuole bene ce lo fa notare. Nel caso dei discepoli di Giovanni Battista, non hanno ancora capito che Giovanni non è il Messia, non è lo SPOSO, ma come lui stesso si definirà è “L’AMICO DELLO SPOSO”. Ricorrendo a un famoso simbolismo biblico, usato dai profeti per delineare l’intimità del patto tra Israele e il Signore, ossia all’immagine nuziale, il Battista definisce Cristo come lo Sposo per eccellenza a cui è legata la sposa, che è la comunità dei credenti in lui. E’ bello pensare in questi termini il Mistero del Natale: il figlio di Dio che assumendo la nostra carne mortale, sposa a sé tutta l’umanità e lo farà sulla croce e nella risurrezione in modo definitivo. Già questa rappresentazione di SPOSO, rivela la straordinaria considerazione di Giovanni nei confronti di Gesù, riconosciuto in pratica nella sua divinità, a causa dell’applicazione della simbologia nuziale profetica. In questa cornice egli ritaglia anche il suo spazio e delinea il suo autoritratto, quello appunto di «amico dello Sposo». La formula non è generica, così come appare di primo acchito; essa, infatti, ha una qualità che potremmo definire come “tecnico-giuridica”. Nell’antico Israele l’“amico dello sposo” era colui che era stato incaricato dai due clan familiari di tenere i rapporti tra i fidanzati, così da formalizzare tutti gli aspetti concreti, legali ed economici del futuro matrimonio. Si tratta, quindi, di una missione rilevante, quella – fuor di metafora – di far incontrare Cristo e Israele. In questa luce Giovanni è veramente “il Precursore” o, come si legge nel prologo giovanneo, «non era la luce, ma colui che doveva dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui» (Gv 1,7). Limpida e coraggiosa è, perciò, la confessione che egli aggiunge, destinandola ai suoi discepoli perché superino la loro ristrettezza spirituale e mentale che cade nella gelosia: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv3,30).

 Una frase che è segno di verità e di umiltà, di consapevolezza della propria vocazione e dei limiti che essa comporta. Una vera e propria lezione soprattutto per genitori ed educatori, per guide e maestri: la loro missione non è quella di mettere se stessi al centro per farvi convergere per sempre il figlio o il discepolo; bensì è il far crescere l’altro in pienezza, così che raggiunga la sua maturità e abbia lui il primato. Tra l’altro, con il famoso filosofo latino Seneca del I secolo d. C., possiamo ricordare che «c’è un duplice vantaggio nell’insegnare perché, mentre si insegna, si impara». Allora prendiamo sul serio l’espressione di Giovanni «Lui deve crescere; io, invece, diminuire». E curiamo bene in questa settimana la preparazione alla S.Confessione di Natale. Vi invito: leggete dal “Cammino” i suggerimenti che vi comunico. Ricordiamoci dei poveri: attraverso i sacrifici di Avvento diamo una mano al nostro Centro di ascolto.

Domenica 9 Dicembre 2018   IV DI AVVENTO   C

 

1. L’ingresso del Messia” Carissimi, è tutta ambrosiana la scelta di leggere il brano delle Palme poche settimane prima di Natale. Questa scelta è testimoniata dagli antichi manoscritti, ed è una tradizione molto antica nella liturgia ambrosiana. Come annota Cesare Alzati, uno dei liturgisti che ha contribuito alla riforma del nostro lezionario ambrosiano, (per lezionario si intende il libro che contiene le letture bibliche, che ogni giorno, si leggono nella Messa): la scelta di questo vangelo delle “palme” nella quarta domenica di avvento, non è “l’esteriore ripetersi nella lettura del Vangelo di forme e immagini letterarie, ma il comune riferimento al contenuto salvifico dell’evento”. Parole difficili, che dicono che Gesù entra adesso nella città degli uomini, la nostra Gerusalemme. Vi entra come Salvatore, il suo avvento è salvifico, è oggi un evento che ci redime dal peccato e dalla morte.

Di questo ingresso noi possiamo già assaporare la logica del Natale, perché Dio si è fatto uomo, ma si è messo in gioco con le sue creature, va loro incontro…Certo, il suo stile, potremmo dire, è ancora natalizio: umile, cavalca un asino. Ma entra nella città degli uomini e domanda una accoglienza non semplicemente emotiva, ma fattiva, concreta. Gli abitanti di Gerusalemme lo accolgono festanti, la sua fama è sulla bocca di tutti, ma parecchi lo strumentalizzano, non si sottrarranno ad approvare la sua crocifissione. Verrebbe da chiedersi, dopo aver appreso di una situazione che caratterizza il popolo italiano in questo momento: cos’ha da comunicare Gesù a un popolo arrabbiato, a un popolo che si sta chiudendo entro i confini non della patria ma del cuore? Gesù domanda la stessa cosa che abbiamo udito nel Vangelo, Lui ci chiede di accoglierlo e di portarlo. Dobbiamo avere il coraggio di portare la speranza personificata, sulla groppa di quell’asino che siamo noi. C’è però una scorza da abbattere che è un dato culturale: l’individualismo. E’ vero che esistiamo come singoli, ma se non c’è un popolo, una famiglia, noi siamo dei poveri egoisti e solitari. Portare Gesù e lasciarsi portare da Lui nella città dell’uomo di oggi. Gesù non sposa nessuna parte politica della città dell’uomo, chiede solo di farlo entrare. Si, farlo entrare. Mi pare sia questo l’invito a due settimane dal Natale.

Chi lo accoglie deve però rischiare per Lui. Il papa lo dice spesso: bisogna rischiare per il Signore. Rischiare cosa? Oggi chi fa sul serio coi criteri del Vangelo rischia di essere emarginato, non capito, lasciato solo. Eppure c’è ancora tanta gente che come noi, spero, che non ha perso la speranza e sa che Gesù la può ridonare. Allora recuperiamo la logica dell’umiltà della presenza cristiana, anzitutto in famiglia. In famiglia c’è chi crede e chi no, chi va a Messa e chi no. Ma tutti i componenti sono amati da Dio, sono salvati da Cristo, Lui viene per tutti. Allora guardiamo così i nostri cari, non a partire da ciò che meritano, ma da ciò che sono agli occhi di Dio. E così a catena, in tutti gli ambienti della città degli uomini.

2.Un incontro che salva: è questa la ragione spirituale profonda per cui i nostri padri, in questo rito ambrosiano, hanno voluto che nelle assemblee eucaristiche di una delle domeniche che precedono il Natale fosse letto questo brano. Al di là della cornice storica di quell’evento, oggi nel sacramento eucaristico Gesù entra in te, in me, in noi e lascia il segno del suo passaggio. Questo è un incontro che ci salva e ci fa suoi portatori. Troviamo un momento più prolungato di silenzio in questa settimana, per guardare con il Signore tutte le porte che noi varchiamo nella giornata, per domandarci dove valga la pena ricordarci, che umilmente noi siamo semplicemente quell’asinello che porta il Signore.

 

Domenica 2 Dicembre 2018   III DI AVVENTO   C

 

1. Le profezie adempiute” Carissimi, in questa terza domenica di Avvento, siamo invitati dalla Parola di Dio a contemplare la realizzazione delle profezie antiche nella persona di Gesù. Il Vangelo ascoltato lo dice chiaro: Giovanni manda a chiedere a Gesù stesso: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” . Questa domanda ha una risposta da parte di Gesù molto precisa, nei fatti concreti che sono esattamente quello che i profeti avevano predetto riguardo al Messia che sarebbe dovuto venire. Gesù risponde: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono…” . Diremmo : FATTI NON PAROLE! La domanda di Giovanni Battista ci porta a guardare al Natale di Gesù come avvenimento di speranza. Tenere nel cuore queste domande sul senso di ciò che stiamo vivendo, è molto importante. Varrebbe la pena chiedersi se noi puntiamo la nostra speranza su Gesù, oppure per noi è un salvatore a metà. Riflettiamo sulla domanda del Battista, perché presenta un punto importante: o Gesù è Dio e quindi il Salvatore oppure se noi declassiamo Gesù a uno tra i tanti perché ci porta una salvezza solo terrena, togliamo a Gesù il vero potere di Messia. Un altro aspetto che ci fa riflettere è che Dio mantiene la parola data. Le profezie adempiute dicono questo: ci parlano della la cura di Dio Padre, che manda il suo Figlio nel mondo come segno del suo amore per gli uomini. I gesti che convalidano Gesù come Messia, sono tutti atti di carità e amore nei confronti di chi ha bisogno, possiamo anche dire una donazione totale di Gesù per noi. Qui c’è da riflettere non solo sull’uso della parola che è luogo di promessa che deve attuarsi, ma soprattutto ci fa pensare il segno concreto dei fatti, che avvallano le parole. Un cristianesimo di fatti, di gesti, di atti gratuiti di carità, anche oggi questo è il segno che il Messia sta per venire. Questo è il Natale cristiano: farsi segno perché un cieco veda, uno zoppo cammini, chi è lebbroso sia purificato, chi è sordo senta e chi è morto risusciti. Prepariamoci a un Natale di carità. Da qui siamo invitati a non fare promesse facili che non possiamo mantenere e dall’altro ci ricordiamo che il segno della venuta di Cristo è la carità.

  1. In questa settimana consultiamo due maestri: Ambrogio e Maria. Sant’Ambrogio il nostro grande vescovo che celebreremo solennemente venerdì ha una bellissima preghiera a Cristo che voglio citare e che mostra questa fiducia totale in Gesù, è tratta dal “De virginitate”: “Cristo è tutto per noi: se hai una ferita da curare, egli è medico; se la febbre ti brucia, è acqua che ti rinfresca; se cerchi il cibo, egli è il Pane di vita: Cristo è tutto per noi”. Infine vogliamo guardare a Maria in questi giorni di Avvento, nei quali ci prepariamo a onorarla come Immacolata nella giornata di sabato. Gesù si presenta come un Messia che ama, che serve chi ha bisogno. Maria sua prima discepola, non è una donna di tante parole, ma il suo esordio sono i sei mesi di servizio presso la cugina Elisabetta. La purezza di Maria, che è nata senza peccato originale per divenire madre del Verbo incarnato, arca santa del Figlio di Dio, si manifesta nel servizio, nella carità del viaggio da Nazareth al paese della cugina, per mostrare che la logica del servizio è la ragione profonda dell’amore per cui il Figlio di Dio si fa uomo.

In questa settimana, cerchiamo di diminuire le parole, soprattutto quelle che sono inutili, che denigrano gli altri, per sostituirle coi dei fatti concreti che dicono il nostro amore a Cristo e alle sue membra, che incontriamo là dove viviamo.

Domenica 25 Novembre 2018   II DI AVVENTO   C

 

1. I figli del Regno” Carissimi, le tre letture di questa seconda domenica di Avvento, ci parlano di salvezza universale, per tutti i popoli. Il Natale a cui ci prepariamo, è il dono della presenza di Cristo per tutti. La prima lettura di Isaia ci comunica che i popoli Assisi ed Egiziani, quelli che hanno più combattuto Israele, conosceranno il Signore. Anche la predicazione di Giovanni Battista e l’invito alla conversione che abbiamo ascoltato nel vangelo, è un dono per tutti gli uomini. Ma l’espressione che più mi ha colpito è quella dell’Apostolo Paolo nell’epistola agli Efesini. “mi è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le imperscrutabili ricchezze di Cristo”. Devo dire che è veramente una grazia l’aver incontrato Gesù nella vita, l’aver conosciuto il suo Vangelo e soprattutto l’avere sperimentato in Lui l’Amore di Dio Padre. Attorno ai due verbi : RICONOSCERE e INDICARE si snoda la vicenda del Battista e così si diventa FIGLI DEL REGNO. Riconoscere Gesù, incontrarlo, sperimentare di aver vissuto il Vangelo: è questo l’essenziale per indicarlo agli altri. L’esperienza della benedizione delle famiglie mi fa toccare con mano questa grazia. Certo, lo dicevo domenica scorsa, diversi non aprono la porta, li troviamo tutti i giorni: “Non mi interressa, no grazie…” ci sentiamo dire così in questi giorni, ma lo sappiamo, siamo preparati. Ma io vorrei comunicare la gioia di chi aspetta il sacerdote o la religiosa per la benedizione, così come si attendeva l’arrivo di Gesù da parte delle folle del vangelo. Spesso sono persone anziane, sole (quante persone sole!) ammalate, sconfortate dalla vita. Mi diceva una signora “Sono proprio contenta che è venuto”. E’ poco la benedizione, ma dice uno stile del cristiano che attende il Natale cioè la dimensione gratuita della visita nel nome del Signore. Comprendiamo perché l’Apostolo Paolo ci dice che è una “grazia” annunciare le “imperscrutabili ricchezze di Cristo alle genti”. E’ così anche per noi? Noi che andiamo a Messa, lo diciamo oppure abbiamo vergogna? In quale occasione diamo testimonianza della fede? Di per sé ogni azione è testimonianza e noi che siamo qui a Messa, non possiamo non portare lo sguardo di Gesù misericordioso nel nostro mondo. Potremmo non finire mai la litania della lamentela, ma noi siamo testimoni di un Dio che viene, che soffre perché l’uomo soffre…Dio Padre vede la sofferenza di ciascuno di noi, la vede nel suo Figlio e ci dà il rimedio del suo Amore. Sperimentare questo nella S.Messa ci fa missionari, testimoni. Ma attenzione, stiamo attenti a non separare Cristo dal nostro vissuto quotidiano, non rendiamolo astratto. Egli ci fa figli del Regno oggi e ci invita ad unire le nostre vicende, quelle attorno a noi e nel mondo con la sua presenza. Avvento è essere figli del Regno oggi e non solo figli passivi, ma attivi che collaborano alla sua espansione ed edificazione. Non rifiutiamo di cambiare lo sguardo. Il dono di Gesù che viene è questo sguardo nuovo, il suo sguardo sulle vicende della vita.

In questa settimana, cerchiamo di recuperare la gioia dell’Apostolo Paolo. Troviamo una occasione precisa per dirci cristiani, soprattutto coi nipoti e consegniamo loro la gioia di esserlo.

Domenica 18 Novembre 2018   I DI AVVENTO   C

 

1.“La venuta del Signore””. Carissimi, iniziamo un nuovo anno liturgico con la prima domenica di Avvento. L’Avvento Ambrosiano, detto popolarmente “Quaresima di San Martino” perché inizia con la domenica che segue la festa di San Martino, si estende come la quaresima in sei settimane. E’ il tempo liturgico che prepara la Chiesa a celebrare il Mistero della “manifestazione nella carne del Verbo di Dio”. La parola AVVENTO vuol dire VENUTA: la venuta del Figlio di Dio nella carne mortale per salvare con la sua Pasqua l’umanità, dal peccato e dalla morte. Questo cammino che oggi iniziamo, si estende in realtà non solo fino al Natale, ma con la grande festa dell’Epifania, arriva alle soglie della Quaresima, infatti nei mesi che seguono il Natale, la liturgia ambrosiana estende nel “tempo dopo l’Epifania”, questa contemplazione della carne del Figlio di Dio. Durante queste sei settimane, ciascuno di noi è chiamato a preparasi spiritualmente bene al Santo Natale. La liturgia ci invita alla conversione e al rinnovamento della nostra vita, per accogliere il Signore che viene, preparandogli la strada. Il colore violaceo (detto anche morello) dei paramenti, come per la quaresima, e la maggior sobrietà celebrativa (non si recita o canta più il Gloria), sono il segno esterno del tempo di conversione che stiamo iniziando a vivere. Però non si può parlare di tempo penitenziale, ma di “tempo di gioiosa e devota attesa” del Signore. La Vergine Santissima è particolarmente vicina a noi in questo tempo liturgico, che possiamo dire è proprio un tempo mariano. Infatti chi più di lei può insegnarci ad accogliere il Signore? Vorrei perciò invitare tutti a programmare bene questo tempo in particolare per ciò che riguarda la preghiera personale e comunitaria, unita a gesti e parole di carità nei confronti dei più poveri.

  1. Il passo che la Parola di Dio oggi ci fa compiere è quello della vigilanza. Nella versione di Luca Gesù ha pronunciato il discorso escatologico sulle cose ultime. Istintivamente ci viene da dire che queste parole riguardano il futuro, la fine del mondo o della vita personale. In realtà sono una parola per il presente. Sembra di sentire la cronaca del telegiornale: guerre, rumori di guerre, armi, violenza, fino a estendersi a noi, nei rapporti familiari o di vicinato, che nascondono la medesima violenza. La tentazione davanti a tutto questo è lo scoraggiamento, l’isolamento, la chiusura in se stessi e lo sguardo negativo. Oppure si è tentati di percorrere delle scorciatoie facili: la fuga nelle sette che danno risposte facili (penso in questo momento ai Testimoni di Geova) o al gioco d’azzardo tanto presente a Melegnano, fuga che ha rovinato e sta rovinando con le droghe intere famiglie. Non è questa la via che Gesù ci propone. Tenere accesa la speranza aspettando il Signore, arrivare a porci seriamente la domanda: “Ma davanti alla fine di tutto, qual è il FINE, lo SCOPO della mia via?” Noi, diciamolo francamente, siamo in un contesto ampiamente agnostico, scristianizzato, senza fede. Basterebbe far raccontare a noi preti come siamo accolti nelle case per le benedizioni. Sono in aumento coloro che non vogliono la benedizione. Per essere più precisi la maggioranza della gente non è né a favore né contro Dio, semplicemente NON NE HA BISOGNO, e quando ne ha bisogno va a cercare un surrogato magico di Dio che ubbidisca al volere dell’uomo. L’Avvento e le parole forti di Cristo, vengono a dirci che da soli noi non solo non riusciamo, ma non possiamo dare senso al nostro vivere. La forza del cammino che andiamo ad intraprendere è che senza Gesù Cristo non c’è nessun senso nella vita. Ecco allora l’Avvento, la venuta del Signore nella nostra vita. Ecco l’importanza del conoscere e incontrare sempre di più Gesù. Noi non lo conosciamo ancora, non siamo così convinti che Lui è essenziale per la nostra felicità e dunque per dare senso alla vita. Dobbiamo dirci in modo schietto che noi non possiamo da soli dare un senso alla nostra vita, questa è la ragione per cui tanti sono disperati. Solo l’APETTARE DIO CHE VIENE IN GESU’ può dare fiato, speranza, senso al vivere. Allora incontriamo il Signore e facciamoci durante la settimana segno di questo incontro, vivendo le parole di Cristo di oggi: “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”

Domenica 11 Novembre 2018   CRISTO RE B

II Giornata mondiale dei poveri. Giornata diocesana CARITAS

 

1.“Dal legno della croce regna il Signore””. Carissimi, il centro di questa solennità di Cristo Re è la Croce da dove regna il Signore, così come abbiamo ripetutamente cantato nel salmo responsoriale. Si chiude l’anno liturgico. Oggi per la liturgia è come se fosse il 31 dicembre. Domenica prossima con l’Avvento, inizia un nuovo anno. Guardiamo al cammino che abbiamo fatto in queste 53 domeniche in cui siamo venuti a Messa: quanta grazia di Dio! Quanta abbondanza di Parola di Dio è stata donata! Quante volte il Signore si è fatto presente sull’altare e noi lo abbiamo ricevuto nella Santa Comunione! Abbiamo potuto penetrare i Misteri della nostra salvezza e ci siamo nutriti interiormente. Questo cammino non ha arricchito solo noi ma anche chi ci ha incontrato. Contempliamo con gratitudine l’opera della Grazia di Dio. Questa solennità dà il sigillo al tempo che passa. I poteri umani passano, Cristo resta. Quanti governatori, re dei popoli, dittatori sono passati e di loro non ci si ricorda più. Fu papa Ratti, Pio XI che istituì questa solennità il 9 dicembre 1925. Eravamo all’inizio delle dittature che avrebbero rovinato il mondo. Il papa ribadì che il Regno di Cristo che è un regno spirituale, un potere sulle anime, quello che resta, che converte e cambia il mondo. Dunque poniamoci ai piedi della croce, immergiamoci nella breve narrazione evangelica e vedendo le reazioni davanti a Gesù che muore, scopriamo questo straordinario potere regale di Cristo. Anzitutto i soldati lo insultano, lo guardano con grande superficialità, non intuiscono quello che sta accadendo. Addirittura questo condannato diventa oggetto di derisione. C’è poi uno dei malfattori che sfoga contro Gesù la rabbia di sapersi perduto, per le proprie colpe, e di non aver trovato la salvezza miracolosa nel Dio che si era immaginato e che ora insulta come inutile e spregevole. Infine c’è quello che chiamiamo il “Buon ladrone” che si pone umilmente accanto a Gesù con la sua umanità fallita. Ma questo personaggio compie l’atto più importante che ci fa intuire chi aveva davanti: SI AFFIDA A LUI. “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Bellissima questa preghiera, che ci fa intuire che Gesù regna davvero sull’umanità che si affida a Lui, perché niente e nessuno, neanche il peccato e la morte, possono interrompere il legame che in Lui unisce l’amore di Dio, ai figli che sono a Lui affidati. “Oggi con me sarai nel paradiso”. La risposta di Gesù è piena di speranza e chi lo accoglie oggi, qui ora, partecipa della gioia di questo amore straordinario.

2.Nella seconda giornata dei poveri voluta da papa Francesco e nella giornata diocesana Caritas ci domandiamo: “Ma come possiamo collaborare all’edificazione di questo Regno di Cristo?”. Papa Francesco ha dato il titolo di un salmo al messaggio per la giornata odierna: “Questo povero grida e il Signore lo ascolta” (Salmo 34,7). Aggiunge: “ La risposta di Dio al povero è sempre un intervento di salvezza per curare le ferite dell’anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con dignità. La risposta di Dio è anche un appello affinché chiunque crede in Lui possa fare altrettanto “. Il grido dei poveri oggi non può non essere ascoltato dalla Chiesa. Da questo punto di vista credo che ognuno di noi si debba interrogare su come accoglie questa regalità di Cristo da spargere nei confronti di chi ha bisogno. Il centro di ascolto della Caritas a Melegnano, segue almeno 100 famiglie in seria difficoltà. Famiglie che non possono pagare le bollette, l’affitto, che hanno i frigo vuoti per dare cibo ai loro bambini. Ogni giorno i bisogni si moltiplicano. Vorrei che ciascuno di noi si interrogasse: “Io cosa posso fare per i bisognosi di chi abita nella porta accanto?”. Il centro di ascolto chiede di dare un po’ del nostro tempo, le nostre risorse, perché quell’amore che riceviamo nella Santa Eucarestia possa rendersi visibile nei confronti di chi ha bisogno. “Probabilmente è come una goccia d’acqua” scrive il papa, “ nel deserto della povertà; e tuttavia può essere un segno di condivisione per quanti sono nel bisogno, per sentire la presenza di un fratello e una sorella. Non è un atto di delega ciò di cui i poveri hanno bisogno, ma il coinvolgimento personale di quanti ascoltano il loro grido”.

OMELIA DI DON ANDREA TONON

Domenica 4 Novembre 2018 II dopo la Dedicazione della cattedrale

  1. Le nostre preoccupazioni
  • Certamente il messaggio centrale di questa parabola è che c’è una grande cena con tanti invitati, ma questi primi invitati rifiutano. Allora l’uomo che ha organizzato tutto decide di invitarne altri, purchè la cena non sia annullata. Ma vorrei partire da un aspetto che sembra secondario: i motivi del rifiuto. Qui non c’è, come in altre parabole, una connotazione negativa degli invitati. Ad esempio nella parabola degli operai della vigna questi bastonano, cacciano via o addirittura uccidono i servi che il padrone ha mandato per ritirare il raccolto. Poi alla fine lui manda suo figlio e quelli uccidono anche lui. Qui invece sono persone che hanno altre occupazioni, peraltro legittime, e che dicono di no non a qualcosa che sarebbe un loro dovere, e un diritto di chi li invita, ma bensì a una serata di festa, a cui nessuno è obbligato a partecipare, perché appunto si tratta di un invito.
  • Eppure quell’uomo si arrabbia. È vero, non si vendica, non fa punire quelle persone che hanno rifiutato il suo invito, però sembra che li escluda dalla sua amicizia, facendo cercare altri. Perché si arrabbia? In fondo nelle scuse di quelle persone (scusa non nel senso di “trovare una scusa”, ma perché proprio chiedono scusa, sembrano dispiaciute) c’è la vita di ognuno di noi. La vita reale, quotidiana, la vita fatta di beni che devi gestire, come quel campo: le spese da pagare, le scadenze, i soldi da gestire o almeno da non perdere, il cibo da procurare alla tua famiglia, i vestiti per i figli… e non è qualcosa che ti piace fare, è qualcosa che devi fare, non hai scelta, anche se magari qualche volta ti dà anche un po’ di gioia, perché ti prendi la macchina nuova o qualche strumento per il tuo tempo libero (sport cellulare…). È la vita fatta anche dal tuo lavoro, che ti ruba il tempo spesso per quello che vorresti fare, tipo stare di più con la famiglia, con i figli; però che ci puoi fare, devi lavorare, e magari prestarti anche a giorni e orari che vorresti evitare o limitare, pur di non perdere il lavoro o di portare a fine mese qualche soldo in più a casa. È la vita fatta dai tuoi affetti, come per l’uomo che si è appena sposato, e benedetti siano questi affetti, questi legami, che mi sostengono , mi tengono in piedi, mi danno gioia.
    • Allora la domanda diventa: ma che cosa vuole il Signore da noi? Sì, perché è chiaro che la parabola fa riferimento a lui, è Dio quello che invita a questa cena. Ma se la prendesse perché non mi coporto bene, non sono una persona onesta, non adempio ai miei doveri, fuggo dalle mie responsabilità, o al massimo non lo onoro abbastanza, non vado in chiesa sempre, non prego a sufficienza… qui sembra che se la prenda perché non vado a una cena, non trovo tempo per fare festa, per divertirmi! Ma Signore, provaci tu a vivere la mia vita e poi ne riparliamo!
  1. La preoccupazione di Dio
    • Ma è proprio per questo che il Signore ci richiama oggi, che ha qualcosa da dirci. Proprio perché lo sa la vita che facciamo, quali sono le nostre occupazioni e preoccupazioni, e sapete una cosa? Pure lui è preoccupato. Preoccupato che ci dimentichiamo qualcosa, che in tutto questo correre dietro a campi, buoi e mogli lasciamo indietro qualcosa. Che cosa non ci dobbiamo dimenticare?
    • Non dimentichiamo che siamo invitati. Questo significa innanzitutto che non siamo costretti, che Dio ci lascia e ci lascerà sempre liberi. A volte ho l’impressione che lo facciamo un po’ pesare che andiamo a Messa, che facciamo del bene, che cerchiamo di vivere secondo una certa morale, che facciamo qualcosa in Parrocchia, che ci sacrifichiamo per la famiglia… Lo facciamo pesare agli altri, e qualche volta anche a Dio. Beh, non siamo obbligati, se lo dobbiamo fare controvoglia, come se fosse un peso, come qualcosa da rinfacciare, meglio non farlo. E poi, se siamo invitati vuol dire che non è una cosa dovuta, una cosa meritata, è un dono. San Paolo lo dice chiaramente agli Efesini: “Voi un tempo eravate senza Cristo, senza speranza e senza Dio nel mondo, eravate lontani, esclusi dalla cittadinanza di Israele, estranei ai patti della promessa, eravate stranieri e ospiti. Questo siamo noi cristiani, venuti non dal popolo eletto, ma dalle genti, dai pagani, da quelli che allora erano stranieri e esclusi dalla salvezza. E magari anche come singoli, oltre che come Chiesa, eravamo così; magari sì battezzati e cresimati, magari pure sposati in Chiesa, ma lontani dal Signore. E siamo stati invitati, per primi o per ultimi non importa, se cresciuti in ambiente di fede come quelli che nella parabola hanno ricevuto l’invito subito, o se per educazione ricevuta o vicende della vita siamo stati come quelli presi per le strade o lungo le siepi…
      • Ringraziamo per questo, di essere qui oggi. Non diamolo per scontato, non vediamolo come una cosa dovuta o normale, e neanche come un merito nostro: “beati gli invitati”… è un dono, è una grazia.
    • Non dimentichiamoci della comunità. Essere cristiani è essere invitati a una cena, a una festa, e una festa non si fa da soli. Chi rifiuta l’invito è perché ha le sue cose, i suoi affari, i suoi affetti a cui badare; appunto, i suoi… prima deve pensare a se stesso, non ha tempo per Dio e neppure per gli altri, almeno quelli che stanno fuori della sua ristretta cerchia familiare o amicale. Ma la fede senza la comunità, senza la Chiesa, senza i fratelli non c’è, è morta. Rischiamo di dimenticarci di questo, di venire persino in Chiesa, persino a Messa, come se fosse una cosa privata, come se gli altri non ci fossero, al punto che neanche ci salutiamo, neanche ci fermiamo dopo la Messa a fare due chiacchiere… ci sono il mio campo, i miei buoi, mia moglie… oppure veniamo in Parrocchia per i nostri impegni, per il nostro volontariato, non per incontrarci, per stare insieme, per fare festa. A volte ci nascondiamo dietro quella famosa frase: io mica lo faccio per gli altri o per il prete, lo faccio per il Signore! E gli altri? Beh, pazienza, mi tocca sopportarli! E dov’è finita la festa, dov’è finita la gioia, dov’è finita la fraternità? Ma anche se stessimo bene con i fratelli, se vivessimo bene questo aspetto della comunità, c’è un’altra cosa: e se manca qualcuno? Se qualcuno non è stato invitato o non si è sentito invitato, accolto? Pazienza, noi stiamo bene così. Eh no, non puoi stare bene così; quell’uomo della parabola non sta bene così, vuole che la sua casa si riempia, e manda il suo servo a invitare altri una volta, e poi una seconda.
      • Chiediamo al Signore di sentirci comunità, di sentirci Chiesa, di vivere la gioia di esser fratelli, di non stare in pace se qualcuno se ne sta a casa, si sente escluso, si sente tagliato fuori.
    • Non dimentichiamoci dei poveri. Il padrone non manda a chiamare chiunque, fa proprio un elenco preciso. Forse per timore che il suo servo non avrebbe osato andare a chiamare certa gente, temendo di dare scandalo, di far arrabbiare ancora di più il suo padrone. E allora gli fa proprio un elenco: poveri, storpi, ciechi e zoppi; cioè i disabili, i menomati, quelli che allora erano considerati puniti da Dio per peccati loro o dei loro progenitori, e per questo erano esclusi anche dal culto, dalla comunità. Il rischio è dimenticare proprio gli ultimi, quelli che stanno proprio ai margini della società, lungo le siepi, i poveri; i poveri che oggi sono gli extracomunitari, i richiedenti asilo, i senza fissa dimora, le prostitute, i disoccupati, i non credenti. E attenzione: li dimentichiamo non solo quando li discriminiamo, li giudichiamo, ma anche quando li consideriamo categorie da aiutare, a cui fare la carità, di cui avere compassione. Sono persone, hanno la loro dignità, e come tali dobbiamo trattarle, sia aiutandole sia spingendole a crescere, a prendere in mano la loro vita, a cambiare. Ma di certo non possiamo sentirci a posto se loro semplicemente non ci sono, non li vediamo, se “tanto c’è la Caritas che si occupa di loro”. Non possiamo dimenticarci dei poveri.
      • Chiediamo al Signore che ci dia la stessa preoccupazione per i poveri, per gli ultimi. Che se ci sono persone che la vita ha tagliato fuori, che la società ha tagliato fuori, magari anche per colpa loro, non sia così per la Chiesa: lì si sentano considerati, ascoltati, corretti anche, ma si sentano protagonisti, si sentano al centro, si possano sedere al tavolo di quella festa che Dio ha preparato anche per loro. Così sia.

Domenica 28 Ottobre 2018   I dopo la Dedicazione della chiesa cattedrale B

93ma giornata missionaria mondiale

1.“Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura”. Carissimi, le parole di Gesù risuonano nel nostro cuore in questa giornata missionaria mondiale. La Chiesa ha tra le mani un tesoro prezioso, il Vangelo di Gesù, la buona notizia che è Gesù stesso. Questo dono è per tutti i popoli. Paolo nell’epistola al collaboratore Timoteo ci ha detto: “Dio..vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità”. Quando si vive il vangelo, la convivenza tra le persone cambia radicalmente, diventiamo più umani, la persona ritrova la sua dignità e si apre un orizzonte eterno. Infatti il Vangelo è buona notizia che dà senso al vivere, al soffrire, al morire. Ha ragione papa Francesco quando dice che se la Chiesa non è missionaria si ammala, perché le capita quello che succede a tutti quando ci ripieghiamo sui noi stessi, ci commiseriamo. In questo modo ci si ammala. In questo momento pensiamo e preghiamo per tutti i missionari e missionarie sparsi nel mondo, sacerdoti, religiosi, religiose, laici e famiglie. Tanti i missionari italiani nel mondo. Sono circa 10mila i missionari italiani nel mondo. Religiosi, suore ma anche laici, in tutti gli angoli della terra per dare il loro aiuto ma soprattutto la loro testimonianza cristiana. Sono in Africa, Asia America Latina, Oceania, ma anche nella vicina Europa, divenuta anch’essa, soprattutto a causa della crisi economica, “terra di missione”. L’età media di chi ha scelto di partire si è alzata con il tempo: oggi è di 63 anni. Pochi i giovani e soprattutto un trend in costante calo dai primi anni ’90, quando si toccò il record di 20mila presenze di missionari italiani all’estero. Stando ai dati degli archivi storici nel 1934 l’Italia aveva 4.013 missionari, nel 1943 erano 7.713, nel 1954 più o meno quanti ce ne sono oggi, 10.523, fino a toccare i 16.000 negli anni Ottanta, e oltre 20.000 nel 1991. A partire da allora il calo. Dice uno dei missionari: “Oggi i giovani ci ammirano, ci stimano ma non ci imitano. La solitudine, l’incomprensione, il lottare possono anche fare paura”. Ma nel calo generale è la componente dei religiosi e delle religiose che si è assottigliata negli anni, forse anche a causa della generale crisi vocazionale. Mentre il numero di laici che vengono inviati dalla chiesa lontani dalle loro case è in costante aumento e anche la loro età media è decisamente più bassa: il 58% è sotto i 40 anni e meno di uno su 4 ha superato la soglia dei 50 anni. Quasi il 56% sono donne e il 60% è sposato. Tanti partono con il coniuge e con i figli. Il 55,7% dei missionari laici è in Africa, il 38,6% in America latina. Tra coloro che partono ci sono anche sacerdoti diocesani che vengono mandati all’estero per un periodo dal proprio vescovo a svolgere il ministero in una missione. Sono i “Fidei donum”. Questo spaccato del mondo missionario, motiva anche l’aiuto che oggi diamo alle missioni.

  1. “Capisci quello che stai leggendo?” La domanda che Filippo rivolge all’Etiope che stava leggendo il profeta Isaia, è quanto mai emblematica e comunica a noi il cuore di questa giornata. Ciascuno di noi, coi suoi limiti e gli alti e bassi della sua fede, in quanto adulto, è MISSIONARIO per gli altri. Filippo si fa strumento nelle mani di Dio, perché questo straniero possa conoscere che Isaia stava parlando profeticamente di Gesù morto e risorto per noi. Credo che lo stile missionario di oggi, soprattutto coi giovani, i nostri figli, i nipoti che si allontanano dalla Chiesa, è quello di Filippo. Fare domande, suscitare domande, non pretendere di dare risposte già fatte, ma aiutare l’altro, chiunque esso sia, a non essere superficiale, ma a tornare alle domande importanti sul senso della vita. Ecco: lo stile missionario! Ma per far questo dobbiamo noi adulti e anziani, stare molto attenti al demonio della lamentela. Si, perché i nostri figli e nipoti ci vedono andare a Messa, sanno che ci andiamo, ma poi respirano da noi un pessimismo di fondo sulla vita. La fede non ci dà ottimismo? Se questo non emerge è chiaro che noi non siamo missionari di Gesù, ma la voce del mondo, delle cattive notizie prevale in noi. Termino con le parole di papa Francesco nel messaggio che indirizza oggi a tutta la Chiesa: “Ve lo dico per esperienza: grazie alla fede ho trovato il fondamento dei miei sogni e la forza di realizzarli. Ho visto molte sofferenze, molte povertà sfigurare i volti di tanti fratelli e sorelle. Eppure, per chi sta con Gesù, il male è provocazione ad amare sempre di più. Molti uomini e donne, molti giovani hanno generosamente donato sé stessi, a volte fino al martirio, per amore del Vangelo a servizio dei fratelli”. Guardiamo il loro esempio e andiamo avanti!

Domenica 21 Ottobre 2018 Dedicazione della chiesa cattedrale B

 

1.“Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova ”. Carissimi, con le parole dell’apostolo Paolo nell’epistola odierna, noi guardiamo alla solennità della nostra Chiesa madre, il duomo di Milano, il punto di riferimento di tutti i fedeli di rito ambrosiano. Anzitutto ringraziamo il Signore per il dono di poter credere nel Signore ed esprimere questo unico fondamento della Chiesa che è Gesù Cristo, con una grande tradizione che affonda le sue radici nel IV secolo: l’epoca del nostro padre Sant’Ambrogio. La santa liturgia che ci fa entrare nei Misteri di Cristo, ha nel rito ambrosiano una grande ricchezza di testi e di tradizioni uniche. Ambrogio prende molto dalla liturgia bizantina orientale e la recente riforma del lezionario, attuata nell’episcopato del Card Tettamanzi, ha recuperato una ricchezza di testi biblici che rendono ancor più originale la nostra liturgia. Nella Chiesa cattolica, sapete ci sono diversi riti e tutti esprimono la medesima fede, celebrano gli stessi sacramenti, non solo con lingue diverse, ma soprattutto con contenuti, gesti, tempi e momenti che, proprio perché diversi, dicono la ricchezza, la cattolicità, cioè la universalità della Chiesa. L’invito allora, guardando a questa solennità, è quello di radicarci in Cristo, coltivando la capacità di vivere la liturgia con gusto, con attiva partecipazione, cercando di assaporare i testi, le dinamiche dell’anno liturgico, i gesti particolari (lo scambio di pace, i Kyrie, penso anche alla particolarità dell’Avvento ambrosiano e alla celebrazione del triduo pasquale e tanto altro). Vorrei che i fedeli che partecipano ai divini Misteri in questa basilica e in tutte le chiese della città, coltivassero questo gusto positivo di fede e di conoscenza della grande tradizione ambrosiana.

2.La prima lettura tratta dall’Apocalisse ci presenta la Chiesa descritta con una bellissima immagine: “LA SPOSA DELL’AGNELLO” simboleggiata dalla città di Gerusalemme. Questa immagine ci comunica uno sguardo sulla Chiesa, che siamo noi, simile a quello di coloro che hanno ideato, costruito e ancor oggi continuano a edificare la nostra cattedrale. Il Duomo di Milano dove ha sede la cattedra del nostro vescovo, è un opera straordinaria che con le linee gotiche delle sue strutture, unisce terra a cielo. E’ un immagine unitaria di una Chiesa che splende al sole del suo Fondatore, che mostra i marmi di Candoglia assumere uno stupendo colore delicatamente rosato. Soprattutto le sue guglie infinite, sono come bracci che toccano il divino e sono sormontate dai santi. Ecco, la sposa dell’Agnello, il polo a cui apparteniamo, che continua a forgiare lungo i secoli anime sante. Quanti santi e beati ambrosiani! Oggi dove la Chiesa rischia di mostrare al mondo solo il lato del suo peccato, dell’infedeltà di alcuni dei suoi pastori, la festa della cattedrale ci ricorda la grazia della santificazione, che avviene quando ciascuno di noi pone Cristo come fondamento della sua e dell’esistenza delle relazioni sociali.

3.Da qui comprendiamo le parole che Gesù rivolge nel grande tempio di Gerusalemme, in inverno, nel giorno anniversario della dedicazione di quel grande luogo. Lui è il fondamento del nuovo tempio che è la sua Chiesa, ma lo è da pastore non da despota. Noi siamo il suo gregge, ne dobbiamo ascoltare la voce e seguirlo. Da questa presa di coscienza di essere il suo popolo sorge il desiderio di lavorare per la Chiesa, di lavorare per il Signore, di impegnarsi nella porzione di Chiesa dove viviamo. Qui credo sia importante sperimentare la bellezza di un impegno per edificare questa sposa, questo gregge del Signore. Quanto è importante educarci ed educare le giovani generazioni ad amare la propria comunità cristiana, ad aiutarla con piccoli servizi, a donare il nostro carisma per la sua edificazione. Chi è impegnato per la comunità parrocchiale, che è la nostra Chiesa, deve avere alcuni doni: anzitutto saper lavorare e collaborare con gli altri. La Chiesa non ha bisogno di solisti ma è un popolo che cammina insieme, pertanto bisogna imparare a lavorare insieme . Poi occorre dirsi spesso : io oggi faccio questo servizio PER IL SIGNORE solo per Lui. In questo modo non sorgono divisioni o gelosie. E da ultimo chi lavora per la Chiesa deve credere tanto alla forza della preghiera perché “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori”.

Domenica 14 Ottobre 2018 VII dopo il MARTIRIO di San Giovanni il precursore B

 

1.“Il Regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo” ”. Carissimi, in questa domenica che precede la solennità della dedicazione chiesa cattedrale, siamo invitati a contemplare Dio Padre che, con l’opera dello Spirito Santo semina il buon seme che è Cristo Gesù, nel profondo di ogni uomo. E’ Lui il piccolo seme che diventa un albero, è Lui il lievito che fermenta nella pasta della nostra esistenza. La sua presenza nella Parola e soprattutto nella S.Comunione al suo Corpo e al suo Sangue,sono il momento di questa semina in noi.

Ma la parabola che più ci fa riflettere è quella della zizzania e del buon seme, che crescono insieme. “Un nemico ha fatto questo”. Il grande mistero del male del mondo e in noi, si apre con questa riflessione sul nemico che lo semina. Quante volte ci siamo chiesti: “Ma se Dio è buono perché esiste il male del mondo e perché Dio non interviene?”. I servi chiedono al padrone a proposito della zizzania: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?” “NO” risponde il padrone del campo, “perché non succeda che raccogliendo la zizzania con essa sradichiate anche il grano”. Con questa risposta, noi vediamo il volto di Dio: egli non è intransigente ma ama la pazienza e l’umile fiducia. Ma perché Dio non manda un fulmine su chi fa il male e quindi anche su noi? Perché Dio ci ama e vuole la salvezza di tutti, per questo pazienta, non ci castiga, ma ci permette di crescere, aspetta la conversione fino all’ultimo, abbiamo visto nel vangelo della scorsa domenica. Dio per questo usa con noi pazienza. Per Dio il nostro limite, il nostro peccato, è il luogo in cui usare misericordia..

2.Se questo è Dio, occorre riflettere sulla compresenza del bene e del male anzitutto dentro di noi e quindi nel mondo. E’ necessario prendere coscienza dell’opera del demonio, che però lavora in noi seminando zizzania e facendoci seminatori di zizzania nei confronti degli altri. Vigiliamo molto su questo, soprattutto siamo prudenti con la parola, perché una volta detta è incontrollabile e può rovinare persone e addirittura famiglie. Oggi i mezzi di comunicazione rischiano, se usati male, di prestare il fianco al nemico. Ma questa vigilanza diventa realismo nei confronti della realtà in cui viviamo. Non ci sarà mai una Chiesa perfetta, una famiglia, una società perfetta, un marito, un figlio, una moglie perfetta. E questo perché il grano cresce sempre con la zizzania. Attenzione a non immaginare una idilliaca perfezione che sarà solo in paradiso. Su alcune categorie di persone noi siamo troppo idealisti (i preti ad esempio). Quello che ci è chiesto è di vivere in questo mondo tendendo al bene e convivendo con ciò che non è in nostro potere cambiare. Amare anche quando si è di fronte alla nostra e altrui zizzania. Sbagliato sarebbe far dipendere la propria fede, la partecipazione alla Messa, l’adesione a un ideale, semplicemente dalla coerenza degli altri. Penso in questo momento alla vita della Chiesa con lo scandalo della pedofilia dei preti…Il nemico ha seminato…Certo che scandalizza è gravissimo. Ma la parabola ci invita a guardare il buon grano che cresce e che sono la maggioranza dei sacerdoti che portano avanti nel silenzio la loro missione. La Chiesa sta agendo in modo forte con papa Francesco su questa piaga, prendendo tutti i provvedimenti necessari. Questo ci scandalizza, ma non ci deve far perdere la fede, perché Dio è più grande e più santo di tutti i peccati esecrabili. La presenza di Cristo, del suo Spirito, purifica la Chiesa e la vuole sposa bella e pura, pur nella consapevolezza che la zizzania sarà sradicata totalmente solo alla fine del mondo. La Chiesa stessa e quindi ciascuno di noi, ricordiamolo bene, non è un gregge di perfetti, ma una famiglia di perdonati, in continuo cammino di conversione. Preghiamo per la Chiesa e per il papa,, perché l’opera del nemico non la divida nel suo interno, ma l’unità che è opera dello Spirito, sia il primo proposito di ogni suo membro.

Domenica 7 Ottobre 2018 VI dopo il MARTIRIO di San Giovanni il precursore B

 

1.“Andate anche voi nella mia vigna ”. Carissimi, in questa domenica siamo provocati dalla parabola particolare di Gesù, che disegna il volto del discepolo di sempre: un lavoratore della vigna del Signore, da Dio chiamato a tutte le ore . Ci può sorprendere come il padrone della vigna retribuisce allo stesso modo chi ha lavorato molto e chi solo l’ultima ora. Ma qui non si tratta di una parabola sindacale, è ovvio che se fosse così sarebbe un ingiustizia, ma lo scopo della parabola è un altro, è quello anzitutto di aiutarci a comprendere che Dio ci chiama a costruire il suo Regno in questo mondo e attraverso questo nostro servire, Lui ci aiuta a raggiungere la ricompensa eterna, la salvezza che non finisce. Questo motivo così importante dà valore al nostro fare…C’è una vigna da coltivare cioè c’è una presenza del Signore da immettere nella società, là dove viviamo…Il Regno di Dio viene portato avanti dal nostro lavoro nascosto, da quello più umile, a quello più evidente. Lui, il padrone della vigna, ci chiama a tutte le ore, anche all’ultima. Allora è necessario rendersi conto di questo, farci strumenti nelle sue mani per edificare, come amava dire il prossimo San Paolo VI, “la civiltà dell’amore”. E come si edifica questa civiltà? Col nostro stile cristiano in famiglia, nella società. I cristiani non sono diversi dagli atri, ma sono mandati nel mondo a portare avanti una logica diversa. Faccio un esempio che è attuale in questi giorni e riguarda la difesa della vita nel grembo della madre e il cosiddetto testamento biologico. Sono due temi importanti e noi cristiani sappiamo che la vita umana ha un valore in sé, non è meno vita quella di chi sta per nascere o quella di chi sta per morire. Pensate cosa può voler dire andare a lavorare come cristiani in un ospedale piuttosto che in una casa di riposo…Ma vorrei spendere una parola sull’impegno dei cristiani che frequentano la S.Messa per la propria parrocchia e comunità. Oggi è la festa dell’oratorio e questa istituzione educativa prepara i nuovi cristiani della comunità . Il futuro della comunità pastorale di Melegnano sono gli oratori. Noi, lasciatemelo dire, siamo fortunati perché abbiamo ancora preti che si occupano a tempo pieno di questo grande campo educativo. Io sono un po’ angosciato dalle strutture che necessitano operai tutti i giorni e faccio appello col vangelo Andate anche voi a lavorare nella mia vigna”. Io credo che se nella nostra vita di cristiani non c’è nessun impegno gratuito per gli altri, siamo qui invano. Dovremmo proprio chiederci: ma io cosa faccio per la vigna del Signore? (ringrazio per i due falegnami di questa settimana, ma avremmo bisogno di tutto per le piccole cose). Allora tu, se puoi, che posto occupi nella vigna del Signore?

2.Qui nel concludere guardiamo il volto di Dio che retribuisce tutti allo stesso modo. Questo denaro che il padrone dà a tutti è la vita eterna, il paradiso. C’è in Dio una giustizia più alta, una misericordia che sa attendere anche l’ultimo istante di vita. Questa logica ci brucia perché noi non siamo così. Che volto meraviglioso quello di Dio in questa parabola! Un volto che ci dà speranza e fiducia nel nostro ingresso definitivo nel suo Regno. “Per grazia siete salvati” ci ha detto Paolo nell’epistola agli Efesini ed è vero che la Grazia di Dio non solo ci salva, ma sarà quell’amore che brucerà le scorie delle nostre imperfezione e menomale che è così, altrimenti il paradiso sarebbe vuoto. Concludendo invochiamo il primo santo, quello dell’ultima ora, canonizzato da Gesù quando era in Croce: il buon ladrone. Facciamo nostra la sua richiesta: “Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno”. “OGGI SARAI CON ME IN PARADISO”.San Disma così la tradizione lo ha chiamato e significa “tramonto”. E’ il protettore degli agonizzanti e va invocato per impetrare la conversione nell’ultima ora di chi è ancora reticente alla fede.

Domenica 30 Settembre 2018 V dopo il MARTIRIO di San Giovanni il precursore B

 

1.“Ne ebbe compassione ”. Carissimi, noi vogliamo contemplare nel Samaritano il volto di Gesù per noi, che spesso siamo a terra smarriti, soli, pieni di ferite della vita. La parabola famosa che abbiamo ascoltato è in realtà la comunicazione del volto del cuore di Dio per noi. Nello stesso tempo però queste parole di Gesù ci comunicano il volto della Chiesa, che è la comunità che si riunisce nel suo nome. Il dottore della legge sa bene cosa deve fare per “ereditare la vita eterna”, ma vuole mettere alla prova Gesù. Ed ecco il cammino che Gesù stesso fa compiere al suo ascoltatore.

Il primo momento è il viaggio da Gerusalemme, che è a 800 metri sopra il livello del mare, a Gerico che è a 300 metri sotto il livello del mare. Tra le due città vi è un deserto arido, roccioso e sabbioso. Gerusalemme è il luogo del tempio, del culto, dove ci si ricarica, ma non ci si può fermare lì, occorre muoversi verso Gerico col coraggio di attraversare il deserto esistenziale in se stessi e fuori da sé. Siamo credenti in cammino oppure siamo ancora fermi a Gerusalemme?

Nel secondo momento c’è l’episodio terribile della rapina violenta, dell’essere a terra. Questo ci rappresenta molto perché spesso siamo a terra. La vita ci butta a terra, gli altri ci spingono a terra e noi stessi buttiamo a terra altri e troviamo sul nostro cammino molte persone a terra mezze morte, bisognose di aiuto. Qui c’è la reazione del levita e del sacerdote che “passano oltre”. Credo che tutti noi dovremmo domandarci da che parte stiamo. Non vedere col cuore, far finta di non vedere, avere il suore duro, omettere il bene che potremmo fare con tante scuse. Il caso del levita e del sacerdote, uomini del culto, ci comunicano che anche la preghiera, la vita con Dio può fare da schermo davanti al bisogno degli altri, nella misura in cui questo culto è formale, non tocca il cuore. Chi veramente ha pregato, è andato a Messa, ha fatto la comunione, non può passare oltre. Qui domandiamoci molto serenamente: io dove, con chi chiudo gli occhi e il cuore davanti al bisogno di chi è a terra e ha bisogno di me?. Penso alla famiglia ma ancor di più alla comunità parrocchiale e civile. Quanti bisogni! Però anche quanta indifferenza ed egoismo. Quanta gente che perde tempo in chiacchiere sulle piazze, nei bar, sprecando tempo e risorse, mentre potrebbe impiegarle per chi ha bisogno, per piccoli servizi nella comunità parrocchiale e civile. “Lo vide e passò oltre”…Signore ti chiediamo perdono per queste omissioni.

Il terzo momento ci porta nel cuore di Dio. Il Samaritano “lo vide e ne ebbe compassione”. Sappiamo quale considerazione negativa avevano gli Ebrei dei Samaritani considerati eretici. Gesù stesso in nel passaggio evangelico di Giovanni, che leggiamo in quaresima alla terza domenica, viene accusato di “essere un Samaritano e indemoniato”. Eppure quest’uomo infedele rappresenta il cuore di Dio. Il verbo greco “ne ebbe compassione” suona così: “ESPLANCHNISTHE”. E’ lo stesso verbo del padre della parabola del figlio prodigo, quando vede da lontano il figlio che torna. E’ un verbo che significa “il sussulto delle viscere del cuore”, le viscere materne e paterne di chi vede a terra il proprio figlio, la propria figlia. Dio ci guarda così sempre, soprattutto quando siamo a terra. Una commozione profonda del cuore, un evento interiore che fa muovere le viscere di misericordia di Dio. Ecco: Dio in Gesù ci rende partecipi di questo movimento interiore. Ecco perché non possiamo esser indifferenti davanti al bisogno degli altri. Noi vediamo però che questo sentimento profondo suscita una carità intelligente. Il Samaritano cura questo poveretto, lo porta alla locanda, lascia del denaro per la completa guarigione del malcapitato. Queste azioni susseguite al moto del cuore, ci comunicano che la carità per noi cristiani è un abito permanente. Non basta commuoversi davanti a un bambino denutrito. Non basta dare la monetina a chi ti chiede sulla metro un aiuto per placare la coscienza. Occorre chiedersi come nella mia vita la carità gratuita è uno stile che riprogramma la mia giornata, la mia settimana, la mia vita. La carità diventa abito di ogni istante. La condizione però è una sola : che la carità di Cristo abiti in noi, che la sua compassione ci raggiunga, ci sani, ci rilanci verso il fratello che ha bisogno. Termino con una espressione di Santa Teresina di Lisieux la cui memoria liturgica ricorre lunedì 1 ottobre: “Gesù non guarda tanto alla grandezza delle azioni, e neppure alla loro difficoltà, ma all’amore che fa compiere questi atti”

Domenica 23 Settembre 2018 IV dopo il MARTIRIO di San Giovanni il precursore B

 

1.“Alzati mangia”. Carissimi, nelle sette domeniche che seguono la festa del Martirio di San Giovanni Battista fino alla terza domenica di ottobre, quando ci sarà la festa della dedicazione della chiesa cattedrale, la liturgia domenicale si sofferma nelle letture sull’identità di Cristo e la sua presenza nella Chiesa. Oggi chiaramente questa identità e presenza, è concentrata nel dono dell’Eucarestia. E’ l’ epistola tratta dal più antico testo che ci narra dell’istituzione dell’Eucarestia, la prima Corinzi 11, che ci comunica il cuore del volto di Cristo e quindi di Dio per noi. Ci sono verbi molto importanti nel testo, anzitutto quelli della trasmissione della fede: “Io ho ricevuto …quello che vi ho trasmesso”. Sappiamo che Paolo non ha partecipato nel cenacolo al gesto eucaristico di Cristo, però lo ha ricevuto dagli apostoli e lo trasmette ora alla comunità. Ma per comprendere la grandezza sconvolgente della presenza di Cristo nell’Eucarestia, è importante il contesto concreto in cui è nata. “Nella notte in cui veniva tradito”. Proviamo a fermarci su questo aspetto e ripensiamo commossi al grande amore di Gesù per noi, che è l’infinito oceano dell’amore di Dio per ciascuno di noi, per l’umanità. Nel momento in cui su Cristo si scatena tutto l’odio del mondo simboleggiato dal tradimento di Giuda, Gesù compie l’atto d’amore più grande, lascia se stesso come cibo donato, come vino versato e pane spezzato. Gustiamo di questa grazia, perché “ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete a questo calice voi annunciate la morte del Signore finché egli venga”. Da questo punto di vista ricordiamo le disposizioni della Chiesa per ricevere la S.Comunione. Si dice: “PENSARE E SAPERE CHI SI VA A RICEVERE”. E’ esattamente questa consapevolezza che Paolo chiede alla comunità di Corinto, cioè rendersi conto del grande Amore di Dio per noi in Cristo Gesù.

  1. “Alzati mangia”. E’ bello identificarsi nel profeta Elia che fugge da Gezabele e dal re Acab e si trova nel deserto. Profeticamente quella “focaccia cotta con pietre roventi” procurata dall’angelo, rappresenta l’Eucarestia, cibo per il nostro deserto, cibo nei deserti dell’anima, quando le risorse umane per amare i fratelli vengono meno, Egli è pane di vita. Allora, carissimi, nel cammino della vita, in questo deserto interiore, l’Eucarestia è la nostra gioia, è la risorsa per il vivere il famiglia, per la vita in tutti i contesti sociali, civili, è il dono per fare la comunità. Gesù nel vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato, presenta se stesso come il “pane vivo disceso dal cielo” e ci dice proprio che questo pane è “la mia carne per la vita del mondo”.

”Io sono il pane vivo disceso dal cielo chi mangia questo pane vivrà in eterno”. Crediamo alle parole di Cristo e recuperiamo la finezza d’animo nel riceverlo. “ESSERE IN GRAZIA DI DIO”, ci dice la Chiesa. Chi di noi è degno di ricevere il Signore? Però è importante esaminare se stessi prima di andare all’Eucarestia, ragionare soprattutto del rapporto tra la Confessione e la Comunione. Quando abbiamo la consapevolezza di Chi riceviamo, l’animo si raffina e il ricorso alla Confessione frequente diventa naturale. Ma qui lasciatemelo dire, il ricorso alla Confessione passa attraverso la cura di una preghiera profonda e la pratica dell’esame di coscienza quotidiano. Certo se ci sono peccati mortali, non si può ricevere la Comunione, ma vedete quando uno ama, cura anche di accogliere la persona amata, anche eliminando i peccati più piccoli. FINI D’ANIMO. “Trattamelo bene” diceva un giorno un vecchio sacerdote a un fedele che aveva ripreso a fare la Comunione.

Infine la pratica del “DIGIUNO DI UN ORA” che non è stata tolta dice che occorre anche una disposizione fisica, un corpo preparato. Qui mettiamo dentro anche la cura dell’abbigliamento e di tutte quelle disposizioni liturgiche che la chiesa cura nel celebrare l’Eucarestia. Ma ne potrò parlare un’altra volta.

Termino col pensiero di un Santo:

  È rimasto per te. —Se tu sei ben disposto, non è segno di riverenza omettere la Comunione. —Irriverenza è solo riceverlo indegnamente. (Escrivà Il Cammino)
   

Solennità dell’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA Melegnano 15 agosto 2018

 

 

1° novembre 1950, il Venerabile Papa Pio XII proclamava come dogma che la Vergine Maria «terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo». Questa verità di fede era conosciuta dalla Tradizione, affermata dai Padri della Chiesa, ed era soprattutto un aspetto rilevante del culto reso alla Madre di Cristo. Proprio l’elemento cultuale costituì, per così dire, la forza motrice che determinò la formulazione di questo dogma: il dogma appare un atto di lode e di esaltazione nei confronti della Vergine Santa. Questo emerge anche dal testo stesso della Costituzione apostolica, dove si afferma che il dogma è proclamato «ad onore del Figlio, a glorificazione della Madre ed a gioia di tutta la Chiesa». Venne espresso così nella forma dogmatica ciò che era stato già celebrato nel culto e nella devozione del Popolo di Dio come la più alta e stabile glorificazione di Maria. E nel Vangelo che abbiamo ascoltato ora, Maria stessa pronuncia profeticamente alcune parole che orientano in questa prospettiva. Dice: «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48).

Questa gloria di Maria anche col suo corpo che la fede ci dice incorrotto, è frutto della Pasqua di Cristo: “risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Come tutti muoiono in Adamo così tutti riceveranno la vita in Cristo. Prima Cristo poi quelli che sono di Cristo”. Paolo nella prima Corinzi che abbiamo ascoltato, ci parla della ragione profonda cristologica di questa Pasqua di Maria.

 

E l’assunzione corporea di Maria al cielo, è la dolce conferma di questa certezza necessaria e bellissima: l’uomo nasce sulla terra, ma non finisce nella terra.

Noi abbiamo bisogno di questa speranza, senza la quale è impossibile vivere da creature ragionevoli e in pace. Questa nostra vita provvisoria ci è data per disporci efficacemente alla vita eterna del Regno e per aiutare i nostri fratelli sul modello della Madre di Dio, anche i più dubbiosi e smarriti, a credere nell’amore del Signore che li vuole tutti salvi e al sicuro per sempre nella sua casa.

La Madonna, glorificata anche nelle sue membra corporee, ci mostra con materna sollecitudine che il suo traguardo di luce e di gioia sarà un giorno anche il nostro. E così ci dà il coraggio di superare le nostre difficoltà quotidiane e le nostre immancabili tristezze di quaggiù.

Assunta al cielo, questa nostra madre carissima non è andata lontana. Anche se invisibile, è sempre con noi con la sua comprensione, con il suo affetto, con il suo soccorso efficace, con la sua inesauribile capacità di rianimare e di consolare i suoi figli. Proprio perché è con Dio e in Dio, è vicinissima ad ognuno di noi. Quando era in terra poteva essere vicina solo ad alcune persone. Essendo in Dio, che è vicino a noi, anzi che è “interiore” a noi tutti, Maria partecipa a questa vicinanza di Dio. Essendo in Dio e con Dio, è vicina ad ognuno di noi, conosce il nostro cuore, può sentire le nostre preghiere, può aiutarci con la sua bontà materna e ci è data – come è detto dal Signore – proprio come “madre”, alla quale possiamo rivolgerci in ogni momento. Ella ci ascolta sempre, ci è sempre vicina, ed essendo Madre del Figlio, partecipa del potere del Figlio, della sua bontà. Possiamo sempre affidare tutta la nostra vita a questa Madre, che non è lontana da nessuno di noi.

2.Questa verità di fede che riguarda Maria si riversa su ciascuno di noi: Dio ci aspetta, ci attende, non andiamo nel vuoto, siamo aspettati. Dio ci aspetta e troviamo, andando all’altro mondo, la bontà della Madre, troviamo i nostri, troviamo l’Amore eterno. Dio ci aspetta: questa è la nostra grande gioia e la grande speranza che nasce proprio da questa festa. Affidiamoci alla materna intercessione di Maria, affinché ci ottenga dal Signore di rafforzare la nostra fede nella vita eterna; ci aiuti a vivere bene il tempo che Dio ci offre con speranza. Una speranza cristiana, che non è soltanto nostalgia del Cielo, ma vivo e operoso desiderio di Dio qui nel mondo, desiderio di Dio che ci rende pellegrini infaticabili, alimentando in noi il coraggio e la forza della fede, che nello stesso tempo è coraggio e forza dell’amore”. AMEN

LETTERA AD UN PRETE NOVELLO 17 Giugno 2018 PRIMA S.MESSA SOLENNE A MELEGNANO DI DON STEFANO POLLI

Pensieri col cuore del tuo primo parroco

Carissimo don Stefano,

sei agli inizi di una vertiginosa avventura che io stesso confesso di non aver ancora compreso a fondo, nonostante che sia prete da trenta anni. Quali consigli darti, ammesso che tu voglia consigli da me? Mi viene in mente il grande Rilke che in una famosa lettera ad un giovane poeta scriveva: “Nessuno può darle consiglio o aiuto, nessuno. Non v’è che un mezzo. Guardi dentro di sé”. Tu stai per iniziare quella sinfonia di notevole spessore che è il sacerdozio e che – è facile profetizzarlo – ti porterà lontano. E sarà allora che potrai verificare quanto questi pensieri che ti regalo, saranno stati molto veritieri. Come hai fatto finora, credi ad una virtù che hai: la sincerità. Spietata, ferrea, lucida, determinatissima sincerità. È tutto ciò che ti serve in effetti.

  • Sii sincero innanzitutto con Dio: per quel poco che Lo conosco, ho imparato che non gli piacciono i musici di corte. Non essere Salieri, sii Mozart. Essere bravi, competenti non basta! Occorre il genio, non quello della lampada… ma il talento che tu hai. Non avere paura di usarlo. Ringrazialo per ciò che ti ha elargito. Imploralo per quello che ti servirà. Non c’è niente di male nei libri di filosofia e di teologia che sai maneggiare, purché tu ricordi che i banchi di una chiesa son diversi dai tavoli di una biblioteca, purché non dimentichi che la preghiera è un corpo a corpo, una lotta per la vita, un amplesso amoroso, un inseguimento affannoso, una scalata, la demolizione di un muro… tutto fuori che una pacata conversazione al caminetto o una stucchevole lezione accademica. Noi spesso diciamo che parliamo a Dio come ad un amico, ma a ben guardare non è così. Ricordati dello Yabbok. Dio è fuoco divorante, deserto assassino, torrente in piena, madre premurosa, squillo di trombe, guerriero e re, medico e maestro… ma amico? Certamente, non nel senso che di solito si dà a questa parola. E se è un amico è il più esigente, determinato e misterioso che abbia mai conosciuto. —-Ma potremmo essere pari a nostro Signore e Maestro? L’amico è colui che si prende cura della tua umanità ma il Signore invece ti condurrà alla croce e al sacrificio. Dunque, sii sincero con Lui. Lo devi essere. Fino alla bestemmia…dato che certe bestemmie a volte son preghiere, fino a gridargli quando ti prenderà (e ti prenderà, fidati) il disgusto per la tua missione, senza nascondere i tuoi dubbi e le tue paure e confessargli senza timore tutti i movimenti del tuo cuore, anche i più impercettibili e segreti. Solo così scoprirai la folle ed impensabile gioia che si trova appesa alla croce ed imparerai la danza dello spettacolo che è la croce, l’immagine che scegliemmo noi candidati di trenta anni fa (Collaboratori della vostra gioia con la Danza di Matisse), solo così conoscerai la pace immensa che dilaga nel cuore che si è lasciato spezzare. La pace che sgorga dall’aver crocefisso il proprio egoismo e aver messo tutto di sé a servizio dell’Amore.
  • Sii poi sincero con te stesso: i maggiori mali nella vita spirituale, li ho trovati quando si nega l’evidenza credendo di essere più forti dei problemi. Abbi il coraggio sempre di chiamare con il loro nome i tuoi peccati e le tue tentazioni. Solo se il medico sa di che si tratta, può ipotizzare il rimedio. Riconosci la verità di ciò che ti rende felice e non censurarlo tutte le volte. Occorre resistere al delirio dell’onnipotenza, così la chiamava Martini. Bisogna accettare di saper arrivare fino a lì. Molti si illudono che per essere un bravo prete, si debba essere come angeli. La mia esperienza – invece – mi dice che chi vuole assomigliare ad un angelo finisce per essere, un ibrido. Se sei un pianoforte, fai risuonare tutti i toni e tutti i timbri. Non accettare di essere solo un mobile su cui appoggiare un vaso o un libro… Un pianoforte non è stato creato per ospitare soprammobili…
  • Sii sincero con le persone..Di esperienza ne hai già fatta a questo livello. La Chiesa è esperta in umanità. I preti ne sono i professionisti. Gli uomini di oggi hanno un estremo bisogno di verità, di essere orientati nelle loro scelte, di essere illuminati nella loro confusione, in una parola di un maestro… ma San Paolo VI diceva che più che di maestri, il mondo ha bisogno di testimoni. Attento a non attaccarti troppo a persone e situazioni. Ma guai a te, se non ti affezioni. Qui è tutta l’arte! Non aver paura se una ragazza di dà una carezza… temi piuttosto la donna che proietta su di te le sue problematiche non riconciliate… Non aver paura di abbracciare un adolescente… ma guarda di non plagiarlo! Non aver paura di chi ti offre la sua amicizia, ma bada bene di non cercarla come surrogato del celibato a cui siamo chiamati. Presta attenzione a chi ti prende per un nuovo Messia. Non credergli, se ti fa sentire indispensabile per lui. È una menzogna. È un tranello. Tu sei la guida, non la Terra promessa, ed a te quindi si chiede una cosa sola: di conoscere la strada e di condurre gli altri senza tentennamenti su quella via. Anzi, se sarai debole e stanco a volte questo sarà un vantaggio, perché ti farà comprendere meglio la stanchezza e la debolezza delle persone che ti sono affidate.

Non penso che tu abbia paura di tutto ciò, caro don Stefano! In questi mesi ho ammirato la tua forza e la tua gioia nell’incontrare i giovani, il tuo desiderio di donarti alle persone, la tua schiettezza e fede…Continua così…Insieme con don Sergio, don Andrea e gli altri sacerdoti e diaconi, aiutaci a fare una bella famiglia che si vuole bene come ho detto, nella verità e nella sincerità. Con noi uniti, anche se diversi, tutto il popolo di Dio potrà vedere l’opera del Signore, che ci ha chiamati, non perché siamo migliori, ma perché ci ha guardato con misericordia. E così ci ha fatto incontrare, perché insieme possiamo, gregge e pastori, vivere gli anni che il Signore ci darà, al suo servizio. E’ Lui che ci ha scelti e ci ha posti qui. Come sacerdoti ci è fatto un dono grande: sedere al posto di Gesù. Tu , caro don Stefano come tutti noi sacerdoti, agisci “in persona Christi”. Mi fermo a pensare allo sgomento di Pietro, quando per la prima volta i dodici gli avranno detto che toccava a lui presiedere e spezzare il pane, a lui che aveva tradito e rinnegato. Come si sarà sentito? Cosa avrà pensato quel giorno? Posso solo immaginarlo, ma non credo che sia molto lontano da ciò che tu hai provato stendendoti sull’altare del Duomo di Milano e quando hai messo le tue mani in quelle dell’Arcivescovo DELPINI, di cui rimarrete per la storia i suoi “primi” preti. Nella preghiera ringrazio il Signore di averti incontrato. Lo imploro di poterti stare accanto come padre e fratello. Dio ti benedica caro Don Stefano, ed attraverso te benedica tutti gli uomini e le donne, soprattutto i giovani che amerai e servirai, poiché con te il Signore farà grandi cose per il santo popolo di Dio.     Benvenuto nella comunione presbiterale!      don Mauro

Domenica 3 Giugno 2018 CORPUS DOMINI
Preghiera dopo la processione eucaristica

Signore Gesù, hai camminato con noi per le nostre strade, hai benedetto le nostre case. Tu sei presente nell’ostia consacrata e questa processione, oltre a manifestare al mondo la nostra fede in Te, è segno del tuo Amore, della tua presenza che si espande su di noi. Noi siamo stati noi a portare Te, ma sei tu che porti noi. Si, ci porti lungo le strade della vita, cammini con noi in ogni istante, quando siamo nella gioia e quando siamo nel dolore, sei con noi quando la salute è ottima e ma soprattutto quando la salute manca. Tu Gesù, sei il pane del cammino. Il pane che non può mai perire, il pane che dà ristoro alla nostra debolezza, il cibo che riaccende l’amore e il desiderio di donarci agli altri, in famiglia, al lavoro, nella comunità parrocchiale e pastorale.
Cammina con noi Gesù, come in questa processione che è simbolo della vita, cammina con le nostre famiglie, spesso in sofferenza per la mancanza di unità e di amore. Cammina con noi e aiutaci a essere di esempio per i nostri bambini, che tanto ti vogliono bene. Cammina con la nostra comunità pastorale da poco costituita. La tavola eucaristica sia veramente il luogo dove a cena con Te, ci sentiamo uniti. Ti ringraziamo per le generazioni che ci hanno preceduto e che ci hanno trasmesso anche con l’arte, gli arredi liturgici, la grande fede in te presente nell’Eucarestia. Aiutaci a comunicare a tutti, che la tua presenza nell’Eucarestia, è il motore che ci spinge ad amare, a donarci, a spezzarci come Te nel pane e a versarci come Te nel vino per i fratelli, soprattutto per chi ha più bisogno. Grazie del cammino, continua ad accompagnarci. Amen

Domenica 27 MAGGIO 2018   SS TRINITA’ B

1.“Quelli che vivono secondo lo Spirito tendono verso ciò che è spirituale”. Carissimi, le parole dell’Apostolo Paolo ai Romani, nell’epistola che abbiamo ascoltato, ci introducono bene a questa solennità della SS Trinità. La festa odierna, quella di giovedì del Corpus Domini e di venerdì l’altro del Sacro Cuore di Gesù, sono poste dalla liturgia come momenti sintetici della nostra fede. Dopo il cammino della Pasqua e la grazia della Pentecoste, e ancor di più ripensando anche al Natale, la liturgia ci fa compiere una sintesi sul Mistero di Dio in se stesso. Ecco la Trinità che è il dono di Dio stesso per noi, ecco Gesù che è il volto di Dio per noi, presente nell’Eucaristia. L’Eucaristia è il cuore di Cristo. La sollecitazione dell’apostolo Paolo, fa leva sul fatto che in noi, se manca una vita spirituale, parlare e conoscere Dio è impossibile. L’Apostolo contrappone la vita dello Spirito a quella della carne, intendendo per “carne” la concezione di uomo solo materiale, schiacciato sulle cose materiali. Un uomo solo materiale, non può comprendere il mistero di Dio. Solo coltivando il gusto delle cose spirituali, si può penetrare il Mistero di Dio e scoprire la gloria del suo Mistero. Dio è una unità di tre persone, uguali e distinte, unite dall’Amore. Recuperiamo il gusto della ricerca del volto di Dio, attraverso ciò che Gesù ci ha rivelato. Una lettura approfondita, magari con un commento dei Vangeli, ci aiuta tanto a creare questo gusto. E’ un impegno spirituale che tutti possiamo prenderci e nello stesso tempo, è importante non lasciar cadere tutte quelle occasioni che la comunità parrocchiale e pastorale ci offre durante l’anno, per aiutarci in questa ricerca di Dio, soprattutto attraverso la Santa Scrittura.

2.”Mostrami la tua gloria”. Abbiamo sentito come Mosè, nel libro dell’Esodo, è assetato di vedere, conoscere Dio. Il dialogo tra Mosè e Dio, manifesta però una sproporzione tra il Creatore e la creatura. Si, Dio si mostra, ma non nel volto, ma di spalle, perché la creatura umana non potrebbe sostenere la grandezza della gloria di Dio. Questo secondo aspetto ci aiuta ad accettare il MISTERO di Dio, che contempliamo come uno e trino. Dio resta Mistero, nel senso di una realtà che la mente e il cuore umano possono cogliere solo in parte. Santa Caterina da Siena nelle lunghe meditazioni sulla Trinità, chiama Dio “mare profondo in cui mi immergo e dove più cerco e più trovo”. Questo secondo aspetto, ci aiuta a coltivare quell’atteggiamento che è denominato il SANTO TIMORE DI DIO. Non paura, ma rispetto, capacità ogni giorno di vivere alla presenza di Dio.

3.Ma noi Dio lo conosciamo nel suo Mistero attraverso Gesù. “Dio nessuno lo ha mai visto solo il Figlio che è nel seno del Padre, Lui ce lo ha rivelato”. Così la prima lettera di San Giovanni. Nel breve passaggio evangelico, Gesù invita a guardare le sue opere e parole…eppure c’è chi lo ha odiato per questo e con Lui odiano anche il Padre. Siamo davanti al grande mistero della libertà dell’uomo, che Dio vuole e permette, libertà anche di rifiutarlo fino alla fine. Ma come si fa a rifiutare un Dio che è AMORE? Così si è manifestato questo Dio che è Amore in sé, e nella incarnazione, passione, morte e risurrezione di Cristo, così si è mostrato. ”Dio è amore chi sta nell’amore, dimora in Dio e Dio dimora in lui, per sempre..”. Ricordiamo che niente ci rende più felici di un amore di qualità, dove i due movimenti, di dare e ricevere sono in pieno equilibrio. Così è la vita intima di Dio. Se conoscessimo fino in fondo il grande Amore di Dio per noi, e vivessimo alla sua presenza, saremmo preservati da tante sofferenze nella vita o meglio saremmo più capaci di sopportarle….Credere all’Amore di Dio per ciascuno di noi e riceverlo ogni giorno: è la preghiera e l’augurio che vorrei fare per tutti noi in questa festa.

Domenica 20 MAGGIO 2018   PENTECOSTE B

1.“Un vento che si abbatte impetuoso e riempì tutta la casa”. Carissimi, la lettura degli Atti degli Apostoli, ci ha descritto cosa è avvenuto nel cenacolo, dove si trovavano gli 11 apostoli e Maria in grande preghiera…Il vento dello Spirito Santo promesso da Gesù, discende con abbondanza e riempie tutta la casa, ma soprattutto penetra i cuori dei presenti e rimane per sempre. Mi torna alla mente il giorno del funerale di San Giovanni Paolo II, era il 2 Aprile 2005…ricordate il vento di quel giorno, che sfogliava le pagine del Vangelo posto sulla bara del papa, fino a chiudere quel libro e il vento si espandeva in tutta la piazza, quasi a manifestare visivamente la presenza dello Spirito quel giorno. Anche nella nostra vita c’è lo Spirito Santo: ci è donato in modo permanente, nel Battesimo e confermato nella Cresima. E’ una presenza che si abbatte impetuosa e riempie tutta la nostra casa interiore. Non opponiamo resistenza allo Spirito Santo! Lasciamolo agire! Lasciamoci portare dalle sue sante ispirazioni, permettiamogli di essere in noi forza nella debolezza, calma e serenità nella paura, audacia nell’incapacità di dire le verità di fede a cui crediamo. Questo fa il vento dello Spirito Santo: ci porta sulle strade del Signore Gesù, ci conduce dove vuole la volontà di Dio. Occorre abbandonarsi, come su una tavoletta sovrastata da una vela, che varca il mare: questo vento dello Spirito ha bisogno di chi ne segue la direzione e si lascia andare nel percorrere i suoi sentieri. Così hanno fatto gli apostoli nel parlare quelle lingue da tutti comprensibili, nel lanciarsi nell’avventura della missione, sapendo di avere accanto a loro, ciò che Gesù aveva loro promesso: lo Spirito Santo Paraclito, il difensore, l’avvocato, Colui che è “chiamato vicino”: così è il significato letterario di Paraclito, l’avvocato, il soccorritore, il difensore.

2.Due sono le domande che da questa riflessione scaturiscono: Abbiamo un rapporto personale con lo Spirito Santo? Lo preghiamo? Lui “è Signore e dà la vita” recitiamo nel credo. Anzitutto recuperiamo la preghiera allo Spirito Santo, magari da un testo della tradizione della Chiesa (Veni Sancte Spiritus oppure il Veni Creator…), oppure altre preghiere. Facciamo diventare lo Spirito Santo protagonista della nostra preghiera. Invochiamolo prima di pregare e soprattutto prima di prendere decisioni piccole e importanti.

Poi domandiamoci: “io sono una donna spirituale? Io sono un uomo spirituale?”. Cosa vuol dire? Significa parlare quelle lingue nuove e diverse che tutti comprendono, come abbiamo sentito che è accaduto agli Apostoli, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo. Sapersi esercitare a una lettura spirituale degli eventi, di ciò che accade nel mondo, nelle nostre famiglie, dentro di noi…Si, una lettura spirituale cioè la capacità di leggere e interpretare, alla luce del Vangelo, tutto ciò che accade. Del resto Gesù stesso aveva detto che una delle funzioni dello Spirito Santo, sarebbe stata quella di ricordarci le sue parole…Ecco: una lettura spirituale. Proviamo a domandarci cosa significa concretamente, pensando a come reinterpretiamo la giornata, soprattutto i fatti negativi. Pensiamo cosa significa dirli alla luce dello Spirito Santo e quindi osare una lettura spirituale.

Termino: oggi la venuta del nostro Arcivescovo Mons Mario Delpini, per mettere il sigillo della sua autorità sulla nascita della nostra comunità pastorale, dice un atto e una lettura spirituale del cammino delle nostre tre parrocchie. Lo Spirito Santo le vuole unite e ci vuole uniti nel modo in cui ci unisce Lui. Lo Spirito santo non annienta le diversità, le tiene nella sua ricchezza, ma ci unisce nel profondo, perché fa emergere ciò che ci unisce: l’unico Battesimo, il medesimo Spirito. Con san Paolo nell’epistola di oggi della prima Corinzi diciamo: “Vi sono diversi carismi ma uno solo è lo Spirito”. Vieni Spirito Santo e rendici uno come tu sei: uno col Padre e col Figlio. AMEN

Domenica 13 MAGGIO 2018   VII di Pasqua B

1.“Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno”. Carissimi, la preghiera testamentaria di Gesù al Padre oggi, è fatta propria dalla Chiesa che ha celebrato l’ascensione al cielo di Gesù e, con Maria, prega per una rinnovata Pentecoste (la solennità che celebreremo domenica prossima). La nostra situazione è quella di vivere nel mondo, con tutte le sue fatiche, contraddizioni e sofferenze. Gesù ci chiede di stare dentro alla scena del mondo, di non sottrarci a nulla, di vivere in pienezza il nostro tempo. Ma Gesù ci mette in guardia, c’è il Maligno all’opera e lavora anche dentro la Chiesa, nel profondo di ogni cristiano. Ognuno di noi è tentato: è necessario riconoscerlo! C’è in ciascuno un lato debole che presta il fianco al Maligno e se cadiamo, trasciniamo con noi l’intera Chiesa. Gesù aveva detto a Pietro riguardo al futuro della Chiesa: “Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. Noi crediamo a queste parole, ma comprendiamo in modo più evidente la necessità dello Spirito Santo che Gesù dal Padre ci ha promesso. La sua ascensione, rende evidente questa necessità. Senza lo Spirito Santo, la battaglia contro il Maligno e lo spirito del mondo è persa. E lo Spirito Santo viene a noi con intensa preghiera e con una comunione con la Madre di Dio, Maria, che non è a caso in preghiera con la prima Chiesa apostolica, nel cenacolo. Maria che invochiamo come Madre della Chiesa, viene a visitarci sempre nell’ora del pericolo. Oggi è il 13 Maggio, 101mo anniversario della sua apparizione a Fatima.La Madonna ha posto tra le mani dei tre pastorelli due armi contro il Maligno: il Rosario e le penitenze per la conversione dei peccatori. E’ certo che anche per noi, accanto al digiuno, la preghiera e l’offerta del sacrificio nascosto al Signore, possono anche fermare una guerra, qualsiasi guerra che il demonio ispira. Si, perché, ricordiamolo, è il demonio che divide.

2.”Padre santo, custodiscili nel tuo nome…perché siano una sola cosa come noi”. Ecco il desiderio di Gesù per noi sua Chiesa, che ci amiamo fino a rompere il lavoro di divisione e riscoprire una unità nello Spirito, che pur diversi, ci rende in Cristo un corpo solo. Per tenere unita la famiglia, bisogna amare la famiglia, amare tutti i componenti, accettando la loro diversità e i loro cambiamenti. Se si ama la famiglia, ci si dà da fare per lei. Così è per la Chiesa, si comincia dalla propria parrocchia, fino ad avere un senso e una visione della Chiesa, veramente universale, appunto cattolica. Amare la Chiesa, amare la propria Chiesa, sentirla come la propria famiglia, darsi da fare per la propria comunità: a questo siamo invitati. In tal modo, si opera per l’unità. Questo ci interroga sul fare la nostra parte, sul vigilare se anche una parola possa creare la divisione, ci stimola a fare l’unità della comunità. Siamo alla vigilia di una grande svolta nella nostra realtà ecclesiale di Melegnano, la costituzione della comunità pastorale “Dio Padre del perdono”. Le tre parrocchie sono chiamate a unirsi in un’unica comunità, come era all’origine. Questo passo va verso la direzione del dono dello Spirito di unità, e ci aiuta ancor di più a comprendere la Chiesa come fatto di comunione con Cristo e tra le sue membra. La missione ai lontani, a chi si è allontanato dalla Chiesa: questo è lo scopo ultimo della comunità pastorale. Unire le forze per essere Chiesa missionaria, che pensa non solo a chi è già nel recinto, ma soprattutto a chi non c’è, che è la maggioranza, a chi, pur battezzano, ha smarrito la strada di casa.

Chiudo: Signore Gesù, dal Padre invochiamo il dono dello Spirito Santo, per poter combattere la battaglia contro il divisore e per farci strumento di unità nella famiglia e nella nostra Chiesa locale. Amen

Domenica 29 APRILE 2018 V di Pasqua B

“Padre santo, custodisci nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi”. Carissimi, Gesù prega il Padre nel momento in cui è giunta la sua ora, e lo prega per noi che siamo suoi discepoli, sua Chiesa e chiede che possiamo conoscere la vita intima di Dio, quella da cui scaturisce la vita eterna che ci è data nella Pasqua. Gesù invoca dal Padre che, quell’esperienza di unità e di Amore che il Figlio vive col Padre e lo Spirito, anche noi sua Chiesa possiamo gustarla. In un altro passo Gesù aggiunge: “Perché il mondo creda”. Gesù     quando chiede al Padre di glorificarlo con “quella gloria che io avevo preso di te prima che il mondo fosse”, ci porta nelle profondità del cuore di Dio che è Amore puro, incondizionato, unità perfetta, pur nella diversità delle persone divine. Questa gloria di Cristo si manifesterà nella sua Pasqua. La riviviamo in ogni Santa Messa, quando si rinnova davanti ai nostri occhi il sacrificio della croce e la gloria della risurrezione. Dunque l’Amore di Dio, che si presenta a noi, perché possiamo sperimentare la gioia dell’unità, pur non cancellando l’originalità della diversità di ciascuno. Noi siamo alla vigilia della costituzione della comunità pastorale, che è questo atto ufficiale dell’Arcivescovo che unisce le tre parrocchie cittadine in un’unica comunità, che come sapete, avrà come nome: “Dio Padre del perdono”. Questo è un grande segno, che concretizza le parole di Gesù e impegna tutti a superare l’appartenenza alla parrocchia, come qualcosa che differenzia e non una realtà da donare agli altri. Come in famiglia l’unità è il bene più prezioso, che nasce dall’amore reciproco e chi è più debole è aiutato da chi è più forte, così nella Chiesa, ci si unisce per aiutarsi, per ottimizzare le forze, ricordando che lo scopo della Chiesa è la missione. Pertanto questa comunità pastorale è chiamata a vivere una unità non per sé, ma per gli altri…appunto per la missione. Il cammino è già iniziato nel 2015 e 2016, con la nomina di un unico parroco, ora questo atto ufficiale, ci impegna a fare un progetto insieme, immaginando la comunità melegnanese nel prossimo decennio.

2.”Voi opponete resistenza allo Spirito Santo” Abbiamo ascoltato il lungo discorso di Stefano, nella prima lettura degli Atti degli Apostoli. Con franchezza, questo santo diacono, il protodiacono e protomartire, parla ai suoi fratelli e padri del popolo eletto, e vede Gesù come il nuovo Mosè. Stefano dice chiaramente che il popolo che ha condannato a morte Gesù, si è comportato come gli antenati che hanno costruito il vitello d’oro e si sono allontanati dal culto del Dio unico, per ritornare agli idoli. Pensando al cammino della nostra comunità, anche noi corriamo il rischio di rimpiangere modelli di Chiesa e di parrocchia passati, autosussistenti e autoreferenziali. Anche noi possiamo cogliere il rischio di non accettare questa sfida, per paura di perdere un glorioso presente e un glorioso passato. Ma questa non è la logica dello Spirito Santo, che spinge verso nuove frontiere… Ci sono e ci saranno piccoli cambiamenti, soprattutto nei cammini unitari dei vari settori della pastorale: penso al prossimo oratorio estivo, ad altri aspetti importanti come la comunicazione all’interno delle tre parrocchie, dove nessuno a volte conosce quello che fa l’altro……La Chiesa certo si sta assottigliando dal punto di vista numerico, ma lo Spirito sta chiedendo alla Chiesa di tornare allo spirito apostolico, alla grazia degli inizi. Solo pochi uomini e donne credenti in Cristo, pieni di Spirito Santo, hanno diffuso il Vangelo in tutto il mondo.

3.Vorrei terminare ricordando la bella esperienza ecclesiale di unità, che abbiamo vissuto domenica scorsa a RHO. Anzitutto noi sacerdoti insieme ci siamo preparati: abbiamo pregato e ci siamo preparati insieme da molto tempo, poi. Vi invito a interpellare tutti coloro che hanno partecipato a questo momento, e a interpellarci per conoscere l’esperienza. Quello che mi ha colpito è stato l’inizio e la fine. All’inizio non ci si conosceva e anche il pranzo è stato consumato a gruppo di parrocchie (solo i giovani erano misti). Alla fine, celebrando la Santa Messa, ci si è trovati uniti insieme, attorno alla radice del nostro essere Chiesa: il Signore Gesù morto e risorto. La frase della prima lettera di San Paolo ai Corinti capitolo 12, che ha creato questa unità è stata quella del versetto 13 con cui concludo: noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito”.

Domenica 22 APRILE 2018 IV di Pasqua

“Le mie pecore ascoltano la mia voce”. Carissimi, Gesù si trova sotto il portico di Salomone, è inverno ed è la festa della dedicazione del Tempio. Gesù dialoga coi Giudei che lo mettono alla prova, e gli domandano se è lui o no il Messia. Gesù risponde loro: “Ve l’ho detto e non credete” e di seguito si esprime con questo esempio del pastore e le sue pecore. Chi crede, ascolta la voce del pastore. Riflettere in questo tempo di Pasqua sulla necessità dell’ASCOLTO del Signore Gesù, è punto essenziale per verificare se la fede nella sua Pasqua progredisce, innerva la vita. Oggi la Chiesa universale celebra la 55ma giornata di preghiera per le vocazioni di speciale consacrazione. Proprio questo punto dell’Ascoltare la voce del pastore, è uno dei contenuti del massaggio che papa Francesco indirizza a tutta la Chiesa. E’ necessario rendersi conto, come scrive il papa che noi: “non siamo immersi nel caso, né trascinati da una serie di eventi disordinati, ma, al contrario, la nostra vita e la nostra presenza nel mondo sono frutto di una vocazione divina!”

Per affermare questo si parte dall’ASCOLTO, cioè dal salvaguardare ogni giorno un momento in cui ascoltare la voce di Colui che ci chiama, perché ci ama. Quest’attitudine oggi diventa sempre più difficile, immersi come siamo in una società rumorosa, nella frenesia dell’abbondanza di stimoli e di informazioni che affollano le nostre giornate. Al chiasso esteriore, che talvolta domina le nostre città e i nostri quartieri, corrisponde spesso una dispersione e confusione interiore, che non ci permette di fermarci, di assaporare il gusto della contemplazione, di riflettere con serenità sugli eventi della nostra vita e di operare, fiduciosi nel premuroso disegno di Dio per noi, di operare un fecondo discernimento.”.Il papa scrive che questo ASCOLTO DEL SIGNORE (leggere la PAROLA ogni giorno) ci permette di “prestare attenzione anche ai dettagli della nostra quotidianità, imparare a leggere gli eventi con gli occhi della fede, e mantenersi aperti alle sorprese dello Spirito.”. Voi comprendete che se un giovane si abitua a questo ascolto, se lo apprende in famiglia, sarà normale domandarsi quale vocazione il Signore prepara per il suo futuro.

2.E’ certo che le vocazioni consacrate e in generale percepire la vita come vocazione, nasce da un serio cammino spirituale, dove l’ASCOLTO del Signore è metodo quotidiano di preghiera. Ma questo non basta, è necessaria una comunità di riferimento, anche per mantenersi perseveranti dopo aver detto il proprio si. Questo vale per i consacrati ma anche per gli sposati. La prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli è eloquente. Paolo si trova a Tròade ed è un sabato sera, inizia con quella comunità la veglia eucaristica nel giorno del Signore e l’apostolo si mette a conversare spiegando la Parola. Abbiamo qui una testimonianza della celebrazione eucaristica in una delle prime comunità cristiane. E’ singolare e simbolico l’episodio di questo giovane Eutico (che vuol dire “fortunato”) che si addormenta seduto sul davanzale della finestra e cade dal terzo piano e “venne raccolto morto”…(questo è anche l’effetto delle prediche lunghe!). Paolo come Gesù gli ridona la vita, lo risuscita nel nome del RISORTO e lo fa con un abbraccio. Questo è molto bello!Poi risale nella casa e “spezza il pane”, porta a compimento la celebrazione eucaristica. Questa piccola comunità che assiste a questo episodio accaduto nella Santa Messa, dice la condizione per poter recuperare nei giovani la vocazione. Il sonno è quanto mai simbolico, è il sonno, l’assopimento, l’inverno vocazionale in cui siamo immersi…Ma con l’apostolo c’è una comunità che risveglia, che risuscita. Il tocco di Paolo, il suo abbraccio, è la custodia che la comunità ha dei giovani . Nello stesso tempo la comunità stessa è luogo dove un giovane può aprirsi, può imparare a servire, può cominciare a dare la vita prendendosi carico di chi ha più bisogno (penso la grazia dell’oratorio). In un tempo di crisi della famiglia, la comunità per molti giovani, è un ancora di aiuto e di salvezza. Termino con don Tonino Bello, ieri il papa è stato in visita nelle sue terre in Puglia: Alessano, Molfetta. Scriveva così questo santo vescovo che aveva il dono della poesia:

“Una Chiesa che non sogna non è Chiesa, è solo apparato. Non può recare lieti annunci chi non viene dal futuro. Solo chi sogna può evangelizzare”.

Domenica 15 APRILE 2018 III  di Pasqua B

 

“Vado a prepararvi un posto”. Carissimi, le parole di Gesù in questa terza domenica di Pasqua, sono collocate nel cosiddetto “discorso di ADDIO”. Gesù è preoccupato che i suoi discepoli si preparino alla sua passione e sappiano guardare oltre. Gesù parla chiaro di un “dopo” , di un posto presso il Padre preparato per ciascuno di noi. Qui la Pasqua entra nella dimensione più vera, perché pone davanti a noi la gloria di Gesù, il suo ingresso nel paradiso e ci fa pronunciare con più consapevolezza la fede nella “vita del mondo che verrà”. Se noi cancelliamo dalla nostra fede la risurrezione di Cristo, crolla tutto il cristianesimo. Se tutto finisce qui, allora “mangiamo e beviamo perché domani moriremo”, come cita Paolo in uno dei suoi discorsi. La nostra meta è la casa del Padre e pertanto tutta l’esistenza è orientata lì. Se non fosse così, non avremmo la speranza nella sofferenza, nella morte, ma anche nelle ingiustizie e nel male subito.

La domanda di Tommaso così diretta, ci aiuta a capire che la fede nel posto che ci è preparato, non è una attesa passiva di quel giorno, ma un cammino: “Non sappiamo dove vai come possiamo conoscere la via?”. Così obietta Tommaso all’affermazione di Gesù. La risposta così importante di Gesù è il nostro programma verso il cielo: “IO SONO LA VIA LA VERITA’ E LA VITA..Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Via verità e vita. C’è una solo via per il cielo e per vivere sulla terra e questa è Gesù. Una sola, ricordiamolo. E Gesù è la via perché è la VERITA’, non ci sono tante verità ma Lui solo…Le parole di Cristo per un credente non sono un opinione tra le tante, ma sono la VERITA’. Qui non si tratta di cadere nel fondamentalismo cattolico, ma di ricordare che la strada per andare in quel posto che ci è preparata, è quella di sforzarci ogni giorno di imitare Cristo in tutto. Lui è per questo anche la VITA cioè la realizzazione della nostra persona, la strada della gioia vera.

2.Il percorso verso il cielo che intraprendiamo, ci fa seguire le orme di Gesù, lo vediamo particolarmente nella prima lettura di Atti degli Apostoli, con la vicenda di Paolo e Sila, imprigionati a causa di Gesù e nell’epistola la rilettura della sofferenza in unione a Gesù. In ambedue i casi, ci accorgiamo che questo scegliere Gesù come via verità e vita, implica un cambio di prospettiva nella relazione con gli altri. Questo aspetto non è secondario, perché abbiamo imparato fin da piccoli, che non si va in paradiso da soli e al termine della vita, come scrive San Giovanni della Croce, saremo giudicati sull’Amore. Infatti il cambio di relazione con gli altri è il segno della presenza del Risorto, in chi crede. Paolo e Sila pregano in carcere e arrivano a convertire e battezzare il carceriere e la sua famiglia, così ancora, l’esempio di Paolo spinge le comunità da lui fondate a non perdersi d’animo, se le sofferenze patire per il vangelo si moltiplicano.

3.Vorrei terminare con delle domande: credo che mi è preparato un posto nel cielo? Il credere alla risurrezione di Cristo, come trasforma le mie relazioni con gli altri? Gesù è veramente per me la mia unica via verità e vita?

Termino con un testo “Mio Dio , donami il continuo sentore della tua presenza, della tua presenza in me e attorno a me… e, al tempo stesso, quell’amore carico di timore che si prova in presenza di tutto ciò che si ama appassionatamente, e che fa sì che si rimanga davanti alla persona amata, senza poter staccar gli occhi da lei, con il desiderio grande e la volontà di fare tutto quel che la compiaccia, tutto quel che è buono per lei; e con il grande timore di fare, dire o pensare qualcosa che le dispiaccia o la ferisca… In te, da te e per te, Amen. (Charles de Foucauld)

DOMENICA II di PASQUA   B                 8 Aprile 2018

 

1.“Non essere incredulo ma credente?”. Nella gioia della Pasqua, ci accostiamo a Gesù Risorto, glorioso, ma piagato. Lui è il crocifisso-risorto e così si presenta ai suoi e anche all’incredulo Tommaso, perché possiamo riconoscere che la strada della Croce non è stata un incidente di percorso, ma la strenua scelta di un Dio che non si è sottratto ad amare fino a dare la vita. C’è una gloria nelle piaghe, c’è già una risurrezione nella morte e questo lo sperimentiamo anche noi, coi nostri cari e con noi stessi, quando soffriamo e non smettiamo di cercare il Signore, di tendergli e afferrare la sua mano gloriosa. “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani”. Carissimi, l’invito di Gesù è rivolto a noi, con la consapevolezza che quelle piaghe sono le nostre, quelle del corpo ma ancor più quelle dello spirito piagato. Tommaso è detto “Didimo” che significa GEMELLO, pertanto ha un suo alter-ego che siamo noi, ciascuno di noi, gemelli dell’incredulo Tommaso. Qui l’evangelista Giovanni gioca sempre con la sua fine ironia. In tutti noi c’è il Tommaso incredulo, che non si fida degli altri che testimoniano di aver visto Gesù risorto. Anche in noi manca il coraggio di cercare Gesù nelle piaghe della nostra vita, perché non crediamo che lì possa starci il Signore Gesù…Anche a noi Gesù oggi ripete: “Non essere incredulo ma credente” La svolta di Tommaso è sorprendente: “MIO SIGNORE E MIO DIO”… Tommaso vede un uomo e riconosce nella fede Dio… Una preghiera che la tradizione della Chiesa ci fa pronunciare nel momento più forte della S.Messa: la consacrazione. Alla vista dell’ostia e del calice consacrati, a noi è chiesto di pronunciare le medesime parole di Tommaso, a noi è domandato di fare il suo stesso salto di fede.

2.“Beati quello che non hanno visto e hanno creduto”. Ci è chiesto di vivere questa beatitudine, ci è chiesto di essere portatori di una Presenza eccezionale e trasformante. Comprendiamo le parole dell’apostolo Paolo ascoltate nell’epistola: “con Lui siete stati sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio”. Siamo gente risorta, siamo persone che sono accompagnate da un Vivente, siamo persone veramente portatrici di una Presenza che trasforma che cambia….una bomba positiva di bene. Negli Atti degli Apostoli che accompagnano il tempo di Pasqua, noi vediamo cosa accade nella prima comunità cristiana, osserviamo come la presenza dinamica del Risorto trasforma, col dono dello Spirito, la personalità degli Apostoli. In particolare, nella lettura di oggi, osserviamo l’Apostolo Pietro che con grande franchezza, annuncia il Risorto come l’autore di una guarigione di un uomo infermo. Non ha paura di rischiare davanti ai capi del popolo e agli anziani ed è un Pietro diverso da quello che ha rinnegato per tre volte Gesù durante la sua passione. Mi pare che questa trasformazione dica la forza della Pasqua: ognuno di noi sarebbe veramente INCREDULO se non credesse a tale potenza, se non accettasse di farsi guidare dalla Grazia del Risorto. Nessuno di noi sia così SUPERBO da pensare che credere sia questione di volontà propria e che il Signore stia a guardare. Verrebbe da dire che come cristiani nel mondo dobbiamo sfruttare di più e immettere nella realtà, questa ondata di positività scaturita dalla Pasqua di Gesù.

Andiamo ancora, concludendo, a Tommaso e pensiamo alla grazia dei sacramenti. Tommaso, ci dice la tradizione della Chiesa, termina la sua vita come evangelizzatore dell’India e della Persia, i suoi resti sono nella cattedrale di Ortona. Anche Tommaso muore martire della fede: l’incontro col Risorto guiderà tutti i suoi passi. E noi? Gesù Risorto ha lavato le ferite dei nostri peccati, penso alla confessione pasquale . Lui poi, è potentemente presente nel sacramento Eucaristico. Questo oggi, nella fede, è l’incontro con Lui..Qui noi riascoltiamo l’attualità delle sue parole e ci lanciamo verso una nuova missione.

S.PASQUA    1 Aprile 2018

 

1.“Come può essere che l’Amore sia morto ?”. Forse è questa la domanda che Maria Maddalena si pone andando alla tomba di Cristo. L’Apostola della risurrezione è stata guarita, salvata da Cristo. Da lei, dicono i vangeli, Gesù aveva tolto sette demoni. Era una donna persa, ma l’incontro con Gesù ha dato una svolta alla sua vita. In lei l’amore per Gesù non è mai morto. Ed è questa conoscenza che nasce dall’amore che guida il nostro entrare nella Pasqua di Gesù. La fede nella risurrezione di Cristo e ancor più la fede certa che Lui è vivo ed è con noi, non nasce da un ragionamento, da una considerazione che ci fa semplicemente dire che Egli è vivo nei nostri cuori. No! Non è questa la risurrezione! La Maddalena, dopo che è stata chiamata per nome, ha ripreso quegli occhi della fede che la morte di Gesù aveva fatto smarrire. Vi siete accorti che non riconosce Gesù prima di questa chiamata.

Noi ci identifichiamo in Maria Maddalena, perché anche noi figli del nostro tempo, rischiamo di essere persone che ogni giorno seppelliscono la speranza.

2.Ma fermiamoci un momento sulla Maddalena e il suo pianto. A volte nella nostra vita gli occhiali per vedere Gesù sono le lacrime che nascono dall’amore, dal vuoto per la perdita di una persona cara, da una delusione e da tutto ciò che nella vita diventa tristezza o realtà che ci manca. In questo momento, se nel nostro cuore è rimasto un po’ d’amore e se abbiamo il coraggio di non chiuderci in noi stessi, allora quelle lacrime aprono il cuore al risorto . Egli è proprio nel giardino nei nostri sepolcri ad aspettarci e a chiamarci per nome, per consolarci e per risuscitarci dentro. La Maddalena, con questa sua situazione anche moralmente deprecabile, ha intuito che Gesù di Nazareth poteva guarire non tanto il suo corpo, ma le piaghe della sua anima, poteva RICREARLA. Ed è questo il punto della Pasqua: la possibilità quotidiana, con gli occhi della fede, di incontrare il Risorto nella sua Chiesa, con la comunità di coloro che già credono in Lui e lo amano. Questo incontro è realmente quotidiano ed è personale, nella grazia di poter ancora udire la sua parola e soprattutto vederlo con gli occhi della fede, nei sacramenti pasquali, soprattutto l’Eucarestia e la Confessione. Chiediamo oggi a Gesù risorto gli occhi pieni di amore della Maddalena, per poterlo vedere.

  1. La Maddalena è la prima apostola della risurrezione presso gli undici. La sua gioia è contagiosa, va dai suoi fratelli e li conforta, li anima, annuncia la speranza della Pasqua. Anche noi, concludendo, abbiamo dei fratelli, delle sorelle di sangue e di vita, a cui portare questo lieto annuncio. Siamo invitati in questa celebrazione, soprattutto ricevendo Gesù risorto nella Santa Comunione, a preparare la strada e a pregare per una o più persone che in questo momento hanno bisogno di questa speranza di risurrezione. Facciamolo e in questo tempo dei 50 giorni di pasqua cerchiamo, come la Maddalena, di recuperare la speranza in Gesù, per poi donarla a chi ne ha più bisogno. Concludo con una poesia di Pascoli

Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l’uomo….

Domenica delle Palme 25 Marzo 2018

  1. Messa con processione

“ECCO O FIGLIA DI SION IL TUO RE” Così abbiamo cantato nel salmo, e in questo modo ci siamo introdotti nella SETTIMANA SANTA che viene chiamata la SETTIMANA AUTENTICA, quasi a voler dire che è la «vera» settimana dell’anno liturgico, la settimana più importante fra tutte le altre, proprio perché in essa il cristiano è chiamato a ripercorrere il mistero pasquale di Cristo che per la nostra salvezza soffre, muore e risorge. «La domenica precedente alla Pasqua a Gerusalemme i fedeli si radunavano sul Monte degli Ulivi, dove cantavano inni, antifone e veniva letta la Sacra Scrittura. Poi la processione si metteva in cammino verso la città. Gesù sale a Gerusalemme inoltrandosi nella tappa finale del suo pellegrinaggio sulla terra. Anche noi ci inoltriamo con Lui, Lo vogliamo accompagnare, come abbiamo fatto con la processione, nei misteri della Settimana Santa»….«Celebrare i giorni della passione, morte e risurrezione di Gesù significa riconoscere che il criterio della nostra vita è quest’Uomo, il Crocifisso Risorto, che abita sacramentalmente con noi e ci viene quotidianamente incontro con la sua Parola. La Chiesa madre e maestra ci ripropone ogni anno, attraverso la liturgia, soprattutto in questa Settimana Autentica, i santi misteri della nostra fede, perché sa bene che per comprenderli abbiamo bisogno di essere accompagnati pazientemente ad assumerli e a verificarli nella nostra vita personale e comunitaria». (Scola)

La Settimana Santa, o Autentica, è quindi al cuore della vita dei cristiani, appunto perché in essa si fa memoria dei giorni della morte e risurrezione del Signore. L’inizio fissato nella mattina della Domenica delle Palme, ricorda l’ingresso del Signore a Gerusalemme, salutato dal festoso sventolio dei rami di palme e ulivo, rievocato anche fisicamente nella processione che abbiamo insieme vissuto.

Le celebrazioni liturgiche della settimana santa non sono la semplice ripresentazione cronachistica di quanto è avvenuto nella prima settimana santa di duemila anni fa. E non sono neppure il ricordo psicologico e nostalgico di fatti irrimediabilmente congelati nel passato, senza che abbiano attinenza alcuna con il nostro presente.

Attraverso la celebrazione liturgica, infatti, gli eventi commemorati (la passione, morte e risurrezione del Signore, soprattutto nel triduo sacro del giovedì, venerdì sabato santo) si rendono presenti nell’oggi e la loro efficacia salvifica si fa per noi attuale.

Il dono dei sacramenti ci avvicina alla Pasqua del Signore, soprattutto la S.Confessione che precede la Pasqua ci aiuti tutti a confrontarci con vangelo di Gesù, perché la nostra vita prenda un nuovo slancio.

Termino con le parole del prefazio di questa S.Messa che sintetizzano il senso di questa celebrazione e della settimana santa: “Tu o Padre hai mandato in questo mondo Gesù, tuo Figlio, a salvarci perché, abbassandosi fino a noi e condividendo il dolore umano, risollevasse fino a te la nostra vita”

Domenica 18 Marzo 2018 V di Quaresima

 

1.”Lazzaro vieni fuori!”. Carissimi, il grido di Gesù che risuscita a nuova vita l’amico Lazzaro, è la voce di Dio che è l’autore della vita ed è il solo che ha il potere di donarla, prenderla e ridonala di nuovo. Il segno della rianimazione di questo cadavere, vuole prepararci alla Pasqua del Signore, alla sua morte e risurrezione. “Io sono la risurrezione e la vita credi tu questo?”. La domanda che Gesù rivolge a Marta e Maria, è rivolta a noi nell’ora del dolore e della prova, nell’ora della morte dei nostri cari. In questa domenica rinsaldiamo la fede profonda sulla “vita del mondo che verrà” e ribadiamo il contenuto di questa fede cattolica. Nella morte, l’anima immortale raggiunge subito il suo destino eterno. In questo senso la frase di Teresina di Lisieux “Non muoio entro nella vita” dice tutto il significato profondo e cristiano dell’immortalità dell’anima. Il corpo è posto in un luogo santo, in terra consacrata, non tenuto in casa come ceneri e neppure sparso, in attesa della risurrezione finale.

“Lazzaro si è addormentato ma io vado a svegliarlo”. Gesù chiama sonno la morte e attribuisce a sé il potere di risuscitare, di risvegliare. Alla luce di questa fede così chiara, domandiamoci se crediamo fermamente nella vita eterna e insieme traiamone le conseguenze, se stiamo impostando la vita come se fossimo eterni sulla terra, oppure abbiamo preso realmente coscienza di essere di passaggio.

2“Questa malattia non porterà alla morte ma per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il figlio di Dio venga glorificato”. Questa affermazione di Gesù contiene il “come” un cristiano, un discepolo di Gesù, vive la malattia e la morte. Anzitutto la certezza della risurrezione è la base, è il fondamento di tutto, poiché Cristo è risorto (è la Pasqua a cui ci stiamo preparando). La malattia va curata con tutti i mezzi, ma c’è nella malattia il senso della precarietà della vita solo terrena. Pertanto una malattia e una morte vissute con totale fede e abbandono nel Signore, possono portare a dare gloria al Signore. Ho visto in tante persone credenti, che hanno vissuto nel Signore la malattia e la morte, i tratti di Gesù sul loro volto. La serenità e la pace nel cuore di chi è malato e muore, sono certo dei doni del Signore che danno gloria a Lui. Il dare coraggio a chi viene a trovarti e ti chiede “Come stai” sono certo dei segni che danno gloria al Signore. Pensiamoci… La Pasqua che si avvicina, ci conceda di guardare con fede alle vicende tristi delle nostre famiglie, nel vedere i doni nascosti della sua presenza.

3.Vorrei terminare accennando all’umanità di Gesù accanto al suo amico Lazzaro, morto da quattro giorni. Gesù piange, si commuove al punto da suscitare il commento: “vedi come lo amava”. La commozione di Gesù dice la sua piena umanità e la vicinanza di Dio ai nostri drammi…Davanti a cronache sempre più disumane, che ci martellano il cervello, soprattutto cronache familiari, reagiamo guardando all’umanità di Gesù. Mi riferisco soprattutto al fatto che la morte dei nostri cari può essere risurrezione per certi rapporti che si sono logorati, magari anche tra fratelli di sangue. Il piangere insieme con chi piange, senza tante parole, è fondamentale per condividere il dolore. E’ l’umanità che ci salva: una parola buona, un “coraggio” detto al momento giusto, il silenzio tenendo la mano, un abbraccio, sono piccole cose ma dicono che siamo ancora umani. Nella fede noi crediamo alla potenza della preghiera. Chi è nel lutto ha bisogno della vicinanza di chi ha fede, perché lo sostenga spiritualmente. Invochiamo queste grazie a pochi giorni dalla Pasqua.

Domenica 11 Marzo 2018 IV di Quaresima

1.“Ero cieco ed ora ci vedo”. Carissimi, l’affermazione del cieco nato è esattamente ciò che accade a ciascuno di noi quando Gesù illumina della sua presenza i nostri occhi, la mente, il cuore: prima vedevamo solo con gli occhi della carne, ora anche con quelli dello Spirito. Questa ultima visione è una vera guarigione, perché ci permette di scrutare la profondità di noi stessi e degli altri e in particolare degli avvenimenti.

“Né lui ha peccato né i suoi genitori ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. Gesù rompe il legame tra malattia e colpa…”Cos’ho fatto di male io per meritare questa malattia…”: ragionamenti così ne facciamo anche noi, pertanto le opere di Dio si possono manifestare sempre per chi ha FEDE. Siamo ciechi dalla nascita e questo allude al peccato originale, commenta Sant’Agostino, poiché l’inclinazione al peccato è insita nell’appartenenza al genere umano. Per questo motivo abbiamo bisogno di andare a lavarci alla piscina di Siloe, che significa Inviato. Questo miracolo avviene solo dopo essersi lavati a quella piscina che è Gesù stesso, dopo essersi immersi in Lui, gli occhi si aprono. E’ questa una chiara allusione al Battesimo.

2.Vediamo l’itinerario del cieco nato, che come ricorda ancora Agostino, rappresenta tutto il genere umano prima nel peccato di origine e poi con l’illuminazione della grazia battesimale. Questo cieco che è ciascuno di noi, disegna l’itinerario della fede, perché prima afferma che Gesù è un uomo ed è vero: Gesù è vero uomo, un grande uomo, un uomo buono, ammirabile. Poi dice che è un profeta e il profeta è colui che parla al posto di Dio, colui che porta il messaggio di Dio, e Gesù è un profeta, il più grande profeta. Ma davanti a Gesù siamo al culmine: il cieco è stato cacciato dalla sinagoga e Gesù lo incontro e gli domanda “Tu credi nel Figlio dell’uomo?”. Cosa significa? L’espressione “Figlio dell’uomo” è quella preferita da Gesù per designare sé stesso e rispecchia sicuramente un dato storico. Termine utilizzato in alcuni testi biblici per designare l’essere umano nella sua condizione creaturale di fronte a Dio (cfr. Sal 8,5; 80,18; Ez 2,1; ecc.), perciò ha il senso di “uno della stirpe umana”, e come tale esposto alla sofferenza e alla morte. Tuttavia l’espressione si trova anche in Daniele 7,13, in un contesto in cui Dio conferisce a questo personaggio (che viene sulle nubi del cielo) un potere nel giudizio finale: con questa autodesignazione Gesù esprime la sua profonda solidarietà con la condizione umana, lasciando intravedere qualcosa della sua funzione di inviato di Dio; alla luce della Pasqua i primi cristiani rileggeranno quel titolo pensando alla sua venuta nella gloria, quando egli assumerà anche una funzione giudiziale escatologica. Questo è il significato il termie “Figlio dell’uomo” alla lettera. Poi, concretamente, il gesto del cieco guarito che non è riportato dal vangelo che salta mezzo versetto 38 ”gli si prostrò innanzi” e le sue parole di totale fede: “CREO SIGNORE”, ci comunicano il centro del percorso di fede: siamo giunti ad affermare la divinità di Cristo, l’affermazione che Gesù di Nazareth è Dio. Affermare questo è essere giunti alla fede piena, alla piena illuminazione, perché se Lui Gesù è Dio allora la sua vita è il modello dell’umano per noi, la sua divinità si mostra nei gesti della sua umanità. Su questo punto però non tutti sono disposti a seguirlo totalmente.

3.GUARIRE GLI OCCHI. Dagli occhi passa tutto e la concupiscenza, così la chiama l’apostolo Paolo che si esprime nella seconda Tessalonicesi in modo molto chiaro, è quella malattia degli occhi che sporca l’opera di Dio, alla fine è una cecità. La sessualità, la corporeità sganciati da Dio e dal suo significato spirituale, alla fine rischiano di far veder solo la fisicità dei corpi e basta. Questa tendenza rischia di portare alla dittatura dell’emotività che significa seguire i desideri che una visione solo carnale ispira nella nostra mente. Gli occhi guariti invece, sanno vedere quell’invisibile che solo gli occhi della fede vedono cioè le anime , lo spirito delle persone.

Concludo con le parole di un nostro sacerdote (don Angelo Casati)

“A chi assomigliamo come Chiesa? Come Chiesa, ma anche come singoli cristiani? Uno ti incontra e dice: Ma che luce che ha dentro, e come fa bene, com’è bello stare e camminare con lui. Uno ti incontra e dice: Parla come un libro stampato! Questi sa tutto. Che presunzione, che noia! A chi assomigliamo? Il Signore ci renda luminosi, luminosi dentro e sul volto, come Mosè sul monte”

 

Domenica III di QUARESIMA   B         4 Marzo 2018

1.”Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” Carissimi, la fede: che grande dono il Signore ci ha fatto e tutto è iniziato col Santo Battesimo, sacramento che dà inizio alla vita di fede. Ringraziamo il Signore per chi ci è stato maestro di fede, anzitutto i genitori, padrini, madrine e tanti, tanti uomini e donne incontrati sul nostro cammino. La Pasqua a cui ci stiamo avvicinando, è il cuore, il centro della fede, ed è Gesù che oggi ci stimola con questo dialogo serrato coi Giudei che avevano creduto in lui.

La fede: come la definisce Gesù? “Se rimanete fedeli nella mia parola”. E’ interessante come nella nostra basilica, all’altare del sacro Cuore, sia rappresentata la FEDE: come una donna che ha una colomba sulla testa, un libro in una mano e un calice nell’altra. La colomba è lo Spirito Santo e dice certo che la fede è un dono che Dio fa a tutti. Ma il libro è la Parola di Dio, la sorgente della fede. Il calice sono i sacramenti, doni inestimabili di Dio per nutrire la fede. In particolare, conoscere, amare la Parola che è la fonte della fede. La fede ti fa vedere oltre, ti fa assaporare l’invisibile. Uso questo verbo del vedere perché proprio questa settimana leggendo un libro difficile “Apologia pro vita sua” del Cardinale Newman, ho trovato questa definizione della Parola di Dio: “L’occhio della Parola di Dio”. Come gli occhi di un quadro che per illusione ottica ti seguono anche se tu ti sposti, così la Parola di Dio sono i suoi occhi, occhi di amico che non hanno bisogno di imporre ma sono gli occhi dell’amore…Il vangelo ci tratta da figli non da schiavi…Già Platone scriveva. “La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce”. Alla luce della Parola di Dio che è Gesù stesso morto e risorto, con la luce della Parola, si ha una corretta visione della vita. Commenta Sant’Agostino questo brano evangelico: “il mondo in cui sei entrato è solo un viaggio: sei venuto per uscirne, non per restarvi. Compi il tuo viaggio, questa vita è soltanto una locanda. Serviti del denaro come il viaggiatore si serve, alla locanda, del tavolo, dei bicchieri, dei piatti, del letto, ma per andarsene subito, dopo, non per rimanervi.”

Comprendiamo allora perché Gesù nel dialogo sulla fede, usa le parole VERITA’ e LIBERTA’. Abramo: modello di fede, incarna quello che Gesù dice. La fede ti pone davanti alla verità della vita, delle cose, di tutto ciò che vivi e ti fa chiedere: “Ma alla luce della Parola di Dio che è Cristo stesso vivo: cosa è essenziale?”. Quello che scrive Sant’Agostino è emblematico: la visione della vita alla luce della fede, cambia radicalmente modo di intenderla: siamo come in una locanda, in una trasferta che prima o poi finisce…allora cosa fare? Impossessarci di ciò che non è nostro? Ma a cosa serve? Allora che fare? Fidarsi, imitare Colui che non ci tradisce. LA LIBERTA’. Già Sant’Ambrogio scriveva: “Ubi fides ibi libertas”. Dove c’è la fede lì c’è la libertà. Libertà da se stessi anzitutto. Il verbo che Dio usa per Abramo “Vattene dalla tua casa….” Significa “Va’ verso te stesso! Viaggia dentro di te, sentiti libero!”. La libertà che ci dà la fede: quante cose grandi si possono fare con la fede in Dio, quanto bene, quanta capacità di superare se stessi,l’egoismo più o meno nascosto, questa terribile schiavitù che, se non curata con la fede, diventa tragedia: ciò che settimanalmente vediamo nelle cronache delle stragi familiari.”LA VERITA’ VI FARA’ LIBERI”. Ecco, carissimi, la Pasqua si avvicina, stiamo compiendo il cammino della quaresima, che con la Chiesa ci sta educando anche attraverso delle privazioni compiute per amore del Signore, a camminare verso questa libertà. Varchiamo, uscendo, la soglia della chiesa e inondiamo di fede il nostro quotidiano. Ce lo spiega bene don Tonino Bello con questo scritto con cui concludo.“È ora che ci si metta in cammino. La nostra fede ha molta polvere sulle scarpe, non ha profumi di strada, non ha sapori di piazza, non ha odori di condominio. Ha solo il profumo dell’incenso delle nostre chiese. Siamo cristiani per uscire dalla nostra terra, come Abramo. Siamo cristiani dell’esodo. Esodo, da dove? Dal nascondiglio di una fede rassicurante, intimistica, senza sussulti

Domenica II di QUARESIMA   B         25 Febbraio 2018

 

1.”Chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno” Carissimi, nel cammino verso la Pasqua oggi noi desideriamo prendere coscienza di quell’acqua, che il giorno del nostro Battesimo ci ha fatto prendere contatto con Gesù Risorto, ci ha data la sua vita, ci ha fatto rinascere come cristiani. La Samaritana, come commenta Sant’Agostino “è figura della Chiesa”, è ciascuno di noi nel combattimento perenne tra il materiale e lo spirituale, nel tentativo di trovare una sintesi dall’incontro con Gesù. Noi siamo battezzati, cristiani, Cristo ci ha già donato la sua acqua che zampilla per la vita eterna, però noi siamo combattuti, vivendo nel mondo.

In altre parole in noi si smarrisce la SETE DI DIO. Nell’incontro con la Samaritana Gesù riaccende questa sete, questo desiderio profondo e fondamentale: LA SETE DI DIO. Anzitutto si tratta di ACCOGERSI DI ESSERE ASSETATI. Noi abbiamo molte seti e le colmiamo con tate cose che ci stordiscono, ci impediscono di far emergere la sete fondamentale che è quella di Dio. Gesù ci porta lì, al pozzo a mezzogiorno, al pozzo delle nostre delusioni, delle nostre infedeltà, della nostra indifferenza. E’ proprio lì che Lui ci incontra. Notiamo la pazienza e la pedagogia di Gesù nell’accostare questa donna. La sua scelta di andare lì all’ora più calda del giorno, quando vanno a prendere acqua le persone che si vogliono nascondere, perché gli altri li hanno bollati come pubblici peccatori, ci fa pensare alla sua pazienza, al suo amore. Entriamo in questo dialogo stupendo, che a un certo punto smaschera tutte le incoerenze di quella donna, ma la rilancia verso un nuovo cammino, perché le dice che quell’acqua che è Lui stesso, è per lei, è per il nuovo cammino che ha davanti…Dio ci raggiunge anche quando non abbiamo più sete di Lui. E la nostra generazione, questa generazione, questo tempo che stiamo vivendo, è proprio un tempo in cui Dio è all’ultimo posto o al massimo lo si cerca quando si è disperati…”Se tu conoscessi il dono di Dio…” Carissimi, concretizziamo questo vangelo per la nostra vita, e per questo secondo passo verso la Pasqua che insieme possiamo fare. Al pozzo ci andavano gli innamorati per incontrarsi. Al pozzo va Gesù che è lo Sposo delle nostre anime. Domandiamoci: noi abbiamo sete di Dio? Desideriamo colmare questa sete? C’è un personaggio di un famoso romanziere del novecento Jonesco nel libro “La sete e la fame” si tratta di Jean che ci fa capire il dramma della Samaritana e il nostro. Jean: un uomo «senza radici, né casa, incapace di creare legami, perduto nel vuoto del labirinto in cui ascolta solo il rumore solitario dei propri passi». La sua è una figura divorata da un «infinito vuoto», da «un’inquietudine che nulla sembra poter placare». Assomiglia molto a noi in questo squarcio di terzo millennio, dove il massimo che si possa vedere all’orizzonte è la giornata di oggi. Ma qui, nell’incontro con questa donna, Gesù manifesta a noi la sua sete e lo dice al pozzo di Giacobbe: “Dammi da bere”. Ancora Sant’Agostino commenta dicendo che Gesù aveva sete della fede di quella donna. Gesù «è venuto a cercarci», «nel più abissale e notturno della nostra fragilità, sentiamoci compresi e cercati dalla sete di Gesù». La sua sete non è la nostra, non è una sete «d’acqua», è una sete più grande. «È sete di raggiungere le nostre seti, di entrare in contatto con le nostre ferite». Lui ci chiede: «Dammi da bere», noi «gliela daremo? Ci daremo da bere gli uni gli altri?». 

Termino: sappiamo tutti che in Croce Gesù ripeterà ormai stremato dai dolori e dall’arsura la stessa richiesta fatta alla Samaritana e la farà all’umanità intera: “HO SETE”. Un grido che diventa per noi l’impegno: dissetandoci di Lui, siamo chiamati ad essere segno di quell’acqua battesimale che è sorgente per gli altri che stanno attorno a noi. Per questo motivo prepararci alla Pasqua non significa solo risvegliare in noi la sete di Dio, ma domandarci anche in che modo la sua permanente presenza in noi, data dal sacramento, è sorgente perché non solo ci accorgiamo della sete degli altri, ma ci facciamo strumenti per dare una risposta.

Domenica I di QUARESIMA   B         18 Febbraio 2018

 

1.”Non spegnere la carità” Carissimi, rileggo la parola di Dio della prima domenica di quaresima, a partire dal messaggio di papa Francesco per questo tempo liturgico importante. Lo sguardo è rivolto alla Pasqua, al Sacro triduo del giovedì, venerdì e sabato santo, il centro della nostra fede. La liturgia ambrosiana è tutta battesimale, recupera il rito del Battesimo: sacramento pasquale per eccellenza, per mostrare in tutte le sue parti (pensiamo oggi alle tentazioni che nel rito battesimale sono LE PROMESSE: RINUNCIO, CREDO) il dono di Cristo in noi e in ciascuno. Entriamo in questo tempo con gioia e decisione, perché veramente ne abbiamo bisogno.

Le tre tentazioni che il demonio sottopone a Gesù nel deserto, sono anche le nostre e il papa sintetizza la positività della pedagogia della Chiesa, che declina in quaresima la preghiera, il digiuno e l’elemosina, come percorsi che ci fanno ritrovare la capacità di amare come Gesù, quindi di non spegnere la carità. Il papa descrive così le tentazioni odierne e parla della dittatura delle emozioni, per cui una realtà che fa provare una emozione forte, momentanea diventa il tutto. Scrive papa Francesco: Quanti figli di Dio sono suggestionati dalle lusinghe del piacere di pochi istanti, che viene scambiato per felicità! Quanti uomini e donne vivono come incantati dall’illusione del denaro, che li rende in realtà schiavi del profitto o di interessi meschini! Quanti vivono pensando di bastare a sé stessi e cadono preda della solitudine! a quanti giovani è offerto il falso rimedio della droga, di relazioni “usa e getta”, di guadagni facili ma disonesti! Quanti ancora sono irretiti in una vita completamente virtuale, in cui i rapporti sembrano più semplici e veloci per rivelarsi poi drammaticamente privi di senso! Questi truffatori, che offrono cose senza valore, tolgono invece ciò che è più prezioso come la dignità, la libertà e la capacità di amare”.

Ma c’è una tentazione più forte che è quella della freddezza. Il papa cita Dante: “nella sua descrizione dell’inferno, il Poeta immagina il diavolo seduto su un trono di ghiaccio; egli abita nel gelo dell’amore soffocato. Chiediamoci allora: come si raffredda in noi la carità? Quali sono i segnali che ci indicano che in noi l’amore rischia di spegnersi?”

Ecco, raffreddarsi questo è l’esito delle tentazioni del demonio, essere freddi alle sollecitazioni spirituali…Allora accogliamo una nuova Quaresima come una grazia, camminiamo insieme verso la Pasqua per risorgere con Cristo, non stanchiamoci di combattere quella tentazione predominante che ci attanaglia e viviamo questo cammino personale e comunitario come una occasione di libertà vera e di carità fattiva, contro l’indifferenza, il pessimismo, il ghiaccio che ci circonda.

Preghiera, elemosina, digiuno. Ognuno è chiamato con l’aiuto della comunità cristiana. a fare il proprio personale e aggiungerei familiare programma di quaresima. Cerchiamo però di partire dalle piccole cose, anche le più piccole. Il nostro Arcivescovo ad esempio, ha suggerito a noi preti di svegliarci 15 minuti prima la mattina per vivere il “quarto d’ora della sentinella” cioè per pregare un po’ di più. Questa è una piccola cosa…dice la libertà dal tempo per dedicarsi alla preghiera.

Termino con una esortazione di Mons Tonino Bello che il papa andrà a visitare presso la sua tomba ad Alessano in Puglia il prossimo 20 aprile a 25 anni dalla morte:

“Cenere in testa e acqua sui piedi, una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. A percorrerla non bastano i quaranta giorni della quaresima. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala”.

Domenica penultima dopo l’EPIFANIA detta “della divina clemenza” B         4 Febbraio 2018 – 40ma giornata nazionale per la VITA

1.”Sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato”. Carissimi, a casa di Simone il fariseo, Gesù incontra questa donna, una prostituta, una pubblica peccatrice. Colpisce lo sguardo di Gesù, nel senso di come si lascia fare da questa donna e le parole di perdono, di clemenza, sono frutto di uno sguardo penetrante, che sa vedere nei suoi gesti un sincero pentimento e soprattutto una grande fiducia in Lui. Infatti l’episodio termina con una parola importante di Gesù a questa donna: “La tua fede ti ha salvata;va’ in pace!”. E’ una questione di sguardo, infatti siamo diametralmente all’opposto nel ragionamento di Simone il fariseo. Il Vangelo riporta i suoi pensieri di giudizio sulla donna e soprattutto lo scandalo su Gesù, che è un Maestro che va contro la legge del puro e dell’impuro, lasciandosi toccare da una peccatrice. Simone è l’uomo della legge e della distinzione tra puro e impuro, tra giusto e peccatore. Gesù invece è l’uomo della tenerezza e dell’accoglienza, della comunione e soprattutto è venuto non per i sani ma per i peccatori. Lo sguardo, il cuore di Gesù è pieno di compassione e comprensione e capta subito il desiderio e la fede di questa donna, che pone tutta la sua speranza in Lui. Siamo chiamati oggi a contemplare questa azione di Gesù su noi stessi, su ogni uomo e donna, sul mondo intero. Se ci sentiamo raggiunti così da Gesù, amati perché peccatori, allora il nostro sguardo cambia, allora la clemenza, la misericordia vengono ad abitare nel nostro cuore e il nostro sguardo non è più giudicante, ma profondo, capace di vedere nel cuore anche di chi è così distante dal nostro modo di essere. Vorrei citare il grande santo educatore, che abbiamo festeggiato in questa settimana: San Giovanni Bosco. Ha una espressione che concretizza quanto oggi il vangelo ci comunica: “ In ognuno di questi ragazzi, anche il più disgraziato, vì è un punto accessibile al bene. Compito di un educatore è trovare quella corda sensibile e farla vibrare”.

2.La giornata per la vita,, ci impegna a rendere prezioso questo dono e a educare le giovani generazioni al rispetto della vita di tutti anche di coloro che hanno sbagliato gravemente. Educare al rispetto e alla sacralità della vita, significa affermare la dignità dell’embrione umano e il rispetto di chi sta chiudendo con dignità la sua esistenza. Don Bosco ha seguito i giovani più problematici del suo tempo, anche con la forza di chi sapeva indicare e togliere dai pericoli. Oggi senz’altro attentare alla vita di un giovane significa togliergli il futuro e non fare nulla contro il dilagare dell’alcol, della droga e delle altre dipendenze. La Chiesa in questi anni ha donato alla società e continua a farlo tanti nuovi don Bosco, anche figure splendide di laici che sono dalla parte dei giovani e della salvaguardia della loro vita. Anche a noi il compito di contribuire a difendere e salvaguardare la vita, prendendo le distanze dagli idoli che la rovinano.

3.”Simone ho da dirti una cosa”. Che bello lo stile di Gesù nel correggere colui che lo aveva invitato a tavola. Lo aiuta mettendogli davanti agli occhi una piccola parabola, sui due debitori condonati dal creditore. Dicendo questo Gesù invita il suo amico a rendersi conto, che colui a cui è stato condonato di più e lui stesso, Simone, ma lui non se ne rende conto. E’ così anche per noi, c’è una conversione di sguardo da chiedere. Un poeta italiano del XX secolo parlando di Madre Teresa la definì così: “Madre Teresa (di Calcutta) è una piccola suora albanese che ha uno sguardo che quando guarda, vede”. Noi tutti conosciamo la famosa espressione del “Piccolo principe” quando la volpe parlandogli dice “non si vede che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Esattamente è questo che ha fatto Gesù, vedendo la FEDE di questa donna.

Termino con una espressione del Cardinale Martini che mi ha colpito: Ci sono case ricche, che non consentono più di vedere il cielo, ci sono vite troppo frenetiche che non consentono più di stare a tavola insieme e di accorgersi del colore degli occhi e delle gioie e delle ferite dei cuori.       

 

Domenica SACRA FAMIGLIA B         28 Gennaio 2018

 

1.”Il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero”. Carissimi, Gesù dodicenne si perde nella città santa e dopo tre giorni è ritrovato dai genitori Maria e Giuseppe. Qui noi sappiamo che anche questo episodio è da leggere alla luce della Pasqua: Gesù si perde nella morte e dopo tre giorni è ritrovato vivo e risorto. In questa perdita c’è un CERCARE. I genitori lo cercano, le donne gli apostoli lo cercano al sepolcro…”Perché mi cercavate?” dice Gesù ai suoi dopo tre giorni. E così gli angeli alla tomba di Cristo: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo…”. Dunque il parallelismo è chiaro: Lui Gesù si perde per occuparsi delle cose del Padre suo e così farà tutta la vita e si perde per noi sulla croce, per compiere in tutto la volontà del Padre. A noi il compito e oggi in particolare alla famiglia, l’impegno di cercarlo. Cercare questo Dio “nascosto come dice nella prima lettura il profeta Isaia, un Dio che in Cristo si perde per recuperare ciascuno di noi che è perduto. “In tutto simile ai suoi fratelli”, dice nell’epistola della lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato.

A noi dunque l’impegno di cercare Cristo nel suo smarrimento, come hanno fatto Maria e Giuseppe e come loro portare avanti nel silenzio tutte quelle pagine oscure della nostra vita e della nostra famiglia, per trovare nel nostro perderci, nel nostro smarrirci, la sua presenza pasquale.

2.Guardiamo alle nostre famiglie: alla famiglia fatta dell’amore stabile di un uomo e di una donna aperti alla vita, consacrati col sacramento del matrimonio. La famiglia è tutto! Quante famiglie ferite a cui possiamo essere più vicino! La Chiesa, la comunità cristiana vuole essere vicina a tutti. Chi è ferito, chi si è perso, chi ha abbandonato o è stato abbandonato nel legame nuziale, senza giudizio, a tutti diciamo: siamo tutti figli della Chiesa. Accanto a questo la Chiesa, noi Chiesa, non vogliamo smarrire il carisma educativo dell’appassionare a questa splendida vocazione i giovani che si affacciano alla vita. Proprio per questo, oggi come Maria e Giuseppe, l’invito è rivolto a tutti, soprattutto alle coppie di sposi, alle famiglie, a imitare Maria e Giuseppe nella ricerca di Gesù nella vita. Cercare Gesù vuol dire entrare nel segreto della famiglia di Nazareth: qui impariamo due cose: il SILENZIO e il PERDONO. “In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto”. Sono parole del Beato Paolo VI a Nazareth 5 gennaio 1964.

Il PERDONO qui è il papa Francesco che ci porta sulle strade della famiglia di Nazareth e con le sue parole concludo: “Non esiste una famiglia perfetta. Non abbiamo genitori perfetti, non siamo perfetti, non sposiamo una persona perfetta, non abbiamo figli perfetti. Abbiamo lamentele da parte di altri. Ci siamo delusi l’un l’altro. Pertanto, non esiste un matrimonio sano o una famiglia sana senza l’esercizio del perdono. Il perdono è vitale per la nostra salute emotiva e per la nostra sopravvivenza spirituale. Senza perdono la famiglia diventa un’arena di conflitti e di punizioni. 

Senza il perdono, la famiglia si ammala. Colui che non perdona non ha pace nell’anima o comunione con Dio. Il dolore è un veleno che intossica e uccide. Mantenere il dolore nel cuore è un gesto autodistruttivo. Colui che non perdona diventa fisicamente, emotivamente e spiritualmente malato.
Ed è per questo che la famiglia ha bisogno di essere un luogo di vita e non di morte; Il territorio della cura e non della malattia; Lo scenario del perdono e non della colpa. Il perdono porta gioia dove il dolore produce tristezza; e dove il dolore ha causato la malattia”.

 

Domenica III dopo L’EPIFANIA B 21 Gennaio 2018

1.”Voi stessi date loro da mangiare”. Carissimi, ancora una epifania di Gesù nel gesto della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Un momento in cui Dio in Gesù mostra il suo volto compassionevole. Anche qui come a Cana, Gesù chiede la nostra collaborazione, quasi a dire che il volto di Dio si manifesta se l’uomo collabora con Lui. Epifania di Dio, epifania dell’uomo. Qui colpisce come dal poco scaturisce il molto e ne avanza. Qualche studioso dei vangeli che è un po’ andato oltre, non parla tanto di miracolo, quanto di invito alla condivisione, quasi a dire che l’essenza di questo miracolo è che ognuno ha messo a disposizione di tutti il poco che aveva, non tenendolo gelosamente per sé. Già questo è un dato di solidarietà umana che, per la cultura individualista in cui siamo immersi, ci fa riflettere. Infondo non si tratta di fare altro che mettere a disposizione il poco che si è e che si ha. Cito la proposta della “Decima” fatta dal nostro Arcivescovo Mario Delpini in occasione del discorso di Sant’Ambrogio quando ha parlato di “patto di buon vicinato”. Cito le sue parole “La pratica della decima è una pratica buona molto antica, attestata anche nella Bibbia, un modo per ringraziare del bene ricevuto, un modo per dire il senso di appartenenza e di condivisione della vita della comunità. La regola delle decime invita a mettere a disposizione della comunità in cui si vive la decima parte di quanto ciascuno dispone. Ogni dieci parole che dici, ogni dieci discorsi che fai dedica al vicino di casa una parola amica, una parola di speranza e di incoraggiamento. Se sei uno studente o un insegnante, ogni dieci ore dedicate allo studio, dedica un’ora a chi fa fatica a studiare. Se sei un cuoco affermato o una casalinga apprezzata per le tue ricette e per i tuoi dolci, ogni dieci torte preparate per casa tua, dedica una torta a chi non ha nessuno che si ricordi del suo compleanno…”. “Se tra gli impegni di lavoro e il tempo degli impegni irrinunciabili disponi di tempo, ogni dieci ore di tempo libero, metti un’ora a disposizione della comunità, per un’opera comune”. La regola di buon vicinato (la carità si fa senza nessuna appartenenza …anche col naso (vedi episodio del Card. Montenegro di Agrigento)
2.Qui però c’è qualcosa di più: c’è il messaggio chiaro che ciò che è consegnato nelle mani di Gesù si moltiplica…Finchè non si portano a Lui questi, pani non si moltiplicano. Questo è segno della importanza del cuore che si apre sempre di più quanto più si cerca si coltiva questa relazione con Lui. Voi vi siete accorti dei verbi eucaristici che Gesù usa in questo miracolo: “Alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli…” Questo cosa significa? Per comprenderlo dobbiamo ricordarci che Gesù parlando di se stesso si è definito : “Io sono il pane vivo disceso dal cielo( la nuova manna è Lui) chi mangia questo pane vivrà in eterno”.
ORIGENE, un autore dei primi secoli del cristianesimo, commentando il fatto che da questo cibo moltiplicato avanzano “dodici ceste PIENE”, spiega: “Fino a questo momento e sino alla fine del mondo i dodici cesti, pieni del pane di vita che le folle non sono capaci di mangiare, restano presso i discepoli che sono numericamente superiori alle folle sfamate da Gesù”.
Ecco il dono dell’Eucarestia che anche in questa Messa si moltiplica per noi e in tutte le S.Messe celebrate nel mondo. L’Eucarestia è Gesù vivo: il vero motore della carità, della solidarietà, della condivisione . E’ esperienza anche vostra, mia di tanti, che dopo aver ricevuto con fede la Santa Comunione, (o anche dopo l’Adorazione dell’Eucarestia) riemergono dal profondo, energie che erano sparite, la voglia di fare del bene, di ricominciare, di riprovare ad amare e magari anche di perdonare. Ecco il pane che continua a moltiplicarsi! Ecco l’effetto del miracolo evangelico che continua…Questa è la ragione del nostro essere qui, questo è il mandato di Cristo alla Chiesa “FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME”…Si FATE, ripetete il gesto eucaristico, ma ripetetene gli effetti di questo gesto che sono il moltiplicare fuori di qui lo stesso Amore di Cristo in famiglia, nella città, nei luoghi di lavoro e di scuola e, permettetemi di dirlo, in famiglia, tra marito e moglie, coi figli: è lì che deve riaccadere l’episodio della moltiplicazione dei pani, della moltiplicazione dell’Amore di Cristo. Questo è il vero antidoto alle separazioni facili tra coniugi, alla violenza dilagante, ai ragazzi violenti che si mettono in gruppo e spaccano tutto e anche uccidono e tanto altro.
Signore Gesù pane della vita, compi in noi il miracolo di moltiplicare il tuo Amore, perché anche noi diventiamo moltiplicatori della tua presenza là dove viviamo. AMEN

Domenica 14 Gennaio 2018     II dopo L’EPIFANIA   B

1.Un altra epifania di Gesù per noi alle nozze di Cana. L’evangelista Giovanni scrive che a Cana (un piccolo villaggio a 6 Km a nord-est di Nazareth) “fu l’inizio dei SEGNI compiuti da Gesù”. In greco SEMEIA. Cosa significa questo termine? Giovanni ne descrive 7 chiamandoli SEGNI di Gesù. Noi in genere parliamo di miracoli, ma la parola SEGNO è qualcosa di più profondo. Il segno è una realtà che tu vedi, ma questa realtà ha l’indice puntato verso un’altra realtà che tu non vedi, ma è più profonda. Da qui l’educarsi a VEDERE i SEGNI di Dio, alla luce della Sacra Scrittura e del magistero della Chiesa. Quale il SEGNO che ci è dato? Vediamone gli elementi. Un matrimonio: è quanto mai simbolico questo evento per la Bibbia, Dio è lo sposo del suo popolo. La mancanza di vino di cui si accorge Maria, ci comunica l’assenza della gioia nella vita, la mancanza di speranza. E questa mancanza non è solo personale, ma c’è un intero gruppo numeroso di invitati che ha perso questa gioia del vivere, quindi questa non è solo una crisi personale ma una crisi di popolo. Il dialogo tra Maria e Gesù è chiarificatore: “Donna …non è ancora giunta la mia ORA”. Dunque il SEGNO che Gesù pone è da comprendere relativamente alla sua ORA. Per Giovanni l’ORA è l’ora della croce e della risurrezione di Cristo. E’ l’ora in cui si spigiona dal suo cuore il suo infinito Amore, segno dell’Amore del Padre e del dono del suo Spirito. CAMBIARE L’ACQUA IN VINO è il segno di quella morte e della risurrezione. Gesù a Cana anticipa la sua Pasqua e su sollecitazione di Maria, che è la “donna” la nuova Eva ai piedi della Croce, (così verrà chiamata ancora da Gesù in quel momento) mette davanti agli occhi di tutti un segno sovrabbondante. I litri di acqua trasformati in gustoso e buon vino, dicono la sorgente del cuore di Cristo inesauribile fonte d’amore.

2.Se Gesù nella sua Pasqua è il vino buono, allora abbiamo bisogno di questo vino. Ciò che ci salva e dà una direzione giusta alla nostra vita, è il porci sempre davanti a Lui per ricevere questo dono squisito di un Amore che ci salva…Scoraggiati dalla vita, dalla cronaca, noi cristiani abbiamo il compito di riprendere la direzione e combattere l’indifferenza con questo vino buono. Seguiamo l’esempio di Maria che si dà da fare, non solo intercede presso Gesù ma guida i servi ad accostarsi a Gesù con tutta confidenza e fede.

Ricaviamo da questa epifania a Cana due impegni: il primo la S.Messa festiva: è da qui che parte tutto. Il miracolo di Cana si rinnova su questo santo altare e i peccati riconosciuti all’inizio, sono trasfigurati dall’atto salvifico di Gesù, che ancora si offre per noi. La seconda conseguenza è quella che riguarda il nostro atteggiamento nei confronti del mondo. Con un dono così non possiamo che fare come Maria. Quando manca il vino dell’amore in famiglia e in tutti gli ambiti della società, cosa facciamo? Non è sufficiente denunciare occorre darsi da fare, procurare almeno l’acqua, come fa Maria. E’ certo che siamo preoccupati per le nostre famiglie, ma non allarmati. La cronaca ci provoca a riflettere. Penso a un  delitto di un anno fa  a Ferrara, dove un figlio adolescente con un amico uccide i genitori. Questo fatto riporta in auge l’importanza della relazione con i genitori coi figli adolescenti. Senza entrare nel merito perché non conosciamo la situazione, le parole dell’Arcivescovo di Ferrara ci paiono eloquenti e conclusive per questa meditazione sul miracolo di Cana: “non possiamo lasciare che i giovani crescano senza nessuna regola, senza nessun ideale, convivendo con i genitori esclusivamente sulla base di interessi e di problemi materiali”. Da qui il monito del vescovo a “una presa d’atto da parte di tutti” e a “non perdere il passo con i nostri giovani, facendo loro quelle proposte alte di vita nuova che sole costituiscono l’unico vero antidoto all’egoismo dissennato che rende gli uomini schiavi di una mentalità consumistica e quindi violenta”.

 

 

7 GENNAIO 2018 Battesimo del Signore

1.“Gesù venne da Nazareth e fu battezzato nel Giordano da Giovanni”. Carissimi, il breve tempo liturgico di Natale si conclude con l’Epifania del battesimo di Gesù al Giordano. Noi siamo in un perenne tempo dell’Epifania nella nostra vita, poiché crediamo che Gesù, il nostro Dio, si manifesta anche ora per noi . Questo primo atto pubblico di Gesù ormai adulto, è ritenuto dalla liturgia la seconda epifania. Ci sarà poi la terza e la quarta: le nozze di Cana e la moltiplicazione dei pani. Noi già nel Natale abbiamo visto lo stile di Dio quando si fa vicino a noi: umile, nascosto, povero, in tutto simile a noi tranne che nel peccato. Qui in questa Epifania, siamo sorpresi dal FARSI AVANTI di Gesù. Egli va di sua iniziativa al Giordano, umilmente si mette in fila coi peccatori e si mostra con un gesto, non con le parole: si fa battezzare da Giovanni. Di questo gesto abbiamo l’approvazione del Padre e la discesa dello Spirito Santo. Gesù con questo gesto, mostra di che pasta è fatto Dio, si fa avanti…DIO SI FA AVANTI, PRENDE LUI L’INIZIATIVA PER MOSTRARSI…E’ questa, possiamo dire, la sintesi del Natale e dell’inizio del ministero di Gesù: un esporsi mettendosi all’ultimo posto, con l’unico desiderio di SERVIRE l’UMANITA’, DI SALVARE l’UMANITA’.
Riflettiamo su questo stile, in un contesto in cui spesso assistiamo a UN FARSI AVANTI SE C’E’ UN INTERESSE PERSONALE…L’Epifania di Gesù al Giordano, mostra questo atto solo per amore dell’umanità, per amore nostro…
2.Non è forse questa la sintesi anche del nostro Battesimo? Oggi ne facciamo memoria grata, perché questo sacramento ci ha conformato a Cristo nella sua essenza…Come Lui anche noi…Proprio perché come Lui siamo Figli del Padre e in noi c’è lo Spirito del Signore, ci accorgiamo che spesso noi stessi possiamo essere Epifania di Dio per i nostri fratelli, se ci sappiamo FARE AVANTI…E’ questa la logica che regge la comunità cristiana: E’ LA LOGICA DEL SERVIZIO, LO SPIRITO DI SERVIZIO: questo è il farsi avanti. In famiglia, nella comunità cristiana, nella società civile c’è spesso un venir meno della cura personale del bene comune. Il Battesimo al Giordano ci fa recuperare gesti simbolici che diano la direzione opposta del PRENDERSI CURA.
Qui c’è un testo molto bello di Dietrich Bonhoffer, il famoso teologo luterano, morto impiccato dai nazisti nel campo di Flossemburg nel 1938. Si tratta dal testo tratto dal libro “Riconoscere Dio al centro della vita”. L’autore contempla il mostrarsi, l’epifania di Dio per affermare come deve essere quella di ogni battezzato:
“Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro (…) Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”.
Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente e incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”.
Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima.
Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia”

Sabato 6 GENNAIO 2018 EPIFANIA del Signore

1.“Dov’è il re dei Giudei che è nato?”. Carissimi, facciamo nostra la domanda dei Santi Magi, accogliendo la grande gioia di questo incontro con il Dio-Bambino. Tutta la liturgia odierna comunica gioia profonda e pertanto questa è una ricerca gioiosa, non angosciata o noiosa. La vita è tutto questo: è una ricerca del Signore simile a quella dei Magi e dei segni della sua presenza.

Isaia: che bella questa lettura, dovremmo farla nostra. E sappiamo che è scritta per gli esiliati dopo la grande speranza dell’editto di Ciro del 538 avanti Cristo. Ma nello Spirito Santo che le ha ispirate, sono parole per l’oggi, per ciascuno di noi che siamo nella grotta di Betlemme, coi Magi: Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore.” Io credo che noi percepiamo il motivo di questa gioia così bella, così commovente: LA STELLA. “Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. LA STELLA: il Signore Gesù ci cerca. E’ questo il motivo che riempie di gioia, Lui nella vita viene a cercarci. La stella è una luce interiore che brilla in noi, che ci conduce verso di Lui, verso la grotta di Betlemme, per adorarlo e scoprire che Lui ci aspetta, ci ama profondamente come creature da Lui volute, amate,, desiderate, salvate. Non è un caso che oggi la Santa Liturgia ci comunichi la data della Pasqua. E’ quella la stella definitiva, è lì l’approdo di questo incontro, in una speranza che dà senso al soffrire, al morire, all’eternità. Il Santo Bambino è il Cristo Pasquale, è l’Agnello immolato che la Chiesa, anche nel Natale, celebra vivo e risorto. LA STELLA: ma quanti segni di Cristo nella nostra vita! La Parola di Dio, stella luminosissima che ci porta a Lui. I sacramenti che sono Lui stesso: stelle che ci portano dritti non solo a vederlo ma soprattutto a incontralo nella profondità di noi stessi. Stella è la comunità dei credenti, fratelli e sorelle che con la loro fede, la loro carità e speranza ci mostrano il volto di Gesù. Stella è il direttore spirituale, il confessore che per condurci al Signore non può apparire solo due volte l’anno, Natale e Pasqua…

  1. .“Dov’è il re dei Giudei che è nato?”. Ci sono degli ostacoli in questa ricerca, il cammino anche per i Magi non è facile e chi li dovrebbe aiutare li ostacola…Penso in questo momento alla forza dei genitori nelle famiglie, ma anche al dramma di quando divengono di ostacolo alla crescita spirituale dei figli….Erode simboleggia questi ostacoli che si mascherano di perfidia, nell’indicare addirittura la meta giusta Betlemme, ma per architettare la strage degli innocenti. Si, ci sono tanti ostacoli in questo che è il cammino della fede, della vita e noi sappiamo che è Dio solo che ci parla a voce bassa, il minimo rumore ne soffoca la voce. Rovesciando la prospettiva: “Dio ci visita spesso ma ancor più spesso noi non siamo in casa”.

3.I Doni. Ci sono i tre doni dei Magi: oro, incenso e mirra. Sono segni della regalità di Cristo, della sua divinità e della sua Pasqua, essendo la mirra usata per la sepoltura. Certo, Dio non ha bisogno dei nostri doni, ma essi sono il segno di un dono più grande: quello di noi stessi. Quel santo Bambino sussurra a tutti noi : “Io ho bisogno che tu mi doni il tuo cuore!”. La preghiera più forte che Dio possa udire da noi è il nostro “Si”. Maria e Giuseppe ci sono maestri e li invochiamo perché ci aiutino a riversare la gioia profonda di queste feste natalizie nella quotidianità, in quell’offerta di noi stessi che il Signore si aspetta.

Bambino Gesù, grazie per averci incontrato nel tuo Natale, alla grotta di Betlemme. Come i Santi Magi, i pastori, Giuseppe e Maria, siamo venuti per adorarti, per riconoscere nella tua fragile natura umana la potenza della tua divinità. Ora ritorniamo a camminare per le strade del nostro quotidiano, ma Tu sei con noi, cammini con noi, sei Tu la stella che brilla in noi. Donaci la grazia di non distogliere mai il nostro sguardo dalla tua luce gioiosa. Amen

Lunedì 1 GENNAIO 2018 Ottava del S.Natale nella Circoncisione del Signore. 51° Giornata mondiale della pace

1.“Migranti e rifugiati, uomini e donne in cerca di pace”. Carissimi, al termine dell’anno e all’inizio del nuovo, diamo voce al papa Francesco in questa 51° giornata mondiale della pace. Per una consuetudine che ho imparato dal mio parroco quando ero ragazzo, il primo dell’anno si commenta sempre il messaggio del papa nell’omelia. Così faccio per la 30ma volta essendo questo anno 2018 il trentesimo messaggio che commento. Vi confesso subito una fatica che è quella di molti: si la fatica a star dietro a questo tema che papa Francesco ha scelto ed è un martellamento continuo sull’accoglienza. Sono parole impegnative, scomode, ma sono del papa e il papa per noi cattolici è il vicario di Cristo in terra, pertanto alle sue parole va il nostro ascolto e lo sforzo di viverle.

I migranti nel mondo, cioè gente che lascia la sua patria per andare a trovare altrove una nuova esperienza di vita sono 250 milioni, rifugiati 22 milioni. I rifugiati sono persone che fuggono da situazioni di morte, di guerra di fame, di torture terribili e vengono in Europa o in altre parti del mondo, per chiedere asilo e iniziare un nuovo cammino. La domanda che il papa pone come titolo al punto 2 del suo messaggio ce la facciamo tutti: “Perché così tanti rifugiati e migranti?”. Conflitti, pulizie etniche, provocano spostamenti in massa di popolazione e incentivano la criminalità per il movimenti di questi popoli. Il dato da cogliere è che questo fenomeno ci accompagnerà ancora per moltissimi anni, anzi da che c’è l’uomo sulla terra non si è mai arrestato. Scrive il papa: “Tutti gli elementi di cui dispone la comunità internazionale indicano che le migrazioni globali continueranno a segnare il nostro futuro”. Pensiamo solo alla storia della nostra nazione e quanti italiani ci sono all’estero in questo momento, al punto che si parla di due Italie, una residente nella nazione e l’altra altrettanto numerosa all’estero in tutto il mondo. Ciò che sta però a cuore al papa è questo, e cito dal messaggio: In molti Paesi di destinazione si è largamente diffusa una retorica che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati, disprezzando così la dignità umana che si deve riconoscere a tutti, in quanto figli e figlie di Dio. Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia, che sono fonte di grande preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore la tutela di ogni essere umano”.Il papa rovescia le nostre paure anche legittime e ci invita a guardare questo fenomeno in questo modo: “vi invito a guardarle con uno sguardo carico di fiducia, come opportunità per costruire un futuro di pace”.

  1. E’ proprio questo sguardo sulle persone più che sul fenomeno, che deve convertirsi. Uno sguardo più umano, che sa vedere negli altri, anche nei rifugiati e migranti, una persona come me. Ad esso noi uniamo lo sguardo di fede, perché tutti figli dell’unico Padre. Possiamo proprio dire che uno sguardo di compassione davanti a questi fratelli e sorelle migranti e rifugiati, è quello che ci è chiesto. Penso in questo momento all’ordinanza del sindaco di Como dove istintivamente tutti siamo d’accordo, chi chiede l’elemosina dà fastidio e spesso è sfruttato dalla malavita. Ma intuiamo che un fenomeno così grosso non si può risolvere con un ordinanza… Non dimentichiamo però che il papa stesso non è fautore di una accoglienza indiscriminata e senza regole, ma, come ha detto più volte il Santo Padre, la compassione deve essere accompagnata dalla prudenza, intesa nel suo senso latino: il discernimento capace di governare le azioni umane. Accogliere davvero gli altri richiede un impegno concreto e forme efficaci di sostegno, per arrivare all’integrazione. La vita familiare è un ottimo esempio. Ogni componente della famiglia ha bisogni reali. I genitori devono saperli distinguere dai capricci. I genitori “prudenti” rispondono ai bisogni assegnando le risorse sulla loro base. Se le risorse sono insufficienti, modificano gli obiettivi – non bloccano o espellono i membri che hanno troppi bisogni.

3.Concludo applichiamo alla vita familiare e alle relazioni comunitarie questo invito del papa. Fra noi sono tanti gli stranieri (il 16%) e abbiamo la possibilità, attraverso la scuola dei nostri figli e nipoti, di educarci ed educare all’accoglienza e alla reciproca conoscenza. Il papa ci consegna quattro verbi importanti da cui partire, con propositi di pace per il nuovo anno: ACCOGLIERE, PROTEGGERE, PROMUOVERE, INTEGRARE. Li spiega abbondantemente nel messaggio che vi invito a leggere nella versione completa andando sul sito della Santa Sede (www.vatican.va) digitando “Messaggi”.

Termino citando San Giovanni Paolo II che papa Francesco nomina, sigillando con le sue parole il messaggio per questo primo dell’anno 2018: “Se il “sogno” di un mondo in pace è condiviso da tanti, se si valorizza l’apporto dei migranti e dei rifugiati, l’umanità può divenire sempre più famiglia di tutti e la nostra terra una reale “casa comune”».

Buon anno a tutti !

Domenica 31 DICEMBRE 2017 Tra l’ Ottava del S.Natale

1.“In principio era il Verbo”. Quell’ aquila che è Giovanni Apostolo ed evangelista, l’unico apostolo morto di vecchiaia, ci ha donato il prologo del suo Vangelo come una pagina altissima e molto profonda di riflessione sulla natura di Cristo. Preghiamo la sua intercessione, perché ci doni il gusto e l’impegno di una profondità nella fede, che ci fa compiere quel viaggio interiore nel cuore di quel Bambino che è nato a Betlemme. Ma chi è quel bimbo nato da Maria ? Giovanni risponde col viaggio del Verbo di Dio, il LOGOS, la Parola che esiste da sempre come Dio nella comunione trinitaria, che si fa CARNE (sarx). “O logos Sarx egheneto”, e “Il Verbo si fece carne”. Questi due termini LOGOS e SARX sono quanto di più opposto ci possa essere nel concetto del pensiero filosofico greco. Il Logos è la divinità, la purezza, la perfezione divina che non ha sbavature e sussiste da se stesso, è Dio. La SARX è la carne, intesa in quanto fragile, limitata, bisognosa di tutto. E’ il concetto filosofico che è l’opposto del LOGOS. E’ questa la sconvolgente verità del Natale: la perfezione si fa imperfezione, l’infinito si fa finito…Dio in un uomo, e un uomo in Dio. Ma c’è un’altra espressione che Giovanni usa per indicare questo irrompere nel tempo del LOGOS che il Cristo-PAROLA ed è il termine SCHENE’ cioè TENDA. “Il Verbo pose la sua tenda fra noi”. Questo termine dice di che tipo è questa incarnazione del Verbo di Dio. Non si tratta semplicemente dell’assumere la nostra natura fragile, ma è una incarnazione di condivisione. L’immagine della tenda, richiama la presenza accanto e comunica lo stato nomadico dell’uomo. L’uomo è nomade di natura, è chiamato a spostare la sua tenda in diversi luoghi fisici ed esistenziali, fino a passare dalla reggia(la divinità) alla stalla. In questo arco Cristo è con noi: pone la sua tenda tra noi, condivide tutto dell’umano tranne ciò che lo degrada: il peccato.

  1. Noi sappiamo che questa identità umano-divina di Cristo stabilisce il nostro equilibrio interiore e l’equilibrio giusto della Chiesa. Da una retta cristologia nasce una precisa ecclesiologia. Le eresie cristologiche hanno accompagnato e accompagnano la Chiesa lungo i secoli. L’Arianesimo (quarto secolo) negava la divinità di Cristo. Sant’Agostino combatté per tutta la vita questa riduzione all’umano, al solo umano, di Cristo. Certo Cristo è un modello di uomo, ma un uomo non può salvarci e men che meno vincere la morte. Questa eresia porterà al Pelagianesimo, la negazione dello stato originale di peccato per l’uomo e la dichiarazione che basta lo sforzo umano della volontà per salvarsi.

Di contro però il Docetismo (dl verbo greco DOKEIN, sembrare) negò l’umanità di Cristo, affermando che era tutta apparenza, perché Dio non può aver bisogno di sonno, cibo, acqua. Dio non soffre ecc…Queste eresie in realtà sono anche nostre contemporanee, perché anche noi a seconda del momento, riduciamo Cristo a un aspetto: cadiamo così o nello spiritualismo o nel solo attivismo, nella misura in cui facciamo leva solo sulla divinità o sull’umanità di Cristo. Questo concetto poi ricade sulla visione di Chiesa che ci facciamo.

Se oggi c’è una tendenza su Cristo non è quella di negarne l’umanità, ma la divinità. Questo comporta la negazione dell’opera della Grazia in noi, nella Chiesa e nel mondo. La divinità di Cristo fa scandalo perché, finché Cristo è ammirato come maestro di opere sociali va bene a tutti, ma quando si affermano i miracoli, la sua stessa risurrezione, non tutti sono disposti a fare il salto della fede. All’uomo europeo , razionalista, che ritiene reale solo ciò che può misurare toccare, vedere, è difficile credere nella divinità di Cristo. L’uomo contemporaneo si fa da solo, non ha bisogno della Grazia. Corriamo questo rischio, anche come Chiesa, quando abbiamo paura davanti al mondo, di affermare le verità profonde della nostra fede. Quando lo facciamo, veniamo accusati di fondamentalismo religioso. “Il Verbo si fece carne”. Carissimi, nostro compito nel mondo è portare il divino nell’umano e in questo modo ridare all’uomo la sua pienezza. E’ l’augurio per voi per il nuovo anno.

Domenica 25 DICEMBRE 2017 S.NATALE
1.“Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”. Carissimi, è questa la sostanza del Natale del Signore, è per questo che Dio si è fatto uomo. Lo affermiamo oggi con tutta la Chiesa con una grande e gioiosa consapevolezza. La narrazione dei vangeli dell’infanzia e il profondissimo prologo del Vangelo di Giovanni, dischiuso ai sensi dell’anima un fatto che ci rende coscienti che la nostra realtà di creature umane, oggi viene portata alla sua massima dignità. Colui che ci ha creati si è fatto uno di noi, uno come noi, con tutte le nostre fragilità e povertà, coi limiti che ha ogni uomo ma pure con le potenzialità di un cuore e di una intelligenza che può cambiare il mondo. Possiamo proprio dire che il nostro Dio che ci ha creati non si è accontentato di guardare dall’alto ma è sceso fra noi e si è buttato nell’agone del mondo mischiandosi a noi tranne che nel peccato.
Ma diciamolo subito: questo fatto della uscita di Cristo, non è un ricordo, non una tradizione, ma per noi credenti, Gesù è il nostro Salvatore è qui ora con noi. E’ necessario dirci che per noi il Natale non è un ricordo lontano ma un incontro con Lui, il Cristo che oggi nasce per noi. La Santa liturgia con tutti i suoi meravigliosi testi usa il verbo presente. Infatti Lui, il Bambino Gesù è il Risorto ed è per questo che oggi nasce per noi. Accogliamolo con la stessa gioia con cui nelle nostre case abbiamo accolto un bambino che è nato. Lui vuole che sia questo l’animo del Natale, del suo Natale.
2.L’uomo non può vivere senza uno scopo, senza un senso, senza un grande ideale da perseguire. Per tutti noi Cristo è il grande ideale, anzi Cristo è il compagno, l’amico che con l’amore della sua nascita, ci prende per mano e ci porta a vivere di Lui, ci conduce attraverso le pagine del suo Vangelo a rendere concreta questa sua nascita. “La luce splende nelle tenebre”. E’ sempre così, in ogni Natale ci accorgiamo quante tenebre ci sono dentro noi e attorno a noi. Quello che rovina il cuore non si può sciogliere solo con l’intervento umano e mi riferisco all’odio, alla gelosia, all’invidia insomma a tutti quei mali del cuore che tolgono la pace e aggiungo anche il male ricevuto. La sorgente originaria di ogni luce, Dio che oggi si fa uomo, solo Lui, al suo sole è possibile sciogliere anche quei ghiacci perenni che sono nel profondo del cuore umano. La ragione è molto semplice è perché Lui oggi è nato perché ama di un amore immenso ciascuno di noi.”Dio nel Natale ci dice che Egli ha più gusto ad amare che ad essere amato. Dobbiamo fare questo piacere al Bambino Gesù, dobbiamo lasciarci amare da Lui e restare immobile nelle sue braccia che saranno le braccia aperto del Crocifisso Risorto. Disposti a fare tutto, a ricevere tutto da Lui. Gesù oggi è nato per amarci e salvarci.
Sono qui al mio primo Natale a Melegnano come vostro nuovo parroco, ho visitato nella benedizione tante vostre case. Ho trovato gioie e dolori, tante persone venute a mancare a causa del tumore, diverse unioni matrimoniali fallite con sofferenza soprattutto dei genitori e dei bambini. Ho trovato però tanta cordialità e disponibilità. La gente di Melegnano va incontro con simpatia a chi è appena arrivato, le attività commerciali numerose hanno plasmato il carattere cordiale di molti e di questo ringrazio. Nel mio primo Natale vorrei farvi sentire il ringraziamento per l’accoglienza e l’apprezzamento che ho ricevuto per i primi passi compiuti. L’invito a decelerare l’ho colto ma credo che insieme potremo aiutarci a costruire una casa al Signore dove noi che siamo la sua famiglia in questo territorio, possiamo dare a tutti un segno di come sia bello stare insieme nel suo nome anche se non ci siamo scelti, ma è Lui che ha scelto noi.
3.Concludo con le parole di papa Francesco: “Entriamo nel vero Natale con i pastori, portiamo a Gesù quello che siamo, le nostre emarginazioni, le nostre ferite non guarite, i nostri peccati. Così, in Gesù, assaporeremo lo spirito vero del Natale: la bellezza di essere amati da Dio. Con Maria e Giuseppe stiamo davanti alla mangiatoia, a Gesù che nasce come pane per la mia vita. Contemplando il suo amore umile e infinito, diciamogli semplicemente grazie: grazie, perché hai fatto tutto questo per me”.

Domenica 17 DICEMBRE 2017 VI di AVVENTO B DIVINA MATERNITA’ DI MARIA

1.“Il Signore è vicino”. E’ proprio bella l’espressione dell’Apostolo Paolo nell’epistola di oggi ai Filippesi, è ciò che stiamo attendendo tutti noi in questo nuovo Natale. Viviamo questa attesa con Maria, in questa solennità dell’incarnazione del Signore e della sua divina maternità. Questo dato di fede che noi abbiamo ascoltato nel vangelo dell’annunciazione nella versione di Luca, ci fa invocare Maria come “MADRE di DIO”. La chiamiamo così in ogni “Ave Maria”. Ella col suo “Sì”, genera nella carne, nel suo grembo verginale, il Cristo che come Dio esiste da sempre, come uomo nasce in lei. Dal momento che le due nature di Cristo, quella umana e quella divina, non sono separate, ma sono un tutt’uno nella persona del Verbo di Dio, Gesù di Nazareth, la Chiesa ha sempre invocato Maria non come la semplice madre dell’uomo Gesù, ma la Madre di Dio, poiché Colui che da lei è generato è “Dio da Dio, Luce da luce Dio vero da Dio vero”, così recitiamo sempre nel Credo. Quando nel 431 a Efeso, i Padri vescovi dichiararono questa verità di fede e sancirono il fatto che Maria è la “TEOTOKOS”, la MADRE DI DIO, posero il sigillo a tre secoli di contese e al combattimento contro le eresie cristologiche. Chiarito chi è quel Gesù di Nazareth che è nato a Betlemme da Maria Vergine, automaticamente lei, Maria, è la Madre di Dio. Abbiamo degli scritti di padri vescovi che parteciparono a quel Concilio e dicono l’esultanza del popolo di Dio, che dopo aver appreso le conclusioni del Concilio su Maria, Madre di Dio, fecero quella notte una bellissima fiaccolata in onore di Maria.

Anche noi idealmente, vorremmo attribuire tutte le luci natalizie a Lei, a Maria e vi invito a fare questo pensiero e questa preghiera alla Madonna, in queste sere e nella notte santa. Le luci sono per lei e per il suo Figlio Gesù! Si, perché se non ci fosse stato il “Si di Maria, il Natale non ci sarebbe stato, il Padre (e qui giochiamo di fantasia) avrebbe nel mistero Trinitario dovuto pensare a un’altra strada. Con il “Si” di Maria ad accogliere la vita di quel Santo Bambino, permettetemi di elevare un inno di grazie per tutte quelle famiglie che accolgono la vita di un bimbo, dando un bel segno di speranza. Gli atti di una mamma nei primi giorni sono dare da mangiare al suo piccolo e dargli da bere. Sono i gesti del sostentamento, della vita, atti natuirali..La nostra società italiana non si è dimostrata madre nei confronti dei suoi figli permettendo di sopprimere alla fine della vita questi due atti fondamentali che non sono cure, medicine, ma sono la base di ogni esistenza (vedi la legge sul testamento biologico).

2.”Siate lieti..il Signore è vicino…Non angustiatevi per nulla…E la pace di Dio custodisca i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù”. Sento di rivolgere a voi le parole dell’Apostolo Paolo che abbiamo ascoltato, perché il Signore prepara questo per noi. La gioia a cui Maria è invitata con quel “Rallegrati” è motivata dalla venuta del Signore. Anche per noi sia così e ricordiamoci che questo è il miracolo più profondo del Signore che viene. Porre nel cuore la sua pace, anche se la vita ci riserva molte tribolazioni e preoccupazioni. Riimparare a giubilare, ad essere contenti a casa della fede, rallegrarsi, non recitando una parte finta, forzando se stessi. Non è questa la gioia della fede, non è questo il rallegrarsi di Maria..La gioia cristiana è la certezza che “Il Signore è vicino, è qui”.

Concludo con San Bernardo di Chiaravalle che parlando di Gesù dice che, e cito da uno dei suoi discorsi: “Ci sono tre venute del Signore presso gli uomini…la prima e il terza venuta sono note (una a Betlemme e una alla fine della storia)…la seconda è invece spirituale e occulta ed è Gesù stesso che dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e porremo la nostra dimora presso di Lui”. Così è stato per Maria nella prima venuta, così può essere per noi. E conclude San Bernardo e con le sue parole io vorrei esprimere gli auguri a tutti voi, per questi giorni che ci separano dal Natale: “Beato, Signore Gesù, colui presso il quale dimorerai!”

Domenica 10 DICEMBRE 2017 V di AVVENTO B

 1.“Tu chi sei?…Cosa dici di te stesso?”. I sacerdoti e i leviti venuti da Gerusalemme, interrogano Giovanni Battista per capire se è lui il Messia che deve venire. A pochi giorni dal Natale noi ci accorgiamo che l’identità di Giovanni Battista e anche la nostra, non è data da noi stessi ma dalla nostra relazione con Lui, col Signore. Oggi è la domenica del Precursore, il nostro patrono, ma se leggiamo attentamente le tre letture bibliche, il protagonista è un altro, è Gesù. E’ Lui il virgulto che cresce dal tronco tagliato di Jesse, della tribù davidica. Lui è il sacerdote “secondo l’ordine di Melchisedek” perché offre se stesso per la salvezza dell’umanità, sull’altare del mondo. Dunque lo sguardo è rivolto a “Colui che deve venire”.

C’è un nesso molto profondo tra la nostra identità personale e il CONOSCRRE GESU’. Giovanni Battista presentandosi come “La voce” ci comunica che a quella domanda “TU CHI SEI?”, si può rispondere solo se la nostra vita si intreccia con quella del Signore Gesù. E’ come un sistema a vasi comunicanti: quanto più conosciamo Gesù con la mente, col cuore e con tutto noi stessi, tanto più scopriamo la bellezza della nostra vera identità. Per conoscere Gesù occorre ascoltarlo: RICORDIAMOCI!

C’è il rischio di avere visioni sbagliate di se stessi, troppo riduttive, troppo materiali, troppo lasciate a ciò che noi sappiamo fare o conquistare. Mentre lo scavare dentro noi stessi, che a volte ci spaventa, è un itinerario dove alla fine noi arriviamo dove è giunto Giovanni Battista: “IO SONO VOCE”…A pochi giorni dal Natale riceviamo questo invito forte a conoscersi e a conoscere gli altri a partire da Cristo. Abbandoniamo valutazioni superficiali o solo parziali su noi stessi e sugli altri. Diventiamo capaci di profondità su noi stessi e sugli altriEtty Hillesum, giovane ebrea olandese che morirà ad Auschwitz, scriveva nel suo Diario: “un pozzo molto profondo è dentro di me. E Dio c’è in quel pozzo. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri” (Diario, 97). Queste parole così profonde, dicono l’inscindibilità tra la nostra identità e quella del Signore nella nostra vita. Penso in questo momento alla grazia del sacramento della Confessione in occasione del Natale, che ci dona la possibilità di compiere questo viaggio interiore.

2.”Voce”. Decidere come Giovanni di essere la voce di Colui che sta per venire…Il tema dell’identità cristiana è collegata con il compito che ci è affidato. Giovanni Battista è molto chiaro nel suo compito. Questo è un invito per noi: se la nostra identità è un’identità CRISTIANA, non dovremmo aver timore di parlare di Colui che viene, di Gesù…Come possiamo essere la voce di Gesù oggi nel mondo? Il papa ci è di esempio con la sua carità verso tutti…Ma anche noi come possiamo esserlo nel contesto in cui viviamo? E’ bello pensare alle prossime settimane (15 giorni) che ci separano dal Natale e vederle come l’occasione di essere la voce del Signore. Il richiamo ad esempio ai nostri familiari, figli, nipoti, al NATALE CRISTIANO, questo può essere una occasione per essere la voce del Signore…Nei prossimi giorni c’è il rischio di parlare e fare di tutto meno che parlare di Lui, del festeggiato, del Signore Gesù…Tu sei la sua voce: contribuisci a farlo conoscere!

Concludo con un’ espressione di don Primo Mazzolari nel testo “Il Compagno Cristo” rivolto ai suoi ragazzi: “Non voglio obbligarvi a quest’incontro, se non ne sentite la voglia: né pregiudicarlo col dirvi chi Egli sia per me. Siete liberi di andargli incontro o di voltargli le spalle come vi piace e se vi piace. Egli non se n’offende, se dopo essere stati da Lui, credete di non poterlo seguire. Una sola cosa vi chiedo: lasciatelo parlare. Dopo, farete come vorrete”

8 Dicembre 2017 Solennità dell’IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA

1.“A causa dell’onore del Signore”. Questa espressione agostiniana, rende il senso della solennità odierna. Il cammino della Chiesa, che con papa Pio IX ha sancito il dogma della concezione immacolata di Maria (era il 1854), pura, senza peccato originale fin dal suo concepimento, questo cammino è stato tortuoso e non senza nemici di questa verità. Lo stesso Agostino da cui abbiamo tratto questa espressione che dice la ragione profonda dello stato interiore di Maria, “a causa dell’onore del Signore”, fu uno dei contrari. Fondamentalmente nel primo medioevo si scontrarono le due scuole: quella domenicana con San Tommaso d’Acquino e e quella francescana con Duns Scoto. I primi erano contrari perché la dottrina dell’universalità del peccato originale, che si contrae semplicemente perché si nasce come umani dalla stirpe di Adamo, viene tolto solo dalla redenzione di Cristo. Per questo i domenicani non ritenevano esente neppure Maria da questo. Invece il grande teologo Scoto (scozzese 1308) fu il grande fautore di questa verità su Maria, introducendo e applicando il principio agostiniano enunciato: “A causa dell’onore del Signore”. In pratica questo grande teologo francescano aprì la strada al concetto di preservazione dal peccato di origine per Maria, perché ragionò sul concetto di “redenzione di Cristo”. Cristo ci ha redento dal peccato e dalla morte con la sua Pasqua, ma questo fatto raggiunge Maria ancor prima della sua nascita cioè nel suo concepimento. Come dice la bolla di Pio IX, del beato papa PIO IX: “in vista dei meriti di Gesù Cristo Maria fu preservata”. Qui l’espressione agostiniana si comprende perché la fede del popolo di Dio ha sempre visto Maria come la tutta bella, la tutta santa, perché doveva diventare l’arca, il grembo che avrebbe generato il Salvatore del mondo. Poteva il Figlio di Dio incarnarsi in un grembo di peccato? No, da qui la verità di fede che oggi proclamiamo con gioia.

2.Quale fondamento biblico? La parola di Dio ascoltata ci soccorre. Parto da una espressione dell’antico testamento applicata da sempre a Maria: ”Tutta bella, senza macchia” si descrive così la sposa del cantico dei cantici. Poi la Genesi, il brano che abbiamo ascoltato, nel linguaggio figurato ci viene descritto il peccato di origine, soprattutto l’immagine della donna che schiaccia la testa del serpente: “questa ti schiaccerà la testa”. Soprattutto il saluto dell’angelo a Maria: “piana di grazia”. Su queste indicazioni chiare, la fede della Chiesa si è stabilita, in una verità che oggi per noi è un dono che illumina con Maria la nostra vita e il cammino verso un nuovo Natale del Signore.

3.Su questo ultimo aspetto vorrei concludere: LA GRAZIA. Maria, possiamo dire col nostro linguaggio, è una BELLA PERSONA. Lei nello stato originale è stata custodita da Dio Padre nella bellezza dell’uomo e della donna prima del peccato originale, Maria è il modello dell’umanità pulita dentro e fuori. La Grazia in lei è una sorgente permanente di armonia, bellezza e trasparenza. Noi sappiamo che il segreto di Maria che lei stessa ci vuole comunicare è l’unità inscindibile col suo Figlio Gesù che è la GRAZIA stessa. Da Lui lei attinge il permanente stato interore di Grazia. Lei Maria, non è la GRAZIA ma è preparata ad accogliere Colui che è la fonte della Grazia. Allora comprendiamo la nostra confidenza con lei l’Immacolata, perché se lei è custode e ha dato alla luce la Grazia personificata che è Cristo, noi non sbagliamo se tutte le grazie le chiediamo a Lei che è perennemente con Gesù. Maria può ottenere tutte le grazie perché lei ha generato nella carne la Grazia che è Gesù Cristo…Recuperiamo e viviamo questa relazione profonda con Maria che diventa confidenza di fede e abbandono alla volontà di Dio. (vedi il dipinto di Ercole Procaccini 1595)

4.Lourdes 25 Marzo 1858, sedicesima apparizione. A Bernadetta la bianca Signora risponde alla domanda sul suo nome: “Io sono l’Immacolata concezione”. Erano trascorsi 4 anni dalla proclamazione del dogma e Maria ha messo il sigillo di Dio.

O Maria Immacolata, noi siamo spesso chiusi e prigionieri del peccato, la tua preghiera , il tuo cuore, la tua purezza ci renda simili a te, capaci di essere belle persone, un dono prezioso per chi ci incontra. Amen